Nota dell'autore: Questo è un racconto horror/grottesco piuttosto crudo in alcuni passaggi. Ogni riferimento a persone realmente esistenti è casuale.

 

Aprii gli occhi, buio totale. Strano...
In camera mia c'era sempre un po' di luce, perché ora non vedevo niente? Davvero strano.
Mentre la mia mente annebbiata dal sonno cominciava a riprendersi, mi resi conto di essere seduto ad un tavolo, con la testa adagiata sulle braccia. Dove diavolo mi trovavo?
Aspettai qualche minuto per permettere ai miei occhi di abituarsi all'oscurità. Pensando di essermi addormentato in cucina la sera prima, voltai il capo per cercare la rassicurante spia rossa della tv, ma non la trovai. Cominciai a distinguere qualcosa. Alla mia sinistra vidi una finestra molto grande, quasi tutta la parete, interamente di vetro, che si affacciava su una notte nerissima, senza stelle. Alcune case si vedevano ora in lontananza, ma nessuna luce brillava nell'oscurità. Le sagome di alcuni alberi dai rami spogli e contorti si scorgevano appena. Fuori, sembrava che il mondo fosse morto.
Mentre mi sforzavo - senza alcun risultato - di ricordare dove mi fossi addormentato la sera precedente, un'idea su quale fosse il luogo in cui mi trovavo cominciò a frullarmi in testa, ma era talmente assurda che la scacciai subito.
Riportai l'attenzione alla stanza. Davanti a me vidi a malapena parecchie figure che parevano tavolini, identici a quello a cui ero seduto, disposti in modo regolare alla stessa distanza l'uno dall'altro, e in fondo alla stanza una figura dello stesso tipo, ma più grossa. Capii immediatamente. Erano banchi, e quella era una cattedra. Mi trovavo in una scuola, o meglio in un'aula: per quanto inconcepibile l'idea che mi ero fatto trovava riscontro. La scoperta mi turbò non poco.
Confuso e agitato mi alzai e mi diressi alla finestra, avevo bisogno di una boccata d'aria. Che cavolo ci facevo in una scuola di notte? Feci per girare la maniglia ma mi bloccai. Io quella finestra la conoscevo benissimo: era quella della mia scuola. Mi voltai di scatto e in effetti mi accorsi che non mi trovavo in una classe qualunque, ma nella mia classe. Mi chiesi come avessi fatto a non capirlo prima, ma quella domanda lasciò immediatamente il posto ad un'altra: che cosa c'è da capire? Nulla... Non è possibile, è sicuramente un incubo, pensai. Mi accorsi che stavo trattenendo il respiro. Un po' d'aria fresca mi avrebbe fatto bene. Forse mi sarei svegliato, o perlomeno se non stavo sognando mi avrebbe aiutato almeno a riflettere. Spinsi con forza la maniglia, ma quella non girò. Riprovai, con più vigore, ma era decisamente bloccata. Un senso d'oppressione mi calò improvvisamente addosso come un soffocante velo nero. Spaventato, decisi di uscire dall'aula che pareva mi osservasse con occhi nascosti, dato che la permanenza al suo interno non faceva che accrescere il mio affanno. Raggiunsi rapidamente la porta ma mi venne un dubbio: sarebbe stata bloccata anche quella? Fortunatamente no. Uscii dalla stanza e tirai un sospiro di sollievo. I miei occhi ormai vedevano abbastanza bene al buio, e, come mi ero aspettato, mi trovai nel lungo corridoio che si conclude proprio con l'ingresso della mia aula. Oltre a me non c'era nessuno e non si udiva alcun rumore. Senza pensare mi avviai in fretta verso l'uscita che al piano terra. Ero al secondo piano e dovetti fare solo una rampa di scale per raggiungerla. Vidi la porta principale e mi sentii sollevato. Forse fuori avrei incontrato qualcuno e avrei scoperto perché mi trovavo da solo all'interno di quell'edificio, e per lo più di notte. Spinsi con decisione il maniglione antipanico della porta ma quello non si mosse di un millimetro. Provai e riprovai disperatamente ma non c'era nulla da fare. La confusione cominciò a tramutarsi in angoscia.
Pazzesco, ero chiuso di notte all'interno della mia scuola con le finestre e la porta bloccate, e come ero arrivato lì restava un mistero. Sconvolto per la situazione inspiegabile, pensai che l'unica cosa da fare era perlustrare la scuola alla ricerca di qualcuno che potesse darmi delle spiegazioni. Decisi di cominciare dall'alto, per dare un certo senso alla mia "avventura", che stranamente avevo il sospetto si sarebbe rivelata piuttosto lunga.
Controvoglia, salii nuovamente le scale quando all'ultimo gradino mi venne un'idea: dovevo guardare prima di tutto nella sala professori. Se ci fosse stato qualcuno oltre a me era probabile che si sarebbe recato in quella stanza. Si trovava al secondo piano, quello che avevo appena raggiunto, e dovetti fare pochi passi per arrivarci. Il buio era sempre molto fitto e il silenzio era tale che avvertivo il ronzio delle mie orecchie. Aprii lentamente la porta, schiarendomi la voce per avvisare della mia presenza, ma non sentii nulla. Entrai allora nella stanza, che era molto ampia e normalmente affollata di docenti, chiedendomi chi mi aspettavo di trovarci a quell'ora e in quel periodo dell'anno (era infatti luglio inoltrato e le vacanze estive erano iniziate da diverse settimane). Non appena vi misi piede una puzza terribile mi penetrò nelle narici invadendomi la testa e provocandomi un capogiro che mi fece quasi perdere i sensi. Era puzza di carne marcia ed era davvero insopportabile. Trattenni a stento un conato. Mentre cercavo di capire da dove venisse l'odore nauseabondo, alzai d'istinto lo sguardo e vidi uno spettacolo orribile. Dal soffitto pendevano grossi ganci di metallo arrugginito, e ad ognuno di essi era attaccato per il collo un cadavere in putrefazione. Quelle salme marce e insanguinate e con il collo trafitto dall'uncino penzolavano come grossi burattini senza vita, e pareva supplicassero con i loro occhi sbarrati di essere posate in terra. Il pavimento della stanza era un lago rossastro di sangue rappreso. Ebbi la forza di guardare per qualche secondo quella specie di lugubre macelleria, e notai una cosa ancor più spaventosa: nei visi dei cadaveri, che pure erano in uno stato pietoso, riconobbi alcuni studenti di quella scuola. Persone che conoscevo, con cui parlavo fino a poco tempo prima, all'incirca della mia età. Avevano ancora addosso i vestiti che però erano sporchi e laceri. Si poteva udire un sommesso scricchiolio che probabilmente era dovuto al lavoro dei parassiti che si stavano cibando delle interiora degli studenti morti. Dopo alcuni istanti non sopportai più quella vista e soprattutto quell'odore e in preda al panico scappai fuori dalla stanza sbattendo la porta, deciso a correre il più lontano possibile. Ma dopo pochi passi caddi in ginocchio e dovetti vomitare. Rimasi per un paio di minuti in quella posizione per riprendere una certa lucidità mentale, sebbene fosse difficile riuscire a ragionare dopo ciò che mi era accaduto. Mi rimisi in piedi, tremavo ed ero letteralmente terrorizzato. Quanto avevo appena visto non era possibile, la sala professori trasformata in una stanza di morte. Era davvero un incubo ma purtroppo ero ben sveglio, ora ne avevo la certezza.
Cercai di riflettere e pensai che non potevo fare nient'altro che continuare la ricerca, anche se rischiavo di trovarmi di nuovo di fronte a spettacoli come quello, e chissà che magari avrei potuto fare la stessa fine di quei poveri ragazzi, alcuni dei quali li conoscevo parecchio bene. C'era però una cosa che mi sfuggiva, un particolare che non riuscivo a spiegare e che forse era anche frutto della mia fantasia (più tardi scoprii che non era così): tutti quegli studenti, circa una decina credo, mi sembravano accomunati da qualcosa che però in quel momento non riuscivo a decifrare, c'era qualche particolare che li univa ma non capivo quale fosse questa congiunzione. Decisi comunque di lasciar perdere, non valeva la pena di rifletterci sopra, e ancora sconvolto salii al secondo piano. Mi diressi in bidelleria non c'era nessuno. Mi sedetti un momento sull'unica sedia della stanzetta perché la nausea non mi aveva ancora abbandonato. Come erano finiti là sopra i cadaveri degli studenti, e chi li aveva uccisi? Perché mi trovavo nella mia scuola di notte, e perché tutto era bloccato e non potevo uscire, e perché proprio io? Quelle domande per ora non avevano risposta. Un po' più calmo, mi alzai e feci un profondo respiro, dopo di che mi avviai per il corridoio del secondo piano.
Camminavo lentamente continuando a voltarmi indietro, la sensazione di essere osservato era troppo forte. Mi aspettavo che da un momento all'altro sbucasse fuori da un angolino oscuro qualcosa pronto ad uccidermi. Avevo l'adrenalina alle stelle e avanzavo goffamente con movimenti convulsi. Alla mia destra c'era un muro bianco, scrostato in molti punti, interrotto a tratti dalle finestre, dalle quali non si vedeva nulla. La scuola sembrava immersa in un silenzioso lago nero. A sinistra c'erano le porte delle aule, dalle quali stavo alla massima distanza possibile avendo ancora bene in mente ciò che conteneva la sala professori. Dalle aule però non veniva alcun rumore. Continuavo ad avanzare con il terrore nel sangue, quando divenne visibile la fine del corridoio. In quel punto c'era un banco e chinata sopra di esso una persona intenta a sistemare delle carte. Un mezzo sorriso di liberazione si dipinse sul mio volto. Aumentai l'andatura e più mi avvicinavo, più avevo l'impressione di conoscere quella persona, e crebbe la mia speranza. Alla fine ne fui certo, era la professoressa d'inglese. I lunghi capelli castani le ricadevano sulle spalle, e il suo modo di vestire era inconfondibile. Non avevo dubbi. Forse non mi aveva ancora sentito perché non si decideva a voltarsi. Arrivato ormai a un metro da lei, le misi dolcemente una mano tremante sulla spalla pronto a chiederle spiegazioni. Lei si voltò di scatto e quando la vidi in volto provai orrore puro. Non mi ero sbagliato, era la mia professoressa di inglese, ma diversa da come me la aspettavo. Era bianca, sembrava quasi congelata, di un pallore cadaverico. Dalla sorpresa feci un balzo all'indietro e lei, quasi in risposta al mio gesto istintivo, sorrise mostrando tutti i denti. In quel sorriso notai una sfumatura sgraziatamente sadica. A parte quel biancore mortale non c'era nient'altro in lei di spaventoso, ma ciò bastava a inquietarmi moltissimo. Venne verso di me, con quel sorriso grottesco scolpito sul volto, e cominciò a parlare.
«Bene, finalmente sei arrivato. Non è stata una buona idea sbirciare nella sala professori, vero?»
La sua voce era la solita, quella che ben conoscevo, ma adesso parlava in uno spaventoso sussurro roco, quasi non volesse farsi sentire da qualcuno o non avesse la forza di alzare il tono. Io ero pietrificato e non riuscivo ad aprir bocca, potevo soltanto ascoltarla.
«Spero che tu non faccia la loro fine, in fondo sono affezionata a te. - rise sommessamente - So che sei confuso e impaurito ma non sono qui per aiutarti. Devo invece farti una domanda, la prima di una serie di tre, e se tu riuscirai a dare la risposta giusta, anche a una sola una di esse, sarai libero. Ma ogni volta che sbaglierai sarai rimandato in una materia e ti prenderai un bel 6 rosso, e se sbaglierai tutte le domande sarai bocciato. Chiaro?»
No. Non capivo quello che stava dicendo. Ero immobile davanti a lei e riuscivo solo a fissare quel viso così bianco che mi terrorizzava.
«Perché è così pallida?...» riuscii a balbettare.
«Senza scopo noi crediamo di essere coinvolti nei pensieri superiori, e anche nella tua mente le cose restano per ora informi... Comunque è perché sono morta.»
A quella drastica affermazione il cuore mi balzò in gola e per poco non svenni. Dunque stavo parlando con la mia professoressa morta, che voleva farmi una domanda chissà di che tipo, e se sbagliavo rischiavo di essere bocciato. Assurdo. Pensavo di essere nel delirio più completo. La testa cominciò a girarmi e persi completamente la ragione. Il cadavere della professoressa non si curò del mio stato e riprese a parlare.
«Ovviamente la mia domanda riguarderà l'inglese, e tu sei sempre stato bravo nella mia materia, non vorrai deludermi vero?» Assunse una diabolica espressione divertita, con un ghigno storto che le metteva in mostra le gengive, rossissime rispetto al resto della sua pelle. Era strano che nelle sue gengive scorresse il sangue se era morta, ma figurarsi se in quel momento facevo una riflessione del genere.
«Ecco la facilissima domanda: qual è l'opera principale di John Milton, e qual è il protagonista di quest'opera?»
La domanda era davvero facile, l'opera era Paradise Lost, e il protagonista era Satana. Ma io ora non ero presente, avevo udito a malapena la domanda e stavo piangendo con le mani sul volto. Tutto ciò era pazzesco, non aveva senso.
«Non puoi non saperlo, avanti!»
Ovviamente non risposi, non ne ero in grado.
«Allora ti meriti un 6 rosso, ignorante! Bocciato in inglese, vergognati!»
A quel punto fece una cosa tremendamente rapida e folle, che più che impaurirmi mi stupì moltissimo. Mi afferrò per i capelli e mi sollevò violentemente. Impugnò un timbro che si trovava sul banco vicino, e me lo piantò in fronte con una forza sovrumana. Per un attimo pensai che mi avesse spaccato il cranio, e subito svenni.

Mi ripresi non so quanto tempo più tardi, e mi trovavo nella stessa situazione di partenza. Ero appoggiato sul mio banco di scuola, nella mia aula, immerso nell'oscurità. Ora in più avevo un dolore fortissimo alla testa. Ricordai subito che cosa me lo aveva causato e mi voltai in ogni direzione per vedere se quel mostro era ancora con me. Per fortuna ero solo. Oltre alla paura però un altro sentimento stava crescendo molto dentro di me: la rabbia. Ero pressoché furioso per l'accaduto, e il misto d'ira e terrore mi procurava un furore che riuscivo a stento a controllare. Coraggiosamente uscii dall'aula sbattendo la porta e mi diressi in bagno per verificare le condizioni della mia ferita. Entrai a capo chino nella toilette e raggiunsi lo specchio. Alzai la testa e non riuscii a trattenere un urlo. Sulla mia fronte era stampato un chiarissimo 6 ancora sanguinante. Era quello allora il 6 rosso di cui mi aveva parlato la professoressa morta. Aprii immediatamente il rubinetto per sciacquarmi la ferita ma riuscii a togliere solo un po' di sangue coagulato. Il numero ora si vedeva ancora meglio di prima. Scossi la testa e uscii dal bagno. Era impossibile cercare di riflettere in quel posto, e se non potevo uscirne, dovevo almeno terminare quella storia al più presto. La professoressa aveva accennato a tre domande e per ora io ne avevo affrontata soltanto una. Dovevo quindi trovare gli altri due professori.
Scesi rapidamente al piano terra. Percorsi rapidamente una parte del corridoio quando sentii dei gemiti provenire dall'interno di un'aula. Forse era qualcuno che aveva bisogno di aiuto, qualcuno che era nelle mie stesse condizioni e si trovava in difficoltà. Cieco dalla rabbia e ormai pronto a tutto spalancai la porta. Ancora una volta vidi qualcosa di sconvolgente: un professore e una sua collega si stavano accoppiando furiosamente sulla cattedra. Lei, sotto, subiva la foga di lui che non si accorse nemmeno del mio ingresso, sembrava la stesse violentando. La donna, senza nemmeno voltarsi mi gridò «Vattene!». Del sangue scuro gocciolava abbondante dalla cattedra e si raccoglieva in una pozza sul pavimento. La donna sembrava tendersi verso di esso quasi volesse raccoglierlo, ma non ci riusciva. Esasperata riuscì a girare il volto verso di me e notai con ribrezzo che al posto degli occhi aveva due cavità nerastre. Comunque sembrava vedermi benissimo e nuovamente mi intimò di uscire. Sussultai ma obbedii immediatamente. Ora era di nuovo il terrore ad essersi impadronito di me. Uscii affannosamente dalla stanza e senza nemmeno chiudere la porta scappai nella direzione da cui ero venuto. Correvo il più velocemente possibile, ma alla fine del corridoio, vicino alla rampa di scale, fui costretto a fermarmi. Con il cuore in gola, mi trovai davanti a quello che da tempo era il mio sogno erotico: la professoressa di italiano nuda seduta su un banco di scuola. Solo che adesso il sogno diventava un orribile incubo senza senso. Anche lei, come l'insegnante d'inglese, era estremamente pallida, e dunque defunta. In questo caso però, essendo lei completamente nuda, il pallore della sua cute si notava ancora di più. Mi paralizzai davanti a questo altro spettacolo di morte e mi mancò il respiro. Questa volta, tuttavia, non persi del tutto la ragione e capii che stava per farmi la seconda domanda.
«Vedo che sei già stato bocciato in una materia, mio caro. Se vuoi, prima della domanda posso consolarti un po...» Aprì le gambe mi mostrò la vagina, che sanguinava copiosamente.
Schifato la guardai negli occhi e facendomi forza le dissi «Fa la domanda.»
Il suo volto divenne una maschera di odio e mi rispose con disprezzo
«Ma certo, figlio di puttana, ma sappi che non hai nessuna possibilità, puoi considerarti già morto. Dimmi allora, chi sono i 3 peccatori che scontano la loro pena nelle fauci di Satana nell'Inferno dantesco?»
Non era una domanda impossibile, e ora, nonostante tutto, ero quasi lucido di mente. Con decisione dissi «Bruto, Caio e...» Impossibile, non ricordavo, il terzo, eppure mi sembrava fosse il più facile, il più ovvio. «e...»
«Avanti bastardo, non ricordi il terzo peccatore? Ma è quello che ha commesso il peccato più grave!» Scoppiò in una risata lunga e sguaiata, che sembrava esprimesse pura gioia per la mia dimenticanza.
«Allora non lo sai?»
Non risposi, ma lanciai un grido di rabbia che scatenò un'altra sua risata, ancora più lunga e snervante della precedente.
«Ma è Giuda, era così ovvio! Bocciato anche qui, caro, ecco il tuo secondo 6 rosso!»
Mentre imprecavo a gran voce per la rivelazione di una risposta così semplice, balzò dal tavolo con sorprendente agilità, mi afferrò per il collo senza darmi il tempo di reagire e con rabbia smisurata mi incise con la punta di una stilografica il 6 rosso nella fronte. Cercai di dibattermi ma era impossibile, la sua presa era troppo stretta. Non potevo fare niente. Vedevo la sua espressione diabolica mentre mi assegnava il debito, vedevo i suoi occhi iniettati di sangue, sentivo il suo respiro affannoso, ma alla fine il dolore fu troppo intenso. Sembrava quasi che mi stesso scolpendo il numero nel cranio. La vista mi si annebbiò, e non sentii più nulla. Svenni di nuovo.

Al secondo risveglio mi accorsi subito di essere sdraiato, e non più seduto come nell'occasione precedente. Nonostante il mio desiderio di scoprire dove fossi, non potei alzare subito la testa che mi faceva troppo male. Comunque, di sicuro non ero più nella mia aula, questa era una stanza molto più piccola, o almeno così mi pareva. Che il mio incubo fosse finito?
Riuscii dopo un po' ad alzarmi, lentamente e con grande sforzo, e con la testa che mi pulsava in modo insopportabile. Prima ancora di capire dove mi trovassi mi toccai la fronte e sentii chiaramente il segno dei due 6. Dunque ero ancora in quella scuola maledetta. Finalmente alzai lo sguardo e mi trovai di fronte ad un bancone, dall'altra parte del quale stava seduto un uomo di bassa statura, quasi completamente calvo, con degli occhiali a montatura ovale, una giacca nera, una camicia blu e una cravatta dello stesso colore. Era il mio preside, e io mi trovavo nel suo ufficio. Anche questa stanza era molto buia. Stavolta parlai per primo.
«S-salve...» dissi.
«Salve, vedo che ti sei ripreso. I modi dei miei professori in questi casi sono molto bruschi. Probabilmente ti sarai fatto molte domande, ma io ora posso rispondere solo ad alcune di esse. La rappresentazione Primaria segue solo in parte le abitudini psichiche dei tuoi simili e spesso fa da sé senza consultare nessuno, ed è più concreta di quanto si possa immaginare... Vuoi chiedermi qualcosa?» Parlava con calma, aveva un'espressione molto seria.
Cercai di far ordine nella mia testa, ma non comprendevo il significato delle sue parole e la cosa più sensata che riuscii a chiedergli al momento fu questa: «Ora mi faranno la terza domanda?»
«Eh sì, purtroppo per te. Vedo che ti manca un solo debito per essere bocciato, quei due 6 rossi che hai in fronte parlano chiaro. Però, non è male concludere la propria esistenza con un bel 666 stampato in fronte, vero? Se non altro, andrai all'Inferno sicuro di essere accolto bene dal suo Proprietario! Ahahahah!!» Era completamente pazzo.
«Ma tu vuoi non vuoi essere bocciato, vero? Lo leggo nei tuoi occhi terrorizzati. Sai che fine fanno da noi gli studenti bocciati?»
Lo sapevo, anzi lo seppi proprio in quel preciso istante. Ecco qual'era il nesso che accomunava gli studenti morti che avevo visto appesi come carne da macello nella sala professori. Erano gli studenti che erano stati bocciati quell'anno.
«Ma perché li avete ridotti in quello stato? E perché avete fatto venire qui me? Sono stato promosso, che cosa c'entro io?!» chiesi con disperazione.
«Gli studenti che vengono bocciati, qui da noi, fanno sempre una fine di questo tipo. Abbiamo scelto te perché te lo meritavi. Sei stato promosso, è vero, ma durante l'anno scolastico hai fatto una cosa di cui dovresti vergognarti. Non ricordi?»
«No.»
«Hai offeso pubblicamente la professoressa di religione, insultandola davanti ai tuoi compagni di classe che l'hanno coperta di risa!» esclamò con rabbia. Continuò senza darmi tempo di controbattere
«E ora mi chiedi perché abbiamo scelto te, stupido! Non meriti di stare nella nostra scuola!»
«Ma è colpa sua!» risposi. «Non mi lasciava mai parlare, non ascoltava quello che dicevo, con me si rendeva sempre insopportabile e alla fine non ho più resistito!»
«E tu credi di giustificare così il tuo comportamento? Dare della puttana ad una professoressa è intollerabile, piccolo bastardo! Ma ora avrai quello che ti meriti, sarai bocciato e poi appeso come un maiale sgozzato insieme ai tuoi amici, è questo il tuo destino!»
Non ce la facevo più ad ascoltarlo. Mentre le ultime parole che aveva pronunciato mi rimbombavano ancora nella testa, la stanza cominciò a girare vorticosamente su se stessa. Lamenti deliranti si sollevarono da ogni parte e la pareti cominciarono a sanguinare. Mi buttai a terra temendo che la testa mi scoppiasse in mezzo a quel miscuglio insensato di orrori. Le urla aumentavano di intensità e provenivano da ogni direzione e il sangue aveva già raggiunto il pavimento. Questo era ciò che mi preparava alla terza ed ultima prova. La stanza, o forse era la mia testa, roteava sempre più veloce e ben presto ebbi una forte sensazione di vuoto nello stomaco. Per la seconda volta vomitai.
Stavo letteralmente impazzendo quando tutto il tumulto cessò di colpo.
Mi accorsi che stavo urlando e che mi stavo dibattendo scompostamente sul pavimento. Cercai di calmarmi ma non riuscii a smettere di piangere. Mi alzai in piedi, stupendo persino me stesso per il fatto di avere ancora forza in corpo. Ma lo spettacolo che mi si parò davanti mi fece crollare definitivamente le gambe. Un enorme crocifisso era appoggiato alla parete della stanza, precisamente di fronte a me, e a questo crocifisso era inchiodata la mia professoressa di religione. La crocifissione di Gesù Cristo era qui dissacrata e trasformata in questo impossibile delirio blasfemo di cui non potevo sostenere la vista. Restai come di marmo. Le mani di lei sanguinavano per la ferita dei chiodi e allo stesso modo i piedi. Aveva in testa una corona di spine sulla quale però non c'era scritto nulla. Si contorceva orribilmente, infissa in quella croce di legno, e apriva di continuo la bocca per urlare di dolore. Le pareti si creparono con un rumore secco e dalle crepe ricominciò a sgorgare lentamente, inesorabilmente, sangue. Il sangue dei peccati.
Ad un tratto smise i suoi movimenti convulsi e alzando la testa mi guardò dritto in faccia puntando su di me i suoi occhi, occhi pietosi dalle pupille ridotte a un puntino circondato da un'iride giallo malato. Avrei voluto morire in quel momento. Ma lei iniziò a parlare con una voce che pareva il ringhio di un cane rabbioso.
«Questa è la tua ultima prova, la tua ultima possibilità di salvezza o il tuo ultimo passo verso il livello oltre la morte. Dipende da te. Sei pronto?»
Ero pronto anche a morire pur di mettere fine a tutto ciò. Lei sembrò leggermi nella mente.
«Bene allora, ecco la domanda finale: recita la seconda parte del capitolo 11 del libro dell'Apocalisse, senza commettere errori.»
Non potevo crederci. La domanda era pressoché impossibile... Eppure, quella parte dell'ultimo libro della Bibbia, per una strana coincidenza (o forse era il destino) era stata letta recentemente durante la messa pubblica dal parroco della mia città. Non avrei mai potuto, in ogni caso, ricordare a memoria quelle parole, ma accadde un fatto incredibile.
«Il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti che dicevano: 'Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: egli regnerà nei secoli dei secoli.'»
Era pazzesco ma le parole scorrevano fluide nella mia mente e uscivano con la massima naturalezza dalla bocca. Esse mi giungevano da sole nella testa, non so spiegare in che modo accadesse, so semplicemente che accadeva. Continuai:
«Allora i ventiquattro vegliardi seduti sui loro troni al cospetto di Dio, si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo: 'Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai messo mano alla tua grande potenza, e hai instaurato il tuo regno. Le genti ne fremettero, ma è giunta l'ora della tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra.'»
La professoressa, in quel suo stato di massima sofferenza, ricominciò a contorcersi e a gridare. Ora ero in condizione di superiorità su di lei. Non la temevo. Continuai a citare
«Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve al santuario l'arca dell'alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine.»
Avevo concluso. Di colpo, con un suono secco e potente, la croce si spaccò in due davanti a me e colei che vi era affissa restò dilaniata dal legno spezzato. Tutto intorno a me cominciò di nuovo a girare sempre più velocemente, le pareti a grondare sangue, si alzarono le urla, e persi di nuovo conoscenza.
Mi ripresi immediatamente, e mi ritrovai nell'ufficio del preside. Ora con me non c'era nessuno. Uscii di corsa e mi recai subito in bagno. Vidi con gioia che i due 6 mi erano scomparsi. Fuggii verso l'uscita di quell'edificio maledetto e notai che era ancora notte. Mi aspettava ancora qualche sorpresa? Temetti di trovare ancora la porta chiusa, ma non fu così. Uscii. Mai avevo respirato con tanto piacere l'aria fresca della mia città. Parecchie luci erano accese ora in quella strada e alcuni passanti camminavano tranquilli ai suoi lati. Tirai un grosso sospiro di sollievo.
Mentre mi avvicinavo a una delle persone che stavano passeggiando nella via, per chiederle che ora e che giorno era, sentii dietro di me un rombo prima sommesso, poi sempre più chiaro e di crescente intensità. Capii da dove veniva. La mia scuola stava crollando. Con grande stupore e spavento delle persone che affollavano la via, il grosso edificio implose, si accartocciò su se stesso senza motivo con un rumore assordante. Avevo superato l'ultima prova, quella decisiva, avevo vinto le leggi di quel luogo dell'orrore che ora doveva soccombere.
Mi allontanai, come un soldato dopo una battaglia vittoriosa ma di cui riporterà per sempre le ferite, con una strana luce di comprensione superiore negli occhi che non avrà mai effetti sinceri ma resterà su di me a pesare senza fine sulla mia anima provata. Come un dolore che cola poco a poco ma che da nessuno viene mai raccolto e compreso.

Credete che la mia avventura fosse finita lì? Beh, non è stato affatto così. La professoressa di religione mi aveva giocato un tranello. Anche se avessi risposto correttamente alla sua domanda, come avevo fatto, sarei stato infatti punito, di una punizione ancor peggiore di quella che avrei ricevuto se fossi stato bocciato. L'epilogo del libro dell'Apocalisse infatti dice:

«Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.»


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