Il mio nome è Marla Jones - Seconda parte

E poi più niente. Crollo a terra sfinita. Mi riscuoto quando sento bussare discretamente alla porta, è lui, è preoccupato per me, chiede come va. Io mi alzo e rispondo che va tutto bene, mi avvicino al lavandino, metto le mani sotto l'acqua gelata e subito mi sento meglio. Torno di là, non parliamo più di quello che è capitato, anche se l'atmosfera si è irreparabilmente rovinata. Ripenso a quel: - Così staremo più tranquilli.- e sorrido, adesso vorrei tanto essere in un locale superaffollato, in mezzo a centinaia di persone. Il frastuono mi impedirebbe di pensare.

Basten stava parlando tranquillamente seduto su una poltrona nella sua casa:
"L'ho trovata, è lei ne sono sicuro, ha cambiato il colore dei capelli e degli occhi, è stata fatta anche qualche piccola modifica al naso e alla bocca, ma è lei, ne sono certo. Non ricorda più nulla, ma ha reagito quando ho nominato Anya. Ha avuto un malore, credo che possiamo ben sperare."
Si udì un mormorio indecifrabile e la figura evanescente con cui stava parlando sparì. Basten si alzò pensieroso, l'euforia per aver trovato Anya si era esaurita. Adesso non sapeva più cosa fare. Rivederla gli aveva dato una emozione fortissima, come quando l'aveva vista per la prima volta. Adesso come allora rifiutava l'idea che fosse un'assassina, ma dunque perché era fuggita, lasciandosi tutto alle spalle.? Se fosse stata innocente sarebbe rimasta e avrebbe lottato per cancellare quelle accuse infamanti. Non sapeva più cosa pensare, il suo istinto gli diceva che Anya era una persona dolce, pulita, forse con qualche problema, ma questo era naturale, i problemi se li portava dietro dall'infanzia. Tutto quello che aveva passato, tuttavia, non poteva aver fatto di lei un'assassina feroce. Secondo Basten Anya era una vittima al pari delle altre, qualcuno l'aveva usata. Il vero assassino si era servito di lei, seminando prove della sua colpevolezza sul cammino degli investigatori. Aprì la finestra, si affacciò, guardò il cielo limpido, non si sarebbe mai abituato a tutto quello spazio aperto, ebbe un senso di vertigine. L'unica cosa che desiderava era provare l'innocenza di Anya e tornare con lei al sicuro sotto la loro cupola.

Ormai vivo praticamente nello studio di Jansen, ci passo molte ore al giorno. È una sensazione strana quella che provo, pur continuando a non piacermi, il dottor Jansen mi dà sicurezza. Se qualcuno mi farà riacquistare la memoria, questo qualcuno sarà lui. E così sono di nuovo distesa sul lettino e guardo distrattamente fuori dagli oblò. Smarrita mi tirò su di scatto, guardo di nuovo e vedo le grandi finestre dello studio. Mi distendo con un sospiro, ha ragione lui, la mia mente continua a propinarmi immagini reali accanto a chimere ed io dovrò sbrigarmi a ricordare tutto, perché altrimenti correrò il rischio di non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia. Lui è rimasto a guardarmi per tutto il tempo in silenzio, poi all'improvviso mi dice dolcemente:
"Marla, è pronta adesso, vogliamo incominciare?"
Annuisco:
"Benissimo, oggi voglio che lei immagini la sua vita da bambina. Cerchi di pensare a Marla bambina, si sforzi!"
Ci provo, anche se so già che questo mi costerà uno dei miei tremendi mal di testa. Chiudo gli occhi, cerco di immaginare una bambina mora con gli occhi scuri, ma non ci riesco. Una voce cantilenante si fa strada nella mia testa. Anya bambina, Anya bambina. Spalanco gli occhi, lui è sempre lì, mi fissa:
"Qualcosa non va Marla?"
Rapida dico di no e richiudo gli occhi e prepotente l'immagine della bambina bionda si fa strada nella mia mente. Mi arrendo, so che lei è Anya, ma ancora non so se io sono Anya. Sono molto rilassata, la bambina è china su qualcosa, non riesco a vedere di cosa si tratta, poi si gira mi guarda, i suoi occhi sono pieni di lacrime, le sue mani e i suoi vestiti sporchi di sangue. Mi accorgo finalmente del corpo a terra e in un attimo capisco, tutto mi è chiaro finalmente.
So che io sono Anya, adesso ne ho la certezza, perché rivivo l'angoscia e il terrore di quel momento. Un incidente, c'era stato un incidente, l'urto era stato violento, mia madre mi aveva fatto scudo con il suo corpo, rivedo la sua testa che volava via. Io sono viva, perché io sono viva? Se lei non si fosse buttata dalla mia parte sarebbe ancora qui. Le lacrime mi scendono sul viso, adesso come potrò vivere con questa angoscia dentro?
Lui non parla mi ascolta, sono come un fiume in piena, tiro fuori tutto quello che ho sentito, visto, provato, e lui continua a non parlare. Poi si alza:
"Povera Anya, deve essere stato terribile!" mormora.
Adesso so cosa è successo, so come è morta mia madre e in parte mi spiego le mie ossessioni, forse per questo vedo donne decapitate la cui testa scivola giù. Guardo Jansen, ha il viso serio, sono stupita, dovrebbe essere contento, lui mi ha portato piano pianoa ricordare: tutto questo è un suo successo personale. Si accarezza il mento, poi parla, le sue parole mi cadono addosso come un macigno:
"Marla, si ricorda dov'era giovedì sera?"
"Perché me lo chiede?"
"Mi risponda per favore"
"Ero a casa, giovedì non sono uscita."
"Era da sola?"
"Si, ho lavorato un po' e poi sono andata a dormire."
Io continuo ad essere stupita e lui continua ad essere sempre più preoccupato:
"Marla..." Lo interrompo freddamente:
"Mi chiami pure Anya, adesso so qual è il mio nome."
"Va bene Anya, io ho paura che lei non sia rimasta solo scossa da quel brutto incidente capitato a sua madre, in lei è successo qualcosa di più. Anya, io devo sapere se lei c'entra qualcosa con la morte delle donne uccise in questi ultimi giorni. "Un grido mi sfugge dalla labbra:
"Io non sono una assassina!"
Mi fermo, ho l'impressione di aver già detto questa frase, mi sento strana, è come se stessi recitando un copione. Lui si siede accanto a me, mi prende una mano:
"Non c'è niente di sicuro , io so benissimo che lei in questo momento non è una assassina. Anche il solo pensarci la fa star male. Tuttavia Anya, e badi bene io potrei sbagliare, anzi quasi sicuramente sbaglio, lei potrebbe commettere azioni che successivamente sono rimosse dalla sua memoria, proprio perché riprovevoli."
Non voglio ascoltare più, non può essere vero quello che sta dicendo, sono sconvolta, mi congedo da lui, con la promessa di avvisarlo se per caso dovessi ricordare dell'altro.

Ancora una volta mi trovo a camminare nel parco, ancora una volta i colori dell'erica mi danzano davanti agli occhi, ma ora non sono sola. Sto parlando con qualcuno, so chi è, è Steve Basten , lui è accanto a me e mi parla con tenerezza, nei suoi occhi leggo amore. Guardo in alto, intravedo il sole oltre la cupola che avvolge tutto. Sembra di stare in una enorme serra, quella cosa sopra la mia testa mi da un senso di claustrofobia, mi sento soffocare, devo respirare, voglio respirare, voglio stare all'aria aperta. Chiudo e riapro gli occhi per far sparire quell'involucro che avviluppa tutto, sono stordita, tutto mi gira intorno, cerco qualcosa a cui aggrapparmi e la trovo. È un braccio che mi sorregge amorevolmente come tanto, troppo tempo fa. Lui è qui accanto a me, lo guardo:
"Io sono Anya, quale è il tuo vero nome? Aiutami a ricordare di noi."

La ragazza dai capelli rossi era legata alla sedia, nei suoi occhi tutto l'orrore di ciò che stava subendo, lui la osservava sorridendo:
"Tranquilla, tra breve sarà tutto finito, ed io per un po' sarò in pace con me stesso."
Si alzò si avvicinò a lei, nella mano teneva un oggetto nero, fu tutto estremamente rapido, avvicinò l'oggetto al collo della ragazza che urlava terrorizzata Una sottile frastagliatura rossa comparve sulla candida gola e la testa rotolò giù. Guardò soddisfatto il suo lavoro. Sorrise pensando alla faccia dei poliziotti quando l'avrebbero trovata. Gli sarebbe piaciuto intrufolarsi e sentire i commenti della gente.
Si sedette a terra davanti alla sua vittima e piegando la testa da un lato la osservò attentamente e come ogni volta il pensiero corse a sua madre, rossa, bella anche lei. Si rannicchiò in un angolo, lui adesso era il bambino che aveva assistito all'omicidio di sua madre, aveva visto affascinato il sangue sgorgare dall'ampia ferita alla gola e l'uomo, che dopo aver ripulito il suo coltello aveva sollevato lo sguardo su di lui mentre si puliva le scarpe. I suoi occhi erano rimasti fissi su quelle scarpe lucidissime che uscivano dalla porta e per sempre dalla sua vita. Non aveva sofferto, anzi aveva provato una furia selvaggia e una eccitazione che non conosceva, quando quell'uomo, dopo aver estratto il coltello aveva delicatamente ricamato il collo di sua madre. Quando se n'era andato, aveva dovuto fare tutto lui. Ricordava ancora la sua frenesia nel pulire il corpo e la stanza. Continuava a ripetere:
"Ecco mamma, adesso sei pulita, non è successo niente, rimarrai sempre con me, adesso sei pulita... adesso sei pulita...
"Lo avevano staccato a forza da lei, e si era sentito bene solo dopo che le due assistenti che lo avevano preso in consegna, lo avevano lavato e ripulito.
Adesso non era successo niente, adesso era innocente e puro.
Si alzò, si guardò allo specchio, non era più tanto perfetto ora, con il volto bagnato dalle lacrime; tuttavia si sentiva bene, aveva calmato la sua fame e la sua sete. Doveva uccidere, doveva farlo, doveva ritrovare ogni volta quella sensazione selvaggia che lo faceva sentire grande, vivo, potente. Dopo essersi pulito si guardò di nuovo e mormorò:
"Ma tutto questo sarà niente paragonato a quello che proverò quando ti avrò ucciso Anya!".

Il velo che ricopre la mia memoria si sta squarciando, ascolto a bocca aperta Steve che mi parla del nostro mondo, di noi, costretti a vivere sotto quella cupola che ci protegge dai raggi solari, divenuti i nostri peggiori nemici. Lo guardo:
"Il nostro mondo! Da dove veniamo? Da dove vengo io, Steve?"
"Non ricordi ancora, dunque?"
Faccio cenno di no. Lui si alza pensieroso e scandisce lentamente:
"Tu... io... Anya, noi veniamo dalla Terra anno 2045"
"Non capisco, anche questa è la Terra!"
Lo guardo e all'improvviso qualcosa mi esplode dentro: anno 2045...
"Adesso siamo nell'anno 1998!"
Lui chiude gli occhi e annuisce.
Io balbetto:
"Vuoi dire che io vengo dal futuro?"
"Sì Anya, noi apparteniamo a un tempo futuro, tu sei fuggita qui ed io ti ho seguita e sono riuscito finalmente a trovarti."
Lo interrompo:
"Basta così Carl, per oggi ho sentito abbastanza."
Lui scatta in piedi:
"Come mi hai chiamato Anya? Mi hai chiamato Carl!"
Sono stupita non me ne sono neanche resa conto.
"Hai ricordato il mio nome, Anya, la tua memoria sta tornando!"

Sono a letto guardo il soffitto e penso ,voglio veramente ricordare? L'angoscia mi stringe la gola, mi sento male, cerco di pensare alla mia vita passata sotto quella cupola, so come ero da bambina, so quello che è capitato a mia madre, poi più nulla, il vuoto, un vuoto di circa 10 anni. Di me ragazza non ricordo quasi nulla, mi rammento solo di quelle sedute dallo psichiatra. Chiudo gli occhi e la scena appare nella mia mente, ecco la stanza, gli oblò, e lui seduto in poltrona, mi sento attratta dalle sue mani, lui se ne accorge, si alza e si avvicina, la sua voce è insinuante, suadente:
"Perché guardi sempre le mie mani Anya? Ti piacciono?"
Sento di avvampare, ma rispondo:
"Sì, sono mani molto belle, hanno dita lunghe affusolate, sono mani che possono dare gioia, felicità. Mi fanno pensare alle mani di un pianista che si muovono sapientemente ed elegantemente sulla tastiera, regalando felicità".
Lui sorride, è sempre più vicino:
"Hai un'anima molto romantica Anya, tuttavia mani così potrebbero anche dispensare dolore, morte. Io potrei anche aver ucciso con queste mani, tu non sapendolo penseresti ad esse come ad uno strumento di felicità, di gioia."
Lo guardo, non capisco cosa vuol dire, lentamente riprende:
"Con questo voglio farti capire Anya, che non ci si può fermare all'aspetto esteriore delle persone. Possono dare un'ottima impressione e nella realtà essere ben altro."
Mi irrigidisco, ho capito dove vuole arrivare!
"Mi dispiace deludere le sue aspettative, ma io non ho niente a che fare con l'uccisione di quelle donne. Io non sono un assassina!"
Apro gli occhi, la testa mi scoppia, è realmente accaduto nel mio futuro, o sto trasportando in quel tempo ciò che mi accade ora?
Squilla il telefono, rispondo con voce bassa, non ho molta voglia di parlare. Sento dall'altra parte Karen:
"Ehi pigrona, come stai? Va meglio?"
"Non molto Karen."
Lei si accorge che non ho voglia di parlare.
"Marla, ci sei? Se non ti senti bene perché non vai da Jansen, è preoccupato per te."
È vero, Jansen mi era completamente passato di mente:
"Va bene Karen, oggi ci andrò e scusami se in questo periodo non mi faccio vedere in ufficio, preferisco lavorare a casa, mi sento più sicura, più tranquilla e ... penso proprio che una volta terminato questo lavoro mi prenderò un po' di riposo. Voglio partire, stare lontana per un po' da questo ambiente. Sento che mi farà bene."
Lei mi saluta e sento un po' di apprensione nella sua voce. È in agitazione a causa mia e sa solo la minima parte di quello che io ho scoperto. Se solo sapesse tutto...

Anya mi manchi, voglio leggere il terrore nei tuoi occhi, voglio sentire la tua paura prima di ucciderti, forse la tua morte mi sazierà una volta per tutte, forse finalmente sarò libero da questa ossessione, sarò di nuovo padrone della mia vita. Vieni da me Anya ti aspetto, vieni...

Jansen sembra veramente felice di vedermi, mi fa un po' pena, sembra far di tutto per compiacermi, per riuscirmi simpatico, ma non ci riesce, non mi piace, quest'uomo non mi piace. È una sensazione che sento sulla pelle, mi da persino fastidio il contatto con la sua mano. Cerco di non darlo a vedere e forse ci riesco. Lui continua a danzarmi intorno, lo osservo bene, sì, fa dei movimenti come se stesse danzando, lo trovo ridicolo. Finalmente si siede sulla sua poltrona ed io mi sdraio, cerco di rilassarmi, lui parla, è maledettamente bravo, riesce a farmi dire tutto quello che so. Quando racconto del mio mondo sotto una cupola ,lo vedo fare una smorfia. Non mi crede ne sono sicura, questo sta avvalorando la sua tesi, lui mi ritiene pazza. Non posso sopportarlo e allora tiro in ballo Carl, non posso essere malata, c'è qualcuno che è vissuto con me in quel mondo. Il suo volto cambia espressione, si fa più vicino, più pressante con le sue domande, ed è allora che accade.:
Non sento più cosa dice, guardo la parete, si sta aprendo, mi guardo intorno smarrita, lui è lì pronto, cammina verso di me, sono terrorizzata, adesso so che il momento è arrivato, sto per scoprire l'identità dell'uomo che ogni notte viene da me. Cammina lentamente a testa bassa, cerco di divenire piccola, piccola, di non farmi vedere. È tutto inutile, è lì accanto a me, alza la testa e io urlo, urlo con tutta la forza che ho in corpo. È Jansen, è il dottor Jansen l'uomo che nel mio incubo mi tortura. Ora è tutto un crescendo, ha un volto anche il medico del mio futuro, è lui è sempre lui, è Jansen. Affannata chiudo gli occhi nella speranza di cancellare tutto. Quando li riapro lui è chino su di me, con voce dolce mi dice:
"Anya, cosa è successo, si è sentita male? Ha urlato!"
A fatica annuisco:
"Una fitta tremenda alla testa, come sempre quando cerco di ricordare."
Lui mi accarezza la guancia con fare paterno:
"Basta così, allora ,non si sforzi più, si rilassi e cerchi di riposare."
Annuisco e dopo un po' vado via.

Hai capito, Anya, adesso sai chi sono, adesso comincia il vero divertimento, avrei potuto ucciderti anche oggi, ma non voglio che finisca tutto così in fretta, voglio godere, voglio portarti alla follia, e questa volta non potrai sfuggirmi.

La voce era paziente, decisa ma paziente: "Carl, io voglio un sì o un no, non puoi continuare così, se sei in possesso di prove arrestala e torna qui, altrimenti continua ad indagare, cerca di trovare la prova che è coinvolta in questa storia."
Carl rivolto all'ologramma davanti a lui nicchiava:
"Non è stata lei, lo sento, lo so. Chi uccideva nel nostro mondo, deve averla seguita e sta cercando di farla incriminare. Non può essere stata lei."
La voce lo interruppe:
"Lascia da parte il cuore Carl, tu sei innamorato di quella ragazza, ammettilo, in questa indagine non riesci ad essere obiettivo. Ti sostituirò con un altro agente."
"No!" Carl quasi urlò, poi disse abbassando il tono:
"Sono in grado di occuparmene io. Anya sta ricordando, potrebbe fornirmi qualche utile indizio."
La voce era rassegnata quasi stanca:
"Come vuoi, ma ricordati, se fallisci, questa volta non potrò proteggerti. Pensaci bene Carl."
Sentì suonare alla porta, si affrettò a mettere via la sua apparecchiatura ed andò ad aprire. Era sicuro che fosse Anya, ma subito dopo aver aperto, il sorriso scomparve dalle sue labbra. L'uomo davanti alla porta aperta era distinto, dai modi gentili. Carl fu quasi soggiogato da quello sguardo, si mise da parte e lo fece entrare. Era stupito, gli sembrava di conoscere quell'uomo, aveva un volto noto.

Ho camminato a lungo, quello che ho ricordato mi ha sconvolto, da qualche parte nella mia testa so che Jansen è l'assassino sia nell'anno 1998 che nel 2045. Mi deve averseguito dal futuro. Perché mi odia così tanto, perché mi perseguita, cosa gli ho fatto? Ho bisogno di parlare con Carl, di confidarmi con lui, di sentirmi dire che non sono io l'autrice di quei delitti, che è lui, Jansen ,ad uccidere quelle donne, cercando poi di scaricare ogni responsabilità su di me.
Mi ritrovo sulle scale del palazzo dove alloggia Carl, quasi senza accorgermene. Ecco sono arrivata, sto per suonare, mi accorgo che la porta è solo accostata:
"Carl, dove sei? Carl, sono Anya."
Ho un brutto presentimento, le gambe mi tremano, improvvisamente lo vedo. È a terra, immerso nel suo sangue, mi avvicino, nonostante tutto non posso fare a meno di guardare, sento il mio cuore strizzato in una morsa. Rimango impassibile, ma dentro houn vulcano in eruzione, dentro di me qualcuno si lamenta, qualcuno grida:
"Carl, perché tu? Carl non mi lasciare sola, ho bisogno di te!"
Adesso so cosa devo fare, in quel breve attimo ho ricomposto il puzzle della mia vita. Ora so con certezza perché sono fuggita e da chi. Do un'ultima occhiata a Carl, poi mi giro ed esco, non sono più la Anya che è entrata cinque minuti prima, sono un'altra donna, determinata. Non sarà così facile per te uccidermi, bastardo, ti renderò la vita dura.

Il sangue che esce dalla ferita, la vita che lascia il corpo, gli ultimi attimi di agonia dipinti sul volto e poi più nulla. Tutto questo mi affascina, mi prende. Sono dovuto uscire dai miei schemi, ma mi è piaciuto lo stesso. Rompere la compattezza della pelle, penetrare nella carne, questo è per me una gioia pura. Grazie mamma, con la tua morte, con il tuo sacrificio mi hai aperto orizzonti magnifici. Io vivo per questo. Presto sarà il tuo turno Anya, presto verrò a prenderti.

Sono in una stanza d'albergo, la luce è spenta, sono rannicchiata in un angolo, le ginocchia strette al torace, ripenso a tutto quello che ho vissuto, che ho dimenticato e poi vissuto di nuovo. Stavo molto male quel giorno, i miei incubi mi avevano torturato tutta la notte, mi sentivo la testa pesante, confusa, lo studio del dottor Clyde Kristen (finalmente ho anche ricordato il suo nome) mi era sembrato l'unico porto sicuro. Camminando a passo svelto pregavo tra me e me -Dio, fa che ci sia...
- E invece non c'era ed io mi ero sentita morire, non volevo tornare a casa Allora avevo preso una decisione, sarei entrata lo stesso, ed avrei aspettato il ritorno del dottor Kristen. Lui avrebbe capito certamente e mi avrebbe aiutata. Rivivo le stesse sensazionidi allora: mi sentivo un animale braccato, che non riesce più a trovare l'entrata della sua tana. Avevo fatto più volte il giro della casa con la speranza di trovare una finestra aperta. Al terzo giro mi ero finalmente accorta che una finestra della cantina era socchiusa, faticosamente mi ero infilata dentro. Mi ero guardata intorno con molta curiosità: era un ambiente vastissimo , separato in ambienti più piccoli da dei corridoi. In fondo ad uno di essi si intravedeva un chiarore. Lo avevo percorso ed ero rimasta accecata dalla luce fortissima che si sprigionava dalla stanza. I miei occhi si erano abituati pian piano e alla fine avevo avuto la fortuna o la malasorte di vedere il dottor Clyde Kristen all'opera. L'avevo visto mentre uccideva quella povera ragazza, la stessa dei miei incubi, avevo letto nei suoi occhi il piacere, e alla fine gli avevo gridato in faccia." Tu, tu sei l'assassino." E lui aveva riso prendendosi gioco di me. Adesso come allora, mi è chiaro il suo piano, ha organizzato tutto in modo da incastrarmi, da far risultare che io ho ucciso. Ma io non parteciperò al suo gioco. Adesso so perché sono fuggita dal mio tempo, devo portare a termine ciò che allora avevo in mente.- Ti annienterò bastardo, sparirai da questo mondo.- Sento di essere tornata la Anya di sempre, ero molto combattiva e decisa , farò di tutto perché il mio piano si realizzi.

Sono intirizzita dal freddo, sono ore che aspetto in macchina, guardo fuori, mi trovo in un quartiere residenziale, le villette, tutte con giardino curato intorno sono bianche. Da lontano mi hanno richiamato alla mente dei bianchi sepolcri posti uno accanto all'altro in un cimitero. Il mio stato d'animo non è certo dei migliori, quello che sto per fare non mi piace, è lontanissimo dal mio modo di pensare, di vedere, tuttavia lo farò, devo farlo, per quelle povere ragazze.
Questo è il posto dove nascerai bastardo, muoverai i tuoi primi passi in quel giardino, coccolato, amato, poi crescerai, andrai a scuola e da adulto diventerai il mostro che sei. Io però posso porre fine a tutto questo.
Prima di fuggire nel passato, mi sono documentata, in maniera sommaria, ma ciò che ho saputo mi è sufficiente a realizzare il mio piano.; so quando nascerai e da chi, bene, io farò in modo che tu non nasca, anche se questo mi trasformerà in una assassina. Sono giorni che mi apposto, so un po' di cose sulla coppia che vive lì. Lei è molto bella con una chioma selvaggia rossa, anche lui è un bell'uomo A pelle posso dire che lei non mi piace, non so dire perché, è solo una sensazione. Lui mi sembra rassegnato, apatico ed è proprio da lui che comincerò, dovrò farmi forza pensando a quelle povere ragazze uccise. La mia mano stringe l'oggetto freddo nella tasca dell'impermeabile. È il momento, accendo il motore dell'auto, lui è uscito di casa, entra in macchina, parte, lo seguo. Il mio piano è semplice, quando siamo fuori dall'abitato, lo supero a gran velocità, poi a parecchi chilometri di distanza mi butto dall'auto lasciandola finire contro un albero e mi sdraio sul ciglio della strada, sto immobile , sta per arrivare, spero che si fermi, altrimenti dovrò ricominciare tutto daccapo. Ho gli occhi chiusi, sento la frenata, poco dopo lui è chino su di me, sento il suo profumo, mi da dei colpetti leggeri sulla guancia:" Signorina, si sente male, si svegli, la prego."
Apro gli occhi a fatica, mentre cerco lentamente di far penetrare la mano nella tasca.
Per me è la fine, mi perdo in quegli occhi limpidi, buoni, innocenti.
So che non potrò più farlo, non potrò più ucciderlo, anche se sarà lui a dare la vita al mostro. Anche lui sembra turbato, sorride e ripete:
"Ma cosa è successo?"
Lo guardo:
"Un malore... devo aver avuto un malore, improvvisamente mi sono accorta di quello che stava succedendo e sono riuscita a buttarmi dall'auto..."
Lui si guarda intorno, poi il suo sguardo si posa su di me, sembra aver preso una decisione:
"Venga con me, dopo manderemo qualcuno a prendere la sua macchina."
Io lo seguo docile, non so ancora che piega prenderanno gli avvenimenti.

Un urlo da belva ferita gli uscì dalla bocca:
"Anya, maledetta dove sei? Ti ho sottovalutata ancora una volta. Ancora una volta mi sei sfuggita tra le mani. Dove puoi essere andata a nasconderti? Non puoi togliermi il piacere supremo."
Camminò avanti e indietro furioso, poteva ancora sentire il suo profumo in quella stanza.
Un biglietto attirò la sua attenzione, la carta era rossa e scritto con un pennarello nero c'era un messaggio.
- È il tuo momento Kristen, adesso sarai tu a tremare, io ti annienterò, ti farò sparire dalla faccia della terra. Saprai anche tu cosa significhi aver paura!-
- Prese il biglietto con un ringhio e si chiuse la porta alle spalle.

Cosa ne sarà di me, ho pensato a lungo prima di intraprendere questa via, mi è sembrata la cosa più giusta da fare, per me e per il mondo che verrà. Mi viene da ridere, la situazione è buffa, ho tramato, ho intessuto una rete e nella rete ci sono caduta io. Mi sono innamorata come una ragazzina di un uomo dolce, buono, ma che passerà alla storia per aver generato un mostro. Un uomo che avrei dovuto uccidere per mettere fine a quella spirale di violenza.
Mi sono innamorata, ma in fondo ho ottenuto lo stesso quello che volevo, l'ho staccato da sua moglie, che fra l'altro, è una donna immorale, cattiva e con molti problemi. Lei non gli darà più quel figlio destinato a salire agli onori della cronaca. Invece ,io ,avrò un bambino da lui, un bambino che nascerà tre mesi dopo la data in cui il mostro sarebbe dovuto nascere.
Alan è felicissimo e finalmente ho conquistato anche io un po' di serenità.
- Ti amo già bimbo mio, so che sarai un maschio, ti chiameremo Marc e sarai bellissimo.-
- Lo sento muoversi, è una sensazione meravigliosa, non vedo l'ora di conoscerlo e di stringerlo a me.

L'uomo aveva la barba lunga, gli occhi lucidi, stava morendo, la sua fame lo stava consumando. Continuava a guardare il biglietto, continuava a cercare di capire dove fosse finita Anya:
"Anya ho bisogno di te, se non ci sei ,io non riesco più a muovermi, sei la mia linfa vitale, la mia ispiratrice, la mia vittima suprema. Chiuderò con tutto questo, ma solo dopo averti trovata e uccisa. Ho bisogno di te, dove sei?"
Le parole gli ballavano dinanzi agli occhi. - Ti annienterò, ti farò sparire.-
Sparire, sparire...
Balzò in piedi in preda al tremito:
"No! Ho capito cosa vuoi fare, ecco perché sei venuta in questo periodo. No, non puoi annientarmi così!"
Freneticamente sfogliò il calendario, aveva perso il senso del tempo. Due giorni, mancavano solo due giorni al suo compleanno. Doveva fare in fretta, doveva trovarla subito.

La donna dai capelli rossi era molto bella, anche se un qualcosa di torbido nel suo sguardo guastava tutto. Aprì la porta e guardò con interesse l'uomo che aveva suonato. Lui sorrise, era emozionato, ma si doveva frenare. Con tono freddo e distaccato chiese del signor Kristen, Alan Kristen. Un lampo d'odio passò negli occhi della donna che si affrettò a dire:
"Non abita più qui. È andato via otto mesi fa."
Tacque un istante, poi riprese con rabbia:
"Con una donna, è andato a vivere con lei." Molto gentilmente lui chiese:
"Sa il suo indirizzo signora, è una cosa molto urgente, vedrà , quello che farò le gioverà. Sicuro! Sarà un bene anche per lei , sicuro!."
La donna lo guardò, strano... quell'uomo le dava affidamento, sì, gli avrebbe dato l'indirizzo di Alan.

Clyde Kristen ansimava era percorso da un tremito irriducibile, fra poco, fra poco avrebbe saziato la sua fame di sangue. Erano otto mesi che non provava più quella gioia ineffabile, otto lunghi mesi che non uccideva più.
Aveva conservato e coltivato la sua voglia di sangue, per lei, per Anya, per provare più piacere nel momento in cui l'avrebbe uccisa. Era lì, sentiva il suo odore mentre si muoveva per la casa. Fra poco, fra poco avrebbe compiuto il suo sacrificio. Forse dopo sarebbe tornato normale. Con lei era cominciato tutto, ricordava l'eccitazione che l'aveva preso quando l'aveva sentita raccontare per la prima volta della madre decapitata, e dei suoi sogni ricorrenti, aveva immaginato la scena a occhi chiusi e aveva provato quella gioia selvaggia che lo aveva posseduto da bambino. E da quel momento aveva sentito il bisogno di uccidere, adesso era arrivato all'epilogo. Anya sarebbe stata l'ultima, e la felicità che avrebbe provato nel tagliare il suo collo delicato l'avrebbe ripagato di quegli otto mesi di sofferenza.

Sono nervosa, agitata, non so il perché, eppure dovrei essere felice, il mio bambino sta bene e tra qualche mese nascerà. Sono seduta sulla mia poltrona preferita, vorrei che Alan fosse qui, ho paura. Era tanto tempo che non accadeva più, ma sento che sta per succedere. Ecco, la parete davanti a me si apre, e lui è lì, con il suo sorriso da demonio. Chiudo e riapro gli occhi come sempre per far scomparire la visione. Respiro affannosamente, questa volta non è una visione, è reale ,lui è qui e so che mi ucciderà. Vive per questo. Anche se sa che fra poco non esisterà più, perché non sarà mai nato, lui mi ucciderà, lo so, è me che vuole, è me che voleva quando uccideva le altre donne. Si avvicina, lo imploro con lo sguardo, è il mio carnefice, so che non potrà tornare indietro, ma i miei occhi lo scongiurano almeno di non farmi soffrire. Il mio ultimo pensiero è che ho vinto io, lui non esisterà nel mondo futuro. Poi più niente, su di me cala l'oblio.

Alan tremava, guardava senza vederle le persone che si affaccendavano intorno ad Anya, ogni tanto gli arrivava qualche frase. "Il bambino... forse ce la farà."

Suo figlio, una parte di Anya sarebbe vissuta. Era nato, il giorno stesso che sua madre era morta, lui era venuto alla luce. Alan lo guardava, così piccolo, indifeso in quell'incubatrice. Il suo piccolo Marc forse sarebbe vissuto. Mentre era così assorto qualcuno lo toccò sulla spalla con delicatezza. Voltò solo il viso, immaginava chi potesse essere: Gail, era lei.
Il rosso fuoco dei capelli era in piacevole contrasto con il candore della pelle. Lei si avvicinò al vetro e guardò il piccolo, poi come soprappensiero disse:
"Torna a casa Alan, torna da me, facciamo finta che non sia mai successo nulla. Io mi occuperò di lui come se fosse mio figlio. È talmente piccolo!"
Lui la guardò, era stanco non aveva voglia di discutere, non aveva voglia di dirle che se non era mai stata in grado di badare a sé stessa, come avrebbe potuto prendersi cura di un bambino?
Annuì stancamente e giratosi si incamminò verso l'uscita. Gail rimase a guardare ancora un po', poi con un sorriso ambiguo mormorò:
"Benvenuto bambino mio, ti insegnerò io cos'è la vita, ce la goderemo, vedrai. Ti darò un bel nome, ti chiamerò Clyde.
Clyde Kristen , suona bene no?
Vedrai diventerai qualcuno bambino mio!"

Per inviare i commenti, tornate alla prima parte
Tornate in Biblioteca