Azzurro. Il colore della passione, il colore dell'ossessione. Tutti voi credete sia il rosso, quello intenso, porpora, sanguigno. Ma la vera colorazione dell'ossessione è l'azzurro, denso, profondo, acque, cristallino. Ebbene mi avrete presa per pazza senza capire. Ma ora vi spiegherò. Vi porterò nel tormento che mi ha preso e trascinato al limite di me, al limite del mio modo di essere. Chi mi conosce sa che sono una persona razionale, coerente, posata e tranquilla. Ma io non credevo di impazzire quando quella sera lo conobbi. Stava li, nel mezzo della confusione di luci e musiche di quel locale. Stava li, e quegli occhi azzurri in un secondo sono diventati tutto. Tutto ciò che mai avrei potuto desiderare. Perché lo desiderai all'istante, un fremito aveva preso completamente le mie viscere. Un calore mi si era sprigionato da tutto il corpo, cosa fosse però ancora non lo capivo. Nei tre mesi che seguirono iniziai ad annientarmi per lui. Giuro, non era cosa voluta, ma mi ero ridotta a vivere nel mondo reale come un automa nell'attesa che lui chiamasse, scrivesse, venisse. E quando veniva il tormento lasciava il posto alla passione, all'amore, al desiderio carnale che mi diventava sempre più intollerabile, sempre più indispensabile. Come avrei potuto non impazzire sapendo che lo desideravo con tutta me stessa, e che lui non era mio. Non sarebbe mai stato mio perché il suo cuore era già impegnato. Purtroppo però aveva occupato anche il mio, lo aveva preso, stretto, frantumato, sbriciolato. Mi ridussi cosi, a poco a poco, alla disperazione del pianto. Unica consolazione nel mio ormai infinito desiderio di lui. Ma arriviamo all'apice della mia follia cosi che tutti voi capiate come ho fatto, come ho avuto il coraggio di porre fine alla mia sofferenza. Uscimmo un ultima volta, ne avevo bisogno, gli dissi. Ultima consolazione e poi sarebbe finito tutto.
Quando misi il coltello nella borsetta pero, non pensavo lo avrei usato. Lo avevo scelto dal cassetto della cucina, mi ci avevo specchiato gli occhi, ormai velati da quella strana ed enigmatica luce che prende i pazzi. E vi avevo specchiato la bocca leccandomela, morsicandomela fino a farla sanguinare. Il sangue si era diramato fra le fessure delle labbra, rosato e tranquillo, ma io ci vedevo l'azzurro.
Arrivò a prendermi e ci salutammo come tutte le altre volte. Il viso liscio, le labbra regolari e carnose, quelle mani grandi e sicure di se. Io non lo ero, sicura di me. La serata trascorse serena, bevvi un pò troppo. Ma avevo anche mangiato poco, perciò l'alcol aveva fatto il sue effetto in breve tempo. Gli chiesi di andarcene. Glielo chiesi sussurrandolo con la mia bocca appoggiata alla sua. La mia mano fra i suoi pantaloni dai quali già sentivo l'eccitazione. Lo fissavo finche guidava, vedevo le labbra inarcarsi in un sorriso voglioso, gli occhi fissi sui miei, la sua mano mi stava gia torturando, passava dal collo all'incavo del seno e poi giù, dove già io avevo le mie mani che premevano.
Fermò l'auto al solito posto buio ed apparato. Luogo di tanti nostri momenti di perdizione. Iniziammo il rituale dell'amore. La mia bocca si incollò alla sua vogliosa e gonfia di desiderio e lui ricambiava, mi leccava il viso come mangiasse un gelato. L'alcol mi scorreva nelle vene come linfa vitale e sentivo la sicurezza e vedevo chiaro ciò che avrei fatto. In quell'istante, con le sue labbra sul mio collo e le mani che frugavano sotto la maglietta, decisi. Avevo limpido e nitido ciò che avrei commesso sentivo che era giusto, che mi spettava di diritto. Lui era il mio sogno e tale doveva rimanere e se continuava a vivere in questo mondo fra la realtà dei comuni mortali, senza di me, non avrebbe più potuto essere la mia idilliaca passione. Cosi decisi. Pianificai. Aspettai che si spogliasse e vidi il suo pene duro eretto per me. Io feci altrettanto, rimasi nuda, volevo sentire il contatto con la pelle, volevo assaporare i suoi morsi su di me. Volevo mangiarlo. Con le gambe larghe mi sedetti sulle sue ginocchia, cosi da aprire bene la parte intima di me per poterlo accogliere tutto nel pieno del suo essere. Le mie mani, con i palmi aperti toccavano e toccavano, percepivo il contatto del suo petto, del pelo del suo petto, sotto i miei polpastrelli. Percepivo la sensazione con le cellule del mio corpo. L'aria dell'auto era gia satura dell'odore dell'amore. Perché l'amore ha odore, ed è il suo.
Ansimavo e tremavo. Non credo fosse il freddo di febbraio, che mi scorreva sulla schiena, quanto piuttosto l'eccitazione di tutta la situazione. Lo sentii entrare dentro di me e subito mi prese un dolore all'addome che però passò subito. Le mie anche iniziarono un movimento lento, su e giù, su e giù, su e giù. Lui posava il capo all'indietro sul sedile, gli misi le mani attorno al collo e premetti un poco, per farlo esaltare di più, per invasarlo di più. Alzò la testa e prese la mia con le mani e mi baciò con voluttà. Le lingue si cercavano si toccavano si allontanavano per poi ricercarsi. Si lecca le dita e me le passa sui capezzoli duri. I corpi erano in fibrillazione, tesi per la passione. Il movimento di anche iniziò a farsi più intenso più frenetico e cosi anche i sussurri gli ansimi si trasformarono in urli, fievoli urli di fermento. In quell'agire di delirio spostai la mano e presi il coltello dalla borsetta. Senza che lui se ne accorse glielo avvicinai al collo e presi a baciarlo freneticamente, quasi gli toglievo l'aria. Ed intanto stavamo per raggiungere entrambi l'estremo piacere. Nel momento in cui il mio ventre esplose, nel momento in cui le energie reciproche dettero il meglio di loro, nel momento in cui il suo pene sfogo il desiderio che era cresciuto di minuto in minuto, io premetti il coltello nel suo collo. Lo vidi sbarrare gli occhi, non reagì subito, non riusciva a capire ancora che mi ero presa la sua vita. Tolsi subito il coltello e vi poggiai la mia mano sulla ferita, e continuavo a baciarlo. Non vi avevo ancora staccato le labbra cosi che lui non capisse, rimanesse nella nebbia del piacere raggiunto, cosi che non urlasse. Gli rimasi sopra a stringerlo e accarezzarlo, aspettando che il sangue uscisse tutto, che la sua vita uscisse tutta. Lo vedevo con la testa riversa sul sedile, gli occhi che si facevano piccoli e l'azzurro che si faceva intenso dapprima e poi flebile, sbiadito. Le labbra leggermente schiuse gonfie e tendenti al violaceo. Sentivo il liquido caldo scorrendo sul suo petto finiva sul mio, scivolava sulla mia pancia, sulla mia intimità.
Sul mio viso si dipinse un'espressione di beata soddisfazione, le labbra si piegarono in un sorriso dolce e rassicurante.
Abbracciai forte quel corpo ormai esangue e rimasi li fino all'alba. Rimasi ad aspettare che la vita degli altri si svegliasse, perché la mia si era conclusa la notte prima.
Quando arrivò la polizia e mi staccò da lui, sul mio volto c'era ancora lo sguardo di eterna pazza soddisfazione.


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