La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
Italia-Camerun di Daniela Piegai

 

Diversi anni fa (non so esattamente quanti, perché non ho il senso del tempo), c'erano i mondiali, o qualcosa del genere, e c'era in programma la partita Camerun-Italia.
Non ricordo se Rinascita o una pubblicazione della CGIL, mi chiesero un raccontino breve sulla partita.
All'epoca mi feci la fama della veggente, perché avevo detto che avrebbe vinto il Camerun, svantaggiatissimo, secondo gli esperti. L'amico che mi aveva chiesto il racconto, aveva scosso la testa, quando l'aveva letto, e aveva concluso che forse per quello che riguardava la fantascienza, qualche idea potevo averla, ma di calcio non ne sapevo nulla. Il che era assolutamente vero. Ma il caso, sempre in agguato nelle vicende umane, smentì tutti quelli che di calcio ne capivano, e prima delle partite successive, ricevetti una serie di telefonate che mi chiedevano chi avrebbe vinto.
Imbroccai un altro paio di partite per pura fortuna, poi le mie azioni caddero a picco, e da allora nessuno mi ha più chiesto pronostici.
Questo comunque è il racconto: Italia-Camerun

Il cielo è di stagno e il sole una padella di rame bollente, che galleggia tra i vapori dell'afa.
Firenze da stamani è invasa: torme di scalmanati che ignorano la sindrome di Sthendal e si riempiono di birra e di vino in una isterica affermazione di esistenza corporea, al di là di ogni ragionevole dubbio.
I marocchini, i tunisini, i senegalesi, tutti gli extra-comunitari, gli E.C. di Firenze (oh, E.T., così lontano anche tu da casa!) sono altrove: la forza pubblica ha paura che possano venire identificati con l'Avversario. Oggi c'è la squadra del Camerun in campo, e Firenze è una miscela esplosiva in cui nuotano gruppi di scombinati, gente carica di frustrazioni che vengono scaricate appena si individua un nemico concreto.
- Ci prendono spesso per il Nemico, ci siamo abituati - hanno detto Mohammed, e Alì e Firuzè. Ma ugualmente sono stati messi in quarantena, nessuno si è chiesto dove, e Firenze mostra un viso privo di ammaccature, bianco e asettico, da dove è stata rimossa ogni ombra. Un viso lucido di sudore anche quando il sole si decide finalmente a calare.

La tensione rimbalza tra le pareti del catino di pietra, sotto la luce accecante dei fanali che illuminano a giorno ventidue eroi bianchi e neri: un gioco di scacchi viventi improvvisamente impazzito.

Il fischio finale dell'arbitro sembra funzionare da detonatore: diecimila persone balzano in piedi e ruggiscono: - ARBITRO VENDUTO! - mentre quelli della curva sud intonano: - ALEJNICOV SEI UN DIO! - E un piccolo gruppo di coraggiosi scandisce: - DJONKEPA IL DIO SEI TU!

Qualcosa sembra spezzare il cielo: due enormi mani calano dall'alto, afferrano con delicatezza la piccola figura in giacchetta nera che corre disperatamente, e la impacchettano in una tenerissima carta a fiorellini rosa: - Quando qualcuno viene venduto, deve essere confezionato in maniera adeguata - mormora una cupa voce impersonale (Arbitro venduto...)
Contemporaneamente sul giovane volto di Alejnikov spunta una barba leonardesca, mentre lui fissa sbalordito la tunica d'argento che ha preso il posto dei suoi calzoncini e tocca con aria incerta il triangolo d'oro che gli si è posato sui capelli. (Alejnikov sei un dio...)
Djonkepa adesso ha sulla testa una pelle di leone, è vestito di scarlatto e stringe convulsamente una lancia d'avorio. Accucciati ai suoi piedi, due leopardi gli rendono omaggio. (Djonkepa, il dio sei tu...)

- O.K., ragazzi, spengete i proiettori - sospira il capo tecnico all'interno del bunker - per oggi li abbiamo resi innocui. Rilassati, amico - aggiunge guardando con rispetto il nero che da venti minuti è immobile, all'ingresso del bunker, e fissa la folla con sguardo da basilisco - qualche trucco meccanico e un po' di ipnotismo di massa: magia e scienza alleate per calmare la violenza - ridacchia scuotendo la testa - eppure, se non l'avessi visto, non ci avrei creduto: il mio è ciarpame tecnico, effetti speciali, ma tu, amico, sei stato grande, sei riuscito a inchiodarli tutti e a far loro ingoiare i miei trucchi da baraccone. - sta un attimo in silenzio, poi brontola: - io e te, insieme, saremmo irresistibili...
- Magari hanno anche capito che le parole pesano, che non possono essere usate a vuoto - dice piano il nero. Il suo volto è chiuso. Forse ricorda tutte quelle che gli sono state dette, e quasi nessuna era d'amore.
- Il Camerun ha passato il turno. Come li disinneschiamo, la prossima settimana? - chiede la biondina che spenge le luci, indicando gli ultimi rivoli della minacciosa ondata di folla che si sta ritirando, mentre nessuno più agita bottiglie rotte e tutti sono occupati a chiedersi se è successo DAVVERO ciò che hanno visto, o se si è trattato di allucinazione collettiva.
- La prossima volta giocano a Napoli - risponde il capotecnico alzando le spalle - vuoi che non riescano a trovare un sistema?

Gli E.C. possono uscire, ora, anche se non sono riusciti a vedere gli eroi neri che hanno vinto per tutti loro, anche se non sanno dell'alleanza bipolare che ha disarmato la folla, anche se, da quando sono qua, hanno sotto gli occhi solo la pallida metà bianca della scacchiera.
E la luna è uno scudo d'argento che riflette dolore, in questo cielo improvvisamente pulito, e Firenze è la città di un sogno sognato in tutte le epoche: strade di gesso devastate dalla luna che rende tutti di un solo colore.

Un uomo può perdersi nella speranza, di notte.

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