La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
Melanconie di una bicicletta di Maria Rosaria Valentini

 

masseria
©2009 Stefano Spinelli

Erano in quattro: Umberto e Liliana, Mariolina e Carletto.

Umberto si alterava per nulla, parlava sempre ad alta voce e sudava continuamente. Si alzava alle tre, tutte le mattine e in ogni stagione; un bicchiere di rosso, tracannato con furia, gli assicurava un risveglio rapido e vigoroso. Con disinvoltura saltava dalla cucina alle stalle per prendersi cura delle vacche, prima di tutto, che reclamavano la mungitura. Ma c'era anche il pollaio che aspettava. Quando Umberto apriva quella porticina sgangherata le galline si gettavano all'esterno con nevrotica irruenza, seguite da un paio di galli, tacchini, oche, faraone. E bisognava pulire, portare acqua negli abbeveratoi, versare erba e granoturco nelle mangiatoie.

Liliana era un fantasma: magra e veloce, in un batter d'occhio già lavata e vestita, senza che nessuno riuscisse mai a capire l'ora del suo risveglio; comunque alle sei il pane usciva dal forno, la polenta era pronta, le salsicce cotte, mentre il burro candido si celava sotto un telo quadrato di lino.
Quando Liliana andava al pozzo, in cerca d'acqua per il bucato, il sole si strusciava sulle imposte della masseria e lei, sospirando, canticchiava rime d'amore.

Mariolina aveva cinque anni e una 'esse' che le sfuggiva da una finestrella in mezzo ai denti bianchi.
Per lei il tempo era un'invenzione da ricamare.
La masseria disegnava il suo mondo che tuttavia pareva gonfio di sorprese, dilatato da sogni e denso di voci come le valve di una conchiglia.
E aveva gli occhi come due foglie di menta, Mariolina.

Carletto, a mezzogiorno, spuntava sull'ombra del grande cancello in ferro battuto. Il fiocco bianco del grembiule non aveva niente a che fare con la sua faccia scura! Sembrava che tutto gli fosse andato storto, ma era solo un'espressione, un andamento severo delle sue sopracciglia e nulla più.
Mariolina gli andava incontro saltellando. Insieme giocavano a campana, sotto il portico, prima che Liliana chiamasse tutti a tavola, per il pranzo.

Io li spiavo, un giorno spalmato sull'altro, e mi prestavo alle loro esigenze. Ogni giro descriveva viaggi irripetibili e straordinari.
Con Umberto a vincere era la fretta che puzzava di fatica e letame.
Liliana si portava addosso l'odore del sapone, della cenere e di certi suoi ripensamenti.
Mariolina si lanciava dentro labirinti impossibili... pareva una farfalla e... una canaglia pronta a collezionare cadute, a leccarsi ogni ferita senza seminare neppure una lacrima.
Carletto metteva a segno piccole fughe comparendo, quando meno me l'aspettavo, per volare dal tabaccaio e ritorno, con le tasche piene di cicche da masticare.

Io inseguivo i loro percorsi facendoli anche miei, immaginando che fossero infiniti.
Poi, però, nel vortice di uno sgambetto, tutto si è sciolto inaspettatamente dentro le pieghe di un mio teso stupore.
Ante sventrate, stalle vuote, lucchetti inflessibili, orti asciutti, carboni spenti, edere invadenti, silenzi avari e amare assenze.

bicicletta
©2009 Stefano Spinelli

Ingenuamente sogno ancora un giro, ancora una mano attaccata al mio manubrio e un volo - dentro e fuori dalla masseria - ma la mia speranza è un guscio rugginoso.

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