La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
Tutte le volte di Anna Cerrella

 

Ecco, una nuova fermata! Nora cercò di sbirciare oltre il finestrino, nel tentativo di scoprire dove fosse suo padre . Come al solito era scomparso non appena partiti. L’avrebbe rivisto solo una volta giunti a destinazione. Di sicuro era sceso dal treno e stava dirigendosi verso la stazione per parlare con qualcuno dei suoi amici. Sarebbe risalito all’ultimo momento, con il treno già in moto.
Nonostante i pochi anni d’età Nora si prefigurava tutti i movimenti di suo padre e non si sentiva turbata.
Si attendeva di scorgerlo dinanzi alla stazione, ma fu delusa. Vide, invece, il locomotore, che stava arrivando sul primo binario.

Pareva quasi che si muovesse scivolando, mentre il pantografo si abbassava. Sembrava un animale misterioso, che ritraeva le sue zampe filiformi.
Ne discendevano due militi in divisa, camicia nera. Con passo deciso si dirigevano vero la stazione, entravano.
Il marciapiede si era fatto subito deserto.
Ma dove era andato a finire suo padre!
Qualcuno stava correndo nel corridoio della carrozza. Un paio di militi salivano sul treno. E suo padre non si vedeva. Improvvisamente Nora provò una profonda sensazione di disagio.
Ma ecco che i due militi entrati in stazione si facevano sulla porta, uscivano, risalivano sul locomotore. Scomparivano salutando romanamente.
Era sempre così, nessuna stazione veniva ignorata.
"Eccolo!", diceva Adelfo, suo padre, quando avvistava il locomotore dall'ufficio della stazione di cui era titolare.
A quella esclamazione una certa inquietudine incominciava a serpeggiare fra il personale. Lui no, lui non si scomponeva più di tanto., anche se chi lo conosceva bene poteva leggere una certa irritazione nelle pieghe un po' tirate delle labbra.
I due compari, così egli li chiamava, entravano con la solita baldanza e con le solite pretese, puntualmente scoraggiate. Arrivavano specialmente di sabato, per controllare che il personale indossasse la camicia nera e portasse la cimice all'occhiello Adelfo li accoglieva con qualche battuta salace, intervallata da qualche citazione del Manzoni, là dove si parla di certi ceffi, detti bravi, e di un certo don Rodrigo, prepotente signorotto del luogo.
Alla fine i due camerati ripartivano, non senza aver sfoderato il consueto saluto romano.
La conclusione era quasi sempre la stessa. Adelfo chiamava Nora, la faceva entrare nel suo ufficio, la invitava a sedersi alla scrivania dinanzi a fogli squadrati e a registri aperti e senza tante storie le intimava:
"E tu, adesso, copia con cura, e con bella scrittura!"

Una visita era stata singolare. Adelfo la ricordava visibilmente divertito.

Verso sera arriva il locomotore, ma si ferma fuori dalla vista. Un fatto un po' inconsueto, tanto che, all'inizio, nessuno in stazione si accorge dell'arrivo. Ne scendono due militi. Vanno al passo, un passo cadenzato, ampio, quasi da parata. Un dei due precede, anche se di poco. Sembra più maturo, quasi massiccio e ha i capelli lustri di brillantina.
Avanza deciso Senza dubbio, una persona importante. Un ufficiale. Entra nell'ufficio movimento. Senza salutare, ignorando il personale presente, punta diretto verso l'ufficio del titolare. Si siede senza complimenti e senza fretta dietro la scrivania, si appoggia comodamente allo schienale, sorridendo.
Accavalla le gambe .Stivali lucidi. Senza smettere di sorridere fissa con occhi freddi ed attenti il milite che l'ha seguito, il quale si dilegua:
Si rivolge quindi ad Adelfo, con apparente noncuranza.
Sono i treni ad interessarlo, a quanto pare.
"Quanti treni straordinari passano al giorno? E di che tipo? Quanti sono costretti a fermarsi? E per quanto tempo? "
Parla con naturalezza, ma lo sguardo rimane vigile. Gioca con un tagliacarte d'osso intagliato. Probabilmente sono tutte cose che conosce; anzi, le conosce certamente. Si tratta dunque di un diversivo: È a qualcos'altro, a cui mira. Fa da padrone, l'amico. Adelfo prende tempo. Non si siede, si muove alla ricerca di qualcosa che sembra importante, costringendo l'ufficiale a seguirlo con lo sguardo. Poi sospinge una sedia verso lo stesso lato della scrivania. Si siede.
"E i viaggiatori?" Sguardo da inquisitore.
"Quali viaggiatori?"
"Quelli che arrivano e che partono".
"Sempre quelli".
"E cioè?"
"Per lo più sono donne, giovani, ma anche anziane, che vengono dai paesi vicini, per portare i loro prodotti al mercato, in città .Qualcuna lavora presso qualche famiglia. Si fanno un sacco di strada a piedi. Partono con il primo treno e ritornano alla sera".
"E dalla città?"
"Qualche volta, i cacciatori: Sempre i soliti. Gente nota, gente perbene".
Pausa
"E i dipendenti?"
"Tutto normale".
"Tutti italiani?"
"Tutti".
"Risulta che a volte..."
"È responsabilità del Compartimento. Per me, basta che uno lavori bene".
"Lei sa benissimo che la legge... Siamo in guerra, bisogna vigilare..."
"Io faccio il ferroviere".
"Non solo, mi risulta".
"Cosa, le risulta".
"Che facciate altre cose..."
La sua aria è sorniona. Sorride amichevolmente, ma il tono della sua voce non è cambiato. Fermo, non ammette contraddizioni.
"Altre cose?"
Pausa.
"Radio, macchine fotografiche..."
"Passatempi. In certi luoghi sperduti è necessario trascorrere il poco tempo libero disponibile aggeggiando in qualche modo. Soprattutto di notte. Adesso non se ne parla proprio".
"Radio riceventi e trasmittenti... "L'ufficiale non gli toglie lo sguardo di dosso.
"Acqua passata. Ho costruito le prime radio. Nel '36 sono andato volontario in Africa appunto per le trasmissioni. Genio ferrovieri. Mussolini aveva promesso un posto sicuro ai volontari che si fossero impegnati nella costruzione di strade, stazioni, ferrovie, centri trasmissione. Promesse non mantenute. Ho guadagnato solo la malaria. Per poco non ci lascio la pelle: quaranta giorni di febbre alta , delirio e dosi massicce di chinino. E nove anni di lavoro dati al vento".
Mentre sta parlando un dubbio si insinua nella sua mente. Come manovra difensiva ecco una sequela immediata di termini tecnici, formule, dati: tutto su obiettivi, macchine da presa, proiettori, pellicole, sviluppi...
Il sospetto dell'inquisitore sta naufragando nella noia.
"Avete sentito parlare di Cinecittà? C'è di che rimanere sbalorditi!"
Un rigurgito d'orgoglio:
"Come no! Cinecittà, una grande gloria del Fascismo! Il 27 aprile del 1937 ero presente, all'inaugurazione, alla presenza del Duce! Un'apoteosi! Un'opera che ci viene invidiata dal mondo intero!!"
Ricompostosi dall'entusiasmo, senza fretta, infilandosi i guanti l'ufficiale si dirige a passi misurati verso l'uscita. Improvvisamente si volta:
"Avete anche messo su una banda!"
"Una banda?"
"Una banda musicale".
"Naturalmente! - Adelfo ridacchia. - Certo, anni fa, nei pressi di Gorizia. Una vera impresa. La prima banda, nella storia del paese."
"Avete istruito ed impiegato anche elementi sloveni!"
Sguardo apertamente provocatorio.
"Certamente! Il suono delle trombe e dei tamburi non cambia".

Un fischio. Semaforo verde. Finalmente! Si riparte.
Avrebbe rivisto suo padre.
Ora, fino alla costa tutta una corsa!
Ecco il mare!
Tutte le volte che il treno iniziava la discesa fra i muraglioni di pietra e improvviso compariva il mare, mentre il cielo era tutto un bagliore, tutte le volte Nora provava un tuffo al cuore.

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