La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
Il viaggio della sabbia di Daniela Piegai

 

Io sono la donna della sabbia
Mimetizzata nelle clessidre,
Chiusa nella gabbia
Come una piccola tigre.
Io sono la donna della sabbia
In equilibrio precario
Tra presente e passato
Tra reale e immaginario.
Io sono la donna della sabbia
Con disperata nostalgia
Per ogni fottuto granello
Che scivola via.
Io sono la donna della sabbia
Che sogna uno scintillante futuro,
Chiusa dentro un muro
Di trasparente rabbia.
Io sono la donna della sabbia
Che fa finta di niente,
Che vuol essere intelligente,
Che si perde nelle visioni,
Che mangia incanti
Che beve illusioni.
Io sono la donna che fluisce
Senza appigli di salvataggio
Su queste pareti lisce,
La donna divisa a metà
Che nessun mago
Riparerà.

Quando ero piccola, la nonna mi raccontava dell'omino della sabbia, che tutte le sere volava nelle camerette, prendeva dalla bisaccia un pugno di sabbia, soffiava i granelli dorati sugli occhi dei bambini, e i bambini si addormentavano.
Un'estate, dovevo avere sette o otto anni, mentre sfogliavo un libro, vidi uno strano disegno con due coni rovesciati che sembravano riempiti a metà proprio di sabbia.
- Sono le bisacce dell'omino, nonna? - Chiesi.
- No, quella è una clessidra.
- E cos'è una clessidra, nonna?
- È un orologio.
- Un orologio?!
E la nonna, pazientemente, mi spiegò come funzionava, dopodiché io non ebbi pace finché, ordinata appositamente dall'emporio locale, non ebbi tra le mani una clessidra vera.
Passai un mese, affascinata, a girare la clessidra: guardavo i granelli di sabbia che fluivano attraverso la strozzatura centrale, finché non avevano riempito il cono inferiore. Poi la voltavo, e la sabbia riprendeva a scorrere fino a riempire di nuovo la parte di sotto.
E non mi stancavo mai. Lo spettacolo continuava ad affascinarmi, come se fosse stato l'essenza del tempo. Come se, semplicemente guardandolo, avessi potuto prenderne il controllo.
Ci provavo, anche: fissavo intensamente la lieve cascata chiara, e le ordinavo di fermarsi. Ma non succedeva mai. Cercavo soprattutto di non chiudere gli occhi: la nonna mi aveva rassicurato sulla permanenza degli oggetti anche quando non li osservavo, ma io ero convinta che se ne andassero chissà dove, nell'attimo in cui non li controllavo, e alla fine lei si arrese, e mi disse che sì, se ne andavano in un luogo misterioso, dove vanno le cose che nessuno guarda.

Adesso sorveglio il volto pallido della nonna affondato nel cuscino, ne ascolto il respiro spezzato, leggero come granelli di sabbia, e cerco ancora di fermare il tempo, perché so che se distolgo gli occhi lei se ne andrà dove finiscono le cose quando non le guardiamo.
Ma nemmeno adesso che sono grande riesco a fermare la clessidra.

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