1 Altrove e dintorni
Il canapè rosso
articolo di Emanuela D'Alessio

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Lesbre Il canapè rosso
Michéle Lesbre
Sellerio
Anno 2009
Pagine 133

Un elogio alla felicità, alla possibilità di incontrarla lungo la propria esistenza, nonostante i dolori e le sofferenze, la solitudine e la malinconia, la perdita e l'assenza; un riconoscimento all'amore, alla sua forza che travolge il tempo, l'abbandono, l'oblio stesso; un inno all'energia strabordante che soltanto una vita vissuta pienamente fino all'ultimo istante riesce a sprigionare.

Questo e molto altro si coglie nell'intenso, raffinato, colto libro della scrittrice francese Michèle Lesbre, che ripropone nel titolo, Il canapè rosso, un oggetto dal significato simbolico variegato.

È il canapè rosso ad accendere l'interesse della giovane Anna, quando è entrata per la prima volta nell'appartamento dell'anziana Clèmence, agli esordi di un incontro che si trasformerà in amicizia intensa e profonda.

È su quel canapè che Clèmence aveva deciso di trascorrere gran parte del tempo che le era rimasto a disposizione, avvolta nei ricordi del passato ma anche pronta a riaccendere le luci del presente in compagnia della giovane amica, dopo averle svelato il segreto della propria esistenza, nascosto sotto i cuscini.

È sempre seduta sul canapè che Anna ha fatto conoscere a Clèmence alcune giovani donne del passato, le cui vite risultavano unite, pur nelle loro diversità, dal medesimo ardore per la libertà, l'indipendenza, l'amore. Attraverso le storie di Olympe de Gouges, l'artefice del primo manifesto femminista morta sul patibolo nel 1793 durante il Terrore, o di Milena Jesenskà, disposta ad attraversare a nuoto la fredda Moldava per incontrare il suo innamorato, Anna e Clèmence avevano tessuto quel filo invisibile che le avvicinerà, le stringerà l'una all'altra in un abbraccio indissolubile.

Il racconto della Lesbre è anche una storia di viaggi. Quello fisico, da Parigi alla Siberia, perché Anna va in cerca di Gyl, l'uomo con cui aveva condiviso anni di passioni politiche e sentimentali. Quello interiore, perché attraverso il viaggio Anna ritrova ciò che aveva perduto, comprende quello che le era sfuggito, incontra ciò che ancora non aveva conosciuto. Quello temporale, perché attraverso un andirivieni fluido tra presente e passato, si sfiorano gli anni della Parigi della Resistenza anti-nazista, per giungere ai giorni nostri.

Il viaggio è un ritorno all'essenziale, secondo la massima tibetana che ci ripropone l'autrice. E Anna torna dal suo viaggio trasformata nel pensiero e nel sentire, rischiarata, semplificata, serbando negli occhi uno sguardo nuovo con cui coglie, infine, l'essenziale della sua esistenza, fino a quel momento lasciato nell'ombra dell'inconsapevolezza.

Perché il viaggio è vero abbandono, dice Anna poco prima di tornare a Parigi, quel modo di respirare e di pensare diversamente in una città straniera, consapevole di appartenere al mondo, a quell'umanità sognata che cercavo... negli impercettibili dettagli che ci legano gli uni agli altri, nonostante tutto.

Il canapè rosso è anche un libro colto, colmo di citazioni, affatto pedanti o superflue, attraverso le quali l'autrice ripropone ancora un altro percorso, questa volta attraverso le parole, quelle di altri, quasi a voler colmare l'assenza di parole dei vari personaggi che affiorano e scompaiono tra le pagine. È nel silenzio che si consuma la vera e definitiva separazione tra Anna e Gyl, è nell'assenza di parole che esplode e si esaurisce l'intensità dell'incontro tra Anna e Igor, nel viaggio di andata verso la Siberia.

Alcuni critici hanno voluto paragonare il libro della Lesbre a L'eleganza del riccio di Muriel Barbery, altra “rivelazione" della narrativa francese di questi ultimi mesi. Ma il confronto, probabilmente indotto dalle innumerevoli citazioni filosofiche, risulta improprio e sbrigativo.

Il canapè rosso appartiene a quella categoria di piccoli gioielli della letteratura, il cui pregio e valore, non appena se ne incontra l'abbagliante splendore, non smettono più di arricchirci.

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