19. Bioculture:
Le comunità biologiche

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Un borgo medioevale, un castello, un antico convento rimandano alla mente l'immagine lontana di altrettante comunità umane che condividevano, dentro uno spazio definito e per un particolare arco di tempo, le risorse che si rendevano disponibili. Generalmente, tendiamo a raffigurarci tali comunità all'interno di un paesaggio fortemente antropico in cui l'eventuale presenza di animali o piante assume un ruolo di cornice: immaginiamo che nel borgo potesse esservi un cane che si ristorava al calore proveniente dal selciato, che nel torrione del castello nidificassero i falchi, che nel chiostro del convento le cince si attardassero sugli arbusti alla ricerca di frutti succosi. Nonostante questi ambienti fossero, pertanto, essenzialmente luoghi di aggregazione di uomini, ad un'analisi più attenta essi dovevano avere i requisiti di comunità biologiche: in essi probabilmente si trovavano a convivere vari generi di animali che potevano comprendere sia parassiti come vermi, pidocchi o zecche, sia lucertole, topi, e soprattutto insetti che trovavano protezione e ristoro all'interno di quelle costruzioni.

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Sotto questo aspetto, dunque, le comunità biologiche sono rappresentate dall'insieme delle specie presenti in un dato luogo e in un determinato momento. Ma se è pur vero che esse presentano caratteristiche che tendono a ripetersi nel tempo, tanto che si riesce a definirne gli aspetti generali in termini astratti, concretamente ogni singola comunità biologica ha elementi specifici che la rendono unica ed irripetibile. In ogni caso, così come non è possibile immergersi nella stessa acqua di un fiume poiché essa scorre continuamente, ugualmente non possiamo trovarci una seconda volta davanti alla stessa comunità.
Ma da dove deriva questa unicità? Proviamo ad immaginare che in una radura sia imbandita una tavola con tanti cibi dai sapori forti e dai profumi intensi. Nella realtà essa potrebbe essere data da un qualsiasi luogo in cui si rendono disponibili delle risorse. E supponiamo che ogni cibo sia disposto in contenitori poco accessibili a causa dei loro colli lunghi e stretti. Molti organismi che si troveranno a passare per puro caso da un tale posto ameno saranno tentati di fermarsi e di godere di tali abbondanze. Solo alcuni di essi, tuttavia, finiranno con lo stazionare concretamente dando luogo a una comunità, vuoi perché sono di statura talmente piccola da potersi infilare nei contenitori, come per le formiche, vuoi perché un lungo becco gli permette di arrivare al cibo, come può succedere a delle gru, vuoi perché una notevole manualità gli consente di afferrare il contenitore, rovesciarlo e farne uscire il cibo, e si può pensare a delle scimmie.
In questa nascente associazione di specie le condizioni dell'habitat, cioè della radura nella esemplificazione precedente, rendono usufruibili le risorse, cioè i cibi, solo a certe condizioni, simboleggiate dalle forme che assumono i loro contenitori: così esse favoriscono la formazione di un definito pattern di comunità che rimanda ad un determinismo ambientale. D'altronde, solo alcune specie, in base a caratteristiche morfologiche preesistenti, sono in grado di accedere a tali risorse, caratterizzando il pattern di comunità secondo un determinismo biologico.
Un ulteriore elemento di complicazione deriva dal fatto che ciascuna specie occupa lo spazio disponibile in periodi di tempo differenti. La comunità va dunque intesa in senso funzionale, non solo quale somma delle specie che occupano uno spazio definito, ma come il complesso delle interazione interspecifiche che vi si svolgono in un arco di tempo. Così possono fare parte della stessa comunità biologica soggetti diversi, alcuni stanziali, cioè presenti tutto l'anno, altri migratori, altri ancora opportunisti.
Cosa conferisce allora stabilità ad una comunità? Si può supporre che quanto più essa sia ricca di specie, tanto più risulti stabile. In realtà, tale relazione non pare sufficientemente suffragata, in quanto si è osservato che comunità abbondanti di specie come quelle presenti ai tropici, adattate a condizioni ambientali relativamente stabili, con deboli variazioni stagionali, hanno maggiori difficoltà a riprendersi dopo una perturbazione, come quella causata da un massiccio intervento antropico, cioè, con terminologia specifica, sono molto resistenti, ma poco resilienti. Comunità meno ricche di diversità biologica, come quelle delle zone temperate, sono più avvezze a riprendersi dalle perturbazioni, probabilmente perché sono adattate ad un ambiente che è più soggetto a forti variazioni stagionali, risultano cioè meno resistenti, ma molto resilienti.
In genere, le perturbazioni, se non assumono l'aspetto di eventi disastrosi o catastrofici, possono svolgere una funzione positiva nel mantenimento delle comunità e contribuiscono a conferire loro stabilità. Infatti, la formazione delle lacune, come può essere una radura creata in seguito ad un incendio in una porzione di un bosco o a delle onde burrascose in una scogliera occupata da mitili, dà l'opportunità ad altre specie di occupare i nuovi spazi che si sono resi disponibili. Tornando all'esempio della tavola imbandita possiamo immaginare che l'arrivo di specie predatrici o parassite eserciti nei confronti dei commensali, in genere rappresentati da consumatori primari come gli erbivori, un'azione di perturbazione che ne riduce la densità, in maniera che nessuna delle specie presenti prenda il sopravvento a scapito delle altre. I predatori possono agire come generalisti, così come può fare una macchina per falciare il prato quando taglia qualsiasi erba che venga a portata delle sue lame. In questo caso, il predatore facilita la coesistenza tra le specie predate perché riporta i loro valori di densità a tassi rispetto ai quali la competizione per la stessa risorsa, che determinerebbe esclusione di alcuni di esse per eccessiva competizione, assume poca importanza: viene cioè favorita la coesistenza grazie all'azione svolta dal predatore principale. Nei casi in cui questo sia selettivo nei confronti di uno o di pochi tipi di prede, la stabilità della comunità può essere avvantaggiata, e con essa la diversità biologica, se le prede preferite hanno un ruolo dominante nella comunità di appartenenza. La riduzione della loro densità favorisce un equilibrio più prolungato tra le varie specie presenti.
In genere, si ritiene che all'interno delle comunità il numero dei differenti commensali non sia tale da escludere qualche membro dalla possibilità di accedere al cibo. Secondo questo modo di pensare, la competizione tra specie all'interno delle comunità gioca un ruolo non fondamentale nel conferire loro stabilità. Solo quando la densità aumenta oltre misura si possono avere situazioni di competizione, soprattutto tra membri appartenenti alla stessa corporazione, cioè tra gruppi di specie che sfruttano in modo simile lo stesso tipo di risorse ambientali. In tali casi si possono avere processi selettivi che tendono a favorire le specializzazioni verso determinate risorse, si ha cioè un differenziamento delle nicchie ecologiche.
Per alcuni studiosi le comunità andrebbero pensate come una sorta di organismo superiore i cui membri, cioè le varie specie componenti, sono legati insieme da una stessa storia evolutiva. Tuttavia, oggi si tende a ritenere che le comunità si originino spesso per caso, come è simboleggiato nell'esempio precedente dalla aggregazione casuale di specie intorno alla tavola imbandita. Inoltre, si suppone che le varie specie componenti si evolvano indipendentemente verso differenti gradi di specializzazione.
I processi che sembrano avere una funzione caratterizzante nelle comunità sono connessi a quelle somiglianze, anche morfologiche, che tendono a realizzarsi sotto la spinta della selezione naturale. Nell'esempio della tavola imbandita si determinerebbe una spinta selettiva che spingerebbe i vari commensali a perfezionare i loro adattamenti, come becchi più fini per le gru, mani più abili per le scimmie, dimensioni più piccole per gli insetti, in maniera da sfruttare meglio le risorse disponibili, cioè i cibi confezionati nella simbologia prima impiegata. Questo tipo di processo viene indicato come convergenza evolutiva. Tale meccanismo, che si ritiene prevalente, non esclude che all'interno delle comunità possano avere luogo altri fenomeni di tipo coevolutivo, in cui un ristretto numero di specie, in genere una coppia, si associano insieme per meglio utilizzare le risorse, dando vita ad una evoluzione che comporta forti specializzazioni, come è la condizione dei licheni, frutto di una simbiosi tra un fungo e un'alga. In altri casi, coppie di specie si avventurano in processi di trasformazione galoppante, come quelli che si possono avere tra il predatore e la sua preda preferita o tra il parassita ed il suo ospite.
In ogni comunità spesso operano processi di conservazione tra tutti i suoi membri che tendono a rinforzare strategie di sopravvivenza simili, non favorendo quelle alternative. In una comunità di piante boschive la strategia che si afferma è quella dell'ombreggiatura; manipolando gli ambienti soleggiati, le piante boschive escludono dalla loro comunità le piante di prateria e si affermano come comunità di piante adattate ad accrescersi in ambienti ombreggiati. Una perturbazione, come il taglio di una porzione di bosco, può mettere localmente in discussione tale strategia e offrire l'opportunità che in quella determinata zona e per un periodo di tempo particolare, se ne affermi una differente. Una comunità adattata a zone soleggiate può sostituirsi a quella amante dell'ombra. Questo fatto mostra come ciascuna comunità deve essere percepita in una sorta di equilibrio dinamico, in cui non c'è un modello unico di riferimento verso cui tendere, come nel modello della successione, ma dove ogni strategia si afferma sul piano delle opportunità e delle occasioni da cogliere. In questo quadro, l'elemento di stabilità delle comunità biologiche è dato soprattutto dal modo in cui esse sono distribuite nel paesaggio ecologico. Le connessioni tra le varie chiazze, in cui sono presenti le comunità, rende queste meno esposte al rischio di estinzione, in quanto la scomparsa di una popolazione in una comunità può essere controbilanciata dall'arrivo di un'altra appartenente alla stessa specie o almeno alla medesima corporazione.
Non si prospettano dunque modelli ideali di comunità, ma una molteplicità di situazioni associative aperte a differenti destini sulla base delle contingenze e delle opportunità di cui ciascuna dispone.

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

L'ecologia di comunità è un argomento centrale degli studi ecologici. Si suggeriscono alcuni testi di ottimo livello didattico e scientifico, quali:

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