27. Bioculture:
Sul progredire della tecnologia

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Quando si viaggia in auto spesso la guida è quasi istintiva, la strada scorre veloce alla vista, il paesaggio tutto intorno scivola cadenzato da paletti segnaletici e da messaggi pubblicitari che, subdolamente, vogliono penetrare le menti di potenziali acquirenti. Se all'improvviso, ancora lontana, appare una coda di veicoli, si è impossessati da una sensazione di fastidio e di incertezza. Se si tratta di un incidente, può succedere che il traffico venga deviato lungo una strada laterale, che nega allo sguardo il fatto. Il sopraggiungere di un elicottero che si abbassa verso la strada interrotta, sparendo alla vista qualche momento prima che le sue pale smettano di girare, crea apprensione, curiosità, forse trepidazione, talora ostentata indifferenza. Se poi, d'un tratto, magari oltrepassando un cavalcavia, lo sguardo viene calamitato da quel che sta avvenendo giù, lungo la strada interrotta, all'ombra dell'imponente elicottero, dove i soccorritori si adoperano intono alle vittime, è quasi istintivo rallentare la corsa ma in genere l'indispettita espressione degli agenti della Stradale impedisce a tutti ogni possibilità di attardarsi, permettendo al traffico di scorrere al meglio di quanto le circostanze rendano possibile. Così un efficiente apparato di controllo del traffico smorza qualsiasi sopravvissuto bisogno di esternare un sentimento di solidarietà che in qualche modo renda idealmente compartecipi dell'allevio delle sofferenze altrui. D'altronde, l'organizzazione dei soccorsi, che dispone di una molteplicità di sussidi tecnici e che coinvolge competenze differenti, permette generalmente di salvare più vite di quanto sarebbe possibile ricorrendo a sistemi di intervento meno razionali ed efficienti.

Boncinelli Lewontin Capra

Un'organizzazione della società che si avvale diffusamente, per il suo funzionamento, di strumenti altamente tecnologici richiede comportamenti consoni da parte dei propri concittadini, a cui è richiesto di svolgere, al meglio, la funzione, spesso tecnica, di cui sono depositari e per la quale è riconosciuta la loro appartenenza al contesto sociale, rimandando ad altri momenti l'esplicazione dei propri sentimenti, dei dubbi o delle certezze anche di natura etica e morale che lo svolgimento di tale funzione può comportare. Psicoterapeuti, assistenti sociali, igienisti mentali costituiscono punti di ausilio nel caso in cui si possano determinare attriti tra il proprio stato di essere e l'attività che si svolge. Tutto questo non avviene sulla base di un malcelato disegno esercitato da una tecnocrazia desiderosa di creare un esercito di ossequiosi funzionari alle proprie dipendenze. Ma è lo stesso sviluppo sociale, fondato sull'impiego di tecnologie più complesse e elaborate, a spingere verso una parcellizzazione dei saperi e un appiattimento degli individui sulle funzioni da loro esercitate, eludendone il bisogno di essere trattati come fini e non come mezzi.
Sarà capitato di essere oggetto di invettive o di stizzite gestualità se, involontariamente alla guida della propria auto si è potuti essere di intralcio alle aspirazioni momentanee di qualche aspirante ferrarista. In quel momento si viene percepiti soltanto nella funzione di autisti ed in quanto tali molti si sentono esautorati da quel rispetto, anche formale che normalmente si mantiene nelle relazioni interpersonali. Il codice della strada fissa norme comportamentali e sanziona chi non le rispetta; tutto ciò è necessario e gli utilizzatori della rete stradale dovrebbero concorrere alla sua piena attuazione. Infatti la guida di un'auto, in cui si assommano complesse strumentazioni, impone un'attenzione scrupolosa, e altri comportamenti ad essa associati, che comunque non sono richiesti soltanto nell'espletamento di tale specifica funzione ma sono spesso delle costanti del vivere quotidiano.
La tecnologia dilaga da tempo, almeno tra una parte delle popolazioni umane, e in maniera significativa regala un mondo in cui la stessa fatica fisica è piacevolmente surrogata da strumenti tecnici di cui si controlla il funzionamento ma spesso si ignora il meccanismo. Si affermano così situazioni certamente di migliore benessere anche se permane una sensazione di disagio nei confronti di un apparato tecnologico che ormai si muove rispondendo a proprie logiche interne. Esso è divenuto controllore non controllato di un processo di ammodernamento sociale rispetto al quale lo stesso potere politico non riesce ad imporre indirizzi e finalità di utilizzo in quanto condizionato da un linguaggio specialistico sempre meno comprensibile anche a coloro che svolgono attività tecniche simili. Non potendo disporre di adeguati strumenti di valutazione, il pubblico amministratore si rivolge continuamente a vari esperti in un gioco delle parti in cui tutti finiscono col diventare strumenti di un imponderabile apparato tecnico e burocratico che si autoalimenta macinando continue risorse.
La tecnologia ha insita la necessità di doversi rinnovare ininterrottamente, ponendosi come artefice di un processo, in continuo divenire, di trasformazione della Natura. Tutti noi oggi siamo più liberi grazie al progresso ed alla innovazione tecnologica. Ma questa ultima è ormai giunta ad una tale capacità di trasformazione e di manipolazione del mondo naturale da non essere più percepita come un mezzo per raggiungere dei fini ma essa stessa un fine di per sé: oggi non è più potente chi possiede dei beni ma chi dispone degli strumenti per produrli!
Zeus punì Prometeo per avere donato agli uomini il fuoco, rendendoli capaci di sviluppare la tecnica di lavorazione dei metalli. Con la tecnica gli uomini potettero trasformare più velocemente il mondo e, ribellandosi agli dei, cominciarono a liberarsi della loro ingannevole presenza. In loro assenza è vacillata la fede in una realtà metafisica, immutabile ed eterna, capace di conferire un significato al divenire di ogni cosa. La tecnica e la scienza hanno cercato di riempire un tale vuoto attribuendo un significato positivo allo scorrere del tempo: il progresso è stato inteso come una tendenza ad incrementare la possibilità di imbrigliare la Natura, assoggettandola ai bisogni degli uomini. Ma nel fare questo, si è messo a nudo il nulla che accompagna il continuo succedersi delle stagioni, facendo precipitare l'uomo moderno nell'angoscia esistenziale. Per qualcuno sarebbe illusorio anche pensare ad un rettilineo scorrere all'infinito del tempo, ponendo come condizione inevitabile, in assenza di un dio, che esso si ripieghi in un circolo che eternamente ritorna su se stesso. Dunque, l'uomo della tecnologia rischia continuamente di ritrovarsi solo, in balia del divenire, quindi del nulla, ed è pronto ad acquistare, a prezzi stracciati, surrogati di Natura paradisiaca .
Eppure sulle pendici del Vulcano, nel deserto di lava che Leopardi, straordinario filosofo e poeta, pone a simbolo di un paesaggio devastato da una Natura indifferente alle vicende umane, la ginestra indica ancora una possibile via di uscita: la solidarietà verso tutti gli esseri mortali, da considerare non più come semplici mezzi ma come fini. Purtroppo, un pensiero che affonda le radici nell'antica Grecia, in parte traslato dalle religioni che si rifanno alla tradizione giudaica, rafforzatosi nel 1600 con l'affermazione della scienza moderna, lega l'essenza dell'animalità esclusivamente agli istinti; gli uomini si distinguerebbero dunque dagli altri animali proprio perché ne sarebbero privi, essendo comunque i soli in grado di realizzarsi sulla base di una innata capacità tecnica.
Il darwinismo e le più recenti acquisizioni della scienze naturali hanno messo profondamente in discussione tale assunto che tuttavia costituisce ancora un modello di riferimento per molti saperi, soprattutto in ambito umanistico. In un testo del 1872, rimasto a lungo poco conosciuto, dal titolo L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali Darwin mostra di avere intuito come in molti mammiferi, e in particolare tra i primati, nel modellamento dei volti, nella profondità degli sguardi, nelle pieghe della bocca, nella postura dei corpi, è possibile cogliere una miriade di segnali concatenati che parlano di un comune sentire che affonda le basi nelle porzioni più nascoste delle menti, anche di quelle umane.
La capacità di percepire gli stati d'animo altrui e in qualche modo di sovraccaricarsi di ansie, trepidazioni, sentimenti che una tale empatia comporta, non sarebbe di esclusivo appannaggio delle genti umane, ma ampiamente presente in altri animali, in particolare tra le scimmie antropomorfe. Questa imbarazzante constatazione contrasta con la tendenza abbastanza diffusa di ridicolizzare tali animali, riducendoli a macchiette da circo, vittime di un destino che li ha voluti somiglianti agli uomini ma che si desidererebbe ridurli ad un loro semplice simulacro. Eppure ancora più che dalla ginestra che alberga alle pendici del Vesuvio, la specie degli Homo sapiens, unica sopravvissuta tra i vari ominidi, potrebbe riscoprire la naturalità che tutti accomuna, al di là dei costrutti tecnologici, semplicemente soffermandosi ad osservare le espressioni dei volti di un gorilla, di uno scimpanzé o di un bonobo!
In una società tecnologica l'incidente, anche quello a cui si può assistere guidando un auto, rappresenta il momentaneo frammentarsi di uno scenario di efficienza. Di fronte ad un lenzuolo che copre alla vista una vita che se ne è andata, una sensazione di panico subitaneo, percorre i corpi. È come se si percepisse per un attimo l'idea di essere tutti in balia di un enorme mostro tentacolare, che dispone a suo piacimento delle nostre vite, di un dio risorto, molto più violento e possessivo di quelli prima conosciuti.
Si tratta fortunatamente di sensazioni passeggere ma che pure possono risvegliare la consapevolezza che il progredire della tecnica può avere senso solo se non schiaccia i sentimenti, se non distrugge l'afflato di solidarietà che alberga nelle menti. Eppure, neanche tutto ciò sarebbe sufficiente se non si mettesse in discussione una visione antropocentrica della Natura, troppo spesso intesa come semplice ricettacolo delle necessità umane e non come complesso contenitore dei bisogni degli organismi viventi.
Il conferimento di un criterio di giudizio ai nostri atti, basato sull'intenzione che li ha determinati, non è più in grado di tenere in giusta considerazione la complessità delle loro conseguenze in un sistema ambientale sottoposto a manipolazioni indotte da apparati altamente tecnologici. Molte sono le figure professionali che, nell'esercizio della loro funzione, possono rendersi responsabili di disastri naturali in quanto dispongono di strumenti di impatto ambientale molto più dirompenti di quelli del passato.
Andrebbe allora affermato anche il principio della responsabilità. Esso presuppone che tutti debbano essere consapevoli e quindi rispondere dei danni ambientali che il proprio agire può determinare nell'esercizio della specifica funzione svolta. Tuttavia, una società tecnologica schiaccia i soggetti sulla funzione che esercitano, deresponsabilizzandoli e rendendoli incapaci di cogliere a pieno il significato anche etico del loro operare. Una cultura frammentata e parcellizzata fa da puntello a tale contesto, rendendo tutto più fumoso e difficile.
Si propone dunque l'esigenza di sapere ancorare il vivere tecnologico e l'angoscia che lo accompagna, legata alla consapevolezza dell'inevitabile succedersi del tempo che tutto annienta, alla capacità di cogliere l'attimo fuggente attraverso quel sentimento solidale che ci alberga e ci rende partecipi della Natura.
Al grande Poeta bastava una ginestra o una siepe per recuperare l'immensità di un tale sentire. Alla maggior parte dell'umanità una simile percezione potrebbe derivare dalla osservazione non fugace di esseri viventi, filogeneticamente più vicini, come gli altri primati, riuscendo magari a catturare l'espressione talora perplessa che emana dal loro sguardo. Ma ancora per quanto tutto ciò è possibile? Fra qualche decennio di tali animali potrebbero rimanere le antiche sembianze in qualche museo di zoologia o in una enciclopedia superpatinata!
Dei bambini si impegnano a tirare su un castello di sabbia al limitare del battere delle onde. Bastano poche elementari nozioni tecniche per erigere le mura, puntellare le torri, delineare il fossato. E quando il sole accenna ad immergersi all'orizzonte, l'opera è finita, enorme ai loro occhi e in grado di soddisfarli della fatica impiegata. Poi con la notte, l'alta marea tutto travolge e domani le stesse mani o altre saranno lieti di ricominciare nuovamente l'impresa. È difficile per un adulto cogliere la gioia che si prova nel costruire un'opera dall'effimera esistenza eppure essa sarebbe preferibile all'illusione del faraone che intende sfidare il tempo ma che ad esso, inevitabilmente, soccombono le sue piramidi.

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si suggeriscono le seguenti indicazioni bibliografiche    libri

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