33. Bioculture:
Di fronte ad una tazza di tè

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Nelle giornate fredde e piovose dà piacevolezza ritrovarsi, al chiuso, intorno ad un tavolo, fosse anche il bancone di un bar, avendo davanti a sé una bevanda calda. Prima ancora di assaporarne il gusto, il poter afferrare la tazza tra le mani, quasi a volere impedire che il tepore che emana da essa vada perso, è una condizione che predispone benevolmente a sorseggiare la gustosa bevanda. Poi, quando di essa non rimane traccia se non nell’alone che irregolarmente tappezza l’interno della tazza, in maniera quasi distratta la si ripone sul tavolo, avendo riacquistato, per chi la ha utilizzata, il ruolo di un semplice contenitore. Eppure la tazza con cui si sorseggia il tè, o la tazzina che viene usata per gustare il caffè, così come i tanti altri oggetti della vita quotidiana, veicolano spesso una molteplicità di messaggi destinati a catturare la mente dei potenziali utilizzatori.

Dawkins       Krebs       Cronin

La loro forma, innanzi tutto, rimanda ad uno specifico utilizzo a cui, chi li ha modellati, ha voluto destinarli. Nel caso di una tazza essa rappresenta la forma ottimizzata di un oggetto che deve soddisfare, per essere funzionale, alcuni requisiti fisici: avere un fondo piatto per non rovesciarsi, un manico per potere essere meglio afferrata, un bordo arrotondato, modellato per essere adagiato alle labbra. Se si ipotizza che la creazione della tazza, così come di tanti altri prodotti delle attività umane, ha conferito un vantaggio al suo antico ideatore, nel senso che ne ha significativamente migliorato la qualità della vita incidendo sulla sua fitness, tale oggetto può essere considerato la risultante di un adattamento, una sorta di fenotipo esteso dei geni presenti nel corpo del suo artefice. Con questo non deve intendersi che esistono geni specifici indirizzati alla costruzione di ogni possibile oggetto. Nel caso specifico, non alberga nel DNA umano il gene responsabile della costruzione della tazza, ma sono presenti un insieme di geni quali quelli che hanno guidato lo sviluppo della mano rendendola adatta a modellare l’argilla, che hanno conferito alla mente l’idoneità di raffigurarsi gli oggetti prima della loro realizzazione, che hanno dotato gli uomini di linguaggi simbolici idonei a potere scambiarsi informazioni sul modo di progettare oggetti funzionali al loro utilizzo.
Se un primate non umano, sia un gibbone o un cebo o un macaco, dispone di una ciotola o di una tazza non c’è da stupirsi se, dopo poco, le possa impiegare proprio per l’uso per cui sono state progettate dall’uomo. Quando alle scimmie del Parco dell’Abatino sono stati dati, come alimento, delle noci di cocco, nei giorni successivi è stato osservato che alcune di esse ne utilizzavano i gusci per prelevare l’acqua da un ampio contenitore, trasportarla con attenzione senza farla traboccare in un angolo della voliera e quindi sorseggiarla con grande soddisfazione. In genere, non si osserva comunque da parte degli animali una capacità di modellare in modo flessibile gli oggetti in funzione del loro possibile impiego. Le tane subacquee costruite dai castori intrecciando rami di differente foggia e spessore, gli alveari delle api e le complesse abitazioni delle formiche, le innumerevoli forme di nidi di uccelli, pesci e di tanti insetti possono essere considerati fenotipi estesi dell’attività dei geni presenti nei corpi di tali animali, la risultante cioè dell’espletarsi, nel tempo evolutivo, di processi selettivi naturali e di contingenze connesse alla variabilità ambientale. Tali manufatti tuttavia si determinano secondo il modello di una ricetta più che di un progetto: ogni momento della loro realizzazione è condizionato rigidamente da quello precedente ed è fortemente vincolato nella sua esecuzione, senza avere a monte un’idea precostituita di ciò che si va realizzando. Un progetto, al contrario, fa continuo riferimento ad una rappresentazione simbolica dell’oggetto e rende possibile interventi di modifica o di adeguamento in ogni fase della realizzazione. Tra gli animali sono state descritte situazioni in cui gli scimpanzé adattano la lunghezza di un fuscello alla possibilità di infilarlo nelle fessure di un termitaio o usano delle scale per raggiungere una risorsa, per esempio delle banane altrimenti inaccessibili. Tra i fringuelli delle Galapagos sono stati osservati soggetti che, aiutandosi con becco e zampe, si riforniscono regolarmente di spine di cactus da utilizzare per estrarre larve di insetti da vecchi tronchi.
Per gli uomini la possibilità di disporre di un ricco linguaggio, simbolico e articolato, ha permesso la trasmissione, per via culturale, delle nozioni necessarie per costruire svariati oggetti in funzione dei loro diversi impieghi. Tali oggetti, d’altronde, possono racchiudere significati che si aggiungono e talora esulano dal loro immediato impiego, in genere legato alla soddisfazione di un bisogno. La loro comprensione, cioè, non si esaurisce nella forma ottimizzata e standardizzata che mira ad assicurare il loro migliore utilizzo. Se così fosse, dovremmo rassegnarci a vivere in un artefatto di realtà in cui gli oggetti realizzati finirebbero per essere, per ciascuna tipologia considerata, monotonamente simili. Al contrario, il mondo è pervaso da manufatti umani fortemente arricchiti di elementi che si potrebbe definire di contorno, che non sono esplicitabili tra gli elementi funzionali degli oggetti stessi. Per riferirsi all’esempio delle tazze da tè, pur restando all’interno dei vincoli di forma, dettati dal buon senso e legati alla funzione che devono svolgere (essere cioè i contenitori di una bevanda calda e rendere possibile sorseggiarla senza scottarsi) esse si presentano spesso arricchite di decorazioni, possono avere una forma slanciata o tozza, essere cilindriche o prismatiche, bianche o colorate. Si tratta di elementi che in genere non sono il frutto di contingenze o di casualità, ma che trovano spiegazione sul piano del buon gusto, cioè sono espressione anch’essi di un fenotipo esteso di geni presenti nel corpo dei loro progettisti a cui hanno conferito un vantaggio in termini di fitness. Anche in questo caso non si deve fare riferimento a geni specifici per ogni determinato decoro, ma ad una attitudine ad abbellire un oggetto, a renderlo appetibile sul piano dei possibili doni nuziali, a soddisfare un’esigenza di tipo estetico. In tale ambito non vengono ricercate soluzioni funzionali all’utilizzo dell’oggetto, in quanto predomina la voglia di arricchirlo di elementi estemporanei e stravaganti, tali da destare stupore e meraviglia. Si può ritenere che alla base di questa sovrabbondanza di contenuti espressivi vi sia un’esigenza di tipo commerciale, il desiderio cioè da parte del costruttore di vendere più facilmente l’oggetto per ricavarne un utile. Al di là di questi aspetti sovrastrutturali rimane tuttavia il fatto che quel determinato oggetto va veicolando informazioni traducibili sul palcoscenico delle vicende connesse, per qualche verso, con la selezione sessuale.
Sorseggiare un caffè in un usuale locale di una monotona periferia metropolitana ha ben altra valenza di quella che si ha trovandosi, all’ora del tè, di fronte ad una tavola mirabilmente apparecchiata, affollata di dolciumi che si affacciano da ceste addobbate con nastri e centrini, tra posate lucenti e tazze raffinate, secondo una ben celebrata iconografia di tradizione anglosassone. In questo caso, ogni oggetto è disposto nell’ambiente secondo un gusto estetico e un evidente desiderio di esibire il proprio status. Lo spreco è elemento costitutivo e l’assaporare la calda bevanda diventa quasi un episodio aggiuntivo nel momento in cui padroni di casa e ospiti sono impegnati ad attuare una sorta di lek [in etologia: luogo dove i maschi si riuniscono per attrarre le femmine con canti, danze e ornamenti] a dimensione umana: ognuno è deliziosamente intento ad esibire la propria fitness attraverso l’uso di un linguaggio forbito, la gestualità gentile e delicata e soprattutto, e questo vale per i padroni di casa, l’esibizione di oggetti che in qualche modo devono suscitare ammirazione verso chi li possiede, rivelando la propria condizione di status.
L’esibizione di oggetti con una tale finalità non è estraneo al mondo animale. Un caso ben documentato è quello degli uccelli giardinieri, presenti in Australia e Nuova Zelanda. I maschi adornano il loro giardino di casa con oggetti trovati nell’ambiente naturale, come rametti, semi colorati, fiori, piume, muschio o quanto altro possa suscitare attenzione perché brillante, particolarmente colorato, curioso. Si conoscono diciotto specie di uccelli giardinieri e ciascuna di esse ha un modo caratteristico di predisporre il proprio giardino. L’opera è realizzata esclusivamente dai maschi e può raggiungere dimensioni notevoli, con un’altezza fino a tre metri da terra. Tali costruzioni, una volta completate, vengono visitate dalle femmine che scelgono in genere le opere realizzate con maggiore precisione, ben simmetriche e arricchite di decori. I maschi utilizzano il cosiddetto pennello da nido, un insieme di foglie tenute col becco ed imbevute di un rigurgito di bacche, densamente colorate, per abbellire le pareti dei loro giardini. Una volta che la femmina ha esercitato la scelta, concedendo i favori all’artista per lei migliore, si allontana e pensa da sola a costruirsi un piccolo e tradizionale nido in cui deporre le uova ed allevare i piccoli, senza alcun aiuto da parte del compagno, troppo intento alla manutenzione ed alla guardia del suo giardino, soprattutto nei confronti di altri maschi sempre pronti a rubargli i pezzi migliori della collezione. Le costruzione degli uccelli giardinieri possono essere considerati dei fenotipi estesi dei geni presenti nei corpi dei loro costruttori, oggetti artistici cioè realizzati sotto la spinta della selezione sessuale al fine di esplicitare la loro fitness.
Anche gli oggetti prodotti dagli uomini sono esposti al fatto di essere continuamente invasi dagli indicatori di fitness. Spesso costruiti per corrispondere al soddisfacimento di un bisogno connesso alla sopravvivenza, si ritrovano invasi da elementi sovrabbondanti che rimandano al desiderio di stupire e di meravigliare, di essere in qualche modo oggetti d’arte. Con l’avvento massiccio dell’innovazione tecnologica nei processi produttivi, gli oggetti si mostrano ottimizzati nella loro realizzazione; di essi è possibile ormai programmare illimitate riproduzioni in maniera quasi esente da imperfezioni. Per tale verso tuttavia si è svilito il talento dell’artigiano, capace di esternare la propria fitness nell’abilità di produrre l’oggetto curandone i particolari secondo un piano di perfette simmetrie. L’oggetto stesso, in una società globale e consumistica, è oggi di più complessa lettura in quanto può essere il contenitore di indicatori che fanno riferimento al solo valore di mercato, indipendentemente dal soggetto, cioè dalla macchina che lo ha prodotto. Il senso estetico di tipo popolare, a cui è stata sottratta la possibilità di cogliere nelle cose prodotte i fenotipi estesi dei loro artigiani, rispecchia un processo di impoverimento culturale. In genere si entra in possesso di manufatti che sono stati privati di quella dimensione estetica governata dalla selezione sessuale. Permane tuttavia ancora in molti il desiderio di opere fatte a mano, non scevre da imperfezioni, non perfettamente modellate, fondamentalmente diverse una dall’altra, anche quando fanno parte di uno stesso complesso di oggetti come un servizio di posate o di tazze da tè.
Il gusto della diversità anche quando si esprime nella scelta di ornamentazioni approssimative, di asimmetrie fantasiose o di finiture irregolari fa sperare che la selezione sessuale stia continuando ad arricchirci della sua opera impedendoci di naufragare in una desolata landa di oggetti perfetti, ma privi di anima.

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

Richard Dawkins, Il fenotipo esteso: il gene come unità di selezione, Bologna. Zanichelli Editore, 1990, pp. 374 [fuori commercio, rinvio a edizione americana: Extended Phenotype: The Gene As the Unit of Selection, W.H. Freeman & Company, 1982]
J.R. Krebbs e N.B. Davies, Ecologia e comportamento animale, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 483
H. Cronin, Il pavone e la formica: selezione sessuale ed altruismo da Darwin a oggi, Milano, il Saggiatore, 1995, pp. 560 [fuori commercio, invio a edizione americana: The Ant and the Peacock: Altruism and Sexual Selection from Darwin to Today, Cambridge University Press, 1991]

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