36. Bioculture:
Uno sguardo verso il basso

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Quando i primi astronauti poggiarono i piedi sul suolo lunare parve a molti che si fosse all'inizio di una nuova era, capace di soddisfare il desiderio, covato da millenni, di proiettarsi in spazi interplanetari, forieri di mondi ancora sconosciuti, fantasticamente ostili o benevolmente accoglienti, miraggi evanescenti di un sofferto bisogno di evasione da una realtà troppo pesantemente scandita dal ritmo del tempo, luogo lacerato senza soluzione di continuità da una incontrollabile appropriazione di risorse, accumulate in milioni di anni e ora bruciate a ritmi insostenibili.

Guida         McGavin

Ripensando a quel paesaggio lunare, sovvengono le orme degli astronauti che si stagliavano su un terreno arido, polveroso, asettico, incolore. Nelle zolle di suolo lunare, allora prelevate, non si trovò traccia di vita, esse si mostrarono soltanto come un accumulo amorfo di polvere erosa. Al contrario, in un pugno di suolo raccolto in una qualsiasi parte della Terra, difficilmente si mancherà di osservare un guizzo, un sentore di movimento, un colore particolare emergente dal grigio spessore della zolla, insomma una distinta presenza di vita.

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Ma chi sono gli oscuri abitanti di un mondo abitualmente calpestato, talora ricoperto da uno strato di bitume, da una colata di cemento o da una montagna di rifiuti, spesso messo a soqquadro da macchine che spianano, spiantano, vangano? Si tratta di un numero straordinario di minuscoli organismi che trovano risorse nello strato relativamente sottile che riveste la crosta terrestre e che è frutto del continuo accumulo di residui organici in lenta decomposizione.

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Il Sole brucia e parte della sua energia viene catturata dalle piante e utilizzata per legare molecole semplici, dando luogo a composti organici complessi, fonte insostituibile di energia per tutti gli organismi che sono incapaci di svolgere la fotosintesi clorofilliana. Dalle reti trofiche che ne derivano fuoriescono continuamente i prodotti organici non immediatamente consumati o non assimilati, come residui alimentari, foglie marcescenti, deiezioni, corpi morti, tutti destinati ad alimentare la lettiera e gli strati umidi della superficie terrestre.

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Una tavola così riccamente imbandita ospita una ricca messe di commensali, distribuiti in ruoli che spesso sono funzionali al più efficiente sfruttamento di questa risorsa. Gli organismi che realizzano in tali ambienti, per intero o per una porzione significativa di tempo, il ciclo vitale fanno parte della pedofauna o fauna edafica (dal greco pedon: terreno ed edafos: suolo); la selezione naturale li ha adattati alle condizioni del tutto particolari ivi presenti. Per lo più, gli organismi che ne fanno parte mostrano caratteri morfologici convergenti e specifici, correlabili allo strato del suolo da essi colonizzato. Si hanno animali epiedafici, che ne frequentano gli strati più superficiali, emiedafici che tendono ad approfondirsi nel terreno e euedafici che vivono permanentemente negli strati mai raggiunti dalla luce.

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Una comunità edafica è costituita dalle interazioni funzionali che un insieme di individui, appartenenti a specie diverse, instaura nel momento in cui occupa una determinata porzione di suolo. Tale presenza può realizzarsi anche in maniera discontinua, come può accadere per una popolazione di ragni e una di acari: solo in determinati momenti essi si incontreranno, mentre per gran parte del tempo la prima sarà attenta ad esplorare un territorio più ampio, mentre la seconda non si sposterà di molto dall'area da essa abitualmente occupata.

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Tra gli abitanti del suolo i microartropodi, con una dimensione in genere compresa tra 0,2 e 2 mm, costituiscono una componente importante, frutto di una radiazione adattativa, che rimanda ad antichi progenitori, probabilmente anellidi arcaici. Ad essi maggiormente si richiamano i miriapodi, di cui fanno parte i chilopodi, i diplopodi, i pauropodi e i sinfili; in tutti questi organismi al capo fa seguito una quantità variabile di segmenti simili, tutti muniti di un paio di arti. Di aspetto vermiforme, sorprendono per le numerose zampette di cui sono dotati: i diplopodi, addirittura, ne possiedono due paia per ogni segmento e ad osservali si rimane stupiti dalla sincronizzazione con cui vengono impiegati nel movimento. Quanto ai pauropodi, essi risultano praticamente invisibili ad occhio nudo e sono riconoscibili per le minuscole antenne ramificate che si dipartono dal capo come fluenti corna di cervo.

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In genere, le forme che frequentano gli strati del suolo normalmente non raggiunti dalla luce hanno colorazioni evanescenti, quasi fossero avvolte in una delicata trama di seta trasparente che lascia intravedere le delicate fattezze dei corpi. Tra gli insetti anche i dipluri ed i proturi presentano simili trasparenze; in particolare i primi possono vantare splendide antenne che si dipartono dal capo come eteree collane fatte di tante minuscole sfere; i secondi sono riconoscibili per il modo particolare di porre le loro zampette anteriori, tutte protese in avanti come capita al campione di nuoto nell'atto di tuffarsi in acqua. Sempre tra gli insetti, tutti caratterizzati da un corpo suddivisibile in tre regioni distinte, il capo, il torace e l'addome, numerosi sono quelli che popolano il sottosuolo sia da adulti sia soltanto nello stadio larvale, come i coleotteri, le formiche, i ditteri o gli emitteri. Tra di essi un'attenzione particolare meritano i collemboli, insetti senza ali, dalle origini antichissime, generalmente dotati di un'appendice addominale del tutto particolare, la furca, grazie alla quale sono in grado di compiere salti pari a venti volte la dimensione del loro corpo. Possono presentare colorazione diversissime che vanno dal nero seppia al verde brillante, dal giallo ocra al lilla acceso, contrastati dal colore delle zampe talora bianche, rosa, arancio in una molteplicità di combinazioni accompagnate spesso da punteggiature, striature, macchie; gli occhi ocellati sono in genere tondi, densamente colorati di rosso, di marrone o di nero, stagliandosi ai lati del capo come capocchie di spillo. Può capitare che sottili setole si allunghino, singole o a ciuffi, dalla superficie del loro corpo, in altri casi quest'ultimo appare come rivestito da un delicato velluto arricchito di orpelli che vogliono stupire ma nascondono spesso sostanze urticanti, utili alla difesa.

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Una presenza ugualmente significativa tra la mesofauna del suolo è data dagli acari, che con i ragni, condividono la caratteristica di presentare due regioni corporee, il prosoma e l'opistosoma. Dotati di quatto zampe, due cheliceri e due pedipalpi sono diffusissimi nel suolo, adattandosi alle condizioni differenti ivi presenti. Osservandoli allo stereoscopio, si rimane stupiti dalle dense colorazioni di cui alcuni di loro sono profusi; talora il nero del corpo contrasta con il rosso mattone degli arti, altre volte è il giallo intenso che primeggia sul nero delle zampe, ma non mancano gradazioni che vanno dal rosso arancio al viola, dal marrone lucente al verde muschio.

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Una così ampia varietà di forme cromatiche rimanda a una rincorsa all'esibizione della fitness, pilotata dalla scelta del partner, elemento cruciale nei corteggiamenti anticipatori dell'accoppiamento che in tali organismi avviene in genere per trasferimento diretto del liquido seminale da un sesso all'altro.
L'adattamento a vivere negli strati del suolo non raggiunti dalla luce, ha tuttavia determinato in altre specie di microartropodi la tendenza a sviluppare caratteri morfologici convergenti e specifici quali la riduzione o l'assenza di occhi, una forma del corpo affusolata, appendici corte e compatte, pelle o cuticola con ridotta capacità di ritenzione dell'acqua, assenza di idrofobia. Una tale strategia di sopravvivenza ha inoltre comportato una tendenza a favorire la riproduzione senza accoppiamento diretto, col maschio che depone una capsula spermatica nel terreno e la femmina che se ne impossessa quando le capita di passarle accanto, spesso attratta da particolari sostanze odorose.

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In una distribuzione accorta dei costi e dei benefici, in tali organismi, per effetto di processi selettivi, in genere le colorazioni si sono attenuate assumendo tonalità diafane, permettendo per tale via di allocare in altri comparti fisiologici le risorse energetiche prima così generosamente investite. La selezione naturale, non più intenta a controllare le estrose manifestazioni dei caratteri sessuali, ha dilagato omogeneizzando e ottimizzando le comunità euedafiche che si sono ricostruite nelle oscurità dei suoli o negli angoli bui delle caverne. La loro stessa sessualità può apparire alquanto semplificata anche per la ricomparsa di forme partenogenetiche. In alcuni casi, peraltro, si osserva una riduzione di alcuni apparati come quello ottico, con perdita anche completa delle capacità visive o quello di locomozione, con una maggiore tendenza alla sedentarietà. Si tratta quindi di processi evolutivi associati a profonde modificazioni fisiologiche che si sono realizzate sotto la spinta esercitata dalla selezione naturale da una parte e dall'attenuarsi di quella sessuale dall'altra.

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Un ambiente sufficientemente uniforme come quello rappresentato dal sottosuolo, meno soggetto a subire oscillazioni di ordine naturale, come sbalzi di temperatura o variazioni di luminosità, spinge gli organismi che vi si adattano ad una maggiore omogeneità. Questo, tuttavia, li rende particolarmente sensibili a bruschi cambiamenti ambientali come quelli che possono provocare le attività umane quando assoggettano i suoli alle loro esigenze. Ne deriva che tali organismi, per le eccessive specializzazioni a cui sono andati incontro, appaiono dei buoni indicatori della qualità dei suoli, attestata dalla loro stessa presenza in quanto, sottoposti a perturbazioni del loro ambiente, saranno i primi a scomparire o a subire drastiche riduzioni.

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Un mondo eterogeneo, spesso invisibile a occhio nudo, dunque, vive e s'agita e si riproduce praticamente sotto i nostri piedi; si tratta di numeri consistenti. Limitandosi soltanto ai microartropodi è stato calcolato che in un solo metro quadro di suolo forestale, ma in parte vale la stessa cosa per un suolo di prateria, albergano dai cento ai trecentomila acari, circa millecinquecento sinfili, trecento diplopodi, cento chilopodi, duecentomila collemboli, fino a mille coleotteri, milleduecento larve di ditteri. Tali numeri approssimativi variano in funzione non solo del tipo di suolo ma anche della temperatura, della latitudine o dell'altitudine del luogo. Tutti questi organismi intrecciano, comunque, complesse relazioni trofiche nell'ambito delle comunità di appartenenza, esercitando alcuni il ruolo di pascolatori, altri svolgendo la professione di predatori, molti nutrendosi di detriti e di organismi in disfacimento.

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Una ricchissima presenza di diversità biologiche caratterizza dunque il suolo; una estesa varietà di organismi vi percorre il proprio tempo biologico a guisa di un imponente fiume di vita sotterranea che lentamente scorre, inavvertito e inosservato. Può così succedere che, trovandoci all'aperto, in una serata limpida, intenti a rivolgere lo sguardo verso l'alto, alle infinite profondità di un cielo stellato, si rimanga estasiati da tanta abbondanza di corpi luminosi, ignorando tuttavia del tutto quello che nel frattempo, silenzioso, si muove, s'agita, pulsa di vita in basso, nel suolo che fa da puntello ai nostri corpi.

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