8. Bioculture:
Tra selvatico e domestico

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Le prolungate ore di luce, le temperature miti, talora una brezza sottile fanno da cornice alla stagione che si caratterizza per il rifiorire della vegetazione: nel giro di pochi giorni i paesaggi si trasformano, mostrando un mosaico di tonalità di colori che fanno da richiamo ad una moltitudine di operosi commensali. In un viale alberato che costeggia mura medioevali, enormi platani protendono al cielo, ancora spogli, i loro rami monchi, quali giganti a cui le necessità umane hanno tolto la dignità del loro portamento maestoso; forse la pietà non è sentimento che possa essere destinato a delle piante, eppure un senso di mortificazione ti invade se trovi il tempo di trattenere su di esse lo sguardo.

Mainardi Clutton Morris

Speri allora che altrove, lontano dagli affollati percorsi cittadini, comunità arboree si contrastino liberamente per la conquista dei siti migliori, ma un gruppo di muli nella piccola radura, a ridosso del bosco, ti rendono edotto che anche lì ferve l'opera dell'uomo, e i paesaggi si modellano a misura delle sue necessità. Percorri il sentiero che si inerpica per la montagna e hai la sensazione che al tuo passaggio un velo di silenzio innaturale ti avvolga; ti senti osservato ma, per quanto tu possa cercare di carpire un segnale, le uniche presenze che si rendono manifeste sono sciami di moscerini che volteggiano alla luce che filtra nel fitto della boscaglia. Vari elementi di naturalità caratterizzano il paesaggio che, benché governato dall'uomo, come si rileva dal sentiero che lo attraversa, mantiene un aspetto selvatico. Qui le attività umane non sembrano aver sollevato la selezione naturale dal suo ruolo centrale di governo dei processi biologici; una storia di caccia e di sfruttamento secolari hanno insegnato agli animali selvatici del luogo a sottrarsi alla vista dell'uomo; una strategia evolutivamente stabile si è affermata, codificando nel materiale genetico comportamenti di diffidenza e di timore nei suoi confronti.
Questo non successe al dodo, i cui antichi progenitori, appartenenti alla famiglia dei columbidi, si erano insediati nelle isole Maurizio nel lontano passato; in assenza di predatori essi avevano evoluto l'inettitudine al volo ed un carattere estremamente mite che incautamente li portava a non provare diffidenza per le altre specie. Quando, nel sedicesimo secolo, i marinai olandesi utilizzarono l'isola per le loro traversate nell'Oceano Indiano, non ebbero nessuna difficoltà ad ucciderli a bastonate, mentre essi si facevano avvicinare senza timore. La selezione naturale non ebbe il tempo di attrezzarli di una nuova strategia evolutiva che sostituisse alla fiducia verso il prossimo la regola di scappare alla vista degli estranei. Il dodo si estinse nell'arco di pochi anni ed il suo ricordo ci è trasmesso dalle stampe dell'epoca o, a chi capita di visitare la Grande Gallerie de l'Evolution a Parigi, dall'esemplare imbalsamato che fa mostra di sé in una spettrale sala dedicata alle specie che si sono estinte in tempi recenti.
Gli animali selvatici, forgiati dalla selezione naturale ed abbelliti da quella sessuale, in genere si caratterizzano per una innata diffidenza verso l'uomo, alla cui vista si sottraggono lasciando di essi traccia in qualche cespuglio spezzato o in orme sfuggenti. Si è cercato di porre rimedio alla perdita continua di popolazioni selvatiche attraverso l'istituzione di zone protette, di riserve e di parchi, ma per quanto tali aree possano essere ampie finiscono per diventare delle isole di habitat, circondate da un mare di terre soggette ad agricoltura o ad allevamenti intensivi. All'interno di questi stessi spazi il più delle volte non si riesce a garantire sicurezza agli animali che sono all'attenzione di bracconieri senza scrupoli. In Africa le popolazioni di rinoceronti che, intorno al 1980, si erano attestati sui diecimila esemplari, hanno incrementato recentemente il loro numero di altre cinquemila unità grazie ad una severa attività di prevenzione e repressione del bracconaggio. Si tratta comunque di risultati significativi ma ancora modesti, se si considera che all'inizio della colonizzazione europea il numero dei rinoceronti superava il milione. Nello stesso arco di tempo è stato soppresso l'80% degli elefanti. Analoghe considerazioni possono essere fatte per tantissime altre specie animali e vegetali.
Parallelamente alla scomparsa o alla rarefazione della fauna selvatica si è andato registrando col tempo un incremento di quella domestica, cioè di specie sottoposte ad un'attività di selezione governata dall'uomo, che ha determinato in esse profonde trasformazioni rispetto alle originarie forme selvatiche. La domesticazione è il frutto di una successione di tappe medianti le quali generazioni di animali e di piante, inizialmente selezionate per specifici caratteri, sono state gradualmente assorbite dalle società umane, venendo sempre più utilizzate e finendo col perdere ogni contatto con le relative popolazioni selvatiche ancestrali.
Sotto l'aspetto della ricostruzione storica la domesticazione è potuta iniziare con una sorta di collaborazione tra l'uomo e alcuni esemplari di animali selvatici, come probabilmente il lupo, che si sono volontariamente associati all'uomo nelle sue attività di caccia o di ricerca del cibo, modificando nel tempo la loro cultura originaria e accettando quella imposta dagli uomini, che hanno per essi assunto il ruolo di membri anziani. In altri casi, la domesticazione è stata il frutto di un'intensa attività selettiva nei confronti di alcune specie animali e vegetali che, essendosi fortemente rarefatte per un eccesso di prelievo, venivano allevate per averle garantite come risorsa. In entrambi le situazioni il processo biologico della domesticazione ha comportato che gruppi ristretti di animali o piante venissero prelevati dalle loro popolazioni di appartenenza per dare luogo a molteplici nuclei fondatori di specie domestiche, sottoposte a controlli selettivi da parte delle popolazioni umane che di esse hanno rivendicato il possesso. Inizialmente, in seguito a tale processo, si deve essere determinato un incremento della diversità biologica, in quanto, sotto l'ombrello protettivo degli allevamenti in ambienti controllati, i soggetti addomesticati sfuggivano alla dura azione della selezione naturale, tendente a fare sopravvivere solo gli esemplari più adatti a ciascun contesto ambientale. Successivamente a questa prima fase gli uomini hanno cercato di fare meglio aderire le differenti specie selezionate a dei modelli, funzionali alle loro necessità. Si è allora avviata una semplificazione della diversità biologica intorno ad alcune razze pure, come possono essere al tempo d'oggi il cane pechinese, il radicchio di Chioggia, la pecora d'angora o il gatto balinese. Per quanto può essere riferito agli animali, inizialmente le domesticazioni hanno interessato solo pochi generi: nel continente euroasiatico furono resi domestici la pecora, la capra, il maiale, il bue, il cavallo, il cammello, lo yak, il bufalo indiano, il gauro e il bantereg; nell'America Settentrionale, all'arrivo degli spagnoli, i soli animali domestici erano rappresentati dal cane e dal tacchino; in Sud America erano allevati lama ed alpaca; in Africa l'asino, il gatto e la gallina faraona. In moltissimi altri casi i nostri antenati non hanno potuto rendere domestici, pur allevandoli ripetutamente, tanti altri animali come canguri o opossum, scimmie, antilopi o giraffe. Gli indiani d'America non sono riusciti ad addomesticare la capra delle montagne rocciose né alcun animale è stato reso domestico in Australia. Ciò non si è realizzato in quanto un animale selvatico può trasformarsi in domestico solo se possiede alcuni requisiti quale quello di fare parte di una specie che vive in branchi: gli individui subordinati devono saper assumere verso gli individui dominanti atteggiamenti di sottomissione che vengono successivamente trasferiti agli uomini. Inoltre, essi non devono essere molto timorosi e avere comportamenti gregari non territoriali, in maniera da sopportare il mantenimento in ambienti antropici.
Il processo che rende domestico un animale selvatico comporta sempre cambiamenti fisiologici che si possono realizzare, per effetto della selezione umana, anche nel giro di qualche generazione. Ciò avviene in quanto le popolazioni sottoposte a domesticazione si comportano come razze insulari separate dai progenitori continentali. La riorganizzazione genetica, guidata dall'uomo, determina cambiamenti evolutivi molto più rapidi di quelli che si osservano in popolazioni selvatiche, appartenenti ad un sistema continuo.
Altre specie, oltre a quella umana, esercitano la pratica dell'addomesticamento: il caso più conosciuto è quello di alcune formiche che attuano periodicamente delle razzie nei confronti di altri formicai, appropriandosi delle uova fecondate in essi custodite. Le nuove operaie che nasceranno da tali uova, inconsapevolmente, lavoreranno per i nuovi padroni appartenenti alla loro stessa specie (si tratta in tal caso di una forma di schiavismo, come nel genere Myrmecocystus) o a specie filogeneticamente vicine. Per quanto queste forme di allevamento possano essere diffuse tra varie specie animali, rimane accertato che è la specie umana quella che spinge maggiormente verso la più radicale domesticazione di molte forme viventi. Ma, se da una parte l'uomo estende ad intere comunità biologiche la sua capacità di condizionarne l'organizzazione e la possibilità di sopravvivenza anche come conseguenza delle perturbazioni ambientali da lui indotte, che hanno inciso profondamente sui paesaggi ecologici dell'intero pianeta, dall'altra, esercita su se stesso una parallela spinta verso un crescente assoggettamento a tecnologie complesse, frantumando le conoscenze e favorendo le culture specialistiche. Come la gallina ovaiola, grazie al ruolo che viene svolto dalle macchine incubatrici, ha potuto potenziare, per effetto della selezione umana, la vocazione a deporre uova, ma ha perso lo stimolo a covarle, così l'uomo, autoaddomesticatosi ad una società altamente tecnologica, migliora per certi aspetti la qualità della sua vita ma rischia di assoggettarsi ad un paesaggio tecnologico che diviene fortemente condizionante non solo per lui stesso ma per tutti gli organismi che vivono alla sua corte.
Recentemente una sonda spaziale ha attraversato l'atmosfera di Titano ed è forte l'attesa di conoscere quel mondo tanto diverso dal nostro, su cui il pianeta degli anelli proietta la sua incombente presenza. Ma, per quanto affascinante esso possa apparirci, non saprà riservarci i piaceri che solo la Terra ci distilla, se non altro perché l'abito "selvatico" di cui siamo ancora fatti ci è stato cucito addosso dalla selezione naturale nel corso di milioni di anni. Oggi esso è fatto di strappi e di qualche rattoppo. Se le generazioni future, a livello di villaggio globale, riusciranno a governare le sempre più complesse tecnologie in un quadro incondizionatamente rapportato ad una effettiva, completa e capillare condivisione democratica, allora selvatico e domestico potranno convivere, e si permetterà ai processi selettivi naturali di contribuire all'opera di ricucitura in maniera complementare e non contrapposta alle attività umane. In caso contrario i gelidi paesaggi di Titano alimenteranno la fantasia di coloro che vedono l'uomo esule in un paesaggio alieno.

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