10. Bioetica Donne & Scienza:
La post-modernità e l'uomo tecnologico
parte terza

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Questa terza rivoluzione (che io definirei tecnologica, a differenza di Anders che la chiama seconda rivoluzione industriale) viene descritta efficacemente nei suoi effetti sociali e culturali, come ho già detto, da Zygmut Bauman, e trova un divertente e acuto interprete in Baricco con I barbari. Se i due libri si leggono in successione è evidente il legame che li lega.

Baricco Bauman Durrenmatt

Siamo ora nel territorio della biopolitica, parola coniata da Foucault: ed è di questa che le forze politiche dovrebbero occuparsi con un minimo di avvedutezza.
È di questa che anche tutti noi dovremmo avere consapevolezza, per esprimere quel ceto politico che rappresenti adeguatamente la sfida che i nuovi assetti ci pongono.
Allora proviamo a dare alcuni suggerimenti su come elaborare un ragionamento che ci aiuti a cambiare rotta.

Qui bisogna urgentemente abbandonare l'equazione laicità = razionalità = scienza.

Troppo fortemente, i partiti democratici e riformisti si tengono ancora aggrappati al concetto della scienza come fonte di certezze e verità e tendono a contrapporre la razionalità alla fede.

Abbiamo spiegato come non sia più così, ma vogliamo aggiungere che avvalersi della scienza come fondamento della cultura laica può portare a pericolose semplificazioni.
I valori condivisi nascono da comuni e sofferte esperienze, storiche e quotidiane, di vita collettiva ed individuale. La razionalità scientifica può fornire, con i suoi elementi di conoscenza acquisita, dei riferimenti importanti alla valutazione del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, ma non può esaurire in sé le possibili risposte.
Storia, emozioni, saperi ed esperienze di natura diversa concorrono a formare il giudizio morale e a queste bisogna ispirarsi per immaginare un'etica possibile per la nostra epoca. Alcuni valori, parte integrante della storia dell'Occidente, vanno riaffermati nelle forme nuove che la società tecnologica richiede.
Basti pensare a come siano giornalmente sfidati il rispetto del corpo umano (habeas corpus), della persona data, della vita personale e privata, la stessa convivenza civile (e le sue declinazioni in termini di uguaglianza, solidarietà, libertà).
Limiti vanno necessariamente posti laddove tutti questi principi vengono violati e non resta difficile capire dove questo avvenga, quando si parla dell'invasività di pratiche biomediche in scelte del tutto personali e private, o quando si pensi alla subalternità a sistemi elettronici, il cui controllo completamente ci sfugge.

Ebbene, innanzitutto le due proposizioni non si equivalgono: la prima racchiude in sé ancora un concetto nobile di ampliamento del sapere, pur essendo ormai chiaro che la risoluzione in un progresso non sia necessariamente data.
Manca, infatti, una definizione condivisa di progresso: sono sempre di più coloro che pensano che esso non debba essere valutato solo in termini economici e materiali della qualità della vita. È a questo che fa esplicito riferimento la seconda equazione, laddove innovazione sta ad indicare produzione di nuovi prodotti o nuovi processi.
Innovare è il nuovo "must", indipendentemente da contesti socio-culturali, da possibilità reali di utilizzo partecipato, di miglioramento effettivo delle condizioni di vita e di relazione. Innovare è un termine che vive di se stesso, nessuno chiede da dove si parte e dove si vuole arrivare, se sia buono e giusto, se siamo pronti ad affrontarne le inevitabili ricadute, positive o negative che siano. Siamo di nuovo di fronte ad un'idea pericolosa delle coscienze intese come tabula rasa: ma crediamo realmente che il nostro corpo/mente possa reggere il nuovo tutto e subito?
Si apre allora il problema della subalternità alla tecnica che si presenta a noi attraverso le molteplici facce della società dei consumi. È proprio la tecnica che ha prodotto la novità della realtà virtuale che in molti casi, ha svuotato, di senso il reale e ha traslato significati, privandoli della loro essenza profonda. Il consumo di beni virtuali, come i reality show, in cui rientrano anche corpi e vite di gente comune, derubata della propria privacy, illustra bene questo aspetto. Ma altre forme più sofisticate di consumi etero-diretti e non controllabili, sono ormai oggetto di attenzione da parte di studiosi e analisti della società post moderna e spiegano molti degli aspetti di fragilità e inconsistenza degli individui.

Lo sfruttato del terzo millennio è il consumatore, privato di capacità decisionali, da una tecnica che anticipa e condiziona le scelte, che crea scenari immateriali in cui l'individuo crede di collocarsi liberamente, ma in cui rischia di essere catturato da soggetti od entità, non direttamente identificabili, che potranno usarlo a loro piacimento. La paura dell'ignoto, che ci spinge, come già avviene, a trovare capri espiatori nelle vittime di sempre, e specularmente l'aggressività che caratterizza ormai molti comportamenti, si originano proprio in quelle scelte/non-scelte che ci troviamo ad operare in ogni attimo della nostra esistenza, senza gli attrezzi necessari a capire cosa realmente stiamo facendo. La democrazia non può che ripartire dalla presa d'atto di questi pericoli e dall'acquisizione della consapevolezza che ciascuno può ancora riservarsi delle scelte, se evita di essere un passivo utente di ciò che gli viene offerto. I soggetti dunque del processo democratico sono coloro che insistono, come gli operai di una volta, nella volontà di prendersi i propri corpi e le proprie vite per gestirli con consapevolezza. La paura stessa si può superare ricostruendo legami sociali, ridefinendo il concetto di autonomia individuale, esaltando la definizione di questa nella relazione con l'altro.

C'è da sperare che nasca un altro grande teorico che, come K.Marx, sappia non solo interpretare quello che sta succedendo, ma che sappia anche sistematizzare i rapporti sociali e le relative implicazioni politiche, in modo tale che le vittime si riconoscano come tali e sappiano individuare i loro sfruttatori, perché è bene ricordare che i potenti sanno sempre fare il loro mestiere.
L'alternativa altrimenti è quella che già Gehlen, intravedeva e cioè la fine della civiltà occidentale. Sono in molti ormai a pensarlo, specie in questo confronto serrato e continuo con altre civiltà, la cui vitalità, non solo economica, ci surclassa alla grande.
Potremmo trovare qualcuno (o forse l'abbiamo già trovato?) come nello splendido testo di Dürrenmatt, Romolo il Grande, che acceleri questa fine, che altrimenti rischierebbe di essere lunga, di seminare molta sofferenza e di lasciare molte vittime sul campo.

Sul tema affrontato in questo articolo si può fare riferimento ai seguenti suggerimenti di lettura (oltre a quelli dei precedenti articoli):    libri

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