8. Bioetica Donne & Scienza:
La post-modernità e l'uomo tecnologico

Tornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggistica

Mounier            Gehlen

Il suo libro La paura dell'artificiale: progresso, catastrofe, angoscia apre uno squarcio inquietante su un tema che percorre la vita e la cultura contemporanee. Inquietante, perché anticipa con grande lucidità sia il tema dell'umanità che teme quello che essa stessa crea, sia quello del controllo della tecnica e della necessità di essere liberi rispetto ad essa, piuttosto che farsene subalterni. Il testo si rivela però non pessimista, perché rivendica all'autonomia e alla libertà, una capacità di saggezza anche di fronte alle esperienze più inedite. L'autore, cattolico, riconcilia cristianesimo e scienza, e la messa a tema di questa non-conflittualità suona sorprendente per chi, invece, si confronta oggi con pronunciamenti di condanna, drastici e restrittivi.

Egli scriveva nel 1949: "La crisi delle credenze è la conseguenza del crollo massiccio e quasi contemporaneo delle due grandi religioni del mondo moderno: il cristianesimo ed il razionalismo".

Non pensava certo che di questa crisi si sarebbe continuato a discutere sessanta anni dopo. La post-modernità ci mette a confronto con affannose ricerche di "credo" (si pensi a tutto il pensiero new-age) e ai deliri scientifici di onnipotenza.

La post-modernità si caratterizza per quel passaggio da una rivoluzione industriale, a cui abbiamo saputo dare senso e in cui ci siamo saputi orientare, anche se con riferimenti opposti, ad una rivoluzione che non sembra sedimentare, nelle sue continue innovazioni, un presente che ci consenta di riflettere ed accostumarci. Il futuro diventa immediatamente passato, e da qui deriva uno spaesamento che determina appunto l'angoscia ed il disagio a cui fa riferimento Mounier. L'essere, gettati nel mondo (usando l'efficace immagine di P. Ricoeur) fa sì che si stenti a vedere sponde di approdo: l'individuo, inghiottito dalla complessità del contemporaneo, si affida ad un pensiero debole, che chiede di rinunciare agli assunti forti del passato (peraltro difficilmente riproponibili). La secolarizzazione ha spostato concetti teologici sul terreno della laicità, l'individuo si riappropria del suo destino in una'immanenza che non lo aiuta a darsi una misura di sé e, quindi, determina la destrutturazione e l'implosione del soggetto stesso, come ha osservato Antonio Villani nel suo saggio, Le "chiavi" del post moderno: un dialogo a distanza.

Il tempo del progresso si trova ad essere demistificato nei suoi significati forti ed ineludibili e si trasforma in un accadere (secondo Vattimo). Le tradizioni non ci parlano più, anche se una loro rilettura critica ci può aiutare a costruire interpretazioni inedite dell'attualità. Resta la scienza, ad avere una radicalità nel reale, che però risulta difficile da cogliere (data la sua estrema specializzazione e la continua accelerazione della produzione di conoscenza). Non è un caso che sia così, visto che siamo chiamati a misurarci col virtuale e l'immateriale, anche sottoforma di beni di consumo. In tale contesto è necessaria una grande mobilità di relazione e una profonda trasformazione delle coscienze: le responsabilità delle scelte sono scaricate sui singoli individui, con la conseguenza di una de-sincronizzazione generalizzata, che rende impossibili le previsioni sul futuro.

Dopo aver accennato alla solitudine dell'individuo, ci risulta più chiaro capirne l'angoscia: la scienza e la tecnologia che avevano promesso benessere e delineato un percorso lineare verso un futuro migliore avevano, all'epoca di Mounier, offerto gli esempi terribili dell'uso dell'energia nucleare per la bomba atomica. Questo incubo ci ha accompagnati nei tempi della guerra fredda, e oggi risorge nell'ambito di dispotismi orientali. L'idea della catastrofe non ci è estranea. Al tempo stesso l'angoscia è alimentata dall'ineludibile distacco dalla natura, per artifici cha abitano ormai i nostri corpi, le nostre relazioni, i nostri paesaggi. Ma Mounier avverte che l'età della tecnica può essere vista anche in modo diverso: tutta la natura rimessa in questione, per essere sistemata in modo nuovo. Ciò però non avviene in modo pacifico A sistemarla in modo nuovo, infatti, sarà il linguaggio della tecnica che detronizza quello della grammatica. "Le scienze dell'uomo fanno emergere che un apparato tecnico è necessario anche nei processi della vita spirituale. Esiste smarrimento più grande di quello di un uomo che si rende conto che le parole da lui pronunciate, improvvisamente non si usano più, ma che non conosce ancora il linguaggio per continuare a farsi capire?"

Per inciso sarebbe utile riflettere anche sulla potenza metaforica di queste affermazioni!

Ecco che occorre qui introdurre un altro pensatore Arnold Gehlen che, in L'uomo nell'era della tecnica, sottolinea l'impossibilità dell'etica di confrontarsi con la tecnica, perché quando la prima si interroga la seconda è già oltre il limite. L'umanità che sperava di essere liberata dalla tecnica è oggi prigioniera di essa e la morale viene ridotta ad assumere il disperato ruolo di chi deve continuamente intralciare l'efficace, l'attuabile e il funzionale.

La tecnica non riesce a soddisfare il bisogno fondamentale di sicurezza dell'essere umano: "Siamo costretti ad una continua vigilanza, a perseverare in una specie di allarme cronico per verificare su un piano di controllo e su un piano etico il mondo circostante ed il nostro stesso agire, anzi ad improvvisare di ora in ora decisioni fondamentali. E tutto ciò entro uno scenario costituito da primi piani, sfondi, personaggi e parole d'ordine mobili e cangianti. In tali condizioni non si lascia più realizzare quel minimo indispensabile di equilibrata conformità di cui abbisogna ogni società umana; perciò la divergenza dei pareri pratici, tecnici, morali e razionali diviene tale da non consentire più la comprensione reciproca."

Tuttavia, secondo questo autore, staremmo vivendo un'epoca di transizione culturale su scala mondiale, che deriva da una cultura in declino, ma che lascia intravvedere, proprio a partire dalla solitudine dell'individuo, la possibilità di un'attenzione ai territori periferici dell'esistenza. E, forse, il mondo virtuale che ci offre la tecnica più recente, è meno costrittivo, anzi apparentemente può servire a sganciarci dai nostri corpi fatti di materia/identità, ed riavvicinarci a quell'essenza propriamente umana che è la coscienza.

I testi degli autori citati nell'articolo:    libri

Torna in biblioteca