La Pianura Russa e la Steppa
Aldo C. Marturano

Sin dal primo Medioevo la steppa e i suoi popoli ebbero un ruolo sconvolgente per tutta l'Europa sia sollecitando con i loro transiti lo sfaldamento dell’Impero Romano sia perché incrementarono in modo mai sognato le comunicazioni con l'Asia Centrale. I “transiti” di cui parliamo qui sono le famigerate Invasioni Barbariche che però nella storiografia tedesca, Völkerwanderungen, e nella russa, Pieriesieliènia Naròdov, sono più opportunamente delle trasmigrazioni. E in realtà non erano eventi improvvisi o inaspettati, ma un fluire antico di varia umanità, d’idee e di visioni del mondo che da secoli si rimescolavano nelle stirpi invecchiate per formare popoli nuovi e più ricchi culturalmente. Certo! Ci furono spesso scontri sanguinosi, ma tutto sommato la reciproca conoscenza fra genti lontane e diverse migliorò. Anzi! Con l’adozione delle innovazioni tecniche e dei prodotti messi a punto nella steppa come la staffa, i cavalli da corsa e da guerra, il basto e gli arcieri montati con indosso i pantaloni etc. il potenziale militare dell'Occidente aumentò preparando le Crociate.

Altra importante apertura, stavolta economica, si ebbe nelle nuove e finora insperate possibilità di sfruttare risorse forestali finora accessibili solo in parte e di cui la cultura materiale sentiva un estremo bisogno dopo la deforestazione fanatica nel Centro Europa dei secoli precedenti.

Per di più non possiamo dimenticare che i barbari sotto i nomi collettivi di Goti, Slavi o Turchi e ora diventati nuovi europei non erano neppure essi stessi omogenei dal punto di vista etnico-culturale e la steppa, da dove venivano e sulla quale ci focalizzeremo in particolare, era il mondo in cui le fusioni o le separazioni di genti e di lingue diverse erano frequentissime.

Su una carta geografica (il viaggio con Google Earth è affascinante!) che ci permetta di abbracciare con lo sguardo la Pianura Nordorientale Europea (detta anche Bassopiano Sarmatico con termine ambiguo che risale a una toponimia elitaria polacca e slavofila del secolo XIX) notiamo subito la fascia di terra nel sud coperta di erba, ma quasi senza alberi. E' l'ultimo tratto occidentale della Grande Steppa Eurasiatica, dove appunto era diffuso il nomadismo.

Teatro di storie ignorate fino a tempi recenti, è rimasto il luogo abitato da comunità umane coloratissime che hanno subito tali e tante influenze fisiche e antropiche le une dalle altre che rilevare queste influenze per farle conoscere e globalizzarle è ormai indispensabile e in ciò salta agli occhi il ruolo speciale di attiva mediatrice di civiltà di questa parte della Pianura (la chiameremo così per semplicità) e della sua steppa. Oggi è abitata da genti slavo-russe in grande maggioranza, ma nel passato, nel Medioevo in particolare, la composizione e i numeri erano assai diversi. Occorre chiedersi però che cosa sappiamo di quelle genti? Qual è la loro storia? Per rispondere a queste domande, al di là della predominanza slavo-russa, bisogna accettare da subito l'idea di multietnicità! E' un aspetto che non va assolutamente messo da parte poiché aggettivi come “russo”, “ucraino”, “bulgaro” etc. hanno valore storico improprio fino al XII-XIII sec., se popoli e lingue definiti ai quali attribuirli senza esitazione non c'erano ancora.

Ne parleremo nell'ambito del Medioevo Russo, sebbene sappiamo di usare un termine di comodo, ma è insensato lasciare credere al laico non agguerrito che la Pianura e la sua steppa siano solo uno spazio abitato da uomini senza una storia pregressa.

Le fonti scritte esterne a partire dal IX sec. in poi non sono tante e le possiamo dividere in due categorie sommarie: le osservazioni degli autori musulmani e le fonti romee (noi preferiamo romeo a bizantino).

Quelle interne al contrario sono le Cronache Russe redatte dai monaci ortodossi intorno al XI-XII sec. Costoro avendo soprattutto intenti religiosi vagano alla spasmodica ricerca del miracoloso negli eventi e nei personaggi e le loro informazioni sono sovente alterate da questa obliqua visione. Per esempio ci suggeriscono l'idea che la Rus di Kiev, un'instabile federazione di città-fortini sotto l'egida di un’élite mista slava-svedese-cazara in eterna lotta col mondo della steppa e con quello della foresta, sia stato il primo vero stato della Pianura! Addirittura Kiev stessa avrebbe ricevuto una missione statale santa da sant'Andrea per cristianizzare i popoli della Pianura e pertanto ogni altro stato anteriore o contemporaneo alla Rus di Kiev “non poteva far storia”. Se si va più in profondo, si viene a sapere che la storiella di sant'Andrea è un'interpolazione molto più tarda rispetto alle prime Cronache! In breve tale costrutto ha poco o nessun senso poiché, senza retrocedere troppo nel tempo, nella steppa era già nato e aveva raggiunto grande rilievo politico e culturale al volgere del IX sec. l'Impero Cazaro la cui élite, messo da canto il Paganesimo, era ora giudea e collaborava ove possibile con l'Impero Cristiano... E Kiev? Un posto di guardia sul Dnepr al servizio dei Cazari!

E l'Impero Cazaro non era l'unico degli stati lì presenti! C'era la Bulgaria del Volga di altrettanta levatura che si materializzò letteralmente verso il IX sec. sulle ambitissime risorse esistenti in loco e coinvolse nella sua evoluzione le etnie del nord estremo: slave, baltiche e ugro-finniche, tenendo in stallo le Mafie variago-svedesi del Baltico che usavano troppo il ferro e il fuoco sulle genti intorno a loro.

L'elemento geografico-storico che appare spesso nel descrivere la Pianura e la sua steppa è il Volga perché era (ed è!) la “strada fluviale” più frequentata e più nota della Pianura e perché sulle sue acque nasce e si culla la prosperità dei Bulgari, ad esempio. Volga è il nome dato alla corrente nel passato da chi veniva dal nordovest ed era valido fino alle confluenze con l'Okà (a destra) e col Kama (a sinistra) e solo dacché ufficialmente prevalse Volga per l'intero corso a cominciare dal Valdai, dove si trova la sorgente ufficiale, fino alla foce diventò il più grande fiume d'Europa. L'etimologia forse è dall'estone Valge, bianco, che ne indica la posizione geografica a sud piuttosto che il colore delle acque e di qui sarebbe passato nel russo al posto di un antico idronimo precedente Ra.

Per gli Udmurti ugro-finnici la corrente maggiore rimane il Kama che sgorga dagli Urali e che, dopo la confluenza col Volga, si chiama Badžym Kam ossia Grande Kama... fino alla foce! Ciò non significa che s'ignori l'esistenza di una corrente gemella a nordovest e considerata nel passato un affluente. Anzi! La chiamano Yulg, parola d'origine bulgara che vuol dire... corrente minore! Nome giusto, se si pensa che il bacino del Kama ha un'area di ben mezzo milione di kmq ed è più grande del bacino del Volga... almeno fin qui.

Per i Bulgari il Volga è il Grande Fiume o Idi El o Idel che, a seconda del dialetto, più a valle diventa Itil/Adil/Atil. Il Kama invece è Čulmàn Idel e il tratto del Volga dalla confluenza con l'Okà al Kama si chiama Kara Idel o Grande Fiume Settentrionale.

Niccolò e Matteo Polo (XIII sec.) traghettarono il Volga più a valle colpiti dalla sua ampiezza. Lo paragonarono al Tigri che conoscevano meglio e quasi potesse essere uno dei 4 fiumi del Paradiso Terrestre.

Giosafat Barbaro, francescano veneziano che abitava a Tana presso la foce del Don nel XV sec., al contrario lo conosceva col nome Edil (nell'originale suo Viaggio a Tana del 1437 si legge Ledil ossia L'Edil senza l'apostrofo).

Attenzione! Non abbiamo snocciolato una serie di nomi dati da qualcuno all’acqua che scorre, ma elencato dei veri punti di vista geopolitici giacché qui si parla di tratti di fiume che occorre distinguere uno per uno, se si vuole un controllo sulle diverse genti che qui e là abitano per una gestione accurata dei traffici. E la navigazione stava a fondamento d'ogni politica economica d'uno stato della Pianura e non fu mai un compito semplice per i diversi regimi succedutisi. Dal VII sec. s'imposero i Cazari con i loro posti daziari istituiti sull'intero Basso Volga (ma anche sul Don) che strozzavano i traffici in tutte le direzioni. In seguito la faccenda si complicò ulteriormente con i Tataro-mongoli nel XIII sec. che subentrarono al dominio cazaro fino al XVI sec. Quando a loro successe Mosca, la questione si risolse con la forza costringendo Bulgari, Slavi e Ugro-Finni a vivere in un unico stato “russificato”. Le rive si disseminarono di fortini e città russe e ortodosse e, per obliterare storia e cultura degli “eretici” non russi, si arrivò ad usare le lapidi dei cimiteri islamici per pavimentare le strade o per costruire le chiese. Per di più in maniera dispregiativa si disse tataro ogni suddito dell’Impero Russo non solo lungo il Volga, ma pure chiunque abitasse al di là degli Urali!

Nomadi e sedentari, Tatari e Mongoli, Bulgari, Cazari, Russi, Ugri e Finni erano davvero delle etnie con abitudini e costumi talmente contrastanti da impedirne la coabitazione senza un governo dispotico? Non ci risulta che gli stati sorti nella Pianura fossero ingovernabili per la loro multietnicità, ma al contrario perché le élites volevano l'omogeneità per governare meglio. Se d'altronde le genti “non russe” sono riuscite a conservare la propria individualità nelle stesse sedi da loro occupate per secoli (a nord e a sudest di Mosca) malgrado l’oppressione delle dinastie imperiali succedutesi, ciò vuol dire che il contributo alla cultura della Pianura non s'è mai interrotto e che è ancora magnificamente fruibile nella sua varietà. Perché lo diciamo? La ragione è che gli storici d'educazione eurocentrica, russi e ucraini, spesso negano un seppur parziale ruolo innovativo della steppa sulla civiltà sedentaria agricola di cui si vantano di far parte e ci assicurano che dai nomadi è venuta solo devastazione e distruzione e sempre dal lato asiatico! Ci chiediamo: E' possibile che genericamente si parli di acculturazione dei nomadi nelle società sedentarie e mai del contrario? E in che cosa si distinguerebbe il nomade dal sedentario dal punto di vista fisico-strutturale? Il nomadismo è un tipo di cultura o solo un tipo di razzismo inventato dai “non nomadi”?

I. Lebedynsky, storico franco-ucraino, per il passato più antico dice meglio che: “All’inizio del primo millennio a.C. l’intera e immensa steppa eurasiatica fra il delta del Danubio e la Cina settentrionale conosce una rivoluzione culturale profonda: L'apparizione del nomadismo pastorale, sotto la forma che doveva diventare classica in quelle regioni e costituire il modo di vivere dominante fino all’epoca moderna. Questo cambiamento è opera di popolazioni precedentemente sedentarie che, dopo aver accordato un posto crescente nella loro economia all’allevamento, passano al nomadismo per meglio sfruttare lo spazio steppico.” e ancora continua: “Il nomadismo nelle steppe eurasiatiche non è una sopravvivenza arcaica o un ritardo evolutivo, ma un adattamento all’ambiente o, più esattamente, ad un modo come sfruttarlo.”

Tenendo a mente ciò, iniziamo il nostro viaggio nella steppa, recandoci a sud verso il Caspio, il Caucaso e il Mar Nero. Dal punto di vista antropico l’area è notevole, lo ribadiamo, per la sua intricatissima stratificazione etnica. Ciò pone un problema in più giacché col passar del tempo e con l’avvicendarsi di popoli diversi su uno stesso territorio è difficile individuare tracce sicure per stabilire e dedurre le reciproche interazioni. I popoli turchi e iranici (ma pure slavi!) che oggi sono qui, ad esempio, non si trovano in patria da molto tempo, ma sono venuti da poco (meno di un millennio) e la steppa centroasiatica è sicuramente uno dei loro luoghi d’origine (vedi i Calmucchi!). Siccome però sappiamo che la sussistenza è basata sia sull’agricoltura sia sull’allevamento del bestiame sia sulla raccolta del cibo, ciò vuol dire che le genti che qui hanno sostato abbastanza a lungo hanno dovuto creare culture nuove nell'adattarsi alle vicissitudini climatiche locali, pena il loro disfacimento.

L’alternarsi delle stagioni, la qualità variabile del terreno coltivabile e dei pascoli, l’insolazione con le temperature circadiane, le piogge con i loro ritmi annuali, etc. sono un insieme di fattori (alcuni di minor incidenza storica) che condiziona pesantemente l’esistenza dell’uomo e degli esseri che vivono con lui in simbiosi sia come prede libere sia come bestie d’allevamento poiché è l’ambiente nella sua interezza che mette le risorse alimentari di base a seconda di come è andata l’annata climatica a disposizione dei suoi consumatori! Non solo! Nella steppa si sente, nel vero senso della parola, il vincolo climatico molto di più che in altri ecosistemi. E, siccome il variare climatico sconvolge gli eventi storici dettando le condizioni per favorire o per scoraggiare insediamenti, spostamenti e vita di relazione, ecco che qui si nota come l'uomo non possa far molto per mantenere un ambiente costante e ripetitivo in maniera da legarlo ai propri bisogni. Il clima insomma nei termini umani più brevi, forgia il carattere individuale e, nei termini storici più lunghi, il destino di intere civiltà. Nella steppa si è costretti persino a lotte fratricide e a migrazioni a volte bibliche per sopravvivere! Ciò non favorisce lo sviluppo della cultura scritta o del monumento materiale ed è un guaio giacché i ricordi diventano folclore e le leggende pretendono di essere “la storia”.

Sulla relazione clima-uomo-fauna-flora-steppa nel 1963 una spedizione dell’Università di San Pietroburgo (allora Leningrado), condotta da L. N. Gumiliòv lungo le rive del Volga e la costa settentrionale del Caspio, mise in chiara evidenza come gli aspetti climatici dipendessero dalle forze cicloniche che si generavano a una decina di migliaia di km sull'Atlantico e come esse avessero influito e lasciato tracce delle loro interazioni nella steppa russa e nei suoi abitanti. La spedizione multidisciplinare si proponeva di provare, e lo provò, che una civiltà intera, l’Impero Cazaro, aveva dovuto cedere e soccombere ad un’aberrazione del clima non più favorevole. Queste esperienze scientifiche saranno alla base del nostro intero racconto sui Bulgari…

La Grande Steppa (così la chiamava Gumiliòv) si divide in una parte più asiatica e in una parte più europea. Per quanto riguarda quest'ultima che più c'interessa, essa si situa fra il 52.mo e il 48.mo parallelo Nord e si estende dal 60.mo fino al 15.mo meridiano Est cioè dagli Urali al Danubio fino in Ungheria dove è detta puszta (leggi pùsta!). E' uno spazio talmente enorme sul quale sarebbe ingenuo aspettarsi un clima unico dominante ed è più logico al contrario prender nota di una serie di situazioni regionali o microclimi abbastanza distinti seppur mutanti nel lungo periodo.

Le piante colonizzatrici mostrano meglio di altri esseri viventi il loro adattamento non soltanto ai fattori ambientali del soprasuolo, ma anche alla composizione (edàfica) del sottosuolo e lo mostrano nei colori e nelle specie tipiche. Se pensiamo che alcune delle genti della Pianura uscivano dal più maestoso ambiente della foresta a nord per entrare nella steppa (XI sec.), la loro prima impressione sarà stata di grande meraviglia nell'imbattersi in una vegetazione tanto diversa da quella finora nota e la cui altezza non va oltre il ginocchio: Un mare d’erba ondeggiante, verdissima nella buona stagione e mestamente secca con i primi freddi allorché passa al marrone scuro…

La steppa europea inizia dagli Urali meridionali. Segue la riva destra del fiume Ural (l'antico Yàik) e diventa palude nella Depressione Caspica (-28 m sotto il livello del mare) inglobando il bacino inferiore del Volga. Più avanti verso Occidente ingloba anche quello del Don e nell’Anticaucaso quelli del Terek e del Kuban. Ormai siamo sulle rive del Mare d’Azov e del Mar Nero (Ponto Eussino per i greci) e ci avviciniamo (verso il nord) a città storicamente importanti come Černìgov e Kiev. Molti sono i fiumi che “tagliano” la steppa nel senso nord-sud e possiamo enumerare i maggiori partendo dal Don: il Dnepr, il Bug e il Dnestr che sfociano nel Mar Nero mentre il Prut e il Siret affluiscono da sinistra nel Danubio.

L’inverno qui (ancor oggi) termina ad aprile-maggio ed è solitamente molto freddo con picchi fino a –5 °C mentre, al contrario, l’estate è caldissima con picchi fino a +30 °C. I problemi si creano però, a parte la stagione, quando d’estate ci sono improvvisi e inaspettati cali di temperatura con escursioni di ben 20-25 gradi. Le piogge cadono nei primi mesi dell’estate per cessare del tutto prima della fine del ciclo stagionale estivo e verso la fine di settembre si finisce nella siccità quando la vegetazione secca inesorabilmente. Se qualche pioggia cade ancora, è sotto forma di acquazzoni improvvisi la cui umidità evapora dalla superficie fogliare rapidamente senza impregnare il suolo. L’esigua isoieta media annuale è purtroppo soltanto di 500 mm!

I cicli climatici annuali non scivolano dolcemente l’uno nell’altro come nei climi mediterranei più miti, ma sono netti e improvvisi finché l’intera steppa non va in quiescenza. Per di più il fitto tappeto verde nonostante la vegetazione sia bassa (ancora godibile in Crimea) fa da spartivento fra il nord e il sud della Pianura opponendosi alle correnti d’aria calda che scivolano raso terra dalle consistenti (insufficienti per le colture dal punto di vista termostatico) distese d’acqua del Mar Nero, del Caspio e del Mare d’Azov, generando delle zone intermedie semidesertiche.

Dagli studi climatologici russi sovietici e post-sovietici, americani e di altri si può dire schematizzando che il clima attuale non dovrebbe essere molto dissimile da quello di 1000 anni fa giacché le mutazioni sono state molto lente rispetto alla vita e alle cadenze umane. E così alla fine la steppa ucraina è rimasta un enorme spazio d'erba e, a parte il tentativo d'un romantico signore tedesco che nel secolo scorso ne ha voluto conservare un “pezzo originario” con piante e animali nell'oasi di Ascania Nova e malgrado le strade che l'attraversano costeggiate da pioppi che trillano e si piegano nel vento o i tulipani dei Calmucchi, risponde ancora (quasi) pienamente alla descrizione di Ibn Battuta nel XIV sec.: “...da un paese all'altro è coperta d'erba ed è fertile, ma non ci sono alberi. In tutta la sua estensione non si trova né una montagna né una collina, né una costruzione né legna da ardere...”

La foresta, come dicevamo, s'affaccia già a nord dai Carpazi e dai Balcani, massicci montagnosi coperti d'alberi che dividono i bacini del Dnepr, Dnestr e Danubio dalla parte sud da quelli della Vistola, dell’Elba e dell’Oder dalla parte nord. Allungandosi praticamente fin presso le rive del Mar Nero, quei monti rappresentano un collo di bottiglia per le migrazioni umane est-ovest. Al confine fra Ungheria e Ucraina ci sono passi di montagna dove è possibile persino incontrare resti di genti che non passarono mai al di là e che oggi vivono lungo i declivi conservando lingue (moltissime di ceppo turco) e costumi caratteristici propri.

Lasciando i monti dietro di noi e proseguendo fra gli alberi della Transilvania, entriamo ora nella Mitteleuropa cosiddetta dove una barriera, politica più che storica, è stata fissata artificiosamente fino alle rive del Baltico fra Slavi Occidentali e Slavi Orientali, fra Polacchi e Bielorussi lungo un affluente di destra della Vistola, il Bug, (omonimo dell’altro nominato prima perché creduto sgorgare dalle stesse sorgenti). E qui siamo ormai nel fitto della Foresta Boreale Europea con polle gorgoglianti dal suolo da cui scaturiscono ruscelli e fiumi numerosi che col loro lento corso – in una pianura quasi priva di accentuate pendenze – indugiano in piccoli e grandi laghi, paludi e marcite o confluiscono gli uni negli altri in correnti di maggior portata. L’area più tipica oggi è il complesso dei Laghi Masuri nel bacino della Vistola e il bacino del Pripiat (affluente di destra del Dnepr) a nordovest di Kiev (al centro della regione che stiamo descrivendo). Sono territori molto simili che in pratica trasformano Polonia e Bielorussia meridionale in una delle più grandi distese paludose del mondo (oltre 110 mila kmq!).

La vegetazione arborea è densa, perlopiù a latifoglie che più a nord passa ad aghifoglie e che nel remoto passato (ca. 6500 a.C.) copriva l'intera Europa, ben oltre i Balcani, fino al Reno e all'Adriatico. Oggi la foresta si conserva per l’85% fra Germania, Polonia, Bielorussia e Russia e si confonde con la taigà siberiana. E' fitta nella Pianura fin sotto gli Urali, ma cambia in tundra man mano che si “sale” verso il Mar Glaciale Artico. Questo mare per la sua posizione oltre il Circolo Polare con sei mesi senza sole fu chiamato Mare dell’Oscurità (Morie Mraka) e per le sue spettacolari maree anche Mare che respira (Dyšajuščeie Morie)! Ebbe (ed ha) un gran ruolo nella vita dei popoli del Nord più estremo che vivono nel bacino del Peciora, altro grande fiume della Pianura che sfocia nell'Artico!

Ritorniamo allora verso sud. Per far ciò da qui abbiamo un’ampia scelta di vie d’acqua, badando di lasciare ad est i Monti Urali sui bordi più esterni. Sono la continuazione geologica dell’arcipelago della Terranova Russa (Nòvaia Ziemlià) distesa di traverso nel Mar Glaciale Artico e sfilano in direzione nord-sud più o meno lungo il 60.mo meridiano Est di Greenwich. Non sono troppo alti (i picchi non oltrepassano i 1800 m e in passato erano chiamati Sassi o in russo Kamen per le loro tante miniere), ma pur sempre costituiscono una barriera per l’aria umida fredda che soffia dal Polo Nord incontrando l’Anticiclone delle Azzorre.

Rilievi ne esistono in Bielorussia, a Grande Novgorod o non lontano da Mosca, ma sono colline di altezza irrilevante (sotto i 400 m s.l.m.) che non pongono seri ostacoli al gelido soffio che s’incanala in superficie facendo il bello e il cattivo tempo! L’umidità cade da queste parti in abbondanza, ma quasi sempre sotto forma di neve e copre la superficie da coltivare per troppo lungo tempo.

A qualche migliaio di km dalle rive del Caspio gli Urali s’interrompono, lasciando che il corso dell’Ural (o Yaik, le cui sorgenti si trovano proprio nella parte meridionale della catena montagnosa) completi la linea di confine formale della Pianura con l'Asia.

Attraversiamo ora la zona desertica che divide l'Ural dal Volga – i due fiumi scorrono quasi paralleli – e risaliamo lungo la riva sinistra fino alle fertili Terre Nere o Černoziòm dove la foresta si mescola con la steppa diventando steppa boscosa decidua o liesostiep. Qui troviamo immediatamente Bulgar sul Volga e navigando un po' più a valle, Samara.

Le acque sul grande fiume sono rapide mentre scorrono verso sud e a diventano volte tumultuose in un paio d'anse dove aggirano i bassi massicci arenosi detti Iar prima di formare le “correnti parallele”. Il fiume “sta già scivolando” verso il Caspio ormai dove s'abbasserà ad una quota molto al di sotto del livello del mare nella cosiddetta Depressione Caspica. Qui si fraziona in più bracci a raggiera (le Cronache ne contarono ben 70!) formando l'amplissimo e impenetrabile delta prima del quale da qualche parte sorgeva una volta Itil, la capitale cazara più famosa, e Saksin Bulgar dei Tataro-mongoli! Naturalmente la descrizione fin qui fatta è molto incerta, se volessimo dei riscontri nel presente, perché il paesaggio è molto cambiato per i lavori fatti negli anni '50 nel XX sec. allo scopo di rendere il fiume e i suoi affluenti navigabili alle navi moderne.

Il Volga alimenta con la sua portata il Mar Caspio, il più grande lago del mondo, per l'80% senza contare l’Ural e altre correnti minori. Per questo diventa un problema per l’uomo e per le sue attività, se la sua portata varia a causa della quantità di neve che si è sciolta o non si è sciolta più a monte. Ciò provoca le cosiddette trasgressioni e regressioni cioè delle oscillazioni del livello delle acque caspiche (spesso lente da durare decenni) simili alle sesse dei laghi alpini. Le acque decrescono lasciando libera la terra fertilizzata dal limo apportato o crescono sommergendo tutto! Nel passato, se da un lato si poteva coltivare il riso in piano o la vite lungo i declivi del Caucaso, dall’altro, non appena l’acqua accennava a salire, i contadini dovevano abbandonare dighe, campagne e città e... migrare!

Né dobbiamo dimenticare l'influenza del Caucaso sul clima locale. Il massiccio si allunga più o meno in diagonale fra i paralleli 40.mo e 45.mo Nord fra Baku, città situata a metà del Caspio, e Kerč (l’antica Samkerč e/o Tmutarakan), sul Mare d'Azov. Vanta cime oltre i 4000 m s.l.m. con i picchi più alti d’Europa e costituisce un'insormontabile barriera per l’aria fredda che qui turbina lungo i declivi e provoca inverni freddissimi sul lato nord mentre protegge sul lato sud il clima dolcemente subtropicale della Georgia, dell'Abkhasia e dell'Armenia umidificato dalle nubi che si formano sul Caspio. La pioggia in primavera cade sul Kurà, il fiume di Tbilisi e di Berda'a, anch'esso rispettabile immissario del grande lago.

Se l'immensa distesa d'acqua caspica domina il sistema idrografico nella parte sud della Pianura e riesce a segnare tipicamente il clima, a sinistra (est) il regime è differente e rende nettamente diversa la parte asiatica della steppa. Gran parte di quest’ultima, dopo la fascia desertica che precede il mare-lago d’Aral, è “tagliata” in senso sud-nord anch'essa da grandi fiumi ricchi d’acqua e da laghi notevoli, naturalmente distribuiti su distanze molto maggiori che in Europa. Si trovano oasi, non grandissime in verità, ma dove c'è erba fresca dopo transumanze relativamente brevi.

A questo punto la nostra descrizione si ferma e, come è giusto, vediamo di sapere a grandi tratti che se ne pensava della steppa nel passato Medio Evo.

La storia russa, ad esempio, prevalentemente ambientata nell'ambiente forestale racconta di città fortificate da cui i principi dominavano i traffici commerciali e militari e dove i mercanti sostavano per la logistica e per pagare il transito. Si viaggiava per migliaia di chilometri in gruppi compatti e armati lungo i fiumi superando pericolose cataratte nella bella stagione, ma che gelavano d’inverno benché sulla superficie ghiacciata si continuasse il cammino con slitte e animali. Si percorrevano lunghi tratti senza vedere abitati, ma non appena si scorgevano in lontananza le tende rotonde o si sentiva il nitrire dei cavalli, s’indovinava la presenza della steppa dove si era avvertiti che si poteva essere derubati, uccisi o venduti come schiavi dai selvaggi abitanti.

Nell’Europa occidentale invece la steppa era descritta con aspetti un po' fantastici: Una distesa pianeggiante che consentiva al nomade, cavaliere aggressivo e attrezzato, di coprire grandi spazi in groppa al suo focoso cavallo in tempi brevissimi per assaltare l'inerme viandante o per assediare le città. Niente di più irreale però! Rapidi attraversamenti non furono quasi mai intrapresi nella steppa perché il nomade allevatore (di cavalli di solito) non vagava a caso senza posa fra una pastura e l'altra né trascinava volentieri le proprie mandrie su grande distanze senza una meta, se non voleva vedere gli animali perire spossati. Le sue bestie erano allevate con rigorosi calcoli economici dovendole scambiare con prodotti alimentari e indispensabili arnesi. Soltanto a questo scopo si cercavano periodici contatti col sedentario al quale ultimo un animale d'aiuto nei lavori dei campi o produttore di latticini già adulto e ben addestrato faceva assolutamente comodo.

Infine il mercante che la frequentava aveva una visione più pratica della steppa e dei suoi abitanti. Conosceva bene i modi di fare del nomade e negli spostamenti evitava di chiedergli una collaborazione tecnica quando si trattava di attraversare dei corsi d'acqua. Il pastore con gli armenti non era né un traghettatore né un costruttore di barche e non amava allontanarsi dai pascoli e alla fine i capi-carovana dovevano cercarsi i guadi da soli. Di qui l'abitudine di fermarsi ogni qual volta che ci si imbatteva in un collega che veniva dall'opposta direzione. Non solo ci si salutava e si beveva insieme per eliminare ogni intenzione ostile, ma soprattutto ci si scambiava informazioni sulle condizioni delle vie lungo la rispettiva rotta e si concludeva, perché no?, sul momento qualche accordo commerciale prima di riprendere il cammino.

I Persiani/Sogdiani, storici dominatori e frequentatori del Centro Asia che chiamavano la steppa dašt, conoscevano bene l'ambiente e per muoversi al suo interno avevano diffuso la misura delle distanze in parasanghe (farsakh) cioè con il tempo occorrente per percorrere col cammello carico al passo (ca. 6 km dall'alba al tramonto) il percorso terrestre fra una tappa e l'altra. Su queste distanze mantenevano servizi regolari di guardianaggio che coprivano gran parte del territorio. Erano appunto delle poste a tappe (istituzione peraltro antichissima) con serie regolari di caravanserragli (ancora visitabili, seppur a volte in rovina) dove i mercanti sostavano prima del calar del sole e che i nomadi potevano visitare quando volevano o attendere nelle vicinanze che un mercante volante (l'amico del capo) andasse a far loro visita.

Questa era la steppa e, come alla fine si capisce, rispetto ad altre biocenosi non era né maledetta né abbandonata, ma era la casa di uomini e donne, di vecchi e di bambini in comunità gelose delle proprie tradizioni e portatrici aperte al nuovo, ma di libertà assoluta e individualistica.





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