1 Cultura & Società
Gomorra.
Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra
articolo di Giovanna Corchia

Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra
Roberto Saviano
anno 2006
pagine 331
Editore Mondadori
(collana Strade blu)
Saviano

"Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. [...] Io vedo, trasento. Guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra : «È falso» all'orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi del potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di questa verità."
Con una scrittura avvincente, essenziale, scarna, spesso, priva di retorica, sempre, sintatticamente efficace con le sue accumulazioni, frasi brevi, incisive, a volte ellittiche, perché le parole s'imprimano meglio in chi legge, come nella frase che chiude il passo trascritto: "Di questa verità.", Roberto Saviano apre gli occhi del lettore, anche il più informato, sulla realtà del sistema camorra, terribile Leviatano che inquina, minaccia, divora molte delle forze sane del sistema paese e si propaga a macchia d'olio in altre parti del mondo, perché il profumo dei soldi è una calamita per accaparrarseli, poco importa con quali mezzi.
In Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Roberto Saviano, inizia il suo racconto con l'immagine di un container che dondola pericolosamente in cima ad una gru nel porto di Napoli: i portelloni si aprono e cadono giù corpi , simili a manichini che si spaccano a contatto con il suolo. Sono i cadaveri congelati di cinesi, tra questi anche qualche ragazzo, che devono essere portati in patria per esservi sepolti. Come per incanto appaiono dei caricatori che raccolgono i poveri corpi e puliscono tutto senza che nessuno intervenga. Tutti ciechi.
Segue uno sguardo sull'imponente traffico di merci di ogni genere dalla Cina e verso la Cina, senza alcun controllo o quasi. Si continua con il lavoro in nero delle grandi griffe: vestiario, indumenti di vario genere, che contribuiranno al successo dei grandi nomi, hanno un'origine oscura, con laboratori concentrati in particolare nel Salento, nel salernitano e, ovviamente, nel napoletano. A questa produzione i clan ne aggiungono un'altra, esatta imitazione della prima, il falso-vero, che invaderà vari punti vendita sul mercato internazionale. Si tratta di una rete commerciale che non conosce limiti, in mano ai clan di Secondigliano e di altri luoghi a Nord di Napoli. Con la caduta del muro di Berlino i paesi dell'Est sono diventati terre di dominio dei clan campani, in particolare. Alla classica estorsione è subentrata una forma più efficace e redditizia di finanziamento: fornire liquidità ai commercianti per facilitarne gli acquisti. I proventi del commercio sono distribuiti con una percentuale rilevante ai fornitori di liquidità occulti.
Spesso esplodono guerre tra i clan per una questione di monopolio di un settore e allora i morti ammazzati non si contano più.
Una grossa fonte di ricchezza è il mercato della droga che funziona come un perfetto orologio con acquirenti distinti per categoria di appartenenza: i medici, i piloti, i giornalisti...Quando si operano dei tagli nella merce si deve verificare che il prodotto in commercio non sia mortale, per questo si ricorre a cavie e, tra queste, si prestano facilmente gli eroinomani. Se la cavia sopravvive, allora la merce può andare sul mercato.
Il modo in cui ci si ammazza per regolamenti di conto diversi è impietoso, i morti sono dei pezzi, come in un lavoro a cottimo in cui si è compensati in base al numero di pezzi eseguiti...
In occasione di retate da parte delle forze dell'ordine in certi quartieri, Scampia per esempio, capita di assistere alle violente resistenze delle donne conto i carabinieri, la polizia. Perché? Non certo perché si ribellino ad un'ingiustizia ma, in caso di arresto di fratelli, padri, mariti, figli, potrebbero perdere i loro mezzi di sopravvivenza.
Come far fuori chi è in un clan avverso o ha avuto un comportamento sbagliato? Si gioca sull'imprevisto: «La cosa più semplice è quando sono compagni, te li carichi in macchina e te li porti...». Porti dove? Ad ammazzarli. Semplice, no? Non sanno di essere stati scoperti. Si spara come se si fosse in un film: scrupoli, ripensamenti, nessuno.
"La logica della imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide con il più spinto neoliberalismo. Le regole dettate, le regole imposte, sono quelle degli affari, del profitto, della vittoria su ogni concorrente."
Se si pensa che l'economia mondiale segue oggi le stesse regole del profitto immediato in assenza di controlli, senza alcuna considerazione dei forti squilibri nella distribuzione delle risorse tra la popolazione mondiale né dello stato di salute della Terra, allora si spegne la speranza in un cambiamento volto all'affermazione di un po' più di giustizia tra gli abitanti del pianeta e al miglioramento delle condizioni della nostra casa comune.
Il Sistema camorra non si pone nessun problema: di fronte a uno dei tanti morti ammazzati, alla segatura impregnata di sangue, Roberto Saviano scrive: "È inutile osservare i cerchi di gesso intorno ai rimasugli dei bossoli che quasi sembrano un gioco infantile di biglie. Bisogna invece riuscire a capire se qualcosa è rimasto. Questo forse vado a rintracciare. Cerco di capire cosa galleggia ancora di umano, se c'è un sentiero, un cunicolo scavato dal verme dell'esistenza che possa sbucare in una soluzione, in una risposta che dia il senso reale di ciò che sta accadendo." E poi ancora: " In questa guerra le persone vengono stritolate senza colpa alcuna, vengono rubricate negli effetti collaterali o nei probabili colpevoli." Proprio come avviene oggi nelle tante guerre che insanguinano il mondo: vittime incolpevoli, effetti collaterali: parole che cancellano volti, sofferenze, pietà.
E ciò che è ancora più incredibile, scandaloso, morboso è lo spettacolo che di queste tragedie, come di tutte le tragedie, fanno i mass-media. Tutto può diventare una puntata di un reality, con grande soddisfazione di chi riprende le scene, di chi si presta a fare l'attore, di chi, da casa, guarda. Non c'è proprio speranza!
Le donne coinvolte in questo mondo del crimine lo sono solo come madri, mogli? No, si assiste, in questi ultimi tempi, ad una metamorfosi del ruolo femminile con una partecipazione diretta della donna ai traffici camorristici, con posizione manageriali di primo piano e con comportamenti altrettanto violenti di quelli degli uomini, e, proprio per questo, soggetta anche lei a essere vittima di lotte tra clan. "Nessuna differenza tra uomo e donna. Nessun presunto codice d' onore."
Una vittima incolpevole: Annalisa, un'adolescente, che ascoltava musica all'aperto, lanciando i suoi sguardi sui ragazzi di passaggio... Annalisa si trova sulla traiettoria dei tiri incrociati tra bande, un camorrista se ne fa scudo o, semplicemente, le passa vicino e Annalisa cade, ferita a morte: come giustificare tale assurdità?
Il giorno dei funerali la chiesa è stracolma ma, nel dolore, non manca la componente della sceneggiata, con la partecipazione in massa della gente del quartiere e la presenza delle autorità. "Annalisa è colpevole di essere nata a Napoli. Nulla di più, nulla di meno."
Ha inizio la seconda parte di questo viaggio nelle viscere di Gomorra. In primo piano, con il ruolo di primo attore, è il kalashnikov, un'arma leggera e facile da usare e con una manutenzione semplice. Caduto il muro di Berlino i clan sono diventati gli acquirenti quasi esclusivi d'interi depositi di armi degli ex-paesi comunisti, e, di conseguenza, tra i principali fornitori di armi nelle parti più disparate del mondo a sostegno di dittature, paesi in guerra. Le armi in cambio di droghe o altri commerci illeciti.
"La questione delle armi è tenuta nascosta nel budello dell'economia, chiusa in un pancreas di silenzio. L'Italia spende in armi ventisette miliardi di dollari. Più soldi della Russia, il doppio d'Israele. [...] Se a questi dati dell'economia legale si aggiunge che secondo l'EURISPES tre miliardi e trecento milioni è il business delle armi in mano a camorra, ‘ndrangheta, Cosa Nostra e Sacra Corona Unita, significa che seguendo l'odore delle armi che Stato e clan gestiscono si arriva ai tre quarti delle armi che circolano in mezzo mondo."
Qualsiasi occasione che offre una possibilità di guadagno deve essere afferrata al volo. Un esempio l'afflusso oceanico previsto in occasione della morte annunciata del papa Giovanni Paolo II.
Un'altra potente fonte di finanziamento per i clan è il cemento armato. Il cuore di questo potere imprenditoriale è Casal di Principe e San Cipriano d'Aversa. Mussolini tentò di cancellare questi paesi così tristemente famosi ribattezzandoli con il nome di Albanova, segno di una nuova alba di giustizia, ma del nome non resta che la scritta rugginosa sulla stazione di Casal di Principe.
Come spesso accade, la camorra casalese copre i suoi traffici illeciti con altri leciti, tra questi la partecipazione massiccia, ad esempio, a note società nazionali, assicurando in questo modo il novanta per cento del mercato ai loro prodotti.
In questa realtà senza luce vi sono anche figure che emergono e con coraggio come difensori della legalità. Tra queste Roberto Saviano ricorda quella del senatore Lorenzo Diana, divenuto per questo bersaglio dell'odio dei clan, sottoposti per la prima volta a un grande processo noto con il nome di SPARTACUS, come il gladiatore che si era ribellato al potere di Roma. Diana è un profondo conoscitore del potere del sistema camorra e della difficoltà di combatterlo.

"Io so e ho le prove"
Arriva il momento in cui Roberto Saviano pronuncia e ripete all'infinito il suo coraggioso Io so e ho le prove e così prende in mano la sua sola arma, la scrittura, e inizia il suo libro - testimonianza, il suo libro - denuncia, il suo libro - lezione per giovani e meno giovani, per il paese tutto che non sa o non vuole sapere e che, però, deve sapere, se vuole che quella speranza sepolta rinasca da qualche parte.
Seguono le pagine da leggere soffermandosi su ogni parola, le pagine dei "lenzuoli bianchi che pendono da ogni balcone, legati a ogni ringhiera, annodati a tutte le finestre": è il momento del "rabbioso lutto issato quando si svolsero i funerali di don Peppino Diana".
Chi era don Peppino Diana? Era un prete la cui storia per chi l'ha conosciuto deve essere gelosamente custodita, "da qualche parte nel proprio corpo, in fondo alla gola, stretta nel pugno, vicino al muscolo del petto, sulle coronarie".
Di fronte alle violenze continue, don Peppino decise che era necessario programmare un piano di lotta, non più a livello individuale ma con il coinvolgimento, in questo impegno, di tutte le chiese del territorio. E lo strumento di cui si servì è la parola, con la forza che la parola pubblica, pronunciata chiaramente, può ancora avere. Cercava "una parola necessaria come secchiata d'acqua sugli sguardi imbrattati", contro "il tacere che in quelle terre non è la banale omertà silenziosa", quanto piuttosto il tenersi fuori da ciò che mi può danneggiare, quasi una dichiarazione implicita di «non mi riguarda». Don Peppino si rivolgeva ai presenti con parole chiare di denuncia della camorra come "forma di terrorismo che mette paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana." Cercava di smuovere gli animi perché uscissero dal silenzio, denunciassero l'ingiustizia diffusa, se in loro albergava ancora un residuo di volontà di dare un senso alla propria vita. Parlava d'impegno profetico di ognuno, perché "il Profeta invita a vivere e lui stesso vive la solidarietà nella sofferenza. (Genesi 8, 18 - 23)". Rivolto ai suoi confratelli chiedeva di parlare chiaro nelle omelie. Mai nessuno in quelle terre aveva osato tanto, in quei luoghi in cui era congenita la diffidenza verso le istituzioni, in cui regnava il sospetto di tutti contro tutti, in cui ci si sentiva scarsamente protetti, in cui il mercato del lavoro non era mai trasparente e ogni soluzione lavorativa passava attraverso un'operazione di stampo camorristico – clientelare.
Ma don Peppino non voleva solo limitarsi a denunciare, intendeva anche, nell'ambito delle competenze che il suo ruolo gli riconosceva, contribuire al superamento delle diffuse, se non generalizzate, situazioni d'ingiustizia.
Riprendo un passo delle omelie di don Peppino Diana che riguarda la famiglia, la vera, da contrapporre alla famiglia per la camorra, lo riprendo anche per il significato profondo delle sue parole, ben lontane dai significati polemici attribuiti oggi, in pieno dibattito sul tema della centralità della famiglia, a questo nucleo fondante della società:
"La camorra chiama "famiglia" un clan organizzato per scopi delittuosi, in cui è legge la fedeltà assoluta, è esclusa qualunque espressione di autonomia, è considerata tradimento , degno di morte, non solo la defezione, ma anche la conversione all'onestà; la camorra usa tutti i mezzi per estendere e consolidare tale tipo di "famiglia", strumentalizzando persino i sacramenti. Per il cristiano, formato alla scuola della parola di Dio, per "famiglia" si intende soltanto un insieme di persone unite tra loro da una comunione di amore, in cui l'amore è servizio disinteressato e premuroso, in cui il servizio esalta chi lo offre e chi lo riceve.[...]"
Le parole di don Peppino Diana sono vive, forti, profonde, capaci di smuovere gli animi e, anche se le pallottole lo hanno fatto tacere per sempre, le sue parole restano e di questo siamo riconoscenti a Roberto Saviano che ce ne ha fatto dono.
Seguono pagine dedicate alle dimore principesche dei capi clan, alle loro manie letterarie, al bisogno di vivere come in un film, pur nella consapevolezza che la morte violenta o il carcere sono sempre in agguato.
Per tutti i camorristi il valore più importante è "la ferocia" con cui devono agire, per non perdere ogni cosa così conquistata.
Una pagina che dimostra il coraggio di non rinunciare alla verità, per l'affermazione della giustizia contro la ferocia è data dalla testimonianza di una giovane maestra che ha assistito ad un agguato mortale: è la sola a non chiudersi nel silenzio di chi ha paura, che non si giustifica dicendo: «Non mi riguarda», che trova, tra le tante ragioni che la spingerebbero a tacere, una motivazione: affermare la verità...
La conclusione del libro è tra le più sconvolgenti, ha per titolo "Terra dei fuochi" e i fuochi sono i rifiuti altamente tossici che dei ragazzini rom, per pochi euro, bruciano nelle tante discariche abusive che i clan gestiscono: ancora dei bambini abusati da adulti senza scrupoli.
Il traffico delle "monnezze", intrise di veleni, anche se le certificazioni le hanno sbiancate, coinvolge una fitta rete di criminali non solo campani, molti anche i cinesi. Sono veleni che girano per il mondo, che vengono gettati in mare, vere e proprie bombe che si aggiungono alle tante altre che ci minacciano in questa economia globale che insegue, persegue l'arricchimento immediato e non ha regole .
E noi? E l'umanità? Che fare? "Sapere, capire diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora uomini degni di respirare."
Grazie, Roberto, per il tuo libro.

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