11 Cultura & Società
Kamala Markandaya
Nettare in un setaccio
articolo di Giovanna Corchia

Markandaya    Kamala Markandaia
Nettare in un setaccio
Editore Feltrinelli (collana Universale economica)
Anno 2000
200 Pagine

Nata in una famiglia bramina in una città dell'India meridionale nel 1924, Kamala Markandaya ha compiuto gli studi all'Università di Madras. Fin dalla prima giovinezza ha collaborato a giornali e riviste. Ha vissuto a Londra dal 1948. Oltre a Nettare in un setaccio, sempre da Feltrinelli, Kamala Markandaya ha pubblicato Furia e amore.
Nettare in un setaccio è la storia di una contadina, Rukumani, nata da famiglia nobile, che va in sposa a Nathan, "povero di tutto tranne che di amore e di cura per me, che egli prese all'età di dodici anni", così racconta la narratrice.

All'inizio del libro sono riportati questi versi, una chiave di lettura del titolo:

Work without hope draws nectar in a sieve,
And hope without an object cannot live
.
Lavoro senza speranza versa nettare in un setaccio,
Né vive la speranza senza uno scopo.

S.T. Coleridge

Ho letto il libro, l'ho letto non per arrivare presto alla conclusione ma per cogliere tutta la forza di ogni parola, di ogni descrizione, di ogni riflessione. A poco a poco, sono forse entrata in una realtà molto lontana dalla mia, fatta di sofferenze, dolore senza possibilità di ribellione ma anche senza mai una resa e un abbandono alla disfatta. Se un insegnamento mi è stato dato, il più forte tra i tanti ricevuti, è l'incapacità di molti di noi, abituati al benessere, di uscire dalle nostre preoccupazioni, l'incapacità di non sentirci sempre vittime, l'incapacità di ricominciare, di sperare.
Rukumani e Nathan potrebbero insegnarci molto, non sono che dei personaggi che vivono nelle pagine di un libro ma in essi la scrittrice ha messo il suo paese, i suoi fratelli, i nostri fratelli per aiutarci a conoscerli, a rispettarli, a sentirli, in molte circostanze della vita, come una guida preziosa.
Non potendo dare molto ai suoi figli, il padre di Rukumani, l'ultima di sei figli, di cui quattro femmine, insegna loro a leggere e a scrivere. Ecco un passaggio sulla lettura e la scrittura:
"Ora che avevo tempo libero ripresi a scrivere. Era stato mio padre a insegnarmi a leggere e a scrivere. La gente andava dicendo che lo faceva perché i suoi ragazzi si levassero di una spanna al di sopra degli altri; forse è così, ma io sono certa che egli doveva sapere che per me sarebbe stata una consolazione nel dolore e una gioia nella tranquillità. E così insegnò ai suoi sei figli, compresa me, la più giovane, di dieci anni, con la pazienza che metteva in tutte le cose. "Fai molta pratica - diceva guardandomi tutta intenta ad usare lavagnetta e gesso. Perché chissà mai che dote ci sarà per te, quando sarai pronta!". Ed io tutta presa dal mio zelo infantile, lo ascoltavo contenta e riprendevo il gesso.
"A che serve" - riprendeva mia madre - "che una ragazza sia istruita? Chissà quanto le sarà d'aiuto quando avrà figli robusti e un marito a cui badare. Guarda me, non so nemmeno scrivere il mio nome, e sono forse peggiore? La mia casa non è pulita e dolce, i miei figli non son ben nutriti e curati?". Mio padre rideva. "Certo che lo sono - diceva senza continuare il discorso, ma neppure smetteva di insegnarci".
Saper leggere e scrivere serve, investire sull'educazione serve in ogni realtà, e, ancora di più, nei paesi che si confrontano con situazioni di povertà inimmaginabile.
Lo sviluppo, sostiene Amartya Sen nato nel Bengala, premio Nobel 1998 per l'economia, deve essere inteso come un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica. Di conseguenza la sfida dello sviluppo consiste nell'eliminare i vari tipi di "il libertà", tra cui la fame e la miseria, la tirannia, l'intolleranza e la repressione, l'analfabetismo, la mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, di libertà di espressione, che limitano o negano all'individuo, uomo o donna, l'opportunità e la capacità di agire secondo ragione e di costruire la vita che preferisce." [Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, Milano, Mondatori, 2005, pp. ... ]
L'inizio e la fine della storia di Rukumani e di Nathan e dei loro numerosi figli si ricongiungono in immagini non di rassegnazione ma di dolcezza infinita, anche se Nathan è stato portato via, poco più che cinquantenne, dalle febbri reumatiche che hanno indebolito la sua forte costituzione di contadino e, infine, di tagliapietre.

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Talvolta a notte io penso che mio marito sia ancora con me: viene dolcemente attraverso la nebbia e noi siamo ancora insieme, tranquilli. Poi arriva il mattino, il grigio vacillante si cambia in oro; qualcosa si agita dentro di me, mentre la gente addormentata si sveglia; allora egli dolcemente se ne va. I giorni passarono e Nathan non era più accanto a me; mai più. Ceneri e polvere sparse nel vento, bagnate dalla pioggia, irriconoscibili. Raccolsi i frammenti della mia vita e li misi insieme, tutti, tranne il pezzo che mancava, e nel mio dolore chiamai Puli [...]
Tornata a casa con Puli, suo figlio adottivo, al figlio Selvam che ritrova insieme a Ira, la primogenita, dice queste parole: "È stato un dolce trapasso, te lo racconterò dopo".

L'amore profondo che lega Rukumani e Nathan è la loro forza, nella buona e, molto più spesso, nella cattiva sorte. Ecco un momento d'intensa gioia e passione vibrante:
"Mio marito mi guardò con aria solenne: "Ci penso io" - disse, e deposti i figli m'afferrò e mi sollevò davanti a tutta quella gente. Diverse donne cominciarono a ridere di lui con aria indulgente, e i bambini strillavano di piacere.
"Che cosa diranno? - balbettai arrossendo - Alla tua età dovresti vergognarti".
"E invece no, - ammiccò con grande gioia dei presenti - sono felice perché la vita è bella, e i figli sono buoni e tu sei la migliore di tutte le donne".[...]
"Era una notte molto calda [...] Nathan non aveva perso il suo buon umore e pareva che non volesse addormentarsi. Io mi lasciai andare accanto a lui, stretta a lui nel buio, e quando ci toccammo egli all'improvviso si volse verso di me. Le parole morirono, l'aria tranquilla pareva in ascolto, la notte scura attendeva. Nell'abbraccio dell'oscurità sentii il suo corpo agitarsi di desiderio, le sue mani tremare su di me, e i miei sensi aprirsi come un fiore al suo desiderio. Chiusi gli occhi e attesi, attesi nel buio; tutto il mio essere, scosso da un tremito selvaggio ed estatico, aspettava che lui venisse a me".
Contadini senza proprietà, coltivano la terra di altri che non esitano a pretendere il pagamento del dovuto, anche quando il cattivo tempo ha distrutto tutto e la carestia si è abbattuta su di loro... La morte di due figli, il ritorno a casa della primogenita ripudiata dal marito perché non riesce a mettere al mondo dei figli, lo sconvolgimento della vita del loro villaggio dopo la costruzione di una conceria, la cacciata dalla terra, loro unico sostentamento, perché venduta lucrosamente ai nuovi ricchi arrivati in paese, tutto questo li costringe a partire verso una speranza cieca: ritrovare uno dei figli partito a servizio di una ricca famiglia molto prima e che loro pensano possa aver fatto fortuna. Il viaggio è lungo, avventuroso, con incontri in cui Rukumani e Nathan sanno sempre trovare il positivo negli altri o ragioni per capire l'asprezza dei comportamenti altrui.
Trovano in un tempio chi dà loro su una foglia di banano una razione di riso e una ciotola, sempre di foglie secche, tenute insieme da spine, piena di un pasticcio di dhal (lenticchie). Rukumani pensa di guadagnare qualcosa proponendosi come lettrice e scrivana, passa ore ai margini della strada ma non con grande successo. Poi si riaprono alla speranza, quella di poter tornare al paese dove i loro figli sono nati: come tagliapietre in una cava riescono a guadagnare delle rupie, possono anche permettersi di comprarsi una frittella... Ma Nathan è ormai logorato dai reumatismi e una violenta crisi lo porta via:

"Non devi piangere, cara. Doveva succedere".
"Taci. – risposi - "Riposa e guarisci".
"Basta che muova una mano – disse - e sento il gelo della morte. Vuoi tenermi fra le tue braccia, quando sarà il momento? Io sento tanta pace. Non piangere".
"Se piango – risposi - non è per te, ma per me, mio bene. Come potrò più vivere senza di te, che sei il mio amore e la mia vita?"
"Tu non sei sola. – disse - Io vivo nei miei figli, e tacque. Poi lo sentii mormorare il mio nome e reclinò il capo".
"Non siamo stati felici insieme?"
"Sempre, mio caro, sempre."
"Come se ne va in fretta! – disse - Riposa un momento con me."
"E così posai il viso accanto al suo, e il suo respiro mi carezzava la guancia dolce e leggero come un petalo di rosa, poi sospirò, si volse a me, e il suo spirito gentile si ritrasse e la luce scomparve dai suoi occhi."

Non aggiungerò altro, penso possa bastare per trasmettere un po' delle emozioni che ho sentito nella lettura di Nettare in un setaccio, di Kamala Markandaya, un libro che insegna la pazienza, una virtù, come dice mons. Ravasi, da coltivare – e i personaggi di questa storia ne hanno tanta – ricco soprattutto di amore, una virtù ancora più importante, se il mondo si vuole salvare.

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