14 Cultura & Società
L'incrocio delle culture: quale approccio?
articolo di Giovanna Corchia

L'altro

Prima di presentare un corretto approccio all'altro sotto la guida di Tzvetan Todorov, riprenderò tre testi: il primo tratto da L'Esprit des lois (Lo spirito delle leggi, Torino, Torino, 2005, 2 voll.) di Montesquieu, gli altri due da Vendredi ou les limbes du Pacifique( Venerdì o il limbo del Pacifico, Torino, Einaudi, 1994) di Michel Tournier.
Considero Montesquieu (1689-1755), tra gli Illuministi, un grande intellettuale i cui insegnamenti sono validi ancora oggi.
Assumendosi il compito di educare i suoi contemporanei ai principi di giustizia, di equilibrio tra i poteri, all'uso della moderazione, Montesquieu dedicò ben venti anni della sua vita alla stesura del primo grande trattato di dottrina politica L'Esprit des lois.
Nella pagina che presenterò, il filosofo ricorre ad un'ironia pungente per manifestare la sua indignazione contro la tratta dei neri trasportati in America per lavorare come schiavi. Questo brano non deve apparirci come una denuncia che riguarda il passato: ancora oggi la schiavitù esiste anche nei paesi cosiddetti "avanzati", come il nostro. Un episodio per tutti: gli schiavi polacchi assunti come braccianti in Puglia con condizioni di vita e di paga umilianti, per non parlare di quelli di cui s'ignora la fine. Inoltre, su la Repubblica di lunedì 16 ottobre 2006 vi sono due pagine che sottolineano l'attualità di simile mercato di schiavi: "L'esercito delle badanti clandestine: una su quattro nelle mani del racket", sottotitolo "E per gli infermieri dell'Est ricatti e condizioni da schiavi". Si legge nel testo, tra l'altro, "E nelle principali città italiane, specialmente al Nord, a giorni fissi le donne – nel 40%dei casi irregolari – vengono "messe all'incanto" in piazza" - e ancora - "i mediatori chiedono 4 mila euro per arrivare in Italia e sequestrano i passaporti"

Montesquieu

La schiavitù dei negri

Se dovessi sostenere il diritto che abbiamo avuto di rendere schiavi i negri, ecco cosa direi, seguendo le osservazioni di Montesquieu (trad. G. Corchia):

Note

Nel resto del testo è visibile l'ironia: si gioca sul candore dell'anima per concludere che non può certamente albergare in un corpo nero dalla testa ai piedi. Si associa il colore della pelle ad una diceria sul colore dei capelli, rosso malpelo, dando a tale luogo comune la parvenza di serietà, perché lo affermavano gli Egiziani, i migliori filosofi del mondo! (Impossibile non crederlo: lo affermavano gli Egiziani, i migliori filosofi del mondo!)
Solo in fondo i negri sono gli Africani, il che è vero, e le due parole sottolineate per la posizione che occupano nel testo sono misericordia e pietà, che avrebbero dovuto essere manifestate in loro favore. Tra gli spiriti di poco conto, tali sono per i sostenitori della schiavitù coloro che ne sottolineano la disumanità, è da annoverare lo stesso Montesquieu. Costoro esagerano nel sottolineare l'ingiustizia della schiavitù, perché se fosse così – qui l'ironia è molto pungente – certamente tra le tante convenzioni inutili – il che è vero – fatte dai grandi principi europei, ne avrebbero senz'altro stretta una ispirata ai principi di misericordia e pietà.

Tournier

Una comparazione
Da Venerdì o il limbo del Pacifico di Michel Tournier

Un selvaggio non è interamente un essere umano
Log-book. Quante prove diverse in questi ultimi tre giorni, e quante sconfitte a mortificare il mio amor proprio! Dio mi ha inviato un compagno; ma per una volontà recondita della sua Santa Volontà, lo ha scelto all'infimo gradino della scala umana. Non solo si tratta di un uomo di colore, ma questo araucano della costa è assai lontano dall'essere un puro sangue e tutto in lui tradisce il meticcio negro! Un incrocio d'indiano e di negro! E fosse almeno di età matura, capace di misurare con calma la propria nullità a confronto della civiltà incarnata da me! Ma – tenuto conto dell'estrema precocità di queste razze inferiori – mi stupirebbe che avesse più di quindici anni e la sua fanciullezza lo spinge a ridere con insolenza dei miei insegnamenti.
Inoltre, questo evento inatteso dopo tanti lustri di solitudine ha scosso profondamente il mio fragile equilibrio. L'Evasione mi ha dato ancora la prova di una mortificante decadenza. Dopo anni in cui mi sono installato nell'isola, ne ho addomesticato la fauna, ho costruito e codificato, è bastata l'ombra di una speranza a precipitarmi verso quel micidiale tranello dove ho rischiato di soccombere un tempo. Accettiamo questa lezione e sottomettiamoci ad essa con umiltà. Ho sofferto fin troppo per l'assenza di una compagnia umana invocata vanamente da tutta la mia fatica su questa terra. Ora questa società mi viene concessa nella forma più rudimentale e più primitiva, è innegabile, ma indubbiamente mi sarà tanto più facile piegarla all'ordine da me imposto. È già tracciata la via che devo seguire: incorporare il mio schiavo nel sistema che già da anni vado perfezionando.[...]
PS. Bisognava trovare un nome per il nuovo venuto. Non volevo dargli un nome cristiano prima che avesse meritato tale dignità. Un selvaggio non è interamente un essere umano. Ma non potevo neppure imporgli con decenza un nome di cosa, sebbene forse sarebbe stata questa la soluzione più sensata. Credo di aver risolto il dilemma con sufficiente eleganza dandogli il nome del giorno della settimana in cui l'ho salvato: Venerdì. Non è un nome di persona, né un nome comune, sta a mezza strada tra i due, come un'entità in parte concreta e in parte astratta, fortemente segnata dal suo carattere temporale, fortuito e potrei dire episodico...
Sole, rendimi simile a Venerdì
Log-book. Sole, liberami dalla pesantezza. Lava il mio sangue dai densi umori che certo mi proteggono dalla prodigalità e dall'imprevidenza ma spezzano lo slancio della mia giovinezza e spengono in me la gioia di vivere. Quando guardo allo specchio la mia faccia pesante e triste d'iperboreo, capisco come i due sensi della parola grazia – quello che si applica a un ballerino e quello che riguarda il santo – possono trovarsi riuniti sotto un certo cielo del Pacifico. Insegnami l'ironia. Insegnami la levità e ch'io sappia accettare sorridente i doni immediati di questo giorno, senza calcolo, senza gratitudine, senza paura.
Sole, rendimi simile a Venerdì. Dammi il volto di Venerdì, tutto aperto dal riso, tagliato apposta per ridere. Quella fronte altissima ma sfuggente all'indietro, coronata da una ghirlanda di riccioli neri. Quell'occhio sempre acceso dalla derisione, socchiuso dall'ironia, stralunato dalla buffoneria di tutto ciò che vede.. Quella bocca sinuosa, dagli angoli rialzati, golosa e animalesca. Quel dondolio del capo sulle spalle, per ridere meglio, per accusare meglio la ridicolaggine di tutto quello che è al mondo, per denunciare e sciogliere quei due crampi, la stupidaggine e la cattiveria...[...]
Log-book. Sullo specchio bagnato della laguna vedo Venerdì venire verso di me, col suo passo calmo e regolare, e il deserto di cielo e di acqua è così ampio intorno a lui che nulla ne dà più la misura, in modo che forse è un Venerdì alto tre pollici qui a portata di mano, quello che vedo, o forse un gigante di sei tese a un miglio di distanza...
Eccolo. Riuscirò mai a camminare con una maestà così naturale? Posso ora scrivere, senza apparire ridicolo, che sembra drappeggiato nella sua nudità? Egli va, portando la sua carne con una ostentazione sovrana, portando avanti se stesso come un ostensorio di carne. Bellezza evidente, brutale, che sembra fare il vuoto attorno a sé.
Lascia la laguna e si avvicina a me, seduto sulla spiaggia. Appena comincia a calpestare la sabbia cosparsa di conchiglie frantumate, appena è passato tra quel ciuffo d'alghe violacee e questo scoglio, reintegrando così un paesaggio familiare, la sua bellezza cambia registro: diventa grazia. Mi sorride e fa un gesto verso il cielo – come certi angeli in qualche pittura sacra – certo per segnalarmi che una brezza di sud-ovest sta scacciando le nuvole accumulate già da alcuni giorni per restaurare a lungo la regalità assoluta del sole.[...]
Prima della conoscenza
Robinson è imbevuto della propria cultura: si sente colui che incarna la civiltà. Perciò è convinto di avere di fronte una nullità, un'entità in parte concreta e in parte astratta, fortemente segnata dal suo carattere temporale, fortuito e potrei dire episodico... Un selvaggio non è interamente un essere umano.
Dopo la conoscenza
Robinson è completamente cambiato, una metamorfosi si è prodotta nel suo essere: Venerdì è la grazia, colui che può insegnargli la leggerezza dell'essere, il riso, soprattutto l'ironia, di cui era incapace...Ed è così che innalza la sua preghiera al Sole: Soleil, rends-moi semblable à Vendredi...

Todorov

Prima di affrontare l'analisi di un saggio di Todorov dal titolo Le croisement des cultures, saggio introduttivo al numero 43,1986 della rivista Communications, dedicato interamente ai vari aspetti del tema, traduco un breve brano tratto da L'homme dépaysé ( L' uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza, Roma, Donzelli, 1997) dello stesso autore, perché è lo spaesamento la condizione di molti nel mondo attuale:

"Strappato al suo ambiente, ogni uomo inizia col soffrirne: è più piacevole per ognuno vivere tra i suoi. Ma in seguito, lo spaesamento può essere il fondamento di un'esperienza vantaggiosa. Permette di non confondere più il reale con l'ideale o la cultura con la natura. L'uomo spaesato, se appena sa superare il risentimento che nasce dal disprezzo e dall'ostilità, scoprirà la curiosità e praticherà la tolleranza. La sua presenza tra i nativi esercita a sua volta un effetto disorientante: turbando le abitudini mentali, creando sconcerto con i suoi comportamenti e giudizi, provoca stupore, primo passo obbligato verso la scoperta di sé.
Il mio passaggio da un paese all'altro mi ha insegnato al tempo stesso il relativo e l'assoluto. Il relativo, perché non potevo più ignorare che tutto non doveva svolgersi ovunque come nel mio paese d'origine. L'assoluto anche, perché il regime totalitario in cui ero cresciuto poteva servirmi, in qualsiasi circostanza, da soglia del male. Da lì, senza dubbio, la mia avversione simultanea per il relativismo morale – tutto si equivale – e il manicheismo del nero e del bianco."

E, a proposito del manicheismo, Todorov riprende in Mémoire du mal tentation du bien ( Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Milano, Garzanti, 2004) una citazione di Romain Gary: "Il bianco e il nero, se ne ha abbastanza. Il grigio, non c'è che questo di umano".

Todorov

Le croisement des cultures - L'incrocio delle culture

Il saggio di Todorov si articola in tre parti:

1. Introduzione: Definizione del tema e approccio scelto
2. Giudizi sugli altri: su cosa fondarli al di là dei pregiudizi
3. Interazione con gli altri e lavoro di conoscenza

Introduzione: Definizione del tema e approccio scelto

Quando si parla d'incrocio delle culture si analizzano le forme che assumono l'incontro, la mescolanza, l'interazione di due società interessate al fenomeno. Come affrontare un tema che caratterizza il nostro mondo, oggi con pregiudizi e paure crescenti?
Si possono considerare le varie forme d'incontro o scontro su vari piani:

Però, ognuno di questi statuti, pur scientificamente fondato, presenta dei limiti: i risultati degli studi condotti hanno le caratteristiche proprie di un approccio che non coinvolge lo studioso, che deve conservare distacco, neutralità. Ma, in questi casi, si tratta di problemi che coinvolgono esseri umani che soffrono, che si scontrano con difficoltà, diffidenze reciproche, perciò le componenti affettive hanno un grosso peso.
Come procedere allora? Sono possibili due altri approcci, basati entrambi sulla consapevolezza che non si può restare neutrali di fronte al tema che ci interessa:

In genere gli artisti e gli studiosi di scienze umane non si pongono il problema della scelta tra prendere posizione sui valori alla base dei comportamenti sociali o restare neutrali, ma, divenuti consapevoli della relazione inevitabile tra valori e comportamenti, devono assumerla; in caso contrario, si corre il rischio che i destinatari dei loro messaggi potrebbero considerare i contenuti esposti come principi ai quali attenersi.
Ecco manifestarsi una profonda contraddizione tra le affermazioni generalizzate a favore delle relazioni interculturali e la constatazione di comportamenti di rifiuto dell'altro, razzisti. Certo, tutti sono d'accordo sulla scelta dei buoni sentimenti, però è banale se non paradossale affermarlo se la propria condotta vi si oppone. Proprio per questo l'intellettuale deve cercare il dialogo con i suoi destinatari, sottolineare la distanza tra l'ideale affermato e la realtà. Non si tratta di patteggiare sull'ideale ma di convincere ad avvicinarsi con comportamenti coerenti sulla base della conoscenza. Purtroppo l'ideale è difficile da seguire proprio perché in genere l'uomo vorrebbe garder le beurre et l'argent du beurre o, in italiano, la botte piena e la moglie ubriaca. Potrebbe essere utile un esempio per chiarire meglio il paradosso: pagare le tasse in base al proprio reddito al fine di ottenere servizi sociali efficienti, come sanità, scuola, cultura... è indispensabile, però le tasse, cioè l'argent du beurre, non si pagano volentieri e l'evasione è abbastanza diffusa; al tempo stesso, si vuole avere le beurre: tutti desiderano accedere ai servizi sociali, buoni se non ottimi. Come conciliare i due estremi?
Prima di entrare nel vivo del soggetto, Todorov chiarisce l'approccio che seguirà, sulla base della propria duplice esperienza:

Giudizi sugli altri

L'esperienza personale. Todorov è nato in Bulgaria, un paese situato all'estremità dell'Europa. I bulgari manifestano, in genere, un complesso d'inferiorità riguardo agli stranieri, in particolare a quelli che definiscono gli Europei, cioè gli abitanti dell'Europa occidentale. Si tratta già di un paradosso, perché, pur facendo parte dell'Europa, gli Europei per eccellenza sono gli Occidentali. Questo pregiudizio sfavorevole non tiene conto, tra l'altro, delle grandi differenze tra francesi, belgi, italiani e così via e ignora i tanti clichés degli uni sugli altri, per esempio le opinioni dei francesi sui belgi o sugli svizzeri e viceversa... Per i bulgari ogni occidentale è più intelligente, più distinto, più tutto. Per questo i bulgari studiano le lingue occidentali, sognano di viaggiare in Occidente, amano i films, gli scrittori di questa parte dell'Europa che per loro è la vera Europa.
Arrivato in Francia nel 1963 per viverci, Todorov si trova ad affrontare le lunghe code per ottenere il permesso di soggiorno. Condividendo con tutti gli stranieri tale disagio è portato ad esprimere un giudizio favorevole nei confronti di tutti costoro. Ovviamente il suo è un pregiudizio perché si tratta di una semplice generalizzazione non suffragata dalla conoscenza.
Perché un simile punto di vista è sbagliato: si è stranieri nei confronti dei nativi, perciò non è una caratteristica intrinseca all'individuo, di conseguenza dire di qualcuno che è uno straniero è dire molto poco di lui. Eppure chi esprime un giudizio di questo genere non s'interroga sul comportamento dell'altro, se buono o cattivo. Si arriva così a un paralogismo, cioè a un falso ragionamento anche se espresso in buona fede. È come se un bulgaro dicesse:

Non c'è rapporto necessario tra le varie caratteristiche di una persona; anche se si può constatare che il francese o l'italiano che ho di fronte è intelligente, colto e, viceversa, l'algerino non lo è, ciò non dipende dall'essere di un paese anziché di un altro ma dalle condizioni ambientali in cui si vive, dal grado d'istruzione ricevuto; dobbiamo evitare di mescolare dati esterni alla persona con i tratti morali che costituiscono il suo carattere.
La xenofilia e la xenofobia presentano gli stessi limiti, cioè dedurre da un tratto fisico, la nascita, nel nostro caso, un tratto morale, negativo o positivo che sia, anche se il primo atteggiamento, la xenofilia, è certamente più innocuo.
La xenofilia conosce due varianti:

1.lo straniero è un modello da ammirare, da imitare per cultura, raffinatezza, come è il caso degli europei occidentali per i bulgari;
2.lo straniero è un modello da imitare perché non contaminato dai guasti delle civiltà occidentali troppo attratte dal materialismo, dimentiche della vita semplice che caratterizza invece i popoli del Sud del mondo; questo è il mito del buon selvaggio che ha colpito molto scrittori come Montaigne e Rousseau.

Tale atteggiamento favorevole allo straniero è da respingere come base di un ragionamento, perché fondato su valori relativi, come nel caso della xenofobia.
Anche il principio della tolleranza non può essere messo alla base del nostro ragionamento, pure se tutti condividono che è da preferire a ogni forma di fanatismo, in quanto non è un atteggiamento generalizzabile, perché non si può essere tolleranti nei confronti di qualsiasi comportamento, non solo per i casi eclatanti come le camere a gas, ma perché ogni condotta richiede una capacità di lettura più approfondita. Per esempio, l'infibulazione, praticata in certi paesi africani sulle donne ancora bambine, è da condannare senza remore perché lesiva dell'integrità della persona. Va certo bene educare alla tolleranza, purché si eserciti nei confronti di oggetti inoffensivi. Anche nel caso della carità cristiana si può avere un atteggiamento simile, però non può certo essere la regola sulla quale basare il nostro giudizio, perché è come se si affermasse che tutti coloro che sono in uno stato di bisogno sono buoni.

Tolleranza, pietà, carità sono da preferire all'esclusione, ma non si tratta di principi sui quali fondare un giudizio. Tuttavia, i principi sono molte volte astratti, difficilmente colgono il fondo delle cose, e si potrebbe correre il rischio di preferire i principi agli esseri. Perciò il ruolo dell'intellettuale-educatore è complesso.
Giunto a questo punto, Todorov si chiede se esprimere un giudizio sulle altre culture è qualcosa di reprensibile. La domanda è dovuta al fatto che degli intellettuali contemporanei, tra cui Martine Abdallah Pretceille, Ispettrice dell'Ιducation Nationale, sottolineano il rischio che si correrebbe se ci si avventurasse in questo campo. In particolare, Pretceille sostiene che il confronto è sbagliato per due ordini di ragioni:

Todorov condivide il fatto che l'attitudine a considerare il proprio punto di vista (egocentrismo) o, nel confronto con le altre culture (etnocentrismo), è diffusa, però gli uomini non sono cavie di laboratorio dai comportamenti uniformi. Se così fosse dovremmo arrenderci all'iperdeterminismo di ogni nostro atto; inoltre, l'aspirazione dell'umanità all'universalità è altrettanto attestata, perciò è impossibile ridurre tutto ad un relativismo assoluto per cui non si può esprimere nessun giudizio sulla base della conoscenza.
Todorov cita due esempi che sembrerebbero accreditare i rischi espressi dagli intellettuali aperti alle altre culture come l'ispettrice citata sopra: Buffon, naturalista francese del XVIII secolo e Gobineau, diplomatico e scrittore del XIX secolo, sostenitori entrambi della superiorità della razza ariana. Però fa un passo avanti e dimostra che l'errore di Buffon e Gobineau non consiste nel fatto che abbiano espresso un giudizio che sottolinea le differenze, perché se non fosse possibile esprimere un giudizio sarebbe negare l'unità del genere umano, ma nel fatto che abbiano postulato la solidarietà tra i tratti fisici di una persona e quelli morali. Penso che sia chiaro a tutti che non si possa affermare che il luogo in cui si è nati o il colore della pelle possa giustificare un giudizio morale d'inferiorità sull'altro. Inoltre, anche nella pretesa superiorità di una cultura vi è un errore di generalizzazione per il fatto che una cultura non è un tutto omogeneo e coerente, le differenze sono numerose, come è sotto gli occhi di tutti.
Il giudizio non sarà fondato se si esprimerà in termini di superiorità di una cultura su un'altra, ma potrà esserlo se espresso sui comportamenti dei singoli, lodevoli o reprensibili, sempre sulla base della conoscenza e del rispetto di valori assoluti.
Uno spazio particolare Todorov dedica a Montaigne, un grande pensatore del Rinascimento francese, sostenitore del relativismo assoluto e, perciò, dell'impossibilità di esprimere qualsiasi giudizio, in quanto gli usi e i costumi di ogni cultura si fondano su se stessi per cui è impossibile scegliere perché non esiste un punto di vista neutro. Montaigne, al tempo stesso, sostiene il principio della tolleranza generalizzata sulla base dell'affermazione che ogni usanza ha la sua ragione d'essere. Todorov dimostra la contraddittorietà del ragionamento di Montaigne, perché non può affermare che tutti i comportamenti si equivalgono e poi privilegiare la tolleranza. Inoltre, pur sostenendo i limiti di ogni giudizio, perché si è sempre barbari agli occhi dell'altro, attribuisce un valore transculturale, e perciò illimitato, a quello che definisce le bon sauvage, perché risponde al suo ideale di uomo (coraggio guerriero, rispetto delle donne), attribuendo in tal modo un valore assoluto a ciò che corrisponde a un suo punto di vista. Infine, non potendo non riconoscere la barbarie del cannibalismo di certe tribù selvagge, di cui era venuto a conoscenza, sostiene che gli occidentali li superano in comportamenti barbari. Con lucidità Todorov dimostra i limiti della visione del mondo di Montaigne, pur sottolineando, come vedremo in seguito, il lavoro che ci viene richiesto per arrivare a un giudizio fondato sulla conoscenza, liberandoci da pregiudizi che impediscono il dialogo.
Affronta poi il punto di vista dell'illuminista Condorcet, autore universalista, che, pur mettendo all'apice della gerarchia le civiltà francese e anglo-americana perché hanno realizzato la propria rivoluzione e, in fondo, gli indiani e i barbari africani, ritiene, nello spirito del secolo, che tutti possano giungere all'eguaglianza grazie all'educazione di cui saranno propagatori coloro che hanno assorbito l'Esprit des Lumières. Quale pericolo si nasconde dietro questo approccio? Se portatori di civiltà sono gli europei, gli occidentali che hanno realizzato la loro rivoluzione, il pericolo è che così possa essere giustificato il colonialismo.
Ultimo grande pensatore di cui Todorov riprende il pensiero è l'illuminista Montesquieu, autore del primo grande trattato di dottrina politica che ho citato all'inizio. A prima vista, Montesquieu sembrerebbe relativista perché accetta gli usi di tutti, anche se non li giustifica; però, esprime la sua fede nei principi universali della giustizia anteriori alla legge positiva che li fissa. Aggiunge che lo spirito di una nazione dipende dal contesto storico, geografico culturale in cui si è evoluta, perciò esprime un punto di vista relativo. Ma, dopo aver distinto i regimi politici in Stati tirannici e Stati moderati, si schiera per la moderazione, sostenendo che la tirannia è un male perché il potere è concentrato in una sola mano che governerà su un'eterogeneità di soggetti. La moderazione prende in considerazione le tante diversità che caratterizzano un paese cercando un equilibrio tra di esse. Una garanzia è la divisione dei poteri che è alla base anche della nostra Costituzione. Ecco perciò che è possibile esprimere un giudizio, scegliere l'ideale rappresentato dalla moderazione, segno della maturità di un paese. Il solo limite del pensiero di Montesquieu è che coloro che si oppongono all'ideale della moderazione possono imporre il loro potere con la forza:

Eccoci immersi in un'aporia, in una situazione apparentemente senza via d'uscita: che percorso seguire? Seguiamo Todorov.

Interazione con gli altri

Ci sono due tipi d'interazione :

Sono le seconde quelle che ci interessano in particolare analizzare, nonché le forme che assumono, gli obiettivi che perseguono.
Da sempre esistono relazioni tra culture; è, infatti, impossibile pensare ad una cultura isolata per due ordini di ragioni:

Quale strada intraprendere: favorire i contatti, gli scambi o valorizzare l'isolamento? In linea di principio i due percorsi sono giustificati:

In realtà tale simmetria presenta dei limiti: l'immagine di unità di una cultura, di una identità è forse desiderata, ma non è reale. Come si potrebbe infatti definire, in maniera univoca, l'identità italiana? Inoltre, in ogni cultura, è necessario un continuo lavoro di traduzione, perché si usano linguaggi diversi tra generazioni, classi sociali, uomo e donna, per non parlare poi del linguaggio delle immagini e della loro lettura, la pubblicità ad esempio.
L'apertura e il rifiuto dell'altro sono ugualmente attestati, ma la chiusura è molto più diffusa per varie ragioni che possono essere dovute ad un prolungamento dell'egocentrismo infantile, una sorta di atavismo animale: l'altro è un mio nemico, devo difendere il mio territorio; e da una forma di pigrizia mentale: aprirmi all'altro mi richiede un maggior dispendio di energie.
Contrariamente alla metafora delle radici, dovremmo privilegiare lo sradicamento, il viaggio, l'apertura all'altro: l'uomo non è una pianta ed è questo un privilegio; il bambino non crescerà mai se resterà rinchiuso nel suo mondo senza andare verso gli altri, alla conoscenza del mondo. Il progresso culturale nasce da ciò che Todorov chiama transvaluation: valutazione di sé attraverso l'altro.
Le forme di contatto tra culture sono numerose, ma uno scambio equilibrato sulla base della reciprocità è l'eccezione.
Todorov analizza due casi d'interazione basati su esperienze personali:

Non si tratta di scegliere o l'una o l'altra cultura, ma come evitare tale scelta?
Una risposta è la Letteratura Universale di cui parlava Gœthe. Ma cos'è questa Letteratura Universale? Forse il fatto che certi nomi siano universalmente conosciuti, come Dante, Shakespeare, Cervantès? Non basta, questo non è che il più piccolo comune denominatore, invece si tratta di applicare il massimo comune multiplo, considerare cioè le trasformazioni che subisce ogni letteratura per l'apporto delle altre nell'epoca degli scambi universali. Ciò non significa che si debba rinunciare alle proprie specificità, ma che bisogna scavarvi dentro sino a scoprire l'universale che è in ogni grande espressione letteraria. Di fronte ad una cultura straniera non bisogna avere un atteggiamento di sottomissione ma trovare in essa un'altra manifestazione dell'universale. Un esempio per tutti: Cento anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, è un capolavoro della letteratura universale perché racchiude le radici dei Caraibi, ma ha la forza del linguaggio di Rabelais, l'autore dei due giganti, Gargantua e Pantagruel, e, più vicino a noi, di Faulkner.
Da parte sua Gœthe, l'autore più influente della Letteratura tedesca, ha manifestato sempre una insaziabile curiosità per le altre culture vicine e lontane, al fine di conoscere i caratteri umani universali da ritrovare e promuovere nella propria cultura. Un'altra lingua può arrivare ad esprimere ciò a cui non si riesce a dare corpo nella propria, ed è così che si arriva ad uno scambio proficuo per cui dare è prendere, senza con ciò imbarbarire la propria lingua.
Come stimolare una politica culturale ispirata ai principi di Gœthe? Non basta certo organizzare incontri tra creatori di ogni parte del mondo, come avviene in occasione dei tanti Festival della letteratura, della filosofia e di altre espressioni artistiche. Ci deve essere una diffusione più capillare, più vicina ai lettori, per questo è estremamente importante la traduzione nella propria lingua di opere di culture diverse e questo permette di cogliere la bellezza, la forza delle immagini, la visione del mondo nelle pagine di Gabriel Garcia Marquez in Cent'anni di solitudine, di Alvaro Mutis in Trittico di mare e di terra, di Mo Jan in Sorgo rosso e di tanti altri ancora. La traduzione è un grande regalo per noi lettori, di cui ringraziare i traduttori per la loro capacità di superare gli ostacoli della Torre di Babele delle lingue. E, leggendo, il buon lettore troverà anche nello scrittore più lontano dalle sue origini legami profondi: è questo l'universalmente umano che appartiene a tutti.
La politica culturale che un paese dovrebbe privilegiare è la traduzione nella propria lingua dei capolavori di altre culture e non solo quella dei propri scrittori nelle altre lingue: importare libri piuttosto che esportare, perché così non solo ci si arricchisce dell'apporto altrui, ma anche si arriva ad una migliore conoscenza di sé, attraverso l'altro.
Nel XIX secolo la Letteratura francese ha avuto un ruolo dominante in Europa non per una politica di sostegno alle proprie espressioni letterarie da parte delle Istituzioni, ma per l'apertura degli artisti, dei letterati del paese alle espressioni delle altre culture: si trattava di una letteratura viva. Al contrario nel XX secolo, attorno agli anni sessanta, Todorov ha dovuto constatare quanto poco si fosse importato in Francia soprattutto nel campo della linguistica. Ecco che la battaglia per la francofonia riveste un ruolo di primo piano: tradurre in francese le letterature straniere, al fine di cogliere, al di là della ricchezza delle diversità, l'universale che le accomuna.
L'interazione costante di culture diverse potrebbe portare alla nascita di culture ibride, ma non è questo che si deve perseguire: non assimilazione delle altre culture, né ghetto, né melting pot, mescolanza di sapori diversi che nascondono l'originalità di ogni espressione, ma integrazione, arricchimento reciproco delle culture a confronto. Todorov richiama il grande apporto della cultura araba nei paesi della fascia mediterranea durante il Medioevo.
Ecco riapparire il significato profondo della parola transvaluation: dare è prendere e il miglior risultato di un incrocio delle culture è lo sguardo critico che si rivolge su se stessi, grazie all'altro, senza per questo glorificare l'altro.
A questo punto, dopo aver accantonato ogni forma di assimilazione dell'altro, costretto a rinunciare al suo passato, alle sue origini, al suo bagaglio personale, per essere come un nativo del paese d'accoglienza – accoglienza? – dopo aver capito che ogni atteggiamento di rifiuto è da respingere perché espressione di egoismo assoluto, ci si chiede:

Come avvicinarsi all'altro?
Innanzi tutto si richiede a tutti coloro che si confrontano con l'altro un vero lavoro di conoscenza, finalizzato a favorire l'interazione, il dialogo. Certamente noi tutti non possediamo gli strumenti di conoscenza di un sociologo, di un etnologo; però, con gli strumenti che un buon sistema educativo può, deve – dovrebbe – fornirci possiamo superare il primo stadio di semplici turisti nel nostro viaggio verso l'altro. Certo, l'immagine del turista moderno, di massa, è quella della persona che resta legata alle proprie abitudini, ai propri gusti – perché non andare in un ristorante italiano?, avrete spesso sentito chiedere da compagni di viaggio. Ciò a cui tiene maggiormente sono i clichés fotografici che porterà con sé, piuttosto che gli incontri che potrebbe fare; però, in mancanza di altro, è comunque un primo passo verso la conoscenza, altri seguiranno. Al polo opposto in questo cammino verso l'altro c'è il viaggio dello specialista, dell'erudito, dell'etnologo che consacra tutte le sue forze allo studio di un'altra cultura. Todorov rifà la domanda iniziale:

È possibile conoscere gli altri? Montaigne rispondeva negativamente a questa domanda, perché ogni risposta era falsata dal punto di vista di chi la dava: Je ne dis les autres sinon pour d'autant plus me dire - Non dico gli altri se non, soprattutto, per dirmi. Molti altri condividono il suo scetticismo. È possibile conoscere altro da sé? L'esteriorità del soggetto che vuole conoscere l'altro non è solo uno svantaggio; se si guarda bene, può essere anche una posizione di privilegio. Per restare nello stesso secolo di Montaigne, il Cinquecento, Machiavelli scrive nella dedica del Principe:
"Come i paesaggisti si mettono a valle per disegnare meglio le montagne, le vette, e salgono sulle cime per vedere meglio le piane, così è necessario essere principe per conoscere meglio il popolo, e fare parte del popolo per conoscere la natura dei principi." La distanza facilita lo sguardo, permette di abbracciare meglio l'insieme. Dal di dentro l'immagine è più confusa e, essendo parte in causa, non se ne colgono i dettagli.
Dopo aver definito l'etnologia un'indagine sociologica fatta dall'esterno, Todorov sottolinea il vantaggio dello sguardo dell'etnologo, in quanto la non appartenenza alla cultura osservata facilita la scoperta di ciò che sfugge ai nativi. Vediamo ora il percorso da compiere:

Non deve però trattarsi di un'andata e ritorno al punto di partenza, ma ad un punto più alto, con un cambiamento di tutti, lo studioso e l'altro: l'etnologo non è solo colui che parla degli altri ma, soprattutto, colui che parla agli altri e ci aiuta nel nostro personale processo di avvicinamento al diverso da noi, al fine di conoscere meglio l'uomo e, quindi, noi stessi.
Ecco la conclusione di questo viaggio con Todorov:
se si vogliono conoscere gli uomini, bisogna guardarsi attorno

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

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