17 Cultura & Società
Diario di scuola
Chagrin d'école (titolo originale)
articolo di Giovanna Corchia

Pennac    Daniel Pennac
Diario di scuola
Editore Feltrinelli
Anno 2004
241 pagine
       Pennac    Daniel Pennac
Chagrin d'école
Editore Gallimard
Anno 2007
320 pagine

Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata! Non siamo in una fiaba, vittime di un incantesimo.
Forse è questo insegnare: farla finita con il pensiero magico, fare in modo che a ogni lezione scocchi l'ora del risveglio.

Ho letto con un particolare coinvolgimento Diario di scuola di Daniel Pennac. Se ho ripreso anche la copertina dell'edizione originale è perché il titolo francese Chagrin d'école è molto più forte nel sottolineare quanto la scuola possa far soffrire quelli che non ci arrivano, votati allo zero in tutte le discipline. Certo sulla copertina della versione in italiano è messa in bella mostra una pagella con risultati non certo entusiasmanti, ma la parola chagrin ci fa cogliere la sofferenza, almeno continuo a crederlo, del destinatario di quei voti.
La ragione del mio interesse al libro di Pennac è presto detta: ho condiviso con l'autore il mestiere dell'insegnante per lunghi anni, dal 1966 al 2005, e la Scuola non ha smesso di essere al centro della mia riflessione e attenzione, con l'obiettivo anche di diffondere le buone letture, quelle che aiutano coloro che sono consapevoli del ruolo fondamentale dell'insegnamento.
Nessuno è condannato a essere per sempre una nullità è un'affermazione forte, quasi un credo, che richiede agli insegnanti consapevoli, che amano il proprio mestiere, che s'impegnino fino in fondo perché i loro alunni - soprattutto quelli che Pennac chiama i Maximilien, quelli cioè che dicono di non arrivarci mai, il classico esempio del somaro contemporaneo - siano tirati fuori dalla discarica di Gibuti per essere richiamati al presente in cui vivono, la classe, sì che ogni ora sia l'ora del risveglio.
Non sempre l'insegnante, anche quello che s'interroga in continuazione, riesce a riportare dentro chi è fuori, come Prévert coglie magistralmente in due testi che riprendo non solo per il piacere del lettore ma anche per uno stimolo alla riflessione:

Jacques Prévert Paroles
L'accent grave (trad. G. Corchia)

LE PROFESSEUR

Élève Hamlet!
Alunno Hamlet !

L'ÉLÈVE HAMLET
(sursautant)
(sobbalzando)

...Hein...Quoi...Pardon... Qu'est-ce qui se passe...Qu'est-ce qu'il y a...Qu'est-ce que c'est ?...
...Hein...Cosa...Scusi.... Cosa succede.... Che c'è... Che cos'è ?...

LE PROFESSEUR
(mécontent)
(scontento)

Vous ne pouvez pas répondre «présent» comme tout le monde ? Pas possible, vous êtes encore dans les nuages.
Non può rispondere come tutti «presente»? Impossibile, lei è sempre nelle nuvole.

L'ÉLÈVE HAMLET

Être ou ne pas être dans les nuages !
Essere o non essere nelle nuvole !

LE PROFESSEUR

Suffit. Pas tant de manières. Et conjuguez-moi le verbe être, comme tout le monde, c'est tout ce que je vous demande.
Basta ! Niente raggiri. E mi coniughi il verbo essere come tutti, è tutto quel che le chiedo.

L'ÉLÈVE HAMLET

To be...

LE PROFESSEUR

En français, s'il vous plaît, comme tout le monde.
In francese, prego, come tutti.

L'ÉLÈVE HAMLET

Bien , monsieur. (Il conjugue)
Je suis ou je ne suis pas
Tu es ou tu n'es pas
Il est ou il n'est pas
Nous sommes ou nous ne sommes pas...

D'accordo, Professore. (Coniuga)
Io sono o non sono
Tu sei o non sei
Egli è o non è
Noi siamo o non siamo...

LE PROFESSEUR
(excessivement mécontent)
(Arrabbiato come più non si può)

Mais c'est vous qui n'y êtes pas, mon pauvre ami !
Ma è lei che proprio non c'è, povero amico mio!

L'ÉLÈVE HAMLET

C'est exact, monsieur le professeur,
Je suis «où» je ne suis pas
Et, dans le fond, hein, à la réflexion,
Être «où» ne pas être
C'est peut-être aussi la question

Esatto, signor professore,
Io sono dove non sono
E, in fondo, hein, a ben pensarci,
Essere dove non essere
È forse anche il problema

Il gioco di Prévert è in due parole la cui differenza è nella scrittura e non nella pronuncia: ou congiunzione: o, oppure; avverbio di luogo: dove. La differenza: un piccolo accento grave, ma il significato del messaggio non è cosa da poco! Ecco una prova dell'alunno non recuperato al dentro, forse anche per un'incapacità dell'insegnante, non certo per colpa della lezione di grammatica ma del modo in cui viene svolta.
Nel libro Pennac riflette spesso sulle parole come ci, ne, lo e altre per sottolinearne la funzione, ciò a cui rimandano e, in questo modo, fare grammatica per coglier a fondo la struttura di una frase, il senso che ricopre.
Paroles Jacques Prévert

Page d'écriture

Deux et deux quatre
Quatre et quatre huit
Huit et huit font seize...
Répétez ! dit le maître
Deux et deux quatre
Quatre et quatre huit
Huit et huit font seize.
Mais voilà l'oiseau-lyre
Qui passe dans le ciel
L'enfant le voit
L'enfant l'entend
L'enfant l'appelle :
Sauve-moi
Joue avec moi
Oiseau !
Alors l'oiseau descend
Et joue avec l'enfant
Deux et deux quatre...
Répétez ! dit le maître
Et l'enfant joue
L'oiseau joue avec lui...
Quatre et quatre huit
Huit et huit font seize
Et seize et seize qu'est-ce qu'ils font ?
Ils ne font rien seize et seize
Et surtout pas trente-deux
De toute façon
Et ils s'en vont.
Et l'enfant a caché l'oiseau
Dans son pupitre
Et tous les enfants
Entendent sa chanson
Et tous les enfants
Entendent sa musique
Et huit et huit à leur tour s'en vont
Et quatre et quatre et deux et deux
À leur tour fichent le camp
Et un et un ne font ni un ni deux
Un et un s'en vont également.
Et l'oiseau-lyre joue
Et l'enfant chante
Et le professeur crie :
Quand vous aurez fini de faire le pitre !
Mais tous les autres enfants
Écoutent la musique
Et les murs de la classe
S'écroulent tranquillement.
Et les vitres redeviennent sable
L'encre redevient eau
Les pupitres redeviennent arbres
La craie redevient falaise
Le porte-plume redevient oiseau.

Esercizio di scrittura

Due più due quattro
Quattro più quattro otto
Otto più otto sedici...
Ripetete! Dice il maestro
Due più due quattro
Quattro più quattro otto
Otto più otto sedici...
Ma ecco l'uccello - lira
Che passa nel cielo
Il bambino lo vede
Il bambino lo sente
Il bambino lo chiama:
Salvami
Gioca con me
Uccello!
Allora l'uccello vola giù
E gioca col bambino
Due più due quattro...
Ripetete! Dice il maestro
E il bambino gioca
L'uccello gioca con lui...
Quattro più quattro otto
Otto più otto sedici
E sedici più sedici cosa fa?
Non fa niente sedici più sedici
E soprattutto non fa trentadue
Ad ogni modo
E vanno via
E il bambino ha nascosto l'uccello
Nel suo banco
E tutti i bambini
Sentono la sua canzone
E tutti i bambini
Sentono la sua musica
E otto e otto a loro volta se ne vanno
E quattro e quattro e due e due
A loro volta abbandonano il campo
E uno più uno non fa niente
E uno e uno anche loro se ne vanno.
E l'uccello – lira gioca
E il bambino canta
E il professore grida:
Quando avrete finito di far confusione!
Ma tutti gli altri bambini
Ascoltano la musica
E le pareti della classe
Crollano tranquillamente.
E i vetri ridiventano sabbia
L'inchiostro ridiventa acqua
I banchi ridiventano alberi
Il gesso ridiventa scogliera
Il portapenne ridiventa uccello
.

(trad. G. Corchia)

In questa poesia Jacques Prévert, che non ha mai amato molto la scuola, forse per le stesse ragioni di Pennac bambino, presenta una classe che deve ripetere in modo monotono due + due, quattro + quattro... e così tutti si annoiano. Basta poco per far viaggiare l'immaginazione, anche un granellino di polvere che diventa, all'improvviso, un oiseau-lyre, un bambino lo sente, lo chiama, si mette a cantare... Il maestro si arrabbia e grida Quando avrete smesso di divertirvi riprenderemo... Ma ormai tutti sono partiti verso il mare, la sabbia, gli alberi, il volo con l'uccello-lira...
Questo, ogni tanto, succede o no? L'insegnante dov'è? Con i suoi allievi o altrove? Quali misure non ha saputo mettere in atto? Forse quell'insegnante non ha avuto la fortuna d'incontrare, come Pennac, il professor Bal, la matematica in persona e il desiderio, la volontà di condividere il suo piacere con la classe.

Ritorno al libro "Diario di scuola" riprendendo i titoli delle parti che lo compongono.

La discarica di Gibuti

Statisticamente tutto si spiega,
personalmente tutto si complica

Mi scuso con chi mi leggerà se mi soffermo su molte pagine invece di correre alla conclusione che non potrebbe essere se non un invito a tutti gli insegnanti e non solo alla lettura di Diario di scuola con un grazie a Daniel Pennac per averlo scritto.
Mia madre diceva spesso a noi figli: "Quando morirò non dimenticate di mettermi vicino un ago e un filo, potrei averne bisogno..."; io invece vorrei libri e matite colorate per sottolineare e vivacizzare in una pagina, in modo diverso, le parole, la funzione che hanno nella frase e nel testo, tutto quell'ordito che rende ogni insieme di parole dense di senso un qualcosa da non dimenticare... Ed eccoci alla citazione: siamo sommersi da statistiche in tutti i campi, ma sono veramente così facili da spiegare? Se entriamo nel merito e consideriamo le persone oggetto di quei dati, allora tutto si complica. Se i dati riguardano la scuola, è il mestiere dell'insegnante, il suo rapporto con ogni singolo alunno che dovrebbero essere analizzati, che meritano una riflessione a parte.
Nei suoi venticinque anni d'insegnamento, spesso in scuole di periferia, come quella descritta in Come un romanzo, Pennac non ha mai dimenticato i suoi chagrins d'école, i dispiaceri di un cattivo alunno, votato alla zero in tutte le materie, disperazione della madre che, nonostante i successi del figlio in seguito, non dimenticherà mai il somaro che era...
Nei tanti alunni Maximilien, i somari ideali, che ha incontrato nei suoi anni d'insegnamento, Pennac ha sempre ritrovato se stesso e ha cercato di seguire l'esempio degli insegnanti che lo avevano aiutato a non precipitare nella discarica di Gibuti, senza dimenticare i grandi meriti di uno zio, meglio lo Zio Maestro, Jules Pennacchioni, che, nei paesini corsi della famiglia, si era battuto perché a tutti i bambini fosse garantita l'istruzione di base, arrivando persino a rapirli, quando i genitori non li mandavano a scuola perché era il tempo della raccolta delle castagne, giustificandosi così: "Ti restituirò il tuo ragazzino quando avrà preso la licenza elementare".
Certo sono molte le cause degli insuccessi scolastici, ma niente giustifica la rinuncia degli insegnanti a conoscerle, ad affrontarle: se non è la scuola a farsene carico chi dovrebbe farlo? Ricordo le parole di Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano da conoscere, a chi gli chiedeva cosa fare contro la mafia: Maestri, maestri, maestri. Ecco un'ulteriore conferma del messaggio contenuto in Diario di scuola.

Diventare

Ho dodici anni e mezzo
e non ho concluso niente

È Nathalie, in preda allo sconforto perché, così dice, non sa quali siano le congiunzioni che introducono una subordinata concessiva, che pronuncia queste parole: Ho dodici anni e mezzo e non ho concluso niente. Non è proprio così, basta poco perché sappia fare degli esempi di subordinate di quel tipo. Perché allora soffre così tanto sino a sentirsi una nullità? Un episodio in famiglia, un padre con un posto di prestigio che si trova, dall'oggi al domani, senza più lavoro e che perciò si sente di non valere niente e così trasmette alla figlia la sua stessa insicurezza di fronte al suo primo scoglio grammaticale...
Se la società ha bisogno soprattutto d'insegnanti consapevoli per aiutare tanti bambini a crescere, a diventare, allora è nella scuola che bisogna investire, è sugli insegnanti che bisogna contare.
Ma cosa significa diventare? Cosa si diventa? Come rassicurare i genitori che vorrebbero che i figli diventassero qualcuno? Una bella trovata il futuro! Il buon Dio ride dei nostri progetti. Ma aiutare a crescere, far nascere il bisogno di sapere, questo è diventare.
Anche diventare insegnanti è un obiettivo prioritario, se si ha a cuore una società più giusta, formata da persone consapevoli, senza dei laissés pour compte, lasciati da parte, per conto di chi? Mi piace riprendere l'espressione francese perché dice di più della parola italiana emarginati, coloro che non si riuscirà più a risvegliare...
Per questo bisogna conoscere bene gli alunni che non riescono: hanno sempre cause diverse che incidono sul loro rendimento; arrivano spesso in classe con un fardello da cui bisogna liberarli per riportarli là dove sono, ricollocarli in un presente rigorosamente indicativo.
"Se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono in quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti." Un alunno problematico, votato allo zero ha sempre mille bugie con cui difendersi. Ignorare quelle bugie è un modo per l'insegnante di difendersi a sua volta, per non riconoscere il proprio fallimento. Ed è proprio in questa mancata riflessione la differenza tra insegnare e saper insegnare.
Riemerge così nell'autore il suo passato di somaro e il ruolo che ha avuto per lui il periodo trascorso da interno in un collegio, con gli insegnanti anche loro interni. Per un'associazione d'immagini, di altre letture, mi viene in mente la Scuola di Barbiana di Don Milani e l'ineguagliabile apporto di quella esperienza sul recupero, sul risveglio di tanti ragazzi respinti dalla scuola pubblica. Anche loro dei salvati dalla discarica di Gibuti.
In quegli anni di collegio Pennac ha incontrato uno di quegli insegnanti che sanno insegnare, il primo che lo ha afferrato perché non precipitasse in quella famosa discarica. In che modo? Con la scrittura e la lettura: la scrittura di un romanzo, un capitolo alla settimana, soggetto libero ma senza errori di ortografia, importante per chi non dominava certo le doppie e altre difficoltà della lingua; la lettura, chiedendo al suo alunno quali fossero le sue letture preferite. Perché fu un successo? Quell'insegnante aveva notato il grande piacere narrativo del ragazzo quando inventava storie per giustificare il mancato studio o altro; la lettura poi perché, il divieto di leggere in collegio aveva fatto di Daniel un abile lettore clandestino.
Pennac insegnante ha continuato a trasmettere la passione per la lettura ai suoi alunni: la lettura è un risveglio dei sensi, fa sentire liberi, aiuta a riflettere: in breve, è questo e altro. A distanza di anni volti sconosciuti gli si svelano attraverso una poesia, un brano letti e imparati a memoria: sono i suoi alunni di un tempo che hanno conservato un ricordo indelebile di quei versi, di quella pagina.
Imparare a memoria una poesia, un racconto, una pagina è diventato nella realtà scolastica odierna qualcosa di desueto, quasi giudicato un esercizio inutile. Leggendo Pennac si scopre invece l'efficacia di quel mandare a memoria... Certo non si tratta di una memoria meccanica, in cui le parole si accumulano, si schiacciano, sbiadiscono, perdono il loro significato, si trasformano in suoni di cui non si coglie l'essenza. I libri letti, le poesie studiate sono tesori che si scoprono lentamente, grazie all'amore che per primo l'insegnante sente per quelle voci tradotte in scrittura, riuscendo a trasmetterlo ai sensi risvegliati dei suoi alunni, non più altrove ma immersi nel presente rigorosamente indicativo.

Ci
o il presente d'incarnazione

Non ci arriverò mai, ecco cosa si sentirà ripetere l'insegnante Pennac dai tanti suoi alunni che hanno accumulato un insuccesso dopo l'altro. Quel ci su cui si ferma la voce, che cos'è, qual è la sua funzione? Ma l'alunno continua a ripetere: Non ci arriverò mai. Non ci arriverò mai...per poi aggiungere: Non me ne frega niente. A dire il vero, alla lavagna scrive così : Non ciarriverò mai e Non mene frega niente. Il professore interverrà, correggerà, dirà che non esiste il verbo ciarrivare, che, in verità, ne deve essere separato da me. Poi chiederà che cos'è quel ne. Non ci sono risposte e quel ci e quel ne sono inglobati in un tutto e quel tutto è tutto quello che mi stressa, è la risposta dell'alunno in questione.
Forse un lettore che non è insegnante si perde un po' in questa lunga riflessione sul ci e sul ne: siamo in piena lezione di grammatica e se si ricorresse al linguaggio metalinguistico, pura astrazione, lo stress aumenterebbe e l'allievo non sarebbe più là dove è, in classe.
Cosa si richiede all'insegnante? Non certo vuoti discorsi sulla necessità dello studio, ma, in questo caso, una vera lezione di grammatica per capire la funzione delle parole, la struttura di una frase, cosa quel ci e quel ne racchiudono: arrivare dove? a fare che cosa? e poi perché arrivarci? e tante altre domande a cui l'insegnante deve dare una risposta senza trascurare la messa a punto della grammatica: è certo, lui, l'insegnante, che deve sapersi ben servire della lingua.
Pennac aiuta a riflettere sull'orario scolastico dove le materie si susseguono senza un legame logico, un trionfo del caos senza la sorpresa, perciò non è certo facile pretendere dagli alunni di essere sempre presenti, in ogni ora, anche se devono abitare isole diverse..., è compito dell'insegnante riuscire a riportare nel presente della sua lezione la classe. Facile? Certamente no!
Una classe presente, eccone un esempio: invitato in una classe della periferia parigina da un'insegnante per parlare di un suo romanzo, Pennac è bombardato di domande non banali, imprevedibili, accompagnate da manifestazioni di piacere, interesse, voglia di capire, quasi preso in un vortice di una vera controversia letteraria. Quando il tono diventa troppo alto, concitato, interviene la giovane insegnante a porre lei una domanda ma con tono calmo, pacato. Lo scrittore è ammirato, vorrebbe sapere come l'insegnante sia riuscita a rendere i suoi alunni tutti così vivaci, interessati. La sua risposta: "Quando sono con loro o alle prese con i loro compiti, non sono altrove"; e ancora: "Non bisogna mai parlare più forte di loro, è questo il trucco"; infine ecco la sua tesi sulla classe confrontata con un'orchestra:
"Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica."
Ancora un consiglio prezioso per gli insegnanti: fare l'appello, chiamare ogni alunno con il suo nome, non per un freddo controllo burocratico, ma per un primo contatto diretto. Inoltre il rispetto delle regole non è un ritorno al passato ma una prova di rispetto reciproco.
Quali strumenti adottare, quale metodo seguire? Pennac suggerisce un metodo che stimoli la riflessione. Come già per l'esercizio della memoria, riabilita le prove di dettato, ma non una trappola per studenti fragili in ortografia: ogni parola è situata nel suo contesto, analizzata e così, colto il senso, l'insieme delle parole diventano trasparenti, comprensibili. Seguono esempi per illustrare l'approccio e l'efficacia di tale attività, con stimoli all'autocorrezione e all'intercorrezione. Un bell'esempio di alunno agente e non paziente.
Chi erano gli alunni di Pennac? Forse è già stato detto prima, ma è bene ricordarlo: spesso degli emarginati, spesso con grosse difficoltà di apprendimento, ragazzi che se ne sbattono di tutto perché non ci arrivano. Che fare? Si ricorre a mille espedienti, come il gioco degli scacchi, un ponte per aprirsi alla matematica, il suggerimento di un quarto d'ora di pausa, senza fare proprio niente, per liberare la mente prima di tuffarsi nello svolgimento di un compito; infine la presenza di senso nelle richieste dell'insegnante. In un caso specifico, si chiede agli alunni di analizzare le tracce dei temi di maturità e così, a poco a poco, interrogandosi, riflettendo, si arriva a stimolare il senso critico di ognuno, Comunque non bisogna nascondere i casi d'insuccesso che pure non sono pochi...

Ma tu lo fai apposta

"Ma tu lo fai apposta", è l'accusa, a cui il tu accusato risponderà immancabilmente "Io non l'ho fatto apposta". Nell'accusa le parole più sottolineate sono: tu, apposta; mentre nella risposta: io non. Nell'accusa sul lo si scivola. Ma che cos'è quel lo? Un articolo, qualcuno risponde, e l'insegnante spiega che non lo è; è invece un pronome, ma cosa sostituisce? Tante cose: non obbedire, non studiare, non concentrarsi e tante altre. L'accusato cerca di difendersi ma anche chi accusa, con quelle parole, cerca di accantonare il proprio fallimento.
Spesso succede che, quando non si raggiungono certi risultati, si cerca sempre di trovare un responsabile all'esterno, un capro espiatorio, invece di riflettere sulle cause che hanno impedito di raggiungere il risultato voluto.

Maximilien o il colpevole ideale

"I prof ci fanno uscire di testa!" è quello che pensa Maximilien, un bullo di periferia che, con fare spavaldo, intimidatorio, chiede, una sera, da accendere a Pennac che rincasava, sbarrandogli la strada con un braccio teso. Subito dopo il ragazzo riconosce lo scrittore e, con tono mutato, gli chiede di essere aiutato a scrivere qualcosa per la sua prof che ha dato loro da leggere e commentare uno dei suoi libri, di cui ripete male il titolo.
Pennac gli fa la morale e rifiuta di aiutarlo perché qualsiasi richiesta deve essere fatta nel rispetto dell'altro.
Rientrato a casa, lo scrittore riflette a lungo su questo episodio perché si sente in colpa per il mancato aiuto a Maximilien, per il suo rifiuto moraleggiante. Ha forse dimenticato quanto il fuori di ognuno si ripercuota sul dentro, la scuola? Ha forse cancellato la lezione racchiusa nella favola di La Fontaine: Il bambino e il cattivo maestro di scuola? La favola racconta di un bambino che, giocando, cade nell'acqua e corre il serio rischio di annegare. Inizia allora a chiedere aiuto. A sentirlo è un maestro che passa di lì. Invece di tirarlo subito fuori dall'acqua, gli fa una lunga predica in cui gli rimprovera di essersi messo nel pericolo... Solo dopo una lunga paternale lo salva. Ecco la conclusione della favola:

"Quanti non sono al mondo altri pedanti
E brontoloni e critici ignoranti,
razza dotta più in chiacchiere che in scienze,
che Dio conserva a nostra dannazione!
In ogni cosa, a torto od a ragione,
bisogna ch'essi sputino sentenze.
Prima di pena tirami, se puoi,
il bel discorso lo udiremo poi."

In quella circostanza Pennac si è proprio sentito come quel maestro pedante e brontolone, accantonando il suo passato di somaro e la sua personale scommessa come insegnante: "nessuno è condannato a essere per sempre una nullità, come se avesse mangiato una mela avvelenata" , perciò ci si deve impegnare per salvare il maggior numero di Maximilien dalla discarica di Gibuti dove rischiano di precipitare.
Segue il racconto di un'altra esperienza in una scuola alla periferia di Lione, quasi una terra di mezzo, un non luogo, con casermoni che imprigionano il cielo. È stato invitato per parlare di un suo romanzo, ma l'inizio dell'incontro è speciale: molti indossano o calzano oggetti di marca, allora lo scrittore chiede a un ragazzo del gruppo cosa ha ai piedi, la risposta è il nome della marca, proprio non ricorda più che quell'oggetto non sono che delle semplici scarpe: si parte così con un gioco bellissimo, la liberazione delle parole per giungere, con un lavoro che dovrà continuare in seguito, a liberare quei ragazzi, schiavi della pubblicità, ma senza veri strumenti linguistici. Possedere la lingua, disporre di un linguaggio ricco, vario serve a risvegliare in loro il piacere della comunicazione e della lettura. Tutto questo li aiuterà ad uscire dal ghetto dell'ignoranza.
In quelle parole liberate, nel filo che le unisce, nella lettura dell'insegnante di alcune pagine ben scelte ci si sentirà meglio...
Che fare con una pubblicità che rende schiavi? Come combattere la nonnaccia Marketing che perora la causa dell'introduzione della pubblicità nelle scuole? Come difendersi dal Lupo cattivo che minaccia di trasformare la società intera in una società di consumatori, nella consapevolezza che i primi ad essere vittime sono i Maximilien di turno? Certo è molto meglio avere qualche pensiero in più nella propria testa che un paio di Nike ai piedi. Ma per far pendere la bilancia dalla parte dei pensieri ci vuole la consapevolezza di quello che si guadagna e di quello che s'investe, che è il tempo dello sforzo, dello studio. Gli insegnanti che riescono a raggiungere questo difficile obiettivo aiutano i loro allievi a salire alla condizione di uomo (dall'Émile di Rousseau, lettura tra le tante che Pennac proponeva alle sue classi) .
Certo non tutti riescono, nonostante l'impegno dei loro insegnanti, a salire alla condizione di uomo, certo ci sono quelli che si macchiano di crimini orrendi e che sono irrecuperabili. Ma dare a questi episodi di violenza eccessiva ridondanza televisiva può ingenerare facili generalizzazioni e portare a credere che le scuole di periferia non siano che un ricettacolo di sbandati.. In realtà, le devianze si producono il più delle volte nelle famiglie. Perciò bisogna essere molto attenti a non criminalizzare la scuola, a non trovare facili capri espiatori.
Certo la violenza esiste ma la televisione ne fa uno spettacolo e non un servizio per informare e aiutare a capire. Le immagini che passa acutizzano le paure e portano alla facile conclusione che le periferie sono il regno di delinquenti in erba. Sembra così che la società tutta abbia perso il sentimento di paternità.
Una soluzione? L'amore...

Cosa significa amare

In questo mondo bisogna essere un po' troppo buoni
per esserlo abbastanza
.
P. Marivaux, Il gioco dell'amore e del caso

Sulla base della sua esperienza di alunno, dei suoi venticinque anni d'insegnante consapevole, di tutto il suo bagaglio di conoscenze e di riflessioni, lo scrittore è spesso diventato un consigliere di genitori, madri soprattutto, alla ricerca di una scuola disposta ad accogliere i loro figli con alle spalle insuccessi di varia natura e il rischio di cadere definitivamente nella discarica di Gibuti, ragazzi come dei chiens perdus sans collier, poveri cani perduti senza collare, privi di regole.
Pennac non può certo rifiutare un aiuto, come nel caso di un ragazzo più volte respinto e con un breve periodo passato in carcere. In questo caso si rivolge ad una piccola preside di una scuola media superiore che accoglie il ragazzo, riuscendo a portarlo alla maturità: ecco un esempio di troppo amore coronato da un successo insperato.
Nella vita bisogna essere capaci di dare molto per ottenere, forse, una piccola ricompensa, un abbastanza che è già qualcosa che riscalda
È il momento per fare entrare in scena gli altri insegnanti che hanno aiutato Pennac bambino, votato allo zero sempre, a scoprire il piacere del risveglio alla conoscenza. Il primo è il professor Bal, la matematica in persona, capace di trasmettere a tutti il piacere del linguaggio dei numeri. Segue un'insegnante di storia, una professoressa che anima le pagine del passato e trasmette a tutti il suo amore per il sapere; infine c'è un professore di filosofia, l'amico dei filosofi, che coinvolge tutta la classe nelle sue lezioni. Sono forse questi insegnanti - un matematico, uno storico, un filosofo -impareggiabili? Pennac lo crede, ma l'importante non è in questo, ma nella passione che nutrono per il loro mestiere, per la disciplina insegnata e nel desiderio di comunicare agli alunni il loro stesso piacere... Come nel caso della violinista che ci ha fatto conoscere, quella che faceva capire con parole semplici ma dense come si dovesse dare ad ogni alunno uno spazio, farlo sentire parte di un'orchestra che sa trovare insieme un buon accordo.
Certo non sono mancati insegnanti negativi come il terribile Blamard, nome di fantasia, ma forse non casuale perché si possono trovare le parole blâme, blâmer – biasimo, biasimare in questo suo nome. Si tratta di un maestro che ha lasciato una traccia che non si può cancellare nello scrittore, se anche in un'altra sua opera: Grazie, il personaggio sulla scena con il compito di ringraziare chi ha contribuito a tributargli un premio letterario si rivolge al terribile maestro così Blamard, mi dimentichi!. Era uno di quei maestri aguzzini, incapace di comprensione, incapace di risvegliare nel bambino la voglia d'imparare...
A questo punto Pennac propone di lasciar perdere le pubblicazioni che ridicolizzano le castronerie degli alunni, delle Foires aux cancres o fiere dei somari, per comporre invece antologie dei maestri che hanno contato nella nostra formazione, come scrittori indimenticabili hanno fatto per i loro MAESTRI.
Confrontati con le difficoltà del mondo moderno, con i problemi sempre più complessi, Pennac riprende quello che gli insegnanti, non tutti certo, continuano a ripetere: Non siamo preparati per questo. Lo scrittore pensa che in ogni momento ognuno di noi può sentirsi impreparato per un questo non ben precisato, in particolare oggi nella società in cui siamo immersi, una società liquida come la definisce il sociologo Z. Bauman.
In realtà le difficoltà si possono affrontare, senza comunque pensare di poter disporre di ricette pronte per l'uso, se l'insegnante sarà capace di comunicare con gli alunni, se, quando è con loro, non è altrove...
Alla fine del libro Pennac ricorda un Ministro francese della Pubblica Istruzione, Jules Ferry (1878-1883), autore di una Riforma dell'insegnamento fondamentale perché, per la prima volta, si parlava di scuola laica, gratuita, obbligatoria, e si dava seguito a una campagna capillare di alfabetizzazione.
Certo, all'inizio, il discente non aveva un ruolo attivo, era solo un ricettacolo di conoscenze. La scuola aveva solo il compito d'istruire, mentre l'educazione era monopolio delle famiglie. Molti dei figli di quella riforma persero la vita nella prima Grande guerra. Chissà se questo richiamo della storia non sia il frutto dell'amore trasmessogli da quella insegnante speciale che ha ricordato a noi lettori?
Oggi, purtroppo, nella scuola prevale il bambino cliente. Allargando lo sguardo al mondo intero il bambino è dappertutto uno strumento degli adulti: abbiamo, da noi, il bambino schiavo della pubblicità, consumatore, altrove il bambino produttore, poi il bambino soldato, il bambino prostituito, il bambino morente. Come non ribellarsi a tutto questo?
Per la parte del mondo in cui siamo, cerchiamo almeno di far uscire dall'ignoranza i tanti bambini clienti, i tanti bambini, ragazzi che dicono della scuola non me ne frega niente e, ancora, non sono fatto per questo.
Un ponte che può unire insegnanti e allievi: l'amore, ma ricordando le parole di Marivaux: "In questo mondo bisogna essere un po' troppo buoni per esserlo abbastanza.".

Sul tema affrontato in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

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