25 Cultura & Società
L'apparenza inganna, Ritter Dene Voss, Semplicemente complicato
articolo di Giovanna Corchia

Bernhard L'apparenza inganna, Ritter Dene Voss, Semplicemente complicato
Thomas Bernhard
Anno 2008
Pagine 153

Introduzione e traduzione Eugenio Bernardi
regia Piero Maccarinelli
scene Carmelo Giammello
costumi Gianluca Sbicca
musiche Paolo Terni
con Massimo Popolizio, Maria Paiato, Manuela Mandracchia

Produzione Teatro di Roma

"Quanto abbiamo sofferto
sotto questi orribili quadri".

È il motto premesso al testo che Voss pronuncerà poi nella parte conclusiva di questo intrigante, estraniante lavoro di Thomas Bernhard, che scuote il lettore e lo spettatore, stimolando molte domande che, spesso, non trovano risposte soddisfacenti: la casa che i tre personaggi abitano è una gabbia di lusso, un inferno, una tomba e la sensazione di soffocamento, senza alcuna possibilità di evasione, coglie i tre fratelli e il lettore/spettatore. I ritratti, quelli dei genitori in particolare, sconvolgono Voss/Ludwig, spingendolo a frenetici cambiamenti di posto dei ritratti stessi, in un crescendo angosciante.
Tre parti, Prima del pranzo, Il pranzo, Dopo il pranzo, scandiscono il testo, in un susseguirsi di scambi verbali il cui filo logico non è facile da seguire e, spesso, intervengono delle rotture o si hanno delle associazioni puramente casuali, in cui ciò che precede provoca il seguito, per vicinanza delle parole, come nel teatro di Beckett.
Ritter, Dene, Voss sono tre attori reali che altri attori interpreteranno: il Teatro nel Teatro è al centro di questa pièce: il teatro che vuole essere specchio della vita, della realtà, senza mai riuscirci, perché la realtà è indecifrabile, impenetrabile, assurda.
Tre solitudini indissolubilmente legate si muovono in uno spazio angusto: il legame che li unisce è la loro ragione di esistere.
La storia, se si può parlare di storia, è semplice nello svolgimento: tutto avviene nell'arco di un breve lasso di tempo, all'interno di una sala da pranzo molto borghese in casa Worringer, il ricco banchiere, le pareti sovraffollate di ritratti di famiglia. Anna, la cuoca, è stata allontanata perché niente disturbi il primo giorno del ritorno a casa di Voss/Ludwig il fratello, da Steinhof, un ospedale psichiatrico che lui, Ludwig, sembra preferire a ogni altro luogo. Dene, la sorella maggiore, è andata a prenderlo a Steinhof.
Ritter, la sorella minore, è, quasi sempre, in disparte; siede spesso vicina ad una finestra, fuma, beve, legge giornali. Quasi prigioniera delle pagine. Dene continua a muoversi dal cucinino alla sala da pranzo, si affanna ad apparecchiare la tavola nel modo migliore. Ha preparato il pranzo ma anche l'acqua calda alla giusta temperatura perché il fratello non sia minimamente disturbato nel suo fragile equilibrio. Fragile per lei, - è anche stato fissato un appuntamento per Voss con il dottor Frege, proprio il medico suggerito dal direttore di Steinhof - , un mostro invece per Ritter, all'origine del loro inferno.
Durante questi preparativi si parla essenzialmente di lui, in sua assenza. Dene racconta ogni minimo particolare del suo arrivo a Steinhof: i consigli che il direttore le ha dato sul modo di trattare il fratello, i comportamenti di Ludwig durante il commiato, le camicie nuove regalate agli altri ospiti dell'ospedale, le scarpe che il fratello ha calzato a piedi nudi, i cospicui regali in denaro fatti a tutti, compreso il direttore.
Il denaro ricorre spesso nel testo, anche l'avidità di molti: dai medici ai ritrattisti, agli infermieri all'arcivescovo. Eppure loro, nonostante il lusso, ignorano la felicità: quello che leggiamo o ascoltiamo sembrano quasi istruzioni per rendersi infelici.
Le parole, le frasi si snodano, si intrecciano in assenza di punteggiatura, le domande non sono affatto sottolineate. Mi sono chiesta se l'intonazione di questo dialogo nel vuoto dovesse essere recitativa, quasi piatta: nessuna emozione traspare, al di là della violenza delle parole. Forse, una chiave di lettura potrebbe essere la volontà di sottolineare l'impenetrabilità della realtà. Realtà o teatro? Questo è il problema. Come infatti distinguere il vero dal falso? Ecco un pensiero di Ludwig ripreso da Ritter:

Ritter ... anche la verità
è solo bugia
tutto è falso

Ritter è la sorella abitata dall'angoscia, è lei che spesso afferma di voler andar via; in realtà è bloccata anche lei, presa in quella gabbia di lusso. Soffoca ma non trova e, forse, neppure cerca una via di uscita.. Nessun posto è attraente, come nessuna musica o lettura: la vista è sempre la stessa, aggiunge:

Abbiamo già visto tutto

Intanto Dene continua a parlare di Ludwig, delle sue stravaganze, che ha evitato di sottolineare in sua presenza per non rompere il suo fragile equilibrio. Di tanto in tanto, quasi a rompere la catena di questi loro opprimenti scambi verbali, Ritter commenta qualcosa di ciò che legge, isola ad esempio una parola: auto-realizzazione, una di queste, per sottolinearne l'orrore:

non importa uno chi è e cosa fa
è realizzato comunque
è se stesso

È come se sottolineasse l'inutile tentativo dell'uomo di essere qualcosa d'altro, di superarsi sempre: si è quello che si è, si è comunque realizzati.
Spesso si parla di musica, di musicisti. È forse amore per la musica? Certo, ma come per la filosofia o per il teatro, l'ascolto ripetuto finisce per immergerli nella noia, noia, una parola chiave.
Il fratello filosofo continua a scrivere un lungo trattato di Logica: Logica I, Logica II, che Dene batte con pazienza a macchina. Per Ludwig questo lavoro della sorella è, per lei, come una condanna a morte. Forse un lavoro senza senso, un lavoro senza una conclusione.
Dene, spesso la narratrice in questa prima parte, riprende poi il pensiero del fratello che sostiene che loro sono proprio

ai confini della pazzia, quello da cui guardarsi è non superarli mai, al di là c'è la morte

La follia è avvicinata alla morte, forse perché è rottura dei legami con la realtà e, anche se la realtà non ha niente di allettante, è comunque da preferire al distacco completo dalla vita? Essere nella realtà è, anche, vivere, esistere, e questo può dare un senso al loro essere? Forse.
Durante i preparativi per il pranzo le sorelle parlano anche di teatro, tutte e due sono attrici, ma la loro non è stata una vocazione, al contrario quasi una scelta obbligata grazie alla ricchezza del padre in possesso del 51% delle azioni del Teatro e a uno zio, direttore artistico. Non sono certo state delle figlie amate né delle sorelle amate: l'amore non abita quel loro inferno, ognuno accusa l'altro di essere la causa del proprio soffocamento, ma nessuno di loro è in grado di rompere quella prigione. Forse non lo vogliono. Ecco un pensiero di Ritter:

Di giorno in giorno
per noi questa casa
è diventata un inferno
l'inferno Worringer
Insomma non vedi
che questa casa
noi l'abbiamo fatta diventare effettivamente l'inferno Worringer
e non senza nostra colpa
con piena consapevolezza abbiamo fatto della casa dei nostri genitori
l'inferno Worringer

Dene sembra voler deviare i pensieri, le angosce di Ritter parlando del pranzo, dei cibi scelti per soddisfare Ludwig. Forse Dene è più equilibrata? Forse è quella che cerca di tenere insieme la famiglia anche se, in realtà, nessuno di loro saprebbe rompere il legame che li unisce. Anche lei cerca di trovare un senso alla propria esistenza, pur nella consapevolezza che la vita non ha senso.
Le parole di Ritter si seguono senza nessuna punteggiatura, quasi si trattasse di versi, le parole che chiudono ogni capoverso sono riprese, insistite:

di giorno in giorno / questa casa / un inferno / l'inferno Worringer / non vedi / questa casa / l'inferno Worringer / non senza nostra colpa / con piena consapevolezza / l'inferno Worringer /. Inferno quattro volte, poi colpa e consapevolezza

È la follia che abita quell'inferno? Non credo: anche Ludwig, l'ospite di Steinhof, un eremo per filosofi - qualcuno dice - non è pazzo, se si riflette su ciò che dirà o farà durante il pranzo e dopo.
Dene conferma che il vicolo cieco in cui sono è per loro l'unica possibilità di esistere.
L'impenetrabile, l'assurdo interroga il lettore/spettatore: perché Ludwig scrive quel trattato di logica? Cos'è la logica?
Dene riprende la definizione del fratello: per lui la logica è arte, poi anche filosofia, infine assurdità.
Il manoscritto salvato dalla sorella è la sua ragione d'essere. I loro gesti sono ripetitivi, come sottolinea con brutalità Ritter:

da trent'anni spalmiamo la stessa roba sullo stesso pane
...
non trovi che dovremmo ammazzarci

Ritter, proprio come Estragon propone al compagno Vladimir in En attendant Godot "Et si on se pendait?" E se ci impiccassimo? non lo farà mai. Come i personaggi di Beckett, i tre fratelli non lo faranno mai, quasi condannati a vivere l'assurdo dell'esistenza.
Nell'attesa dell'inizio del pranzo, cala il sipario e il lettore/spettatore resta con tutte le sue domande e un forte spaesamento.

Il pranzo

Il pranzo è il secondo segmento della storia. Storia?
In scena Voss: è lui il punto focale, ma lo era anche prima, pur se assente. È a tavola con Ritter, parla di sé, ripete più volte che è finalmente riuscito a camminare diritto. Cosa vuol dire? È forse un modo per rassicurarsi? Forse. Accusa Dene di aver fatto fallire la continuazione del suo manoscritto perché gli ha portato la carta sbagliata, impossibile su quella carta prendere appunti. La sorella lo odia. Le parole sono più volte riprese, si accumulano, non proprio semplici ripetizioni, ma variazioni sul tema, come spesso avviene nella scrittura di Thomas Bernhard. Sempre lui richiama un soggiorno del passato, Glossop, dove dice di essere riuscito a far volare un aquilone. Quell'aquilone potrebbe simboleggiare il desiderio irrealizzabile di rompere la prigione, la tomba in cui, come le sorelle, si sente soffocare. Ironizza sulle sorelle attrici:

uccelli di teatro cinguettii da palcoscenico

e poi continua

la mia idea era di andare più avanti di tutti gli altri
aldilà di tutti gli altri
Ci incantano le stravaganze
e soffochiamo nella monotonia

Ricerca di stravaganze, di vie di fuga... ma si ricade sempre nel monotono susseguirsi dei giorni: noia, soffocamento.
Mentre Dene continua a servire a tavola, sottolineando che tutto è stato preparato con grande attenzione, Voss sembra cercare una complicità con Ritter, ma le parole scambiate tra loro tre sono sempre acide, piene di accuse reciproche. Chi, in quella casa, è il vero ammalato?
Per Dene è la sorella, l'ammalata, ne descrive i movimenti, gli agissements come direbbe Vladimir personaggio beckettiano, azioni cioè senza alcuno scopo, vuote, fatte per riempire il tempo, per placare l'angoscia, senza mai riuscirci.
Leggere, forse, può tranquillizzarla. Forse. Il momento migliore? L'inverno, in casa, al riparo, con le tende chiuse. Ma, come per il viaggiatore di Calvino (Se una notte d'inverno un viaggiatore), la lettura non sarà mai un rifugio sicuro.
Forse la salvezza è la musica, suggerisce Dene, ma, per Ritter, continuare ad ascoltarla porta a detestarla.
Da parte sua Voss, il filosofo, il pensatore, si sente rassicurato da una sola attività: pensare, chi pensa ha la vecchiaia assicurata, ma può anche essere catturato da un'unica idea pazza. Quale sarà questa unica idea pazza? Arrivare a dare un senso alla vita? Forse.
Riprendendo frammenti di scambi verbali con il direttore di Steinhof, Voss/Ludwig dice di averlo più volte rassicurato sulla sua non volontà di suicidio, timore delle sorelle:

Io non mi uccido
Non abbia paura
...
Noi moriamo infatti
quando lo vogliamo
non occorre usare violenza

Lascio aperta la riflessione sulle parole dette...
Un pensiero di Voss mi trova pienamente in sintonia:

Ho sempre cercato la semplicità
senza mai trovarla
è il processo di morte
che ci rende possibile tutto
Per tutta la vita non facciamo che sforzarci
di scrivere due tre pagine di scrittura immortale
non vogliamo di più
ma nello stesso tempo questo è il massimo

La scrittura può, forse, dare un senso alla vita, la scrittura può, forse, aiutare, se non ad accettare la morte, ad averne meno paura. Pagine speciali sono state scritte proprio nella consapevolezza dell'umana finitude.
Voss non si sente a casa in quella tomba. È come se avesse firmato un contratto con gli abitanti dell'inferno Worringer, vorrebbe rompere quel contratto per non soffocare. Sedere sotto il ritratto del padre: quale orrore! Tutti, in quella casa, padre, madre, figli, personaggi dell'inferno.
Quasi a rompere il crescendo di esaltazione del fratello, Dene lo informa che nel pomeriggio ha un appuntamento con il dottor Frege. La reazione di Voss: mai e poi mai incontrerà quel ciarlatano incompetente, che non sa che chiedere somme incredibili. Un altro tentativo di Dene per aiutare Voss ad uscire da questo vortice di follia: ha preparato il suo dolce preferito, degli allettanti krapfen e li serve in tavola. Voss ne mangia uno, ne addenta un secondo: il mio dolce preferito, aggiunge, picchiando la testa contro il tavolo. Infine l'esplosione: strappa via la tovaglia, tutto va in frantumi, poi il suo urlo ripetuto: DARE UN SENSO ALLA VITA DARE UN SENSO ALLA VITA e, scagliando la lampada contro i vetri del cucinino così apostrofa le sorelle: sanguisughe, sporche teatranti!
Cade il sipario e, per un momento, il lettore/spettatore può concedersi una pausa...

Dopo il pranzo

Si parla ancora del teatro, spesso al centro di questo testo, con considerazioni sul valore di questo mestiere. Si sottolineano anche le differenze tra attore, interprete... Riprendo un pensiero di Dene espresso nella prima parte per contraddire l'opinione di Ritter nel vantare la sua abilità d'interprete, un genio:

Un genio
Un attore non è mai un genio
Gli interpreti non sono dei geni
tanto meno gli attori

L'interprete è certamente colui che ha un merito maggiore, comunque fare l'attore non è che un'arte ordinaria, come pensa Voss, chiamando le sorelle sporche teatranti. Un'ironia pungente colpisce il teatro, niente altro che un'arte ordinaria. E Voss ritorna al pensiero del contratto che lo lega alla sorelle: loro, fratelli nell'intelligenza:

effettivamente detestati da tutti
...
persone inquietanti
questo ci rimproverano
e a me di avere la mente a pezzi non c'è dubbio
Gente di grandi pretese
con un grande desiderio degli altri un desiderio suicida tutti e tre
Là dove crediamo
di poterci calmare
ci agitiamo
...
Fino ad oggi tutto sbagliato

Poi posa lo sguardo sul ritratto della madre, la malvagia. Come salvarsi da questa galleria inquietante di ritratti di famiglia? Come trovare un senso? Ecco allora la frequentazione dei filosofi, tutti suoi fratelli cartacei. Segue l'elogio dei libri che si trasforma poi in rifiuto, delusione profonda:

Alla fine niente
solo schifo
...
Nei libri entriamo
come si entra in trattorie ospitali
affamati assetati
Alla fine niente, solo schifo: camminare con i filosofi, ascoltare musica, entrare nei libri: solo schifo!

Come altre volte, Ritter si versa da bere, Voss continua a manifestare il disgusto per quei ritratti, in un crescendo di agitazione. Lancia invettive contro tutti i ritrattisti, degli imbecilli che si vendono per denaro. L'arte è altro:
"Quanto abbiamo sofferto
sotto questi orribili quadri"

Sono le parole che aprono il testo, sono una sottolineatura del peso di un legame che non possono rompere, i tre fratelli nell'intelligenza, e che, forse, non vogliono rompere.
Anche loro, le sorelle, si saranno fatte ritrarre e chiede dove abbiano nascosto i loro ritratti. Gli vengono mostrati per cercare di calmarlo e, ancora, il suo giudizio tagliente sull'artista:

non sarà certo stato Goya

Poi vorrebbe cambiare di posto a tutto, cerca di spostare con le sorelle la grossa, pesante credenza, tutto va in frantumi. È come se si volesse fare piazza pulita dell'inferno Worringer.
Come riuscire a rompere questa esplosione di violenza, tutto che va in mille pezzi?

Ritter Probabilmente nel pomeriggio piove
allora meglio di tutto è stare a letto

Dene Io devo stirare
Ritter Nel pomeriggio quando piove
La cosa più bella e starsene a letto

(bevono tutti e tre il caffè)

Fine

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