3 Cultura & Società:Gustavo Zagrebelsky
Imparare la democrazia
articolo di Giovanna Corchia

Zagrebelsky Gustavo Zagrebelsky
Imparare la democrazia
Einaudi
Anno 2007
Pagine 182

Se la parola democrazia deve essere usata nel suo significato autentico e non abusata, come lo è di recente, ad esempio, in occasione della guerra in Iraq, la cui ragione, è stato detto, è l'esportazione della democrazia, un maestro che ci aiuterà in questo compito è Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale e grande costituzionalista.
"La democrazia - scrive Zagrebelsky, in una sua lezione che ha per titolo Imparare la democrazia - è non un idolo ma un ideale corrispondente a un'idea di dignità umana e la sua ricompensa sta nello stesso agire per realizzarlo". Su questa definizione di democrazia torneremo dopo aver analizzato le regole fondamentali del perché ci sia democrazia.
Innanzitutto, la democrazia non è un sistema che si alimenta da sé, perciò, una volta instaurata, non ci si deve mai distrarre se non si vuole correre il pericolo che sia cancellata. Penso sia chiaro a tutti che la democrazia, che caratterizza l'Occidente e che è stata realizzata dopo vicende storiche molto dolorose, poggia sul principio della condivisione di regole di comportamento virtuoso che devono essere insegnate.
Norberto Bobbio, il profondo filosofo delle dottrine politiche, scriveva in Il futuro della democrazia, che il cosiddetto spirito democratico si è sempre più affievolito in quanto non si è profondamente convinti della necessità di vivere in democrazia; aggiungeva che l'assuefazione allo stato di fatto, l'apatia, il disimpegno sono molto frequenti nel comportamento di molti. Certo, in momenti di scelte politiche, ci si scuote dal torpore, ci si mobilita spinti da parole come bene/male, amore/odio, verità/errore, vita/morte tutte usate a sproposito al fine di impressionare, non certo per insegnare che c'è bisogno dell'apporto di tutti nel faticoso cammino della democrazia. La democrazia non si basa su verità assolute, né è la lotta del bene contro il male: essa è mediazione, rispetto della persona, delle persone con l'apporto di tutti, persone quindi con diritto di cittadinanza.
Perciò la democrazia si insegna e la scuola, ha un compito di formazione civile di cui deve sapersi fare carico se si vuole sostenere il sistema democratico così faticosamente raggiunto.
Gustavo Zagrebelsky propone un decalogo la cui conoscenza e il cui rispetto contribuiranno alla formazione di un cittadino consapevole del valore della democrazia e dei diritti/doveri che la democrazia ha alla base.

1. La fede in qualcosa che vale. La democrazia deve saper credere in se stessa e deve difendersi; ma, al di là di ciò, la democrazia è relativistica, come situazione d'insieme: fini e valori sono da considerare relativi a coloro che li propugnano, e, nella loro varietà, legittimi. Le verità assolute non sono alla base di una società democratica, quanto piuttosto di una società autocratica. E si può capire perché: una società è formata da tante diversità ed è nel rispetto di questa varietà di cittadini che chi si propone al governo della cosa pubblica cercherà di affermare la bontà delle proprie scelte, spiegando, illustrando gli obiettivi che si intendono raggiungere. Se, al contrario, tutto il gioco politico è fondato sulla demonizzazione dell'avversario perché nemico della verità che si dice di possedere, non c'è più libertà, confronto di idee, scelte consapevoli. Il relativismo d'insieme non deve, però, essere confuso con il relativismo individuale, che porta al nichilismo, allo scetticismo, per cui non c'è niente che valga, niente per cui battersi. Anzi battiamoci perché simili comportamenti siano sconfitti, diamo spazio anche alle utopie!

2 La cura delle individualità personali. La democrazia è fondata sugli individui, non sulla massa. Proclamando un'uguaglianza media la democrazia potrebbe minacciare i valori personali, annullando individui e libertà nella massa informe. Un pericolo che si corre è che un demagogo, un agitatore di popolo prenda il sopravvento. Un'illustrazione efficace del rischio di massificazione, soprattutto per responsabilità individuale, è dato dalla pièce di Eugène Ionesco, Il Rinoceronte: gli abitanti di un luogo imprecisato si trasformano, uno dopo l'altro, in rinoceronti, pachidermi spinti da bisogni elementari, liberi dal peso di dover affrontare il mondo, di dover fare delle scelte anche se dolorose. Solo Bérenger, il più debole o colui che appare il più debole, perché s'interroga, dubita, coglie i limiti di una società che schiaccia l'individuo, e, al tempo stesso, sente il peso della solitudine, resiste, si oppone alla massificazione, pur tra esitazioni e paure che mette a tacere bevendo: "Sono l'ultimo uomo, lo resterò fino in fondo, non mi arrendo". L'intento di Ionesco è una denuncia dei totalitarismi che si affermano attraverso un processo infido, prima sotterraneo, poi sempre più evidente sino all'irreparabile, perché gli individui si distraggono, perdono la forza di affrontare la realtà, si rifugiano nelle abitudini, rinunciano alle scelte in prima persona, contenti di confondersi nella massa. La massificazione è un serio rischio per le fragili democrazie. La cura delle individualità personali al fine di evitare ogni facile processo di omologazione e dare energie alla democrazia è, perciò, di grande importanza nelle società moderne, dove si sviluppa sempre più una psiche conformista, perché chi non si adegua è considerato spesso un originale e, nella peggiore delle ipotesi, uno spostato. È compito della scuola alimentare e non reprimere caratteri e vocazioni personali delle giovani vite.

3 Lo spirito del dialogo: ciò che tutti devono imparare, di cui tutti hanno bisogno. La democrazia è discutere, ragionare insieme. È filologia, amore per il logos, la parola scambiata. Il misologo odia la democrazia. Per portare avanti le idee che si considerano buone, i progetti che si vogliono realizzare, bisogna discutere, scambiare idee, dimostrare le buone ragioni che ci muovono, arrivare, attraverso il confronto, alla persuasione, al convincimento dell'interlocutore, al suo coinvolgimento. Un esempio che si può prendere in considerazione è la costruzione della TAV in Val di Susa: è una linea che serve, può servire a creare una maggiore unione in Europa, a facilitare gli scambi non solo commerciali, però è una scelta che non si può imporre, che richiede un confronto, anche scontro, con le popolazioni locali che sono, in maggioranza contrarie, sino al raggiungimento di una decisione condivisa. Ecco perché la democrazia deve essere insegnata. Ci sono infatti regole da conoscere, da rispettare nel dialogo: la prima è che sia rispettata la verità dei fatti. Sono dittature ideologiche quelle che li manipolano, li travisano o, addirittura, li creano ad hoc. È quello che è successo, succede e succederà spesso: un esempio è, ancora una volta la guerra in Iraq, dichiarata a causa dell'affermazione dell'esistenza di armi di distruzione di massa sulla base di documenti falsi. Un altro esempio, che non sarà mai chiarito, sono le circostanze dell'assassinio di Calipari, agente dei servizi segreti italiani, durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Ma in generale, non si ha una conoscenza non manipolata degli indici economici del paese: occupazione, rapporto deficit/PIL, riduzione dell'aggravio fiscale e così via. Per questo il cittadino non può distrarsi: non è certo a suo vantaggio essere manipolato. Perciò la democrazia richiede impegno: non è vivere nel migliore dei mondi possibili, senza dover dare un contributo personale, senza un coinvolgimento diretto. Nel dialogo, fondato sul reciproco rispetto, in caso contrario, è affermazione dell'uno sull'altro, le parti coinvolte devono essere capaci di riconoscere i propri errori , sino a sapersi rallegrare di scoprirsi in errore: chi si corregge, chi dimostra l'onestà di correggersi ne esce migliorato. Orgoglio e vanità sono forze ostili alla democrazia, come in ogni caso di vita comune, a partire dalla famiglia.

4 Lo spirito dell'uguaglianza. Alla base della democrazia vi è l'uguaglianza; i privilegi rappresentano un'insidia. L'uguaglianza è isonomia, cioè uguaglianza di tutti di fronte alla legge, come recita l'articolo tre della Costituzione Italiana inserito nei primi dodici raggruppati nei Principi fondamentali: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Senza leggi uguali per tutti la società si divide in caste, i privilegiati e gli altri. Abbiamo esempi numerosi di non rispetto di questo principio. L'esistenza di privilegiati è nociva anche per i comportamenti che può indurre negli altri: se gli accessi alla posizione di privilegio sono aperti, abbiamo una società continuamente sottoposta allo stress del carrierismo diffuso con conseguente disagio, frustrazioni. Se gli accessi sono chiusi, si ingenera un male sociale: l'invidia. Non si tratta di non dare spazio alle qualità individuali, come sottolineato al punto due di questo decalogo, ma è chiaro a tutti che non c'è democrazia senza il rispetto dell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Non può essere operante lo spirito da stadio, che ci caratterizza, con una divisione netta tra la tribuna di chi conta e tutti gli altri, che non avrebbero altra aspirazione che l'accesso a quella tribuna.

5 Il rispetto delle identità diverse. In democrazia le identità particolari sono ininfluenti sul diritto di stare in società. Ancora una volta, tra gli altri, lo recita chiaramente l'art. 3 della Costituzione Italiana, un testo che dovrebbe accompagnarci sempre e che dovremmo difendere, se ne conosciamo la storia e lo spirito, come direbbe Montesquieu.
Purtroppo oggi si accendono i fuochi degli scontri di civiltà, giocando, pericolosamente, sul tema delle identità da difendere, in particolare l'identità cristiana. All'aspetto religioso è stato dato un peso speciale sin dalla seconda metà del ‘500 dopo il distacco delle Chiese riformate dalla Chiesa di Roma. In nome dell'ordine interno si è affermato il principio cuius regio, eius et religio, di quel sovrano, di quella religione. Perciò si permettevano migrazioni da un paese ad un altro per difendere la propria fede insieme alla vita, ma, al tempo stesso, si autorizzavano le persecuzioni religiose entro ciascuno Stato. Si sviluppò poi il principio della tolleranza religiosa per tenere insieme terra e fede, per non dover perdere l'una per conservare l'altra. Era questo un ammorbidimento di regimi assolutistici. Ma la democrazia non si rivolge alla tolleranza, che certo è un comportamento virtuoso, quando si accolgono idee e comportamenti diversi dai propri, purché non siano contrari al rispetto della persona, la democrazia è affermazione del diritto di cittadinanza, come già sottolineato più volte sulla base dell'art. 3 della nostra Costituzione. A tutti noi è capitato di leggere documenti diversi contrari al principio di cittadinanza e anche di assistere a comportamenti lesivi di tale diritto, non senza gravi conseguenze in un mondo multietnico, d'identità diverse e con gravi problemi di sussistenza per molti, soprattutto, immigrati. Il concetto di identità, se deve valere per riconoscere e proteggere identità e culture diverse, è irrilevante per la partecipazione alla vita sociale. Qual è il rischio che discende dall'unione tra potere civile e religione? Storicamente tale unione ha finito con l'identificare l'uno con l'altra, perciò la religione è diventata religione di Stato, posta sotto la potenza degli stati. Oggi molti, in Occidente, lontani dallo spirito autentico del cristianesimo, mirano al rovescio del principio richiamato sopra, per cui non è più la religione sotto la potenza dello Stato, che la difende, ma è lo Stato che è appoggiato, subordinato alla religione: cuius religio, eius et regio: è una nuova alleanza tra trono e altare, uno stimolo a intolleranze, fanatismi, guerre di religione e un pretesto per tutti coloro che coprono i propri interessi con il velo del rispetto dovuto al proprio credo. E questo succede anche nei paesi non occidentali. L'affermazione della propria identità senza il rispetto delle altre non può far vivere a lungo la democrazia, in società così ricche di diversità, di identità che devono imparare a rispettarsi, a convivere, senza mai confondere la sfera privata con la pubblica e senza mai dimenticare ciò che sta alla base di tutto: la dignità della persona, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione.

6 La diffidenza verso le decisioni irrimediabili. In democrazia non c'è nulla che non possa essere rivisto, controllato, modificato. Le soluzioni ai problemi senza possibili ripensamenti sono proprie dei regimi della giustizia e verità assolute. In quanto fondata sul dialogo, la democrazia non ha né può avere verità a priori, come frutto, ad esempio, di mandati divini, né a posteriori come conseguenza di mandati popolari, anche se unanimi. Abbiamo spesso sentito, ultimamente, che l'eletto dal popolo è al di sopra delle parti, possiede la verità in quanto eletto. Dobbiamo ricordare a questo punto l'art. 1 della nostra Costituzione che recita: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro/ La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Dobbiamo conoscere bene il dettato della Costituzione per sapere che anche i governanti sono tenuti a esercitare il potere nei limiti sanciti dalla Costituzione. E sono degni di rispetto in tutti i campi tutti coloro che sono pronti a riconoscere che si sono sbagliati, pronti a rivedere le proprie scelte. Proprio per questo, proprio perché l'errore è sempre possibile, la democrazia deve essere contro la pena di morte e la guerra, due decisioni dalle conseguenze irrimediabili. Solo i regimi autocratici possono fare l'elogio della guerra e del boia in nome di una verità assoluta che credono di possedere. Ma, a parte questi casi estremi, in molti campi il dibattito deve essere aperto al confronto per trovare soluzioni guidate dal rispetto della persona: si pensi alla bioetica, alla tecnologia applicata ai temi della vita, della morte, della salute; al rapporto uomo/natura e alle scelte che non dovrebbero mai intaccare i delicati equilibri naturali. Si deve perciò essere sempre aperti al dialogo e diffidare di chi, in nome di una verità assoluta, non è pronto a riconoscere che non ci sono né ci devono essere decisioni irrimediabili.

7 L'atteggiamento sperimentale. Ogni volta che si prendono delle decisioni bisogna prendere in considerazione le conseguenze che ne derivano perché servono a darci insegnamenti utili per le scelte future. Accanto all'etica della convinzione, della consapevolezza delle scelte che ci si accinge a fare, si devono seguire i principi dettati dal rispetto dell'etica della responsabilità per cui le scelte saranno sempre messe alla prova, sperimentate, verificate, perché chi le prende ne è responsabile. I regimi fondati su verità assolute non temono le conseguenze dei loro atti e non ammetteranno mai di essersi sbagliati. Pur essendo gli Stati Uniti una grande democrazia, le forze politiche al governo nella congiuntura attuale hanno dichiarato guerra all'Iraq in nome dell'affermazione iniziale di giustizia infinita, diventata poi esportazione/instaurazione della democrazia. Tutti conosciamo i limiti, le gravi conseguenze di quelle scelte, pur condividendo l'effetto positivo della caduta di un dittatore sanguinario. Non si vede purtroppo la conclusione di quella guerra iniziata nel marzo del 2003 e si assiste a una diffusione di atti di terrorismo con tante, tante vittime innocenti. Si arriverà mai a riconoscere che la democrazia non si può mai esportare con le armi? Il governo americano arriverà mai a riconoscere i propri errori? Se questo avvenisse sarebbe avvicinarsi al rispetto dell'etica della responsabilità.

8 Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza. Perché la democrazia possa avere vita duratura deve basarsi sul rispetto delle minoranze, non deve mai trasformarsi in una dittatura della maggioranza. Si deve essere sempre pronti al dialogo, riconoscendo i propri errori. Il motore di questo comportamento virtuoso sta nelle minoranze che fanno loro il motto "Distinguiti dalla maggioranza nel compiere ciò che ritieni giusto". Ed ecco che le decisioni prese possono essere riviste a garanzia di una vera democrazia. Alla maggioranza spetta l'onere di dimostrare la bontà delle proprie scelte programmatiche, alla minoranza quello di insistere su decisioni migliori. Questo è il sale della democrazia. I cittadini devono essere consapevoli di tutto questo, così da fare delle scelte responsabili nell'ottica dell'alternanza, senza drammi.

9 L'atteggiamento altruistico. La democrazia si fonda sulla solidarietà, la condivisione, sul contributo di tempo, capacità, risorse materiali di cui ognuno dispone. L'emarginazione sociale è perciò contro la democrazia. Nessuno – vecchi, ammalati, portatori di handicap, svantaggiati – può essere lasciato a se stesso. Se questo avviene, assistiamo all'affermazione del darwinismo sociale, all'affermazione dei forti per privilegi di natura diversa, mentre i deboli sono abbandonati alla loro sorte. La scuola ha l'arduo compito di insegnare la solidarietà.

10 La cura delle parole. Questo punto che chiude il decalogo affidatoci da Zagrebelsky è molto delicato, in un periodo in cui c'è un abuso nell'uso delle parole staccate dal concetto che sottendono. Innanzitutto è importante, determinante, ancora meglio, per la propria autonomia e capacità di comprensione possedere un buon bagaglio di parole, perché il bagaglio che si possiede in modo consapevole è proporzionale al grado di sviluppo della democrazia. Purtroppo il livello di conoscenze di molti è basso, con fenomeni accentuati di analfabetismo di ritorno. La lettura è un'abitudine di pochi, i giornali non sono particolarmente sfogliati, la televisione assorbe molte ore. Un libro che documenta questo stato di cose in Italia è La cultura degli italiani (a cura di Francesco Erbani), autore Tullio De Mauro, intervistato dal giornalista di la Repubblica. Comanda chi conosce più parole, come ci hanno insegnato la Scuola di Barbiana e il suo fondatore Don Milani. Se la realtà è questa, è difficile instaurare un dialogo paritario con piena consapevolezza di tutti i partecipanti: "È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno". Tornando alle parole, è successo spesso che il loro senso sia stato tradito, per cui, ad esempio, la parola politica, che viene da polis, politéia e che significa arte, scienza e attività dedicate alla convivenza si è allontanata dal suo autentico significato, è diventata altro. Così è successo alla parola libertà, diventata da protezione degli inermi contro gli abusi del potere uno scudo dietro il quale i potenti nascondono la loro pre-potenza.
Ci si possono porre alcune domande.
Si può insegnare a essere democratici, perché è questo ciò che conta?
Il mito del Protagora di Platone racconta di come Prometeo, dopo aver distribuito agli esseri viventi tutto ciò che è utile per condurre una vita buona, si accorse che gli uomini non possedevano l'euboulìa, cioè l'assennatezza nelle deliberazioni comuni. Perciò erano facili le liti e ogni costruzione comune si dissolveva subito. Allora Zeus mandò Ermes a distribuire ciò che serviva e ordinò che fossero dati a tutti giustizia e rispetto reciproco e aggiunse che, una volta conosciuti, tutti avrebbero dovuto metterli in pratica e chi se ne fosse discostato avrebbe dovuto essere punito. Socrate riteneva dunque che la conoscenza della virtù sia sufficiente a metterla in atto: tutti sono quindi capaci di virtù politica. La malvagità sarebbe solo frutto dell'ignoranza.
Purtroppo non è così, come ci insegnano la storia, l'esperienza. Nell'uomo la conoscenza non coincide con la coscienza: si può essere malvagi nella piena consapevolezza di esserlo e non per ignoranza del bene.
Che fare allora? Come affermare il bisogno della democrazia? Basterebbe, forse, far conoscere i vantaggi che la democrazia comporta?
Se è solo con questa molla che possiamo agire, può succedere che per difendere i vantaggi della democrazia , tra cui la pacifica convivenza civile, la democrazia stessa, saremmo anche pronti a limitarla qualora questi vantaggi non fossero più assicurati e ciò potrebbe anche comportare il suicidio della democrazia.
Se non basta la conoscenza del bene per affermare una condotta virtuosa, se non basta il discorso utilitaristico per spingere l'uomo a scegliere la democrazia, allora come insegnarla?
A differenza di ogni altra cosa la democrazia non sopporta la propaganda, ciò che la telepolitica attuale sembra invece affermare e di cui dovremmo essere capaci di diffidare. Perché non sopporta la propaganda? Perché la propaganda, come la pubblicità per la vendita di un prodotto, finisce con il fare violenza sulla libertà di coscienza altrui e, inoltre, chi fa una scelta sbagliata, convinto dalle promesse rivoltegli, se i politici che hanno fatto quelle promesse, quella propaganda, sono vincenti, non può più tornare indietro, anche se si avvede dell'errore. Nel caso della pubblicità di un prodotto, invece, una volta reso consapevole dell'imbroglio, il consumatore può modificare le sue scelte, a proprio vantaggio. La democrazia è dialogo paritario, deve perciò rifuggire da ogni strumento di pressione, innanzitutto pressione materiale, come le armi, ma anche pressione morale, sfruttando la posizione che si occupa e dando luogo a forme di autoritarismo, come può succedere nei rapporti tra maestro e allievo, genitori e figli.
Zagrebelsky trova una molla speciale a sostegno della democrazia e del suo insegnamento: la democrazia è l'unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità nella sfera pubblica. Ma, accanto al rispetto di sé, occorre anche il rispetto, negli altri, della dignità che riconosciamo in noi. Ecco allora il motto da seguire: "Rispetta la dignità del prossimo tuo come la tua stessa" Una simile condotta non è certo facile, Montesquieu, il grande maestro di scienza politica, sottolineava come la scelta democratica fosse pénible, faticosa perciò da sopportare, in quanto essa comporta una rinuncia a se stessi.
Se ci guardiamo intorno vediamo un ben triste spettacolo: ingovernabilità delle società pluralistiche, persistenza di oligarchie economiche, politiche, la rivincita di interessi corporativi, a cui si aggiungono comportamenti che denotano egoismo, apatia, intolleranza, fanatismo, tecnocrazia, burocrazia, e invece di democrazia, videocrazia e plutocrazia. Tutto ciò alimenta disuguaglianze, ingiustizie.
"La democrazia non promette nulla a nessuno, ma richiede molto da tutti. Non è un idolo ma un ideale corrispondente a un'idea di dignità umana e la sua ricompensa sta nello stesso agire per realizzarlo".
Concludo con la stessa citazione iniziale: democrazia, un ideale corrispondente a un'idea di dignità umana; essa esige ricostruzione per ridurre le forze contrarie, per recuperare le posizioni perse, e resistenza per salvaguardarle contro chi può minarle. La diffusione nelle coscienze dell'attaccamento alla dignità della persona può insidiare, in modo efficace, le tante insidie che minacciano la democrazia.

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