41 Cultura & Società
Le voci di dentro
articolo di Giovanna Corchia

De Filippo   Le voci di dentro
Eduardo De Filippo
Einaudi
Anno 1981
Pagine 63

Eduardo e il Teatro o Eduardo è il Teatro?
Un racconto fantastico, sospeso tra sogno e realtà, per invitare ogni essere umano ad ascoltare la propria "voce di dentro", la voce della propria coscienza.
Un testo che si inserisce nel «filone del fantastico eduardiano - sono dichiarazioni di Luca De Filippo e Francesco Rosi - con l'ambiguo rapporto sogno-realtà, ed esprime profondamente gli umori del suo tempo, di un Paese scosso nel sistema di valori e poco fiducioso di una autentica rinascita, come se gli orrori della guerra, ancorché finita, avessero contaminato la coscienza delle persone...».
Dopo il successo di Napoli milionaria Luca De Filippo e Francesco Rosi hanno proseguito insieme, a partire dalla stagione teatrale 2006/2007, il viaggio nella drammaturgia di Eduardo, scegliendo un testo di poco successivo al precedente. Scritto nel 1948 – Napoli milionaria è di tre anni prima –, Le voci di dentro racconta la vicenda di Alberto Saporito e del suo strano sogno: un omicidio commesso da parte dei vicini di casa. A partire da questo avvenimento – realtà? fantasia? - si innesca un'amara riflessione sulla malvagità umana, provocata dalle ingiurie vicendevoli che i sospettati rivolgono l'uno contro l'altro. Gli atteggiamenti degli accusati fomentano i dubbi di Alberto e soprattutto lo fanno vergognare di appartenere al genere umano. Forse, di fronte a quest'umanità che non ascolta più le "voci di dentro", quelle della coscienza, appare condivisibile l'atteggiamento dello zio Nicola, un parente che vive con Alberto: nonostante non sia muto, ha deciso di non parlare più, perché ritiene che l'umanità "abbia perduto ogni ritegno".

Personaggi
Rosa Cimmaruta
Maria, cameriera
Michele, portiere
Alberto Saporito
Carlo, suo fratello
Pasquale Cimmaruta
Matilde, sua moglie
Luigi, Elvira, loro figli
Un brigadiere
Agenti di pubblica sicurezza
Zi' Nicola Saporito
Capa d'Angelo
Teresa Amitrano
Aniello Amitrano

Breve introduzione

Ecco la fine della speranza. "Non parla perché non vuole parlare. Zi' Nicola dice che parlare è inutile": «Se l'umanità è surda, io mi faccio muto». Ma le voci di dentro non smettono di parlarci, basterebbe solo ricominciare ad ascoltarle, capirle e interpretarle.
Le voci di dentro si pone nella produzione eduardiana come doverosa conclusione di un percorso verso la muta rassegnazione senza fine... Come se non ci fosse più una speranza di cambiamento che possiamo,invece, leggere in Napoli milionaria: «'A da passà 'a nuttata».
Scritta nel 1948 in diciassette lunghe ore – come Eduardo afferma in un'intervista rilasciata sul finire degli anni '70 – e nello stesso anno rappresentata, questa tarantella in tre atti, questa commedia-tragedia acutizza alcune caratteristiche di Eduardo, uomo di teatro completo: autore, attore, regista, primo tra tutti l'elemento onirico, che qui si lega al sentimento di spaesamento di tutti i personaggi, dal principio alla fine.
Si è in un mondo in cui si è smarrito del tutto il senso dell'esistenza umana, in cui le regole sembrano dettate dalla casualità, come se le tragiche figure che si muovono sotto i nostri occhi assumessero delle sembianze di marionette, senza vita né anima.
Eduardo passa da un'analisi sulla società a un approfondimento delle relazioni all'interno di una famiglia in cui impera l'ipocrisia e il tornaconto personale, con lievi sfumature di minore negatività. L'unico vero saggio è proprio Zi' Nicola, colui che ha deciso volontariamente di smettere di parlare: non c'è più bisogno della parola in un mondo sordo, persino all'interno di una stessa famiglia, in cui la parola è usata solo per accusarsi e condannarsi a vicenda. Il mondo è decisamente irrecuperabile, fatto di parole che si scontrano, si confondono, simili a rumori fastidiosi privi di significato, la comunicazione è morta... Nella commedia Eduardo esprime profondamente gli umori del suo tempo, di un paese scosso nel sistema dei valori, poco fiducioso di un'autentica rinascita, come se gli orrori della guerra, anche se ormai alle spalle, avessero contaminato le coscienze delle persone.
Le voci di dentro è uno scritto tra più amari di Eduardo. Pur partendo da un episodio che potrebbe ridursi a un aneddoto pittoresco – un poveraccio in difficoltà economiche e problemi familiari che crede di aver assistito a un omicidio perpetrato dai sui vicini ai danni di un amico – la commedia si incattivisce col procedere dell'azione, portandoci per mano lungo un cammino di errori, ipocrisie, falsità alla fine del quale non rimarrebbe che la scelta del silenzio. Lungo lo svolgimento delle vicende sono dette delle frasi che meritano una riflessione particolare, come questa: " 'A capa ncopp' 'o cuscino volle... chello che sta 'a dinto, a notte iesce fora" – La testa sul cuscino bolle... quello che sta dentro la notte viene fuori.
Il sogno è la spia di una grande inquietudine che ci attanaglia.
Nella copia della versione televisiva del 1978, con Eduardo regista e interprete nel ruolo di Alberto Saporito, il personaggio che potremmo ritenere salvato in un mondo sordo, sono riportati, sotto forma di titoli, degli snodi importanti: ho deciso di seguirli, accompagnando ogni passaggio con una rapida sintesi.

Atto I

Le steariche di prima della guerra

Mattino, nella cucina molto linda della famiglia Cimmaruta. Rosa, la zia, sorella di Pasquale, si dà da fare a preparare la colazione alla famiglia o, come dice lei, ai monaci che presto si presenteranno tutti al convento. Ha in mano delle candele molte lunghe e ben dritte, che ha fabbricato in casa come il sapone. Particolarmente soddisfatta del suo lavoro, esprime un giudizio positivo sulla guerra: ha insegnato l'arte d'industriarsi per risparmiare: " 'A guerra quacche cosa 'e buono l'ha fatto".

La fetenzia dei sogni

Suonano, Maria, la cameriera che vorrebbe sempre dormire, va ad aprire: è Michele, il guardaporta, che ritorna con le commissioni, in particolare delle sorbe per Pasquale. Michele si lamenta di correre tutto il giorno per soddisfare tutti gli inquilini, si dice costretto ad una tarantella continua e la testa non gli funziona più come prima. Ecco che in Maria affiora un terribile sogno di cui si dice ancora tutta scossa. Segue allora un altro sogno da incubo fatto da Rosa. Interviene Michele per sottolineare che lui dorme sonni tranquilli. Un tempo, sì, faceva dei bellissimi sogni che lo rendevano felice per tutto il giorno; a volte, provava persino a riaddormentarsi perché il sogno continuasse. Ecco le sue parole che vale la pena di riprendere:
"Ma allora la vita era un'altra cosa. Era, diciamo, tutto più facile; e la gente era pura, genuina. Uno si sentiva la coscienza a posto perché anche se un amico ti dava un consiglio, tu l'accettavi con piacere. Mo' si sono imbrogliate le lingue. Ecco che la notte ti fai la fetenzia dei sogni, una specie di quello che ha raccontato Maria."

Nervi a pezzi

Entra in scena Matilde, moglie di Pasquale. È lei che si dà da fare per la famiglia con il mestiere di cartomante. Il marito fa poco o nulla perché dice di avere i nervi a pezzi, di non riuscire a chiudere occhio. Pasquale fa una scenata di gelosia a proposito del nuovo abito con cui la moglie riceverà i clienti, un abito che al buio può suggerire il seno in vista.

Ho visto tutto nero

Entra in scena Carlo Saporito, un vicino, tutto casa e chiesa, un piccolo tartufo napoletano. Lui e il fratello Alberto fanno gli apparatori di feste, ma non se la passano troppo bene. Entrato, sorretto da Maria, si lascia andare su una sedia. Ha una grande fame, infatti manda giù con ingordigia i maccheroni che si sono un po' attaccati sul fondo e non sono certo da servire al nipote prediletto di Rosa. Farebbe fuori anche le sorbe se non gliele togliessero da sotto il naso. Certo con il loro mestiere non si possono permettere uova battute come in casa Cimmaruta. Esclama: "Donna Ro', oggi i grandi soldi si fanno quando non si hanno tanti scrupoli. 'A gente onesta, donna Ro', se more 'e famma."

'E muorte so' assaie

Arriva il fratello Alberto, preoccupato, così dice, perché Carlo non è rientrato. Si siede anche lui e chiede un caffé. Sotto voce informa il fratello di aspettare da un momento all'altro l'arrivo degli agenti di polizia perché è andato in commissariato a denunciare l'omicidio del suo amico Aniello Amitrano commesso dai Cimmaruta. Si dice sicuro che i documenti che provano il delitto sono in casa dei vicini, ben nascosti.
A Pasquale che dice di non chiudere occhio, Alberto sembra attribuire l'insonnia a ciò che si nasconde dentro, infatti aggiunge che, appena si mette la testa sul cuscino questo bolle perché le voci di dentro vengono fuori... Pasquale respinge questa allusione, lui non ha niente da nascondere... Ed ecco una nuova allusione a quanto è successo in quella casa, Alberto replica così: "Perché 'e muorte so assaie. So' cchiù 'e muorte ca 'e vive." Certo il Cimmaruta nasconde qualcosa e l'amico ucciso si aggira per casa...

Tengo le prove

Arriva il brigadiere con altri agenti e portano via in commissariato l'intera famiglia Cimmaruta su cui grava la terribile denuncia. Alberto esclama: "Tengo le prove".
Ma le prove cercate dappertutto insieme a Michele non saltano fuori ed è a questo punto che Alberto ricorda: "Miche', io me lo sono sognato. Dammi un bicchiere d'acqua. Ma che bel sogno..."

Atto II

Sparavierze

Siamo in casa Saporito, in uno stanzone ingombro di vecchi mobili, statue, sedie impagliate in cattivo stato, festoni di luminarie: tutto l'occorrente, decisamente vecchio e impolverato, per addobbare le feste.
Con Carlo c'è un individuo poco raccomandabile, un rigattiere di Piazza Francese, Capa d'Angelo; stanno trattando dell'acquisto delle sedie. Capa d'Angelo riesce a schivare uno sputo che arriva dall'alto: è Zi' Nicola, rifugiatosi da tempo in alto, protetto da vecchie tende sbiadite. Zi' Nicola è muto per scelta, perché è consapevole che è inutile parlare in un mondo ormai sordo. Ha uno strano modo di comunicare in caso di necessità: spara dei fuochi d'artificio e solo Alberto capisce questo speciale linguaggio. A Napoli lo chiamano Sparavierze, i fuochi sono come versi che piovono dall'alto...

Vedete che guaio

Alberto va in commissariato a confessare che è stato tutto un sogno e il brigadiere lo informa che si è messo proprio in un brutto guaio. In grande confusione Alberto chiede a Michele di andare in casa dell'amico Aniello per constatare se è ancora vivo.

Un fratello sotto processo

Carlo è molto inquieto. Cosa succederà al fratello e, poi, se sarà incarcerato, come potrà disporre degli oggetti del loro commercio? Prepara perciò un documento che Alberto dovrebbe firmare, si giustifica dicendo che così, potendo continuare l'attività, potrà essere d'aiuto al fratello quando sarà in carcere. Alberto ha ben chiaro cosa muove il fratello, perciò non firma, dicendo che lo farà quando il serpe si presenterà. Carlo continua con i suoi raggiri e cerca di concludere l'affare con Capa d'Angelo, prima che sia troppo tardi.

Una buona vicina

Inizia l'andirivieni di tutta la famiglia Cimmaruta, rientrata dal commissariato dopo che Alberto ha spontaneamente dichiarato che era tutto un sogno. La prima è Rosa che, da buona vicina, aggiunge, porta del latte caldo. Ma il suo intento è farsi giurare da Alberto Saporito che è stato realmente un sogno, perché lei è stata colta dal sospetto che il delitto ci sia stato e che a commetterlo sia stato il nipote prediletto. Se così fosse, chiede di accusare lei del crimine. Arrivano a turno tutti gli altri e si accusano a vicenda. Lo spettacolo è tremendo, quella famiglia è un covo di serpi.

Tirate fuori i documenti

Pasquale chiede con violenza ad Alberto di tirar fuori i documenti: "Vuol dire che il colpevole paga." Per lui è stata senz'altro la moglie a far fuori uno dei suoi clienti.

Un poco di pace

Torna Michele a confermare che Aniello non è rientrato per la notte. In tutta questa confusione piovono dall'alto le uniche parole, dopo un lungo mutismo, di Zi' Nicola: "Per favore un poco di pace". "Ha rotto 'a consegna" , dice il nipote.
Anche nella scelta del silenzio, suggeriscono le ultime, definitive parole del saggio della famiglia, non ci può essere pace: il mondo è un inferno di rumori, solo la morte è realmente liberatoria.
" 'A da passa' 'a nuttata". No, la nottata non passerà mai.

Atto III

L'uomo è «carnivaro»

Il mezzanino è vuoto, lo zio non c'è più, Alberto è in preda ad un'ansia terribile, vorrebbe poter comunicare con lo zio, sembra anche volersi ritirare nel silenzio, la sola protezione possibile. Esprime qui un bel giudizio su quel suo zio, ricollegandosi a quanto detto da Michele, sempre sullo Sparavierze,: «Una persona superiore». "Sì, hai ragione. Era superiore. Mo' capisco come la pensava e perché si regolava così. Era un saggio."
Michele racconta poi quello che ha appena udito da Carlo nel suo incontro con Capa d'Angelo: è inorridito di fronte a quanto sentito: un fratello che cerca di guadagnare prima che l'altro sia arrestato. Perciò dice che "l'uomo è carnivaro: nfaccia 'e denare, non guarda nemmeno il proprio sangue."

Una gita in barca

Per ultima dai Saporito arriva la cameriera Maria appena licenziata. Anche lei ha dei sospetti su quell'assassinio, crede sia stata la signora Rosa in quella sua stanza in cui fabbrica saponi e candele. Poi racconta a Alberto che ha sentito che la famiglia Cimmaruta ha architettato un modo per farlo fuori, invitandolo ad una scampagnata con gita in barca. Anche Maria, comunque, non è diversa da tutta l'umanità di questa commedia, anche lei accusa i Cimmaruta quasi per vendicarsi di essere stata licenziata.
Come annunciato da Maria, si presentano tutti i Cimmaruta ben vestiti e pronti ad invitare Alberto Saporito. Mentre sono là arriva il brigadiere con il mandato di cattura: Alberto firma la carta preparata dal fratello e poi aggiunge che è in possesso delle prove.

Lo sfizio

È finalmente giunto il momento di concedersi lo sfizio di denunciare i Cimmaruta. Come? Alberto apre una porta e fa entrare l'amico Aniello Amitrano con la moglie. Aniello non era rientrato perché in visita a una parente a Caserta, si era sentito male e si era fermato senza avvertire la moglie per non metterla in pensiero. Altre volte aveva fatto così.
Al brigadiere che chiede di essere accompagnato in commissariato per metter a punto tutto e restituire la stima ai Cimmaruta Alberto esprime tutto il suo disgusto per un mondo così. Ecco le sue parole:
"Mo volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo, è 'o fatto 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera, d' 'o marito... ... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando. Pure la cameriera ha sospettato di voi."
Michele uscendo con gli altri riprende il discorso dei sogni: ora non sogna più come da ragazzo; le lingue si sono imbrogliate, nessuno ascolta più nessuno, il mondo è sordo...
I due fratelli sono rimasti soli, il silenzio è tra loro, il sole che entra appena dall'alto mette in risalto i loro volti e le povere cose che forse potranno ancora essere richieste per animare i poveri vicoli napoletani.

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