2. Democrazia & Impresa:
Occupazione e relazioni industriali: promuovere un comportamento responsabile delle imprese
in un'economia globalizzata
(Conferenza di Parigi, 23-24 giugno 2008)

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La conferenza, organizzata congiuntamente dall'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e dall'Oil (Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia dell'ONU), è stata l'occasione per discutere di diritti del lavoro e di responsabilità sociale, mettendo allo stesso tavolo, per la prima volta, coloro che si occupano dell'attuazione delle Linee guida sulle multinazionali dell'Ocse e quanti seguono la Dichiarazione di principi tripartita dell'Oil sulla politica sociale e le multinazionali , con l'obiettivo non solo di migliorare l'efficacia di entrambi questi strumenti internazionali, ma anche di trovare una possibile sinergia fra essi. L'evento ha, insomma, dimostrato che oggi i vertici dell'Ocse e dell'Oil sono consapevoli del fatto che senza uno sforzo congiunto delle organizzazioni internazionali intergovernative non è possibile migliorare il rispetto dei diritti del lavoro nell'attuale fase della globalizzazione. John Evans, segretario generale della commissione sindacale consultiva presso l'Ocse (Tuac), ha proposto nel suo intervento che le amministrazioni pubbliche che si occupano a livello nazionale dell'attuazione delle Linee guida e della Dichiarazione tripartita dell'Oil siano le stesse, in modo da evitare duplicazioni e inefficienze. Evans ha, inoltre, suggerito che, sull'esempio di quanto si sta facendo per l'attuazione della Convenzione Ocse contro la corruzione, i rappresentanti di quest'organizzazione internazionale visitino i Paesi in via di sviluppo per verificare l'applicazione delle Linee guida. Il tema del rispetto dei diritti del lavoro è sempre più collegato alle questioni inerenti alla responsabilità sociale delle imprese. Lo scorso maggio, in Giappone, la conferenza dei ministri del Lavoro dei Paesi maggiormente sviluppati (G8) ha, infatti, messo in evidenza che la responsabilità sociale delle imprese è importante per giungere a una globalizzazione equa che garantisca adeguate tutele ai lavoratori di tutto il mondo.

Presso i Punti di contatto, istituiti a livello nazionale per verificare l'attuazione delle Linee Guida sulle multinazionali, sono giunti dal 2000 in poi circa centotrenta reclami da parte di organizzazioni non governative e sindacati, la maggior parte dei quali ha riguardato i diritti del lavoro nei Paesi non aderenti all'Ocse. L'attività di questi Punti di contatto ha messo in evidenza i due principali punti deboli delle Linee guida: la difficile attuazione e lo scarso coinvolgimento dei Paesi che non aderiscono all'organizzazione. Secondo l'Ocse, poiché gli investimenti diretti esteri rappresentano un fattore chiave per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, le Linee Guida (e l'attività dei Punti di contatto nazionali) sono oggi uno strumento più che mai fondamentale per regolare questi investimenti. Per rilanciare le Linee Guida, l'Ocse propone un incremento del numero di Paesi (anche non aderenti all'organizzazione) che vi aderiscono e, in alcuni Paesi, maggiori risorse per il finanziamento dei Punti di contatto nazionali.

Nel corso della conferenza sono stati presentati i risultati di una ricerca, realizzata dall'istituto di studi Eiris per conto dell'Ocse, sulle pratiche di responsabilità sociale nell'area dell'occupazione e delle relazioni industriali, basata su un campione di duemila imprese. Dallo studio emerge che il tema delle pari opportunità è particolarmente gradito dalle aziende socialmente responsabili (l'80% di quelle del campione, infatti, attua progetti legati a quest'argomento), insieme a quello della salute e sicurezza del lavoro. Solo il 15% delle imprese che operano nei mercati dei Paesi in via di sviluppo, però, attua iniziative a favore del riconoscimento delle organizzazioni sindacali. Sia nei Paesi Ocse, sia negli altri, inoltre, solo il 20% delle aziende è impegnata in piani di formazione e addirittura soltanto il 10% in progetti che favoriscono la sicurezza dell'impiego . In sostanza, dunque, le aziende preferiscono impegnarsi nell'attuazione delle pari opportunità piuttosto che di altre norme del lavoro: solo il 22% delle imprese del campione è attivo, infatti, nell'attuazione di tutte le tutele a favore dell'occupazione in ogni area del globo.

Altro tema sul quale, secondo la ricerca, non c'è un'attenzione sufficiente da parte delle imprese nei Paesi in via di sviluppo è quello della subfornitura, anche se va rilevato che la situazione cambia a seconda dei settori. Infatti, nel commercio, dove il sindacato è maggiormente presente, il 58% delle aziende attua almeno qualche iniziativa per verificare l'attuazione delle norme del lavoro nelle imprese di subfornitura, una percentuale che scende al 51% nel settore dei beni personali. In due comparti dove, invece, la presenza del sindacato è molto più contenuta si registra una minore attenzione nei confronti del rispetto delle norme del lavoro fra i subfornitori. Infatti, nell'informatica solo il 18,5% e nelle telecomunicazioni soltanto il 10% delle aziende del campione applica nelle proprie imprese subfornitrici il rispetto di almeno uno dei diritti fondamentali del lavoro dell'Oil. In generale, solo il 44% delle imprese non europee del campione attua politiche socialmente responsabili nella subfornitura . L'appartenenza ai settori non è l'unico fattore che influenza la propensione delle imprese a impegnarsi in iniziative socialmente responsabili nel campo dei diritti del lavoro. Anche l'ammontare del capitale azionario conta: le società che hanno oltre tre miliardi di dollari quotati in Borsa, infatti, appaiono più propense ad attuare progetti nel campo dei diritti umani rispetto a quelle che posseggono meno di tre miliardi di dollari quotati. Questo avviene per due motivi: le imprese con una maggiore capitalizzazione hanno bisogno di più visibilità e, inoltre, alcuni mercati azionari richiedono come condizione per il collocamento un impegno nel campo delle norme sul lavoro. In particolare, le aziende con un maggiore capitale azionario tendono sempre di più ad applicare la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite e i diritti fondamentali del lavoro dell'Oil, nonché altre iniziative come i Principi volontari sulla sicurezza e i diritti umani . Anche standard di certificazione come OHSAS 18001 e SA8000 sono sempre di più applicati dalle imprese. Un terzo fattore che determina la propensione delle aziende a impegnarsi nei diritti del lavoro è la posizione geografica: quelle che possiedono la casa madre in Europa attuano progetti su questo tema con maggiore frequenza rispetto a quelle con sede nel Nord dell'America o in Asia e Pacifico. Gli autori dello studio, tuttavia, notano che ci sarà probabilmente in futuro un maggiore impegno sul fronte dei diritti del lavoro da parte delle aziende statunitensi e asiatiche, poiché i dirigenti dei fondi di investimento responsabile stanno sempre di più chiedendo codici di condotta aziendali che facciano esplicito riferimento ai diritti fondamentali del lavoro dell'Oil.

Un altro studio presentato da John Martin, a capo della Direzione Occupazione, lavoro e affari sociali dell'Ocse, riguarda le conseguenze che gli investimenti diretti esteri realizzati dalle multinazionali hanno sui salari e sulle condizioni di lavoro. Sono due le conclusioni sottolineate da Martin. In primo luogo, le imprese transnazionali pagano in media il 50% di più i propri dipendenti nei Paesi dove investono rispetto alle imprese locali, "ma questo non significa necessariamente che le aziende estere offrono migliori condizioni di lavoro, perché può esserci una differenza di qualità fra la loro manodopera e quella impiegata nelle imprese locali". Sono Asia e America Latina le aree dove il divario fra i salari nelle multinazionali e quelli nelle imprese locali è più ampio. In particolare, i neo assunti nelle multinazionali sembrano beneficiare di paghe più alte rispetto ai loro colleghi che lavoravano già alle dipendenze di un'impresa acquisita dalla società straniera. Anche i dipendenti delle aziende subfornitrici di gruppi transnazionali percepiscono salari migliori, anche se di poco, rispetto a quelli offerti dalle piccole aziende locali indipendenti. La seconda conclusione cui giunge lo studio è che le multinazionali, quando investono all'estero, non trasferiscono nelle filiali le pratiche di lavoro presenti nella casa madre, preferendo seguire le leggi e i sistemi di contrattazione locali. Tuttavia, la maggiore possibilità di formazione e il più alto tasso di sindacalizzazione di cui godono i lavoratori delle imprese transnazionali rispetto a quelli impiegati nelle aziende locali sono due aspetti che indicano migliori condizioni di lavoro nelle multinazionali. La ricerca, infine rileva un elemento interessante: l'efficacia dei codici di condotta attuati da alcuni grandi gruppi nella catena della subfornitura appare limitata, a meno che un'adeguata rappresentanza dei lavoratori non verifichi l'attuazione del codice.

Theodore H. Moran, professore all'università di Georgetown, è apparso ottimista sul rapporto fra multinazionali e salari: i lavoratori delle filiali dei grandi gruppi operanti nei settori ad alta tecnologia godono generalmente di paghe migliori rispetto a quelli impiegati nelle multinazionali o in imprese locali a più basso contenuto di innovazione. Tuttavia, "quando migliorano le condizioni dei dipendenti nelle imprese di proprietà estera ad alta tecnologia, spesso succede lo stesso anche ai lavoratori delle multinazionali, o delle imprese locali, appartenenti a settori a minore valore aggiunto, che si trovano nei pressi". Generalmente si ritiene che le multinazionali investano prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo in settori come il tessile e le calzature, creando posti di lavoro mal pagati e poco tutelati: Moran nota, invece, che la massa degli investimenti prodotti dalle multinazionali si dirige verso i settori a maggiore valore aggiunto: questo non significa, però, che l'occupazione prodotta dalle imprese transnazionali nei Paesi in via di sviluppo riguardi le mansioni più qualificate. Moran risponde poi alla spinosa questione se la globalizzazione dell'industria attraverso gli investimenti delle multinazionali avvenga a spese del lavoro dignitoso nel Paese dove ha sede la casa madre: "la globalizzazione dell'industria attraverso l'investimento delle multinazionali costituisce un fenomeno vantaggioso sia per le imprese, sia per i lavoratori, sia per le comunità nei Paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati. Gli investimenti dalle economie più ricche verso quelle maggiormente povere rafforza la competitività della base economica nel Paese di origine e crea nuovi posti di lavoro in quelli ospiti. La distribuzione dei benefici provenienti dalle multinazionali non è un risultato a somma zero che aiuta i lavoratori da un lato del confine a scapito di quelli dell'altra parte. Alla fine, gli investimenti delle multinazionali possono essere una forza potente per creare un lavoro decente simultaneamente a casa e nei Paesi ospiti. Ma l'investimento delle multinazionali può anche diventare il giocattolo delle pressioni dei governi per proteggere specifici lavori e impedire il cambiamento".

Sugli organismi internazionali citati si può fare riferimento alle seguenti indicazioni sitografiche    libri

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