6. Democrazia & Impresa:
Com'è difficile parlare di responsabilità sociale a Bruxelles

Anche in tempi di crisi a Bruxelles non piace parlare di democrazia economica. I disastri combinati dalla "finanza creativa" e da una crescita drogata dal settore immobiliare hanno riacceso per qualche tempo il dibattito in tutto il mondo su come "controllare i controllori" dell'economia. Il lieto fine non è, però, mai scontato e la parola d'ordine nei corridoi della Commissione europea sembra essere oggi business as usual, che si potrebbe tradurre, con qualche forzatura: "Torniamo alle nostre posizioni di prima della recessione, tanto non è cambiato nulla". Come se la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e il calo del prodotto interno lordo comunitario fossero eventi paragonabili alle ceneri eruttate da un vulcano islandese, che scompaiono, dopo aver vagato nell'atmosfera.

La riprova si è avuta nei mesi scorsi, quando la Commissione europea ha deciso di riprendere in mano il tema della responsabilità sociale. Negli ultimi anni, Bruxelles aveva deciso di non intervenire sull'argomento, lasciandolo all'iniziativa degli imprenditori, con la motivazione – un po' debole, come minimo – che l'approccio volontario alla responsabilità sociale escludeva ogni ruolo attivo da parte delle istituzioni comunitarie. Dopo la pubblicazione di una Comunicazione nel 2006, che legava questo tema alla revisione della strategia di Lisbona, la Commissione europea aveva così scelto la strada del silenzio. La notizia di un suo rinnovato impegno per quanto riguarda la corporate social responsibility (Csr) aveva suscitato speranze e attese da parte di chi, come i sindacati e le Ong europee, è a favore di un quadro normativo a livello comunitario che elenchi i criteri in base ai quali classificare le attività socialmente responsabili, distinguendole da quelle che sono mero esercizio di marketing. Il momento sembrava insomma propizio per partire dalla responsabilità sociale e approdare al "buon governo" dell'economia.

In realtà, però, non si è parlato finora che di minuzie. Tra la fine del 2009 e i primi mesi di quest'anno, infatti, la Direzione Generale Imprese e Industria della Commissione europea, che si occupa di Csr, ha organizzato a Bruxelles sei seminari, ognuno riservato a una categoria di parti interessate (imprese, investitori, Ong, associazioni dei consumatori, sindacati e governi), approfondendo il tema dell'informazione di carattere economico, sociale e ambientale da parte delle aziende. La materia è senza dubbio interessante, perché è al cuore dei diritti d'informazione da sempre rivendicati dalle organizzazioni dei lavoratori, soprattutto nel caso di processi di ristrutturazione aziendale. Tuttavia, offre una visuale limitata sul tema della responsabilità sociale: è davvero utile discutere sui contenuti delle informazioni dovute dalle imprese ai governi, ai propri dipendenti, clienti, fornitori e alle altre parti interessate, senza affrontare l'argomento, ben più ampio, della democrazia d'impresa? L'impressione di quanti hanno partecipato ai seminari è stata di trovarsi di fronte a una Commissione europea ancora molto incerta sul da farsi, e non solo perché era a fine mandato. Gli scenari per le sue iniziative future sono, infatti, tutti possibili e vanno dal semplice finanziamento di attività socialmente responsabili condotte dalle parti sociali (com'è avvenuto nel corso degli ultimi anni) alla redazione di linee guida sull'informazione in materia economica, sociale e ambientale, fino alla pubblicazione di una Direttiva che identifichi a livello comunitario i criteri per le iniziative socialmente responsabili. La scelta su quale scenario adottare dipende anche dagli orientamenti che assumerà in materia il nuovo Commissario europeo per le Imprese e l'industria, Antonio Tajani. Certo è, però, che non c'è alcun bisogno di riaprire nella Commissione europea la discussione sulla responsabilità sociale se non si vola alto e non si affronta una volta per tutte il tema di quale modello di Europa uscirà dalla crisi.

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