Letteratura disegnata e teatro
una divagazione e un salto di autori
Emiliano Ventura

A Stefania

Un vangelo Apocrifo del ventesimo secolo recita così il suo incipit "In principio era l'immagine e l'immagine era tutto". Il filologo più ardito e l'ermeneuta più preparato hanno ripetutamente fallito il compito di dare un nome all'autore. L'immagine è sempre stata fedele compagna dell'uomo, magnifico trampolino nel regno del sogno, della fantasia o del racconto archetipale. Penso ai bisonti di Altamira, alla mano ignota che ne chiuse i contorni, al tuffatore di Paestum nella tomba del tuffatore o a quella della caccia e della pesca. Alberelli, danzatori, scene di caccia e di pesca, un uomo che si tuffa in acqua sono le immagini che rimangono di un occhio vergine che ha lasciato una iconografia esemplare. Da quel lontano passato il secolo che si è da poco chiuso ha raccolto e amplificato l'importanza dell'immagine, Homo videns è la formula con cui Giovanni Sartori definisce l'uomo contemporaneo. A fine ottocento due arti nascono quasi contemporaneamente, il cinema e il fumetto. Queste due capacità di espressione utilizzano l'immagine con tecniche diverse solo per ottenere lo scopo comune della narrazione. Molto si dice e si è detto del cinema, meno sui fumetti relegati ancora in un sottogenere infantile. Nasce da qui la voglia di accostare e rivelare come il fumetto e il teatro (altra arte che in Italia non gode dei favori della critica o delle accademie) hanno, a volte, camminato tenendosi per mano.

Nel 1909 un giovane attore entra nella compagnia di Ermete Novelli, è magro ed elegante ha una grazia anglosassone innata, recita drammi di Shakespeare, farse francesi o commedie italiane: il suo nome è Sergio Tofano più tardi sarà noto come Sto. La leggenda vuole che Sergio fin da ragazzino recitasse in chiesa ma una seconda versione dice che i suoi libri e i quaderni erano pieni di disegni, tanto che i professori ne erano divertiti e controllavano con piacere i progressi dei fogli pupazzettati. È nel 1917 che il personaggio inventato da Sto vede la luce sulle pagine del glorioso "Corriere dei piccoli" anche detto Corrierino. Il Signor Bonaventura nasce già grande deve avere circa trent'anni, l'età dell'autore, e si muove in un mondo immaginario. La figura sottile e slanciata è stilizzata, porta la redingote rossa i pantaloni bianchi e ampi un berretto rosso, somiglia alla figura snella e dinoccolata di Tofano. Il Signor Bonaventura si esprime in rima baciata qui comincia la sventura/ del Signor Bonaventur!Vita dura, sorte oscura/ che tortura addirittura /per un'anima sì pura/ di spazzar la spazzatura!, sembra che la buona ventura finale sia nata in contrapposizione con la mala sorte di Fortunello. Infatti alla fine di ogni storia per la buona azione compiuta il Signor Bonaventura riceve una banconota della Banca D'Italia di un milione che con la svalutazione diventerà un miliardo. Molti altri personaggi nascono al fianco di Buonaventura, antagonisti come Barbariccia o il baron Partecipazio, altri lo aiutano come il commissario Sperassi o il dottor Crepacuore senza dimenticare il cane bassotto che caduto era di sotto, o il bellissimo cecè vanesio gagà mondano. Di Sergio Tofano Renato Simoni, intellettuale e regista teatrale suo contemporaneo, dirà che" è un artista singolare abbandonatosi a due deliziosi estri, uno ingenuamente canoro e l'altro graziosissimamente pittorico." Il mondo di Bonaventura è un mondo credibile- incredibile, un reale fantastico, una poesia fiabesca dove l'assurdo prende un'aria borghese e familiare, quasi casalinga. Dieci anni dopo, a Torino, il 17 marzo del 1927 Bonaventura fa il suo ingresso a teatro e nei panni del protagonista c'è proprio Sergio Tofano. Il battesimo teatrale è ad opera della Compagnia Comica Italiana Almirante-Rissone-Tofano che ha tre le fila anche il giovane Vittorio De Sica. L'anno dopo la commedia "Qui comincia la sventura del signor Bonaventura" arriva al teatro Argentina di Roma per la gioia dei fan del fumetto e del "corrierino". La commedia che annovera tra i protagonisti anche Rosetta Tofano e Checco Rissone attira le critiche positive di Alberto Cecchi e Silvio D'Amico che intitola semplicemente "Sto" il primo articolo su Tofano. Qui viene definito autore, attore, inscenatore e personaggio mitico; tutti riuniti in una sola moltitudine. Memorabile per esilarante agilità la scena Bonaventura-Paganini dove il protagonista chiede un'informazione al violinista che continua a suonare colpendolo con l'archetto. Bonaventura è stato considerato l'ultima maschera della commedia dell'arte con la sua gestualità concepita con movimenti ampi e arrotondati. Il testo della Commedia è dello stesso Tofano che rende a teatro la stessa cantilenante struttura metrica della rima baciata usata nelle strisce a fumetti. Il ritmo del testo viene interrotto dalla musica di Ermete Liberati che ha il compito di impedire l'eccessivo salmodiare degli attori e di rilassare l'orecchio allo spettatore. Tofano raccoglie tutta la tradizione teatrale da Molière a Goldoni fino agli sperimentatori futuristi, dal melodramma al varietà.

Per tornare a tempi a noi più vicini Paolo Schieriani è stato autore di una riscrittura in chiave postmoderna della Salomè di Oscar Wilde. Il testo è intitolato "Eroine alla Fine" e Guido Crepax (l'autore di Valentina) ha disegnato le immagini che accompagnano e arricchiscono il testo. La "Salomè" di Oscar Wilde fu scritta in francese ed era destinata all'interpretazione della divina Sarah Bernhardt, nel 1893 venne pubblicata una prima edizione ma venne rappresentata senza successo solo nel 1896. In quegli anni Wilde era stato travolto dallo scandalo del processo, alle spalle aveva tutto un mondo sterminato di romanticismo sfociato in decadentismo. Il retroscena poetico non era immune da contaminazioni francesi con Baudelaire, Gautier, Huysman, il Divin Marchese o gli umbratili inglesi Swinburne e l'enigmatico Baron Corvo. Tutte le atmosfere Liberty di fine secolo, a un passo dall'essere terribilmente Kitsch, confluiscono di forza nella Salomè e nell'elenco che Erode le offre quando chiede la testa del profeta Iokanaan. Segue una vera apoteosi di bigiotteria da Regina di Saba; ametiste, opali che rendono l'animo triste, onici che sembrano pupille di una morta, seleniti che cambiano colore e zaffiri grandi come uova, poi crisoliti, crisopazi, sardoniche (nella versione contemporanea di Schieriani il catalogo degli oggetti che Erode promette a Salomè in cambio della testa del profeta è ironicamente distante dall'originale di Wilde, ci sono Ferrari, scarpe, calendari pirelli del 1974, un telefono cellulare e un viaggio). Oscar Wilde aveva ottenuto un grande successo con commedie teatrali che rappresentavano l'ambiente londinese contemporaneo: "L'Importanza di chiamarsi Ernesto", "Un Marito Ideale" e "Il Ventaglio di Lady Windermere". Quando con l'atto unico "Salomè" Wilde si cimenta con la storia l'esito non resiste al paragone con le altre commedie. "L'importanza di chiamarsi Ernesto" è stata considerata una delle commedie più divertenti in assoluto. Dopo diversi anni, quando lo scandalo che aveva colto l'autore cominciò a scolorire, la commedia ottenne comunque successo e repliche in Europa e in America. Ad arricchire il testo di Wilde ci vorrà il giovane più elegante e più tisico di Londra il pittore illustratore Aubrey Beardsley. Wilde, da vero cultore dell'arte, si rese perfettamente conto che le illustrazioni di A.B. impreziosivano e miglioravano la sua pièce. A.B. nasce nel 1873 e muore nel 1898 inondando il cuscino di sangue a soli venticinque anni. Ha la consapevolezza di chi si brucerà presto, come Keats, e lascia fiorire le strepitose invenzioni figurative anticipando Klimt, Munch e Lichtenstain. È nella Salomè che trova definitivamente sé stesso e il suo tratto unico, purezza di linea con prodigiosi stacchi tra bianco e nero; ha già superato il gusto prerafaellita delle illustrazioni della "Morte di Artù", il simbolismo il chippendale e l'erotismo biricchinata. La Salomè di Beardsley si trova inserita in una luna antropomorfica, poi la ritroviamo truccata come la maschera triste di Pierrot mentre puttini diabolici e fanciulle androgine giocano con simboli fallici. Per la verità tutte le immagini sono intrise di una sessualità unisex, i genitali e le mammelle sembrano quasi rintanarsi in un limbo inorganico comune a uomini e donne. L'ambiente in cui ritroviamo Salomè è molto simile ad una toilette liberty circondata da belletti e ciprie, non mancano le citazioni dei libri Les Flours du mal, Nana, Marquis de Sade, in effetti sia dal testo di Wilde che da quello di Schieriani emerge un sadismo soffuso che prende forza grazie alle illustrazioni di Beardsley e di Crepax. Nelle ultime immagini una leggerezza metafisica solleva l'eroina mentre bacia la testa sanguinante del profeta "Jai baise ta bouche Iokanaan jai baise ta bouche" per poi essere sepolta da un dio pan e un clown listato a lutto.

Un altro enfant-prodige dell'illustrazione che ha rapidamente bruciato le tappe della creazione artistica, conscio di dovere lottare con il tempo, è stato Andrea Pazienza (Paz). Creatore di personaggi memorabili come Zanardi, Penthotal e Pompeo in un improbabile coccodrillo di qualche anno fa chiudeva dicendo "Io sono il più bravo disegnatore vivente. Amo gli animali, ma non sopporto di accudirli. Morirò il sei gennaio 1984". Sbagliò di poco perché mori nel 1988 poco più che trentenne. Nel festival di Todi di qualche anno fa il nostro amico Ugo de Vita portò proprio le poesie di Paz e altri giovani poeti sconosciuti come Eros Alesi (anche lui morto giovanissimo), alcune diapositive restituivano le immagini dei fumetti e le illustrazioni di Pazienza -Ma io sono la mitiga anatra sognante/ sono ancora una volta perpetuo moto/ sono la brocca sognante/ desiderio di vuoto. E se le mie arroganti parole d'un tempo,/ son finite segnalibro d'un volume dimenticato /pure ti chiedo ara il mio campo/ a scoprirlo.
Ho davanti agli occhi il disegno di Sto e il suo Buonaventura, gli abiti e la figura longilinea ricordano Corto maltese; la marsina i pantaloni bianchi e ampi, il berretto e il tratto quasi metafisico. Anche il personaggio del maestro Hugo Pratt è stato più volte protagonista di pièce teatrali prima e dopo la scomparsa dell'autore stesso (nel 1995). Nelle avventure del marinaio gentiluomo di fortuna, il legame con il teatro è evidente in alcune storie (o romanzi per immagini come li definiva lo stesso Pratt). Indimenticabile l'avventura tutta scespiriana intitolata proprio "Sogno di un mattino di mezzo inverno"; Oberon e Puck coinvolgono Corto Maltese in una avventura dai toni mitico-celtici sullo sfondo di Stonehenge. Alla fine la sensazione che tutto sia stato un sogno è molto forte in Corto quasi a citare La Tempesta "Siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni". Come resistere alla tentazione che Corto Maltese non sia altro che un nostro sogno in comune con Pratt. Nella storia "Burlesca e non tra Zuydcoote e Bray-dunes", invidio al maestro la capacità di creare certi titoli, Corto Maltese assiste in un teatrino ad una rappresentazione fiabesca di Merlino che dialoga con un rospo che aspira ad essere principe. Più avanti la vicenda lo conduce in un teatrino dove incontra un clown folle, il "pupo siciliano" di Orlando e un attore che interpreta Don Chisciotte invocante Dulcinea del Toboso. Molte storie di Pratt recano un vivo riferimento alla sua terra e alla sua tradizione teatrale e poetica da Gozzi a Goldoni alla poesia di Giorgio Baffo. Venezia è spesso il palco dove attori dimenticati tornano alla ribalta e alla fine reclamano l'applauso del lettore. Questa piccola divagazione, insolubilia, figlia di una retorica minore rimane sospesa tra il detto e non detto, tra i pochi autori trattati e i molti dimenticati e con la speranza che sia ancora vivo l'equivoco che anni fa mi portava a confondere il sipario con la vela di una nave, lì dove il vento era una parola soffiata dal gobbo.

Tornate in sala saggi