Ali nella carne

L'autore:

Scrive da qualche anno e alcuni suoi racconti sono apparsi su riviste legate al mondo cyberpunk come Avatar ed Hacker Journal e su siti internet di fantascienza, ma non solo, come Intercom, ClubGhost, Ondaquadra. Segnalato al VII Trofeo Rill e finalistai delle ultime due edizioni del Premio narrativa Ghost.

Stefano, perché scrivi racconti di Fantascienza?
La fantascienza è un genere fantastico che si innesta molto bene nella realtà contemporanea. Ogni giorno osserviamo la nostra vita che cambia sotto l'influsso della tecnologia e per molti aspetti ci sembra già di vivere nel futuro. Scrivere racconti di fantascienza per me è quindi un modo fantastico di indagare questa trasformazione tecnologica dell'uomo e della società.
Come ti è venuta l'idea di "Ali nella carne"?
"Ali nella carne" combina un'ispirazione gotica ad una storia cyberpunk, con trip psichedelici generati non da sostanze chimiche ma da un chip di silicio. Il sacro e il profano si mischiano l'uno nell'altro e portano a un delirio mistico il protagonista, un ministro della chiesa che cade vittima delle sua stessa fede evangelica.
Quale libro di fantascienza preferisci?
Non posso non mettere al primo posto il famoso romanzo di William Gibson "Neuromante", che ha fondato una nuova narrativa fantastica.
Quale autore di fantascienza preferisci?
Oltre a William Gibson che ho già menzionato, aggiungo Neal Stephenson di "Snowcrash", James Ballard e poi certamente anche Philip K. Dick.
Per contattarlo, scrivete a: nicosia_stefano@libero.it

 

Il racconto: Ali nella carne

interfaccia - dispositivo che connette
o rende compatibili due
sistemi funzionanti con
modalità diverse

«Eccone un altro!» esclama a gran voce quell'omone barbuto del Maresciallo, lanciando sulla scrivania un piccolo quadratino di silicio sporco di sangue, che scivolando sui fogli arriva proprio tra le mani composte della signora Adele.
«L'hanno portato stamattina i macellai di Medicina Legale, guardi che aggeggio.» La invita a osservarlo: «Sa a cosa serve signora? ...Glielo dico io: le chiamano nuove distorsioni! Tumori elettronici bastardi che interfacciano male, cose che solo un anno fa non esistevano e adesso invece... li trovi addosso a chiunque.
Ah questa tecnologia! Dove arriveremo... Santo Dio!»
Il Maresciallo aggrotta la fronte e poi si aggrappa con tutte e due le mani al grosso cinturone nero che gli stringe un ventre dilatato.
Cala il silenzio nella stanzetta angusta di quel Comando di periferia e negli occhi bassi dell'anziana donna, che a fatica trattiene le lacrime.

-Connected-
Sete.
Aveva sete.
Non sapeva da quanto tempo non bagnava le labbra.


Neanche un sorso d'acqua dentro quella cella senza una porta. Era circondato, chiuso da quattro muri alti a dismisura, che finivano ciascuno con un grosso foro circolare. Al centro di quell'irraggiungibile soffitto, i suoi occhi scorgevano la luce fioca di una piccola finestrella.
Una piaga si era formata al lato destro della sua bocca e macerava lentamente la pelle secca.

Una goccia scendeva veloce zigzagando sul muro come in un circuito di formula uno.
Incredibile.
Il labbro deformato si allargava istintivamente, come a dover inglobare tonnellate di acqua, sparate fuori da un grosso idrante.
Subito uno scatto per andare a baciare, come un amante voglioso, la fredda pietra. Bloccava la folle discesa della goccia assorbendola con l'avida lingua.
Non credeva ai suoi occhi, altre due goccioline gareggiavano per arrivare alla sua bocca secca. La speranza stava infliggendo potenti colpi a una morte annunciata.
L'eccitazione era tanto forte che allungava d'istinto il dito per raccogliere una di quelle piccole creature e portarla in fretta a placare la sete.
Ne scendeva un'altra, e poi un'altra e un'altra ancora. Stava precipitando una flotta di gocce inferocite per la sua arida lingua.
Come un cagnolino con la mano del suo padrone, lui leccava il freddo muro.
Cos'era?! D'improvviso tornava una leggera arsura in bocca.
Ma l'acqua non la stava pian piano placando?
Poi un gusto di salato e un piccolo rivolo di liquido rosso sgorgava dalle sue labbra.
Un taglio profondo sulla lingua.
Una lametta affilata e lucente usciva dal muro, incastrata tra due pietre nere.
Dolore. Altro dolore.
Doveva bere, doveva spegnere il fuoco all'interno della grande bocca, sulla lingua sanguinante.
Dietro a lui una piccola cascatella scendeva diritta al centro del muro. Fresca e abbondante. Tanta acqua fresca e abbondante.
Si rannicchiava giù, attaccato alla parete con la testa all'insù.
L'acqua fresca scivolava sulla ferita e arricchita di un leggero sapore di sale scendeva nella gola tinta di rosso.
E continuava a scendere, copiosa.
Uno scricchiolio.
Una crepa. La finestrella in frantumi.
Pezzi di vetro precipitavano dall'alto come lame affilate e si conficcavano sulla sua schiena curva.
Dolore. Secco e pungente.
I quattro muri di pietre umide venivano ricoperti da colate d'acqua che ora usciva in abbondanza dai buchi rotondi posti molto al di sopra di un comune limite umano.
In pochi minuti quella stretta cella si allagava.
Ormai c'era un abbondante metro d'acqua scura e doveva alzarsi in piedi, ma soffriva un freddo glaciale che lo faceva raggomitolare su se stesso, per raccogliere le ultime energie.

Ora era alta un metro e mezzo.

Adesso il collo. Gli arrivava al collo.
Era ghiacciata, come quella che sgorga dalle rocce alpine.

Ancora. Ancora. La bocca: chiusa, ammutolita!
Il livello si alzava velocemente.
Il suo corpo non aveva abbastanza vigore per sfuggire a una fine così maledetta. Non tentava di opporsi al suo destino, era rassegnato. Un topo in trappola.

Era arrivata una spanna sopra la testa e la poca aria nei suoi polmoni stava finendo.
Le sue braccia e gambe immobilizzate dal freddo venivano graffiate dalle schegge di vetro agitate dall'acqua.
Aiuto. Gli era in bocca. Stava entrando dentro e non riusciva più a cacciarla fuori.
No.
No.
Aiuto.
I piedi.
Cos'era?
Aiuto.
Una spinta.
Qualcosa spingeva sotto i suoi piedi.
Che stava succedendo?
Aiuto.
Stava salendo.
Lentamente usciva dall'acqua.
Gli occhi erano ritornati fuori. Vedeva l'acqua scura coprire i muri di quel pozzo profondo e la sentiva spingere contro i piedi.
E su su, in alto fino all'uscita. La finestra circondata da punte di vetro taglienti si avvicinava sempre di più.
Ma no. Era lui che saliva sotto di essa.
Arriva alla luce, coi suoi piedi scalzi che poggiavano sulla superficie di quell'acqua gelida, senza sprofondare.
-Disconnected-

«Eccoci, ci siamo cascati un'altra volta eh! Santa pazienza! Si alzi forza, che adesso passa tutto.» Una faccia cupa, di donna vecchia con la pelle raggrinzita, si avvicinava al suo corpo accasciato sul tappeto, con la bava alla bocca.
Lo metteva seduto sul letto, con una forza spropositata per quelle sue braccia rinsecchite. Sembrava giocare con un manichino, un essere inanimato con le pupille sbarrate.
«E questa è la seconda in una settimana. Stiamo peggiorando Padre!»
Ma poi un piccolo movimento della mano e un'espressione sorridente come di risveglio dal mondo dei trapassati, rianimava lo zombie che aveva appena sdraiato sul letto.
«Vi ho preparato una camomilla calda calda.» E si girava verso la scrivania, dove una pila di vecchi libri in carta sommergeva lo schermo di un notebook.

«...la fede non può vacillare davanti ai prodigi della tecnologia, davanti a questa scienza padrona del vivere quotidiano.
Siamo stati dotati di braccia e gambe, di una mente e di un corpo che però non sappiamo usare nel modo giusto se non seguiamo la Sua strada. Nella vita di ciascuno di noi manca un filo che collega tutti i giorni, tutte le ore, ogni istante vissuto dandogli un senso, che altrimenti non esisterebbe in questo mondo fatto di bit.

Adesso potete alzarvi, e con amore fraterno scambiatevi un segno di Pace!»

* * *

«Torniamo a noi signora.» Riprende il Maresciallo con voce grossa e imponente: «Come si chiama?»
«Adele Medri.»
«Ah sì! Ora ricordo, gliel'ho già chiesto prima.» Un attimo di pausa, poi continua: «Mi dica un po', che rapporto aveva lei con la vittima?»
La signora Adele risponde quasi sottovoce: «Lo accudivo. Preparavo il suo pranzo e la sua cena; svolgevo le piccole faccende domestiche e lo curavo quando in inverno si prendeva quelle brutte influenze. Insomma... ero la sua perpetua.»
«E non aveva mai notato niente di strano nel suo modo di comportarsi? Tra le sue tuniche bianche, le sottane nere e le ostie benedette? Lei che ci viveva a contatto 24 ore su 24, non si era mai accorta che il suo Monsignore si era fatto mettere un maledetto affare nel cervello? Un'interfaccia neurale in grado di distorcere la percezione della realtà mischiandola alla fantasia, senza nessun controllo?»
«No. Ci deve essere uno sbaglio di persona signor Maresciallo, il mio Don Antonio era un uomo conosciuto e stimato da tutta la comunità italiana qui a NovaRoma.»

-Connected-
La croce era pesante.

Incurvava la schiena sfondando le gracili spalle del suo corpo alto e magro.
Polvere. Piccoli sassi simili a chiodi bucavano come burro la pelle dolce senza calli.
Suolo duro e secco. Arido.
In ripida salita verso la cima solitaria.
Le sottili ferite si schiacciavano sui sassi più grossi per imprimerli col sangue scuro.
Il Sole infuocato scagliava raggi verticali, dritti come un filo a piombo sulla sua fragile schiena, e la batteva come una sadica mano divina.
Le altre croci erano già là. Conficcate.
Entrambe già conficcate nella ghiaia polverosa, al culmine di quella sterile gobba, nel mezzo della vasta pianura verde e rigogliosa.

La croce era molto pesante e le sue gambe continuavano a tremare: le deboli ginocchia croccavano e cedevano con violenza sopra i sassi.

Silenzio.

Vuoto.

Nessuna faccia davanti ai suoi occhi per centinaia di chilometri, solo una montagna di ghiaia.
Era obbligato ad alzarsi. Doveva arrivare là. Puntava in avanti la gamba destra e con un supremo sforzo alzava la schiena, saldata alla croce nera dal suo sudore freddo.
Passo dopo passo, avanzava a fatica. Lentamente però si stava avvicinando.
Era quasi alla fine.
L'ultimo sforzo: strisciava come un animale deforme, trascinandosi la pesante coda.

Era arrivato.
Aveva davanti le due croci, distanti una decina di metri l'una dall'altra.
Alte e fredde torri d'alabastro in un deserto di sassi.
Il suo corpo nudo, coperto solo da un drappo bianco legato in vita, buttava fuori sudore come un'arancia schiacciata il suo succo.
Affondava una mano e cominciava a scavare. Sotto le unghie sabbia e piccoli sassolini si infilavano in abbondanza.
Voleva andare giù, fino al terriccio molle impastato d'argilla, altrimenti la croce non avrebbe retto: piantava una quercia nera che doveva resistere più di duemila anni.
Scavava frenetico come un cane, lanciando dietro di sé manciate di sassi una dopo l'altra.

La buca era ormai profonda abbastanza: le unghie ispessite da uno strato di sabbia e le mani solcate da tagli e cicatrici non avevano più forza. Non riusciva a sollevare la pesante croce nera per piantarla dentro. Non riusciva nemmeno ad alzarsi in piedi.
Era rimasto lì, curvo, nell'atto di scavare, in un attimo di profetico silenzio.
-Disconnected-

«Miscredenti! Avete il cuore sfasciato dall'alcool e dal transcibo e lo sostituite con il Bio11 per continuare una vita di eccessi.
Miscredenti! Fabbricate automi in grado di piangere lacrime umane.
Miscredenti! Siete andati così lontano dalla nostra Terra eppur non vi siete mai allontanati dall'unica verità, quella rivelata agli apostoli. Ciò che vi manca e non avrete mai, sono le ali: un paio d'ali per volare sopra tutte le cose... per giungere a lui!»

* * *

Non sarebbe stata una cena ricca. S'era entrati in Quaresima già da tre giorni e non s poteva mangiare carne. Allora... pesce! Merluzzo al vapore era ciò che quella sera le abili mani di Adele avrebbero cucinato, con la cura di sempre. Una cena umile che avvicinasse alla ricchezza spirituale attraverso una povertà materiale.
Selezionava "cibi a vapore" sul touch-screen incastonato nell'acciaio del piano cottura e in basso si apriva lo sportello del forno a infrarossi.
Poi schiacciava su "pesce" e afferrava coi suoi guanti a fiori gialli una pirofila, riempita di merluzzo e di varie spezie, infornandola a mezza altezza.
Quindi premeva su "start" e un faccione di frutta all'Arcimboldo appariva sullo schermo dando il via alla cottura.

Era sceso in cucina a prendere un analgesico per calmare un subdolo mal di testa che arrivava puntuale ogni sera, da un po' di tempo.
«Padre sta meglio? Non si affatichi!» Gli diceva la perpetua mentre lui allungava la mano sul ripiano di vetro azzurro.
«Lasci fare a me Padre.» Adele prendeva subito la scatolina da cui tirava fuori una pillola bianca ovale.
«Grazie Adele.»
Si era fermato e la guardava attentamente, mentre versava nel bicchiere un po' d'acqua: capelli bianchi, sistemati da un fermaglio piuttosto ingombrante, scoprivano un viso consumato dagli anni, che non lasciava intuire una bellezza perduta. Le mani però erano molto lisce, sensuali, quasi non dello stesso corpo invecchiato.
Adele gli porgeva la pilloletta e il bicchiere d'acqua, mentre lui si riprendeva incredulo da un momento di strane fantasie, di profane tentazioni.
Impaurito dai suoi pensieri ingoiava di scatto la pillola, beveva nervoso, per ritornare subito nella sua camera.

-Connected-
Un rumore secco di tacchi a spillo sul pavimento di marmo.
Giungevano svelti verso la porta della sua stanza e si fermavano proprio lì, davanti.
Chi era?
Non entrava? Perché?
I dolori alle tempie si erano infilati dentro, sempre più in profondità, negli abissi della sua mente.
I tacchi ricominciavano a muoversi, ma ora dietro di lui.
Si girava in un impeto immediato ed era di fronte alla finestra spalancata. Pronto a sporgersi e a guardare giù... ma per vedere soltanto le piccole luci delle auto sulla tangenziale che correva sopraelevata verso la prima periferia.
Poi la maniglia. Un colpo netto.
La porta si apriva e una chioma bionda ricciuta si affacciava nella sua camera.
«Permesso, si può entrare?» Una voce giovane e frizzante usciva da una boccuccia rossa rossa: una bella donna, come poche altre, esibiva un fisico prorompente in tacchi alti.
«Tesoro non ti devi affaticare così!» E con premura gli avvicinava una sedia, aiutandolo a mettersi comodo.
«Rilassati, guarda cosa ho qui.» Indicava un catino e una caraffa di vetro. Lui era immobile e guardava i suoi occhi rassicuranti. Poi muovendo un poco i lunghi capelli biondi gli levava le lucide scarpe nere, che lui si era fatto mandare direttamente dall'Italia, e i calzini corti.
La bella donna versava l'acqua calda nel catino e con le sue mani lisce e sensuali cominciava a lavargli i piedi con grande cura.
-Disconnected-

* * *

Domenica.
Ore 10,30.
Fra mezz'ora avrebbe dovuto iniziare.
Il brano che aveva scelto per oggi era un classico: dalla seconda lettera a Timoteo, "Gli eretici futuri".
Ore 10,45.
Le luci circolari rosse, disposte su due file dietro l'altare, prendevano vita.
Uno dopo l'altro si accendevano anche i monitors al centro dei panchetti. In ognuno appariva una piccola croce dorata su uno sfondo azzurro, che emanava riverberi di luce verdastra.
Un suono d'organo si alzava gradualmente dagli altoparlanti tutt'attorno all'altare.
Il portone.
Una vecchia, piegata dal peso dei tanti suoi anni, ma impeccabilmente elegante, entrava in silenzio e si andava a sedere nel terzo panchetto, sul lato sinistro.
Altre due signore di mezz'età con relativi mariti entravano dal portone e andavano a sedersi sul primo panchetto del lato destro.
Poi una famiglia con due bambini tenuti stretti per la mano.
Arrivavano persone una dopo l'altra.
La chiesa si riempiva di gente come ogni domenica.
Ore 11,40
La messa ormai era alla fine.
I fedeli si alzavano insieme per l'ultima volta.
Affollavano il piccolo corridoio centrale con la testa bassa e le mani incrociate, chi sul petto, chi più in basso sul ventre.
Tutti gli erano davanti, in fila uno dietro l'altro. Lui sull'altare li vedeva bene, una sessantina di persone; qualcuna però era rimasta in ginocchio nei banchetti, raccolta in preghiera. Ognuna di loro aspettava l'ostia consacrata dalle sue mani lunghe e affusolate, che già ne stringevano una, appena raccolta dal grosso calice. Ed iniziava la distribuzione.

«Cristo sia con te»
Amen
«Cristo sia con te»
Amen
«Cristo sia con te»
Amen

Era arrivato all'ultimo dischetto bianco proprio davanti a un bambino, uno di quelli della "Prima Comunione" celebrata un mese fa, ed era contento di vederlo venire in chiesa così spesso.
Il computer che gestiva tutta la cerimonia azionava brevi rintocchi di campana. Un modo per sottolineare questo momento, per richiamare l'attenzione: adesso era il suo turno.
Ora toccava a lui.
Si era sempre sentito in grado di poter governare le cose: qualsiasi sciocchezza che arrivava alle sue orecchie, dalle bestemmie dei figliuoli, alle invidie confessate di arcinote pettegole, ai ripetuti tradimenti coniugali, doveva essere gestita. Pecore, tante pecore in cerca del loro pastore!

«Fratelli e sorelle, questo è il corpo offerto in sacrificio per voi e per tutti. Tutti figli dello stesso padre a lui rimettiamo la nostra anima...»

Ingoiava l'ostia tutta d'un fiato; le campane suonavano all'impazzata e tutti gli occhi erano puntati su di lui.

Un dolore.
Un forte dolore alle tempie. Qualcosa trapelava dall'espressione sofferente dei suoi occhi.
Bruciava terribilmente dentro alla testa, nel suo cervello.
Tutti erano lì di fronte smarriti, in attesa di un gesto rassicurante, la sua gente aveva bisogno di sicurezza.
Una goccia di sangue rosso cupo scendeva dal naso rigandogli il mento.
Tutta la realtà intorno a lui si accendeva e si spegneva vorticosa.
Colori mischiati. Un effetto stroboscopico nauseante.
Facce sgomente dinanzi al collasso del simbolo spirituale di quella piccola comunità italiana sulla vergine Luna restavano in silenzio.
Una luce abbagliante si diffondeva su ogni cosa: il bianco puro si mangiava tutto fulmineo, ma lui apriva le braccia al cielo e con un fil di voce pronunciava le sue ultime parole prima di morire:
«La messa è finita... andate in pace!»

* * *

«Non c'è più religione!» esclama il Maresciallo barbuto davanti agli occhi tristi della signora Adele, che li abbassa sul pezzettino di silicio sopra ai fogli sparpagliati, per scendere poi sul maglioncino di lana bianca e ancora più giù, tra le sue gambe.

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