Elena, perché scrivi racconti di
Fantascienza?
Questo è in assoluto il primo racconto di fantascienza
uscito dalla mia penna.
Come ti è venuta l'idea di "L'astronauta"?
L'Astronauta, rimaneggiato più volte a mesi e mesi di
distanza e più volte cambiato di finale, è nato tutto
da una precisa immagine che si è impressa nella mia mente,
l'immagine di un essere umano che non conosce il mare davanti
all'immensa distesa d'acqua, al tramonto, in silenzio, ammutolito
dalla meraviglia, con l'espressione del viso tra la malinconia,
l'assoluto stupore e qualcosa d'altro, d'indefinito e
struggente.
Nella mia immagine mentale il cielo era rosato, l'aria fresca, e
scendeva anche la neve, a lenti e grandi fiocchi.
Quest'ultimo elemento l'ho tolto dal racconto per non sconvolgere
troppo il povero Xjjqz.
Non so se sono riuscita a rendere bene l'idea di questa scena, ma
ora che ci penso, che mi sono messa qui a scrivere del
perché ho scritto questo racconto, posso quasi affermare che
tutto il racconto è venuto fuori al solo scopo di arrivare a
dipingere quel momento sul mare.
Ecco, mi è venuta fuori una storia solo per poter mettere su
carta un'immagine.
La trovo una cosa molto curiosa.
L'astronauta Xjjqz si accorse che la luce del
videofono lampeggiava.
Una frazione di secondo dopo fu inserito l'audio e comparve sul
video il volto inespressivo del comandante della flotta
galattica.
«Buongiorno, Xjjqz» disse il comandante.
«Buongiorno signore» rispose lui.
«Vi è stato affidato un nuovo incarico. E' una
semplice ricognizione. Interessa un pianeta del livello C41,
settore A-Z-12, fascia 1045, coordinate
v-v-j-l-e-34-21-9.»
Lasciò passare qualche secondo.
«Mi confermate i dati trasmessi dal computer?»
«Certo signore. Li abbiamo sullo schermo
principale»
«Ottimo. Partenza prevista tra ventitre ore, a partire da
adesso. E' stato attivato il conto alla rovescia».
«Roger, signore. Partenza tra ventitre ore. Vedo che la
documentazione è già arrivata. Appena tornato le
farò rapporto, signore.»
«Molto bene. Faccia buon viaggio.«
«Grazie, signore. Anche a nome di Prrtky»
Il comandante lo guardò ancora per qualche istante, poi con
un comando vocale escluse la comunicazione e si rivolse al maggiore
Pkkhj, seduto comodamente su una delle poltroncine avvolgenti in
morbido glatex, nel suo ufficio.
«Il pianeta è stato scelto a caso, come sempre, per
questo tipo di esercitazioni di ricognizione. Sono
esattamente...» il comandante controllò l'appunto
sulla sua agendina elettronica ultrapiatta «...settemila anni
che non ci mettiamo più piede sopra. L'ultima volta che lo
visitammo era totalmente privo di vita intelligente. Penso che la
situazione non sia per nulla cambiata»
Il comandante premette un tasto sulla console della sua scrivania,
la poltroncina su cui era seduto si ribaltò e lui in un
attimo fu in piedi. Fece quell'unico passo che lo separava dalla
grande finestra e si mise ad osservare fuori, facendo correre lo
sguardo sugli edifici, sull'acciaio e le nuove leghe bianche con
cui era ricoperto ogni centimetro quadrato dell'orizzonte
cittadino, lì come su ogni altro pianeta. Astromezzi
sfrecciavano nell'atmosfera a velocità supersonica,
lasciando spesso deboli scie dietro di loro.
Gli parve uno scenario molto suggestivo e romantico.
Cavi, metalli, luci fluorescenti per bucare la nebbia di smog che
saliva dal basso.
Il comandante sorrise, poi tornò a sedersi, digitò
qualcosa sulla console della scrivania e in breve si aprì
uno sportellino e ne uscì il suo pranzo.
Due pillole, un quadratino compatto di una strana sostanza marrone
e una gelatina blu con cannuccia incorporata nel
microbicchiere.
«Pollo» disse leggendo la scritta su una delle pillole
«Che parola buffa, non trova? Chissà perché si
chiama proprio pollo?»
Il maggiore Pkkhj non seppe cosa rispondere.
Xjjqz ebbe la strana idea di aver visto un
volto, prima di svegliarsi.
Ma quando aprì gli occhi non c'era nessuno.
Solo lui, la camera iperbarica col campo magnetico di stasi sul
quale stendersi per riposare e il vuoto della stanza.
Era tutto bianco, lievemente oscurato per consentirgli di prendere
sonno e illuminato da tenui lucine azzurre.
Xjjqz scese dal campo di stasi, disattivò la camera
iperbarica e con una lieve pressione dell'indice sul polso destro
innescò il lavaggio automatico della tuta che indossava.
Era aderente come lattice, dotata di sensori termici per mantenere
la temperatura del suo corpo costantemente a trentasei punto cinque
gradi centigradi, per tenere sotto controllo le funzioni vitali,
predisposta per la pulizia automatica, autoalimentata grazie alla
conversione dei rifiuti organici.
Il tutto in un modello comodo, confortevole, senza bombole
sporgenti, fili, tubicini, placche metalliche. I circuiti erano
così miniaturizzati nelle microfibre della tuta che non si
vedeva niente, all'esterno.
Ogni uomo ne indossava una dal giorno della nascita fino al giorno
in cui veniva deposto dal servizio, all'età di
duecentoquarantatre anni.
Venuto quel giorno, salvo pochi eletti come i governatori o i
presidenti dei sistemi solari, si veniva spediti senza tuta sul
pianeta Mor, e lì si terminavano i propri giorni.
Ma nessuno era mai tornato indietro dal pianeta Mor per dire cosa
succedeva di preciso laggiù.
Ogni tanto Xjjqz si chiedeva cosa fosse la morte, come fosse
morire, ma non ne aveva la più pallida idea.
Sovrapensiero uscì dal locale adibito al
riposo e si avviò verso la sala comandi della sua nave.
Prrtky era già seduto su una delle due poltroncine davanti
alla console e al grande schermo pieno di dati.
«Si parte tra sette minuti» disse Prrtky
«Lasciati dire però che non hai un gran
bell'aspetto»
Xjjqz si sedette di fianco al compagno con aria svogliata.
«Prrtky?»
«Sì?»
Xjjqz sospirò.
«Ti capita mai di avere la sensazione di vedere delle cose,
mentre dormi?»
Il compagno lo guardò perplesso.
«Vedere delle cose...?»
«Sì» insistette Xjjqz «Come se fossi
sveglio... ma un po' diverso. E di sentire delle voci,
anche»
Prrtky scosse il capo.
«No, mai. E non ho mai sentito nessuno dire una cosa del
genere. Come ben sai esiste solo quello che fisicamente ci
circonda, Xjjqz. E' scientificamente provato da millenni. Il sonno
non è altro che buio riposo.»
Xjjqz annuì e si mise al lavoro.
Fece partire i simulatori di volo, controllò tutti i sistemi
della nave, innescò il rifornimento automatico di carburante
e comunicò gli ultimi dati alla stazione centrale prima di
chiudere il portellone.
«Allora, pronti a partire?» gli fece Prrtky quando
mancavano sessanta secondi al via.
Xjjqz lo ignorò del tutto, perso com'era nelle sue
elucubrazioni.
«E' curioso» disse «Nei miei studi di filosofia
aliena comparata, all'università, c'era un professore che
sosteneva l'esistenza, nell'antichità, di un termine, detto
sogno, che secondo lui aveva una certa attinenza con quello che
succede a me. Nella sua ottica sognare voleva dire vedere delle
cose, di notte.»
«Sognare?» fece Prrtky. «Mai sentito»
Poi le luci della stazione scomparvero all'istante, e loro si
ritrovarono nel profondo buio dello spazio intergalattico.
Non era certo una missione esaltante quella che
si preparavano a compiere.
Le missioni esploratrici su pianeti disabitati non avevano
più niente di avventuroso da parecchi millenni, ormai. Tutti
i pianeti da scoprire erano stati scoperti, tutti quelli da
sfruttare sfruttati, quelli da colonizzare colonizzati, quelli
inservibili distrutti.
Xjjqz aveva sempre pensato che fosse una cosa strana distruggere un
pianeta.
Non era solo questione di polverizzare una certa quantità di
massa, era il fatto di annientare un pezzo di universo su cui forme
di vita erano nate, si erano sviluppate, e quasi sempre avevano
finito per autoterminarsi, era la sistematica cancellazione di
pezzi di passato durati milioni di anni, di cui nessuno si curava
più.
Bastava un clic per spazzare via tutto.
Un semplice clic.
Neanche un po' di fatica, si doveva fare, nemmeno contrarre un
dito.
Bastava un comando vocale.
Xjjqz aveva sempre pensato ai pianeti come a qualcosa di romantico,
prima culla, poi casa e infine rovina di civiltà, umane o
animali.
Sembravano quasi cose vive, con emozioni, sentimenti, una storia
fatta di tappe infinite.
Quante cose poteva raccontare un pianeta?
Xjjqz si ricordava di quando aveva dato il comando per distruggere
C19 nel sistema P31.
Era un dolce pianetino azzurro che obbligava i velivoli
interplanetari ad una lieve deviazione lungo l'affollatissimo
tragitto tra Alpha Warz e J Centauri.
Per la federazione era impensabile continuare a far sprecare
carburante alle navi solo per evitare di incocciare nel pianeta, e
così era stato fatto saltare.
Non era nemmeno disabitato, ma gli studi condotti avevano
dimostrato che le forme di vita primitive di C19, con una
probabilità dell'ottantaquattro per cento non avrebbero
avuto significativi sviluppi, così nessuno aveva avuto
rimorsi.
Tranne Xjjqz.
Per quello aveva chiesto il trasferimento.
Il computer di bordo attivò i segnalatori
ottici e acustici per avvisare i due piloti dell'arrivo alla
destinazione prestabilita.
L'astromezzo fece un angolo di cabrata di venticinque gradi e mezzo
e le manovre del pilota automatico lasciarono scivolare il velivolo
nell'orbita del pianeta.
Prrtky si mise ai comandi.
Sembrava apatico.
«Tra un po' si va in missione» disse mentre cominciava
a leggere i dati relativi alla superficie rilevati dalla sonda.
Non pensava che ci sarebbero state molte novità
interessanti.
La solita distesa di lega bianca a ricoprire ogni centimetro
quadrato del pianeta, resti di edifici consumati dal tempo, quel
vento solitario a spazzare le rovine.
Ne aveva visti a centinaia, così.
Forse era ora di terminare anche quel pianeta.
A chi poteva servire una massa di terra imbrigliata e
agonizzante?
Era come una bestia malata.
Meglio sopprimerla.
Ci vollero sedici ore per compiere un giro
completo dell'orbita del pianeta.
Il tempo scivolava piano nell'asettica bianca navetta, e Xjjqz
cominciava ad essere impaziente di scendere.
«Trovato il punto migliore di atterraggio» fece Prrtky
consultando lo schermo dell'astromezzo.
«Coordinate f-l-g 42. Confermi?»
Xjjqz scrutò i dati che fluttuavano davanti ai suoi
occhi.
«Confermo» disse con voce laconica.
«Allora si parte»
Impostarono gli ultimi dati, si spostarono nella capsula che li
avrebbe condotti sulla superficie del pianeta e avviarono le
procedure di distacco dal corpo centrale dell'astromezzo.
Dalla capsula non si vedeva niente, non esistevano vetrate,
schermi.
Il viaggio era soltanto un lungo e cieco scivolare nel vuoto, rotto
a volte da qualche fremito della struttura al contatto con
l'atmosfera del pianeta.
Xjjqz avrebbe voluto poter guardare fuori l'avvicinarsi della
superficie, osservare le lune ruotare stanche nei loro millenari
pellegrinaggi, essere colpito in viso dalla luce di qualche potente
stella vicina, magari del sole di quel sistema di pianeti.
La pelle pallida del suo volto era illuminata dalla fredda lucina
verde della capsula.
Era proprio come aveva pensato Prrtky.
Una distesa infinita di grandi piastrelle di lega bianca a
ricoprire la superficie dell'intero pianeta, la sistematica
piattezza dell'orizzonte rotta solo da qualche cumulo di pietre
consunte e irriconoscibili nelle loro forme originarie.
Xjjqz resettò l'orologio atomico che segnalava il tempo
trascorso dall'ultima esplorazione del pianeta.
Settemila anni.
Poi si chinò a raccogliere un calcinaccio stranamente
levigato dal tempo.
Si fermò a pensare a cosa potrebbe essere stato.
Un pezzo di muro di un edificio?
Un tavolo?
La paratia di un velivolo?
Il ricordo di qualcosa di vivo?
«Secondo il programma dovremmo ispezionare una zona pari a un
chilometro quadrato attorno al punto di atterraggio della
capsula» stava dicendo Prrtky. «Direi che ci conviene
usare i fly fire»
Xjjqz annuì con sguardo assente.
Stava pensando al passato, ma lo sguardo gli scappò sul
fianco della navicella, su cui era stampato lo slogan della
federazione «Futuro, futuro, futuro»
Ma per sapere dove si voleva andare, non bisognava conoscere il
luogo da cui si proveniva? Il luogo in cui si era?
Prrtky intanto aveva completato la procedura automatizzata di
scarico dei fly fire dalla capsula, e ora i due mezzi se ne stavano
immobili sospesi a pochi centimetri da terra in attesa di essere
utilizzati.
Xjjqz prese posto sul suo mezzo, e quando anche Prrtky fu pronto
partirono insieme per ispezionare l'area definita dalle specifiche
del protocollo di missione.
Prrtky procedeva su una traiettoria rettilinea
tenendosi al centro di un'area larga duecento metri, guardandosi
distrattamente attorno per non cadere vittima dell'apatia.
Xjjqz invece andava a zig zag col suo fly fire, girovagando in
mezzo ai resti degli edifici, cambiando spesso quota per osservare
le cose da lontano e da vicino, per poterle guardare da punti di
vista differenti.
Ma durante tutto il tempo che impiegarono a coprire la distanza
prestabilita non vide altro che quella piatta distesa di lega
bianca cosparsa di ciuffi di rovine, tanto che alla fine anche
Xjjqz si rassegnò alla triste realtà che su quel
pianeta non ci fosse proprio nient'altro.
Eppure doveva esserci abituato.
Quella era la quattrocentocinquantunesima missione di esplorazione
che compiva, da quando era stato trasferito, e non c'era mai stato
niente di diverso.
Xjjqz lo sapeva che per tutti i pianeti era sempre la stessa
storia.
O erano abitati, e allora c'erano edifici, astromezzi, smog, e
l'onnipresente lega bianca riluceva dappertutto a coprire ogni
angolo di terra e di cielo, o erano abbandonati da millenni, e
allora la lega bianca era solo un ricordo della corazza lucente che
una volta ricopriva il tutto.
A dire la verità c'era una terza categoria di pianeti, i
pianeti-cava, quelli usati per estrarre quei pochi elementi che
ancora l'uomo non era riuscito a sintetizzare.
Ma presto sarebbero diventati superflui, e in ogni caso erano di
una desolazione forse ancora maggiore dei pianeti disabitati.
Non c'era nient'altro che terra secca e macchine automatizzate,
trivellatrici, aspiratrici.
Ne aveva visti un paio, negli anni precedenti, ma erano persino
più squallidi del posto in cui si trovava adesso.
«Trovato niente?» gli chiese Prrtky avvicinandosi un
attimo.
Era la prima volta che deviava dalla sua traiettoria
rettilinea.
Forse la noia aveva preso il sopravvento.
«Niente di niente. Avevi dei dubbi a proposito?»
Prrtky scosse la testa.
«A dire la verità, no»
Fece per allontanarsi, ma Xjjqz gli mise una mano sulla spalla.
«Prrtky?»
«Sì?»
Xjjqz guardò lontano.
«Ti sei mai chiesto com'erano questi posti millenni
fa?»
«Suppongo esattamente come sono adesso. Solo c'erano gli
edifici»
«E la pavimentazione di lega bianca? Quando non c'era quella,
forse la superficie dei pianeti era diversa»
Prrtky sembrò pensarci a fondo per un attimo.
«Diversa in che senso? Non so, sotto alla pavimentazione
c'è solo la terra...come sui pianeti cava. Terra secca,
inservibile. Non riesco a immaginare nient'altro»
«Magari c'erano cose che non riusciamo neanche a pensare,
perché non le abbiamo mai viste»
Prrtky lo guardò serio e poi se ne venne fuori con una
risata sguaiata.
«Ah, Xjjqz! Che inguaribile pensatore! La verità
è che i pianeti sono sempre stati ricoperti dalla corazza di
lega per permettere l'atterraggio di velivoli in qualunque posto,
per far scorrere sotto la superficie i cavi, per rendere pratico lo
spostamento dei mezzi a terra, quando esistevano ancora. A memoria
di uomo e di registrazione della federazione, non c'è mai
stato niente di diverso. E se proprio c'era, che t'importa? Lascia
perdere, pensa allo slogan della federazione: «Futuro,
futuro, futuro». Cos'altro è un pianeta, se non una
massa di terra che fa da piattaforma all'uomo? Vedrai che presto i
pianeti artificiali diventeranno operativi, e allora potremo
eliminare quelli veri. «
Prrtky si riportò sulla sua traiettoria rettilinea al centro
della zona di duecento metri di larghezza, scuotendo la testa,
rimuginando su quello stupido di Xjjqz che si ostinava a immaginare
cose che non aveva neanche mai visto.
L'esplorazione a terra fu completata prima del
previsto e diede risultati negativi, come ci si aspettava.
Nessun segno di vita, nessuna anomalia, niente di niente.
Ora, per completare la missione, non restava che attivare il
bioscanner dell'astromezzo e orbitare a bassa quota per tre volte a
tre latitudini diverse attorno al pianeta.
Se anche questa procedura, com'era prevedibile, avesse dato esito
negativo, allora l'esplorazione sarebbe terminata, e forse anche
quella triste massa di terra sarebbe entrata a far parte della
lista dei pianeti eliminabili.
Xjjqz impostò i dati coi comandi vocali e poi si mise seduto
vicino allo schermo per osservare fuori.
I chilometri di lega bianca scorrevano muti sotto alla navetta
senza che niente succedesse.
In tutte quelle missioni aveva sempre sperato di poter trovare
qualcosa di diverso, qualcosa di insolito, aveva sperato
ardentemente che si accendesse la luce rossa che segnalava un
evento imprevisto, di vedere che il computer di bordo non si
raccapezzava in qualcosa.
Ma non era mai successo, e non successe neanche quella volta.
Le tre orbite si susseguirono noiose, nessuna rovina sembrò
più interessante delle altre, non fu rilevata nessuna
anomalia, e Xjjqz si rassegnò a tornare a mani vuote alla
stazione base dal comandante e dal maggiore Pkkhj, come tutti si
aspettavano e si auguravano.
«Prrtky?»
Il compagno si era steso sul campo di stasi nella stanza del
riposo.
Se ne stava al buio e in silenzio.
Non amava ascoltare musica sintetizzata, né starsene
all'oblò a guardare fuori.
Tanto era palese che non ci sarebbe stato niente di nuovo.
«Abbiamo finito?»
Le luci della camera si accesero gradualmente per consentire agli
occhi di abituarsi.
«Sì»
Prrtky non chiese neanche l'esito dell'esplorazione.
«Bene. Allora possiamo tornare. E con un certo anticipo sulla
tabella di marcia, aggiungerei»
«Beh, visto che siamo in anticipo, ho consultato le mappe
stellari di questo sistema...»
«E...?»
«C'è un buco nero a poche decine di anni luce da qui.
Potremmo passare a dargli un'occhiata, prima di tornare. Che ne
dici?»
«Dobbiamo informare il comando»
«Eh dai! L'abbiamo fatto altre volte, mi pare. Disinseriamo
per qualche ora il protocollo di rilevamento posizione spacciandolo
per una procedura di riconfigurazione parziale del sistema. Vedrai
che nessuno dirà niente.»
Prrtky scosse la testa.
«Ma che hai da cercare? Non troverai niente, Xjjqz.
Rassegnati. E' evidente!»
«Lo so, ma voglio tentare ugualmente»
Prrtky sospirò.
«E va bene» disse alla fine alzando le spalle seccato
«Ma se ci saranno rogne la responsabilità è
tutta tua»
Di certo un buco nero in una galassia così piccola e remota
non poteva essere sfruttato per i viaggi nello spazio-tempo, come
molti altri più grandi e lungamente studiati nel corso dei
secoli, ma forse si poteva raccogliere qualche dato, o anche
fermarsi a guardare la luce che veniva inghiottita dall'imbuto
spaziale.
Era una delle poche cose che affascinava Prrtky, che era in grado
di strapparlo per un attimo alla sua apatia.
La sottile malignità di un mangiatore di luce.
«Che mi venga un colpo!»
sentenziò Prrtky consultando lo schermo della navetta.
«Hai ragione, è proprio un pianeta non segnato sulle
mappe stellari!»
Il cuore di Xjjqz ebbe un tonfo. Ecco un evento che non si era mai
verificato nella sua vita. Qualcosa di insolito, di non
prestabilito, non preventivato.
«Ma non c'è ragione di scaldarsi tanto. Ho sentito che
in passato qualche errore il computer lo faceva...»
Prrtky cercava di smorzare l'entusiasmo del suo compagno.
«E' sicuramente un pianeta esplorato e riesplorato»
«Tu dici?»
«Certo, Xjjqz. Che cosa speri di trovare, nello spazio?
Qualcosa che non è ancora stato scoperto? Tutto quello che
c'è da sapere lo sappiamo. Il resto non conta»
«Beh, almeno andiamo a vedere, magari...»
«Magari cosa? Non illuderti di trovare altro che un pianeta
coperto di lega bianca e pieno di rovine. Guarda lo schermo.
Nessuna trasmissione, nessun segnale, nessun campo
elettromagnetico, nessuna fonte di energia. Non ci sarà
niente di niente»
«Dimentichi che siamo vicini ad un buco nero. Forse le nostre
strumentazioni sono un po' disturbate...»
«Le strumentazioni non sbagliano mai, e lo sai bene. Comunque
non c'è problema. Contattiamo il comando centrale e
chiediamo il da farsi»
Xjjqz si fece silenzioso.
Vide Prrtky impostare i dati per la comunicazione, ma
inspiegabilmente lo schermo fece apparire il messaggio di tentativo
fallito.
Era la prima volta che Xjjqz lo vedeva, eccezion fatta per le prove
al simulatore.
Prrtky rimase a bocca aperta.
«Non riusciamo ad avere la comunicazione!» disse
sbalordito.
Non gli era mai capitata un'avaria in tutta la sua vita.
«Secondo me è il campo magnetico del buco
nero...» azzardò Xjjqz.
Prrtky mugugnò qualcosa.
«...può anche darsi che sia così, per quanto
assurdo possa sembrare...Vuol dire che cambieremo zona e
riproveremo quando ci saremo allontanati. Imposta i dati con le
nuove coordinate»
«Aspetta!» fece Xjjqz.
Dentro di sé era profondamente divertito nell'osservare
Prrtky e persino se stesso alle prese con un evento impensabile,
mai verificatosi prima, e la curiosità lo stava
divorando.
Ma cercava di mantenere un contegno molto professionale, per quanto
gli riusciva.
«Facciamo così. Io prendo la navetta Beta di
esplorazione e scendo sul pianeta, tu ti sposti da qui
finché non trovi un punto in cui riesci ad instaurare la
comunicazione e chiedi istruzioni al comando centrale. Poi vieni a
riprendermi. Appuntamento tra...sedici ore. Che ne dici?»
Prrtky scosse la testa.
«Sei proprio deciso a scendere?»
Il suo compagno fece cenno di sì con la testa.
«Non troverai altro che le solite cose, Xjjqz. Lo
sai?»
«Lo so» fece lui facendosi serio «Ma voglio
andarci lo stesso»
«E sei anche incosciente. Se, come dici, i sistemi sono
disturbati dal buco nero, non siamo in grado di sapere cosa
c'è su quel pianeta...»
«L'hai detto tu, troverò le solite cose. Ma voglio
andarci. E poi nel regolamento non sono contemplate le avarie,
dunque non sono codificate le procedure da tenersi in caso di
guasto o malfunzionamento. Se scendo senza contattare il comando
non contravvengo a nessun ordine»
Prrtky non seppe ribattere. Xjjqz pareva seriamente intenzionato a
fare di testa sua, a tutti i costi. Non l'aveva mai visto
così ostinato. Poteva scorgere quasi una punta di
ribellione, nel suo atteggiamento. Forse sarebbe stato il caso di
fare rapporto, una volta rientrati alla base.
La navetta Beta era un po' diversa da quella che
avevano usato per la precedente missione, perché era
attrezzata per le discese sui pianeti da postazioni al di fuori
dell'atmosfera.
Non l'avevano mai utilizzata prima, ma non era un problema.
Xjjqz aveva avviato tutte le procedure di controllo, e sembrava che
funzionasse alla perfezione.
Aveva persino un piccolo oblò da cui si poteva vedere
fuori.
Mentre faceva manovra per staccarsi dal corpo centrale
dell'astronave, il suo sguardo incappò nuovamente nello
slogan della federazione verniciato sulla paratia.
«Futuro, futuro, futuro»
Xjjqz fece uno strano sorriso enigmatico, che solo il computer vide
e registrò.
La navetta si staccò dolcemente dall'atromezzo, librandosi
nello spazio buio privo di gravità e di pensieri.
Xjjqz stava guardando ancora lo slogan quando vide l'astronave
madre vibrare.
Un'altra anomalia. Era un segno?
La vibrazione si fece più intensa.
Xjjqz era incollato al vetro, incapace di spiegare cosa stava
succedendo. Poi gli venne in mente che poteva comunicare con Prrtky
attraverso la radio di bordo.
«Prrtky, Prrtky...mi senti?»
«Xjjqz! Qui si muove tutto!!»
«Cosa sta succedendo?»
«Non lo so! Il sistema è come impazzito! I comandi non
rispondono...!»
«Prova a...»
Ci fu una tremenda esplosione.
Xjjqz rimase senza parole a guardare la nave con a bordo Prrtky
dilaniarsi e andare in mille pezzi, l'enorme palla di fuoco nascere
quasi dal nulla dell'oscurità e folgorare le sue
pupille.
Dentro di lui si mescolarono mille pensieri e mille sensazioni:
qualcosa di simile ad un sottile e perverso piacere per la perdita
di tutto ciò che conosceva e in fondo detestava, dolore per
la morte di Prrtky, sconcerto perché era la prima volta che
vedeva qualcosa esplodere, qualcosa non funzionare. E paura, una
grande paura perché in fondo ciò che detestava era
pur sempre la sua vita, la sua routine fatta di computer, di
comandi e di missioni noiose. Non conosceva altro, non aveva altro.
Solo i suoi strani sogni.
Ma non ebbe il tempo di razionalizzare il groviglio di emozioni
intrecciate dentro di lui.
I frammenti della nave madre investirono ben presto la navetta
Beta.
Le segnalazioni luminose e sonore si accesero all'unisono.
Lo schermo del computer di bordo era tutto un lampeggiare di
lucette e un gracchiare di voci metalliche.
«Dati relativi all'angolo di discesa da
reimpostare»
«Attenzione, velocità calcolata troppo elevata.
Possibili danni allo scafo»
Xjjqz si fece prendere per un attimo dal panico.
Il computer era in tilt e andava riprogrammato prima che succedesse
davvero qualcosa di serio.
Sentì come una scarica salirgli su per la colonna
vertebrale.
Non sapeva che era adrenalina.
Mai sperimentato prima d'allora quella strana sensazione di
eccitazione febbrile.
Solo una lunga distesa di calma piatta.
Passato lo stordimento ritrovò il sangue freddo e si diede
da fare.
Era probabile che i disturbi causati dalla vicinanza del buco nero
avessero fatto registrare al computer dati imprecisi e che
l'esplosione avesse fatto deviare la navetta dalla traiettoria
originale. Di conseguenza tutto ciò che era stato calcolato
e impostato si ritrovava ora ad essere inservibile.
Ma ormai la navetta Beta era già dentro all'atmosfera, e
Xjjqz sperò che almeno lì il buco nero non facesse
sentire la sua presenza, e gli consentisse di eseguire al volo
calcoli sensati.
Altrimenti cosa sarebbe successo?
La sua mente si bloccò un attimo mentre le mani continuavano
a battere i tasti e la sua voce continuava ad emettere comandi
vocali.
Altrimenti cosa sarebbe successo?
Per morire si andava sul pianeta Mor.
E Prrtky? Cosa gli era successo? Era morto? Ma come si faceva a
morire?
Mai sentito che qualcuno fosse morto in servizio, che qualcosa
fosse andato storto.
Quando ebbe terminato di reimpostare i dati non gli rimase altro
che attendere il responso del computer.
Dall'oblò vedeva stralci di nubi schizzare veloci attorno
alle paratie della navetta.
Ma non erano come i densi agglomerati di smog spaziale che
fluttuavano sempre sulle superfici dei pianeti abitati.
Anche se le vedeva a velocità altissima gli sembravano
diverse.
Erano più chiare, bianche, forse.
Bianche come la corazza di lega che ricopriva la terra secca?
No.
Facevano pensare a qualcosa di morbido.
Come una carezza.
Ma Xjjqz non lo sapeva.
Mai ricevuto una carezza in tutta la sua vita, mai sperimentato
qualcosa di simile all'ovatta, alle nuvole chiare dell'alba, alla
panna montata.
Forse si poteva dire che il campo di stasi sul quale riposava fosse
in un certo senso morbido, ma non rendeva bene l'idea che stava
nascendo nel suo cervello, nel suo cuore, nella sua mente.
La navetta si mise a vibrare, dapprima con delicatezza, un tremolio
quasi piacevole, poi sempre più violentemente, finché
Xjjqz fu assalito dal panico.
Gli piaceva sempre meno quella situazione del tutto nuova, e sul
microchip con manuale di guida incorporato che gli avevano inserito
nel cervello al suo ingresso nel corpo dei piloti non era spiegato
il da farsi in tali circostanze.
Era anche ovvio.
I casi di mal funzionamento non erano più contemplati da
diversi secoli.
E ora?
Ci fu uno scossone ancora più forte degli altri, e Xjjqz si
ritrovò con la faccia schiacciata sul vetro dell'oblò
rettangolare.
Quello che vide fu a suo modo sensazionale.
Colori.
Colori sfrecciare sempre più vicini, sotto di lui, venire
incontro alla navetta.
Che fosse la volta buona?
Che la superficie di quel pianeta non fosse ricoperta dalla solita
corazza di lega bianca?
Dalla nave madre non avevano potuto vederlo, perché
l'atmosfera di quel pianeta era molto densa e non permetteva di
osservare la superficie.
Poi ci fu un impatto violentissimo, e Xjjqz non pensò
più a niente.
Certo la corazza di lega bianca aveva anche i
suoi aspetti positivi.
Se non altro era stata a suo tempo progettata per fare in modo che
in caso di incidenti il materiale di cui era costituita assorbisse
in maniera notevole l'impatto, non si frantumasse, non creasse
sporgenze appuntite e quant'altro.
Anche lo scafo di ogni astromezzo aveva simili caratteristiche.
Di conseguenza, quei rari casi di incidenti che si potevano
ricordare, tutti capitati alcuni secoli addietro e imputati ad
errori umani , non avevano praticamente avuto nessuna conseguenza
per le persone coinvolte.
Anche la tuta che ricopriva il corpo degli uomini era compatibile
con ogni materiale conosciuto, progettata appositamente per fare in
modo che eventuali urti, per quanto violenti, si ripercuotessero in
maniera molto lieve sull'organismo biologico in essa contenuto.
Ma questo pianeta aveva caratteristiche assai diverse da quanto
l'umanità moderna, proiettata verso un futuro sempre
più spinto, potesse concepire, o ricordare.
La navetta di Xjjqz per prima cosa aveva falciato un'ampia striscia
di boscaglia rigogliosa, poi si era andata a schiantare contro una
solida parete rocciosa, ora in parte sgretolata dall'impatto.
Naturalmente Xjjqz non sapeva neanche cosa fosse un bosco.
Xjjqz aprì gli occhi, ma per qualche
minuto il segnale visivo non raggiunse il suo cervello.
Guardava senza vedere, senza cercare di interpretare minimamente
ciò che gli stava attorno.
Anche perché, a dire la verità, non aveva mai visto
niente del genere.
Poi i sensi cominciarono lentamente a risvegliarsi.
Quando Xjjqz fu tornato padrone di se stesso e del proprio corpo,
ebbe un sussulto.
Che razza di posto era quello?
Il suo sguardo vagava a destra e a sinistra su un puzzle di colori
mai visti, uno più chiaro e uno più scuro, che si
intrecciavano e si rincorrevano in forme sconosciute, sottili,
lunghe, contorte, morbide e nervose.
Non lo sapeva, ma stava osservando il cielo azzurro scuro della
sera attraverso l'intrico di rami di una fitta boscaglia, la stessa
solcata dalla sua nave prima che finisse contro il fianco roccioso
di una collinetta.
Xjjqz si alzò a sedere continuando a guardarsi attonito
attorno, finché non si accorse, in mezzo alla confusione dei
suoi cinque sensi, che un braccio e un ginocchio gli facevano
male.
Allora distolse un attimo lo sguardo da ciò che lo
circondava per rivolgerlo verso se stesso, e vide un'altra cosa
incredibile.
La sua tuta, la tuta che indossava da quando era nato, che era
cresciuta assieme a lui, che si puliva da sola, che mai aveva
lasciato scoperto un solo centimetro della sua pelle, dal collo ai
piedi, si era rotta.
Dal taglio slabbrato che aveva sul braccio sinistro usciva un
rivolo di sangue ora seccato, di un colore rosso scuro.
Lo stesso colore dipingeva anche un sasso appuntito posto a un
passo da lui.
Sicuramente era contro quello che il braccio di Xjjqz aveva
sbattuto.
Sul ginocchio, invece, la tuta non era tagliata, quanto piuttosto
completamente mangiata, così come la pelle che gli ricopriva
la rotula.
Xjjqz era frastornato dalle novità.
Certo sapeva che il corpo umano era fatto di tessuti, di ossa, di
organi interni, ma non aveva mai visto il suo sangue, né la
sua urina, né niente di niente, se non la tuta bianca che lo
ricopriva.
E non aveva mai provato dolore fisico.
Era una sensazione nuova che lo sconvolgeva.
Il taglio e la sbucciatura bruciavano, ma Xjjqz quasi
sorrideva.
Per quanto ne sapeva lui quei traumi potevano anche portarlo alla
morte, non aveva idea di come funzionasse il suo corpo sprovvisto
della tuta, ma piano piano una strana euforia aveva invaso la sua
mente, un fortissimo senso di eccitazione sconvolgeva i suoi
sensi.
In preda a queste emozioni si alzò in mezzo a quel mondo
sconosciuto, e quando fu certo di poter restare in piedi mosse i
primi passi guardandosi attorno avido di meraviglia come un
bambino.
Alla vista della sua navetta piuttosto malconcia
Xjjqz era rimasto attonito, ma si era dato da fare, e dopo essersi
letto gran parte dei manuali per l'avvio delle procedure di
riparazione automatiche, peraltro mai usate prima d'allora, aveva
programmato l'indistruttibile sistema informatico dell'astromezzo
perché rigenerasse lo scafo e tutta la strumentazione andata
distrutta nell'impatto, compresa una nuova tuta in lattice per il
suo corpo.
Non poteva sapere se la navetta avrebbe funzionato di nuovo oppure
no, dal momento che una procedura del genere, per quanto testata
col simulatore ad ogni partenza, non era mai stata sperimentata
nella pratica.
In questo Xjjqz sarebbe stato una specie di pioniere, come del
resto nell'esplorazione di quel nuovo e strabiliante mondo.
Dopo che ebbe impostato tutti i dati il display visualizzò
il tempo previsto per le riparazioni.
Venticinque ore.
Xjjqz aveva cominciato ad esplorare i
dintorni.
L'unica cosa che si era portato dietro era una specie di sacca con
dentro quel po' di cibo che non si era disintegrato nell'impatto
con la parete rocciosa.
Per il resto aveva addosso solo la sua tuta malconcia, e
nient'altro.
Tutto, in quel posto, era strabiliante.
Il terreno, non rivestito di lega bianca, era abbastanza soffice al
contatto e molto scuro, quando non veniva coperto dalla
vegetazione.
Ma naturalmente Xjjqz non sapeva cosa fosse un albero, né
una pianta.
Rimase per diversi minuti a toccarne le foglie, il tronco, a
sfiorare i fiori che poteva vedere, ad annusarne il profumo.
Si muoveva con circospezione.
Per quanto ne sapeva, qualcosa poteva anche essere pericoloso,
mortale, forse.
Camminava trascinando un po' la gamba destra, ma il dolore
passò presto in secondo piano, lasciando il posto alla
meraviglia.
E i suoni?
Non riusciva bene a capire cosa fosse a produrli, ma ogni tanto
udiva degli stridii, dei mormorii, dei rumori non identificati,
soffusi, impulsivi, strozzati.
Poi qualcosa prese ad accarezzargli il volto, i capelli, senza che
Xjjqz riuscisse a vedere, a capire di cosa si trattasse.
Era il vento.
Fu allora che capì che alcuni dei rumori che sentiva erano
dovuti alle foglie che si sfregavano una sull'altra nell'aria della
sera.
Quel posto era davvero incredibile, ad ogni passo vedeva qualcosa
di nuovo, scopriva cose che non aveva neanche mai immaginato.
In passato era stato così per tutti gli uomini? Millenni
prima un posto del genere sarebbe parso tanto alieno? E un mondo
fatto di metallo, di linee geometriche, di assenza di emozioni, di
colori, come sarebbe sembrato?
Una cosa normale?
Continuò a camminare in mezzo alla
vegetazione scoprendo passo dopo passo nuove meraviglie,
finché si imbatté in qualcosa di ancor più
stupefacente.
Dopo alberi, piante, fiori, la sensazione del vento sulla pelle del
viso, i suoi occhi si posarono su una cascata alta quattro o cinque
metri, con un laghetto ai suoi piedi.
Sulle rive erbose si stavano abbeverando degli strani esseri mai
visti prima d'allora.
Xjjqz si arrestò per lo stupore e la paura.
Che forme di vita erano mai quelle? Potevano essere pericolose?
Rimase immobile ad osservarle, ma anche loro si accorsero della sua
presenza.
Si girarono per un istante a guardarlo con occhi dolci e
inoffensivi, poi sgambettarono via sulle quattro zampe agili e
lunghe che avevano.
Il cuore di Xjjqz batteva forte.
Si avvicinò zoppicando alla pozza che conteneva quello
strano liquido cristallino e gorgogliante.
Xjjqz non aveva mai visto l'acqua allo stato naturale. Solo quella
addensata che prendeva in tavolette quadrate.
Ma quel posto gli trasmetteva una sensazione positiva.
Aveva notato che gli esseri di prima, per quanto strani fossero,
avevano due orecchie, due occhi, un naso e un bocca come gli
uomini, e affondavano il muso nello specchio d'acqua, intenti forse
a bere.
E se fosse stato un liquido velenoso?
Xjjqz era talmente preda delle proprie emozioni che non ci stette a
pensare su molto, e avvicinando lentamente una mano alla superficie
del laghetto la immerse intento a scoprire quali altre sensazioni
avrebbe provocato in lui.
Xjjqz non sapeva cosa fosse il legno, non sapeva
cosa fosse una baita, ma nel vedere i tronchi disposti in quella
maniera intuì che doveva trattarsi di una qualche forma di
abitazione.
Erano passate sette ore dal momento in cui aveva abbandonato la sua
navetta.
Avrebbe trovato qualcuno lì dentro?
Rimase fermo nella stessa posizione per diversi minuti, fissando la
strana costruzione che gli stava davanti, attento a cogliere ogni
possibile suono, ogni movimento.
Ma non percepì assolutamente niente.
Si lasciò consumare un po' dall'indecisione, poi mosse i
propri passi verso quella che gli sembrava la porta.
Xjjqz non aveva mai visto una maniglia in vita sua, sulle astronavi
e nelle basi non ne esistevano, tutte le porte avevano automatismi
che le facevano aprire e chiudere senza bisogno nemmeno di
sfiorarle, ma il suo cervello cominciava stranamente ad entrare in
sintonia con quel posto, e a suggerirgli che se non avesse
afferrato quel pezzo di legno non avrebbe mosso un passo di
più.
La porta si aprì cigolando.
Xjjqz la scostò lentamente, eccitato e spaventato da quello
che avrebbe potuto trovare.
Era troppo chiedere, sperare di imbattersi in qualcuno, in un
essere vivente, intelligente, capace di comunicare?
«Ben arrivato» sentì dire da una voce
flebile.
Xjjqz trasalì.
I suoi muscoli si contrassero e cominciò a guardarsi
freneticamente attorno.
Gli ci volle un po' per capire che quella cosa stesa su una specie
di letto era un uomo.
Un uomo coi capelli lunghi e bianchi, spettinati, la barba rada e
scomposta.
Non indossava la tuta, ma aveva degli strani teli avvolti attorno a
sé.
Xjjqz non aveva mai visto un essere umano senza tuta, né uno
così disordinato, né uno così affascinante
nella sua totale stravaganza e diversità.
«Chi è lei?» disse Xjjqz col candore di un
bambino.
«Veramente sei stato tu a venire qui, a venire da me. Dovrei
essere io a farti questa domanda»
«Mi chiamo Xjjqz»
«Il solito nome impronunciabile» fece l'uomo sorridendo
e tossendo «Io sono Damian»
«Damian» ripeté Xjjqz.
Che nome insolito. E che strano pronunciare quella parola. Dava
come un senso di distensione alla sua bocca, alla sua lingua mentre
la emetteva.
Damian.
Una parola affascinante. Suonava antica.
L'uomo continuava a guardarlo con una strana espressione sul
volto.
«Non sei il primo ad essere arrivato qua. Ma sarai l'ultimo a
vedermi. Sto morendo. Lo sai cosa vuol dire?»
«So cos'è la morte» disse Xjjqz «ma non ho
mai visto morire una persona»
Ripensò a Prrtky.
Era morto? E se sì, come? Xjjqz non riusciva ad
immaginarselo.
«Perché stai morendo? E' perché non hai la
tuta?»
Il vecchio rise e tossì ancora.
«Non ho mai portato quella vostra maledetta tuta. Si vive
benissimo anche senza, sai? Non è affatto indispensabile.
Anche tu che la indossi da quando sei nato potresti abituarti a
farne a meno, lentamente. Altri uomini che sono venuti qui l'hanno
fatto»
«E adesso dove sono, questi uomini?»
«Sono rimasti sul pianeta. Hanno fondato alcuni villaggi. Non
saprei dirti dove sono. Dovresti andarli a cercare»
«E come mai sono giunti qui?»
Damian ebbe un attacco di tosse.
Il suo respiro emetteva a tratti un suono liquido.
Xjjqz gli andò più vicino senza avere idea di cosa
gli stesse succedendo.
«La curiosità li ha spinti qui. Come per te, credo. Da
millenni l'uomo si è reso una creatura arida e fredda, ma
qualcuno conserva ancora, dentro di sé, la curiosità
che ci ha sempre animato e distinto. Per questo c'è ancora
speranza»
Xjjqz non era sicuro di capire quanto il vecchio gli stava dicendo,
ma sarebbe stato molto felice di incontrare le altre persone che
popolavano il pianeta.
«Sto morendo, figliolo» ripeté Damian «Ma
prima voglio farti un regalo»
Il vecchio rimase a fissare il vuoto per qualche istante, come
avesse perso il filo dei propri pensieri. Poi stese un braccio
magro e spigoloso, ripiegando tutte le dita all'infuori
dell'indice, che rimase dritto a puntare oltre il muro della
casa.
«Lo senti questo rumore che va e che viene?»
sussurrò.
Xjjqz si fermò ad ascoltare. Era tutto così nuovo,
così strano e inusuale che dovette cercare di isolare quale
suono il vecchio intendesse.
Gli sembrò di avere capito e fece cenno di sì con la
testa.
«In questo posto troverai molte cose che non hai mai visto,
ma una la devi assolutamente vedere subito. Esci da questa porta,
gira attorno alla casa e sali sopra la collina di sabbia. Ti si
aprirà alla vista uno scenario che non ti lascerà
indifferente»
Xjjqz esitava. Non sapeva se uscire dalla casa. Aveva tante cose da
chiedere al vecchio, tante cose da scoprire, e non voleva
lasciarlo.
«Cosa aspetti? Vai...vai e poi torna da me. Voglio vedere i
tuoi occhi dopo che avrai visto...»
Xjjqz tentennò ancora, poi se ne uscì in fretta per
fare nel minor tempo possibile quello che Damian gli aveva chiesto
.
La sabbia aveva una strana consistenza, sotto i
suoi piedi.
Non era solida come la lega bianca, né come il terreno scuro
su cui aveva camminato per giungere fino a lì, non era
morbida come il campo di stasi su cui era solito riposare. I suoi
piedi affondavano di un paio di centimetri ad ogni passo, e Xjjqz
poteva vedere piccole nuvolette di minuscole particelle alzarsi
come sbuffi. Anche il colore era insolito. Chiaro ma diverso da
ogni altra cosa da lui mai vista.
Il rumore di cui parlava il vecchio continuava a farsi sentire,
ritmato ma mai uguale ad ogni ripetizione, a volte più
lungo, o più corto, sempre più potente e fragoroso ad
ogni suo passo.
Ma Xjjqz non poteva immaginare cosa avrebbe visto al di là
di quella piccola collinetta sabbiosa che gli impediva lo
sguardo.
Quando ne raggiunse la sommità rimase fermo, immobile per un
paio di minuti ad osservare uno scenario di tale bellezza che
all'inizio la sua mente si rifiutò di accettarlo, di
osservarlo, di lasciarsi avvincere dalla sua incredibile
meraviglia.
Aveva davanti a sé il mare.
«L'hai visto?» chiese Damian.
Era passata un'ora da quando il giovane Xjjqz era uscito dalla
porta, e il vecchio aveva pensato quasi di non riuscire a vederlo
più.
Invece era tornato.
Sembrava straziato dalla meraviglia, quasi che la bellezza di
ciò che aveva visto gli avesse donato un'incredibile
sofferenza, uno struggimento a lui del tutto sconosciuto.
Doveva averlo visto per forza.
Glielo si leggeva in volto.
«Come si chiama?» volle sapere Xjjqz.
«Ciò che hai visto è il mare» disse il
vecchio.
«Il mare» ripeté Xjjqz lentamente, per
assaporare a fondo il gusto di quella parola.
Un'incredibile tristezza gli mascherò il viso.
Damian provò pena per lui.
Per tutta la vita non aveva fatto altro, il vecchio lo sapeva, che
vivere circondato dal metallo, dal bianco della lega che invadeva
quasi tutti i pianeti conosciuti, ovvero tutti quelli che la
Federazione credeva esistessero nei dodici universi noti. Altri
glielo avevano raccontato. Vivendo in quel mondo asettico e
ordinato non aveva mai saputo cosa fossero la meraviglia, la
bellezza, la gioia, la fantasia, l'irrazionalità, il
mistero. Ora era come se tutte le sensazione che non gli avevano
consentito di provare si fossero scatenate dentro di lui
lasciandolo sgomento, senza difese, smarrito al pari di un
bambino.
Xjjqz si svegliò e aprì gli
occhi.
«Stavi sognando» disse il vecchio.
«Cosa?»
«Stavi sognando» disse ancora Damian «Ti muovevi
e parlavi nel sonno»
«Allora è vero» fece Xjjqz «Cosa sono i
sogni?»
Damian non si stupì. Anche agli altri viaggiatori pellegrini
giunti prima di Xjjqz aveva dovuto spiegare molte cose. In un certo
senso si sentiva come un angelo che ridonava umanità agli
uomini.
«I sogni sono storie, immagini, suoni che vedi e senti quando
dormi, creati dalla tua mente sulla base dei tuoi ricordi, delle
tue conoscenze, delle tue paure. Possono essere sogni belli oppure
sogni terrificanti, incubi, puoi sognare cose vere o cose che nella
realtà non possono esistere. Mai sognato di
volare?»
«Non lo so» rispose Xjjqz.
Si guardò attorno spaesato.
«Ma dove mi trovo?»
«Questo è il pianeta da cui tutto ebbe inizio. Il
pianeta Terra»
«Terra?» fece Xjjqz «Questo posto si chiama
Terra? E' un nome buffo. E' un termine che esiste ancora»
«E' un nome semplice» disse Damian. «Per molto
tempo gli uomini abitarono solo qui, su questo pianeta. Soltanto
quando si furono evoluti, migliaia di anni dopo la loro comparsa,
partirono per colonizzare altri pianeti, finché
colonizzarono tutti gli universi conosciuti e scordarono
addirittura il luogo dal quale erano partiti»
Damian ebbe un attacco di tosse.
Sembrava peggiorasse di minuto in minuto.
«Mi spiace, figliolo. Lo so, avresti mille domande da
rivolgermi, ma non potrò risponderti. Puoi trovare altri che
sazieranno la tua curiosità, quelle stesse persone che sono
giunte sul pianeta prima di te, che mi hanno insegnato la vostra
lingua, e che mi hanno chiesto di insegnar loro molte cose,
quand'ero giovane. Non hai che da raggiungerli, da trovare il
villaggio. E troverai tutte le riposte che vuoi. Se poi deciderai
di tornare alla tua vita, ti chiedo solo di non rivelare alla
Federazione l'esistenza di questo posto. Non fare che lo ricoprano
di lega bianca, come mi hanno raccontato, non fare che lo
distruggano, che lo sezionino per studiarlo. Non
permettere...»
Il vecchio tossì ancora, violentemente.
«Non lo permetterò» disse Xjjqz
Damian si distese, febbricitante.
Il suo corpo prese a tremare.
Xjjqz non sapeva cosa fare.
«Damian?» lo chiamò. «Damian?»
Preso dall'angoscia cominciò a guardarsi attorno, incapace
di pensare.
Xjjqz non conosceva la malattia, né la morte.
Era totalmente in balia di quello che stava succedendo, e non aveva
la minima idea di cosa fare.
«Damian» disse mentre gli occhi gli diventavano lucidi
«Damian!» urlò.
Ma nessuno lo stava a sentire.
Dunque era così che moriva un uomo?
Tutti sapevano, tecnicamente, cosa succedeva nel momento esatto
della morte.
Il cuore smetteva di battere.
Era un concetto semplice, ma nessuno l'aveva mai visto nella
pratica, se non quelli che venivano lasciati a morire senza la tuta
protettiva sul pianeta Mor.
Ma vederlo coi propri occhi era un'altra cosa.
Xjjqz lo considerò una specie di privilegio, a suo modo,
un'esperienza che gli altri uomini del suo mondo non potevano
compiere.
Dolore e malinconia si mescolarono con tenerezza nel suo animo,
partendo dal suo cuore indurito per la vita che aveva condotto sino
a quel giorno e procedendo poi lenti fino ad avviluppare dolcemente
ogni più piccola fibra del suo corpo e della sua mente.
Dunque era così che moriva un uomo?
La sua vita scivolava via, i suoi occhi si svuotavano di
consapevolezza, il suo cuore non batteva più, e tutto quello
che era stato, che aveva visto, che aveva pensato, si dissolveva
come la scia di un astromezzo nello spazio interstellare, e tornava
a diventare polvere di stelle e di pianeti e di comete sognanti,
vagabonde nello spazio infinito.
Oppure no?
Rimaneva qualcosa?
Damian gli aveva fatto un grande dono morendo davanti ai suoi
occhi.
Gli aveva fatto scoprire sensazioni che mai avrebbe immaginato
esistessero, gli aveva dischiuso un grande universo, una vita
nuova, l'aveva privato delle risposte che da sempre inseguiva, gli
aveva donato la bruciante curiosità di continuare ad
inseguirle, e di raggiungerle, un giorno, trovando gli altri uomini
che abitavano il pianeta.
Gli aveva donato anche due lacrime calde che presero a scorrergli
giù sulle guance lisce.
Anche quelle Xjjqz non le aveva mai viste, né aveva
sospettato che potessero esistere.