Sito www.porzy.it Introduzione a Gilgamesh

Gilgamesh secondo Lucho Olivera

Indice

punto Introduzione
punto Contenuto dell'opera
punto Come nacque il poema
punto L'autore dell'opera
punto Significato del poema
punto La scoperta archeologica di Gilgamesh
punto Note

©1997-2003 Thomas Porzano
sito Web: www.porzy.it (non pił on-line - vedi sintesi poema al nuovo indirizzo)

separatore

torna all'inizioIntroduzione

Che cos'è l'epopea di Gilgamesh? È uno dei più antichi poemi conosciuti e narra le gesta di un antichissimo e leggendario re sumerico, Gilgamesh, alle prese con il problema che da sempre ha assillato l'umanità:  la morte e il suo impossibile superamento.

L'epopea (o più semplicemente "il Gilgamesh") è anteriore ai poemi omerici (VIII sec. a.C.) e ai Veda indiani (1500 a.C.). Le prime redazioni sumeriche del poema sono fatte risalire ad oltre il 2000 a.C. Documenti su Gilgamesh sono stati rinvenuti più o meno ovunque in Mesopotamia, ma anche al di fuori come in Anatolia (Hattusa, capitale dell'impero ittita) o in Palestina (Megiddo).

La terra tra i fiumi

Per orientarvi meglio, sarà meglio abbozzare una mappa relativa ai luoghi che accenneremo nel corso della lezione:

mappa antica Mesopotamia

La terra che dai libri di storia conosciamo sotto il nome di Mesopotamia si chiama oggi Iraq, confina a nord con la Turchia, a ovest con la Siria e la Giordania, a sud con l’Arabia Saudita e a est con la Persia, l’odierno Iran.
    I due fiumi che fecero di questa terra la culla di una civiltà, così come il Nilo dell’Egitto, nascono in Turchia. Essi sono l’Eufrate e il Tigri, scorrono da nord-ovest a sud-est e sfociano nel Golfo Persico. Secondo il mito babilonese della creazione, fu il dio Marduk a creare i due fiumi dagli occhi della dea madre Tiamat. L’Assiria si estendeva a nord lungo il rapido corso del Tigri. La bassa Mesopotamia era occupata dalla Babilonia, ma prima ancora era suddivisa in due regioni. La più meridionale, delimitata a sud dal Golfo Persico era chiamata « paese di Sumer ». L'altra era chiamata « paese di Akkad » da cui derivò il nome delle prime genti semitiche stanziatesi nel paese.

Il fatto che testi del Gilgamesh siano stati trovati non solo in Mesopotamia testimonia che fin dall'antichità fu avvertito l'enorme valore artistico di quest'opera: il Gilgamesh fu subito sentita come un'opera dalla portata universale. La dimostrazione di questo successo in antichità è data dall'elevato numero di documenti su Gilgamesh attualmente in nostro possesso, circa novanta dispersi fra i musei di tutto il mondo. Considerando che settant'anni fa il numero di testi disponibili era meno della metà, è probabile che nuovi documenti emergeranno dalle sabbie dell'Iraq, guerre permettendo.

separatore

torna all'inizio Contenuto dell'opera

Sarebbe ingiusto etichettare l'epopea solo come una parabola della ricerca dell'immortalità. Le peripezie di Gilgamesh hanno risvolti etici, filosofici e antropologici affrontati con una tale maturità e bellezza poetica, che da tempo la critica letteraria ha elevato il poema al rango di capolavoro, accanto alle opere di Omero, Virgilio e Dante (1cliccare per leggere la nota).

Un meritevole accenno ai suddetti temi sarebbe incauto senza tuttavia conoscere di cosa parla l'opera. Veniamo pertanto subito alla trama dell'epopea di Gilgamesh. Per il momento vi basti sapere che l'opera è divisa in dodici capitoli, detti "tavole".

Tavola I

L'opera inizia con un inno al re Gilgamesh e alla sua città, Uruk. I sudditi, viene detto, sono però vessati dal loro inesauribile sovrano e si lamentano con gli dei. Il dio An, sovrano del firmamento, accoglie la supplica e, per dare sollievo al popolo, dispone la nascita di Enkidu. Costui è l'uomo selvaggio che vive con gli animali nella steppa, che potrà tenere a freno la smisurata potenza di Gilgamesh ma anche stargli accanto nei momenti di pericolo. Enkidu però deve essere prima educato alla civiltà. A questo compito provvede la prostituta sacra Shamkhat che gli insegna le basi della vita cittadina prima di condurlo a Uruk.

Pagina dall'epopea: Prologo, l'eroe Gilgamesh (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav01.htm non pił on-line)

Tavola II

Enkidu giunge a Uruk in tempo per evitare che Gilgamesh varchi la soglia di una novella sposa. Infatti, a Gilgamesh, in quanto sovrano, spettava lo ius primae noctis, uno dei maggiori fattori di lagnanza popolare. Gilgamesh e Enkidu si fronteggiano ma la forza dei contendenti è paritaria, per questo cessano le ostilità e i due diventano fraterni amici. Gilgamesh, in cerca di fama e avventura, propone allora a Enkidu una spedizione nella foresta dei Cedri dove mille pericoli li attendono.

Pagina dall'epopea: I giovani e gli anziani di Uruk (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav02.htm non pił on-line)

Tavola III

Gilgamesh convince gli anziani di Uruk di appoggiare la missione. La madre Ninsun, sacerdotessa del tempio, tuttavia è angosciata della partenza del figlio. Ninsun leva un’intensa preghiera a Shamash, dio del sole, affinché protegga Gilgamesh dai pericoli. Dopo che gli artigiani di Uruk hanno forgiato le armi della missione i due eroi si mettono in viaggio.

Pagina dall'epopea: La dea Ninsun e il dio Sole (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav03.htm non pił on-line)

Tavola IV (la "tavola dei sogni")

Il viaggio alla foresta avviene in un clima di magica sospensione. Ogni sera, i due eroi, prima di coricarsi dal lungo cammino eseguono un sacrificio al dio Shamash. Un demone della sabbia, inviato dal dio, incanta Gilgamesh per fargli avere sogni premonitori. Contemporaneamente il demone infonde a Enkidu il potere di interpretare i sogni. I cinque sogni di Gilgamesh sono tutti a tinte fosche ma ogni volta Enkidu li interpreta come segnali di buon auspicio da parte del loro dio protettore.

Pagina dall'epopea: Primo sogno premonitore di Gilgamesh (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav04.htm.htm non pił on-line)

Tavola V

Gilgamesh e Enkidu giungono nella foresta dei cedri e cercano i tronchi migliori da tagliare e portare a Uruk. Vengono scoperti dal mostro Khubaba, posto a guardia della foresta dal signore degli dei, Enlil. Il mostro maledice i due uomini per incutere loro paura ma gli eroi non indietreggiano e lo scontro ha inizio. Con l’aiuto di Shamash, Gilgamesh e Enkidu riescono a sopraffare il mostro che chiede pietà. Enkidu, tuttavia avverte Gilgamesh che le parole del mostro contengono menzogna e sprona l’amico a finire la creatura. Il bottino è grande. Gli alberi sacri vengono tagliati e portati a Uruk.

Pagina dall'epopea: La Foresta dei Cedri (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav05.htm.htm non pił on-line)

Tavola VI

Gilgamesh è acclamato e Ishtar, dell’amore, osservando il sovrano in tutto il suo splendore se ne invaghisce. La dea scende a Uruk e propone a Gilgamesh di sposarla. L’eroe rifiuta la sua proposta in termini che oltraggiano la dea. Ishtar allora fa liberare il Toro Celeste che come una calamità si abbatte sulla città. Intervengono Gilgamesh e Enkidu che come in una corrida riescono a bloccare e uccidere il mostro. La gloria di Gilgamesh raggiunge l’apoteosi e mentre tutto il popolo lo acclama Ishtar piange il Toro con le sue ancelle.

Pagine dall'epopea: Gli amori di Ishtar (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav06.htm.htm non pił on-line)

Tavola VII

Spente le libagioni Enkidu sogna il consiglio degli dei. L’olimpo non è contento bensì offeso dai ripetuti sacrilegi. Enlil decreta che uno dei due eroi muoia. Poiché Gilgamesh ha sangue divino nelle vene, la pena ricasca su Enkidu che cade in agonia. Gilgamesh è disperato perché non può fare nulla per il moribondo che, vaneggiando, maledice la porta costruita col cedro della foresta e la prostituta che lo aveva introdotto alla civiltà. Shamash però rincuora Enkidu preparandolo al trapasso. In un ultimo sogno Enkidu ha la visione della Casa della Polvere, il regno dei morti dove è destinato.

Pagina dall'epopea: Enkidu sogna il regno dei morti (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav07.htm.htm non pił on-line)

Tavola VIII

Enkidu muore e Gilgamesh lo piange intonando un lamento funebre al quale si unisce tutto il popolo in lutto. Viene preparato un regale corredo funebre che accompagnerà il defunto nell’aldilà.

Pagina dall'epopea: Il pianto di Gilgamesh per la morte di Enkidu (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav08.htm.htm non pił on-line)

Tavola IX

Gilgamesh è sconvolto dalla morte del compagno e s’interroga se anche lui dovrà un giorno perire nello stesso modo. In cerca di una risposta abbandona Uruk disperato vagando per la steppa affamato e derelitto. Giunge fino alla porta di una montagna sorvegliata da creature metà uomo e metà scorpione. I guardiani mostruosi riconoscono in lui carne divina e lo lasciano passare. Gilgamesh attraversa l’oscurità della montagna e all’uscita si ritrova nello splendente giardino di Shamash dove diamanti e lapislazzuli crescono sugli alberi.

Pagina dall'epopea: Incontro con gli uomini-scorpione (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav09.htm.htm non pił on-line)

Tavola X

Il giardino di Shamash è sorvegliato dalla vivandiera Siduri che commossa dalle implorazioni di Gilgamesh gli spiega come raggiungere l’antenato Utnapishtim, reso immortale dagli dei per aver superato la prova del diluvio universale. Incontrato il traghettatore Urshanabi, Gilgamesh può attraversare le acque della morte che separano la dimora di Utnapishtim dal resto dell’umanità. Gilgamesh infine raggiunge l’antenato che però non ha alcun segreto di lunga vita da rivelare.

Pagina dall'epopea: Il destino dell'uomo nelle parole di Utanapishtim (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav10.htm.htm non pił on-line)

Tavola XI (la "tavoletta del Diluvio")

Gilgamesh non crede a Utnapishtim. L’antenato racconta allora come riuscì a salvarsi dal grande diluvio. Fu solo al termine di questa calamità, scagliata dagli dei per sopprimere gli uomini, che si creò l’unica situazione in cui fu garantita vita eterna ad un mortale. Gli dei, infatti, riunitisi in consiglio per decidere il destino di Utnapishtim, lo elessero a loro pari destinandolo a vivere lontano dal mondo. Fu quindi grazie a un consiglio divino che Utnapishtim divenne immortale ma tale consiglio non potrà mai ripetersi per Gilgamesh. Il re di Uruk prova allora a sottoporsi alla prova del sonno per mostrare di meritare una simile possibilità fallendo miseramente. Gilgamesh si sente sconfitto ma Utnapishtim gli fa un ultimo dono prima del viaggio di ritorno: la pianta dell’irrequietezza che restituisce vigore al fisico.
     Sulla strada per Uruk, Gilgamesh fa una sosta in un oasi lasciando incustodita la pianta magica. Quanto basta affinché un serpente, possa avvicinarsi e divorare la pianta, perdendo la pelle e ridiventare giovane. A Gilgamesh non rimane che accettare il suo destino mortale e torna a Uruk dove riprende l’esercizio del potere con i suoi strumenti: il pukku e il mekku (il tamburo e la bacchetta della guerra).

Pagina dall'epopea: Il racconto del diluvio (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav11.htm.htm non pił on-line)

Tavola XII

I lamenti delle vedove fanno cadere il pukku e il mekku agli inferi. Enkidu (di nuovo vivo, come in un flashback) si accolla il compito di recuperare gli arnesi del potere. Gilgamesh raccomanda a Enkidu di rispettare tutti i tabù degli inferi per garantirsi il ritorno. Purtroppo Enkidu infrange i tabù e viene intrappolato. Gilgamesh riesce a far liberare Enkidu grazie all’aiuto di Shamash che intercede presso Nergal, signore dell’oltretomba. Ma Enkidu è già morto come apprende Gilgamesh quando al suo cospetto torna solo un’ombra. Nel corso dell’ultimo incontro col vecchio compagno di avventure, Enkidu spiega il destino degli abitanti dell’oltretomba.

Pagina dall'epopea: La sorte dell'uomo nell'aldilà (link a sito Web esterno www.porzy.it/gilgamesh/tav12.htm.htm non pił on-line)

separatore

torna all'inizio Come nacque il poema

Quanto abbiamo visto insieme finora è solo l'ultima, cronologicamente parlando, di una serie di redazioni che si sono succedute con aggiustamenti e continui perfezionamenti nel corso dei secoli.

Essa corrisponde alla cosiddetta Epopea Classica o ninivita. Il nome ha origine dal luogo del ritrovamento: Ninive, capitale dell'impero assiro, dove si trovava una delle maggiori biblioteche dell'antichità: la biblioteca di Assurbanipal.

Questa redazione è la più lunga, la più complessa e la meglio conservata giunta ai giorni nostri. Infatti il Gilgamesh non è un'opera completa. I documenti a nostra disposizione sono spesso frammentari, scritti in lingue diverse, appartenenti a epoche diverse, e dal contenuto non sempre omogeneo. I testi furono scritti in cuneiforme, scrittura più adatta al tipo di supporto finale, argilla modellata in forma di tavoletta.

Nonostante le lacune, il quadro d'insieme dell'opera è ormai chiarito e costanti scoperte archeologiche consentono di aggiungere nuovi tasselli sia all'epopea Ninivita sia alle versioni più antiche, comprese quelle di epoca sumerica.

L'epopea classica risale a circa il 1200 a.C. ma ci è giunta nella posteriore redazione neoassira (ca. 700 a.C.). Essa è composta di dodici capitoli scritti in accadico (non sumerico, anche se luoghi e personaggi sono spiccatamente di Sumer) su altrettante tavolette.

L'epopea classica è frutto di un'elaborazione letteraria risalente addirittura agli albori della scrittura e che, per semplicità, ho suddiviso in quattro fasi.

Fase 1: i poemetti sumerici

Questi poemi scritti in sumerico risalgono al terzo millennio a.C. e presentano, indipendentemente uno dall'altro, temi o vicende che confluiranno nell'epopea classica. Non costituivano un corpus epico unitario. Infatti Gilgamesh, se vi compare, ha ruoli molto eterogenei (avventuriero, sovrano di Uruk, giudice dell'oltretomba, fratello di Ishtar dea dell'amore, ecc.).

Fase 2: il poema paleo-babilonese

Il primo vero tentativo di composizione epica unitaria sulle gesta del re di Uruk avvenne verso il 1800-1600 a.C., ovvero al periodo della prima dinastia di Babilonia con il suo re prestigioso Hammurabi noto per il "primo" codice delle leggi (i primi codici sono in realtà di epoca sumerica). Questa saga è detta poema paleobabilonese di Gilgamesh. Dal poema di Gilgamesh sono tratti questi splendidi versi che ammoniscono il protagonista ossessionato dalla ricerca dell'immortalità:

"Gilgamesh, dove vai? La vita che cerchi, non la troverai. Quando gli dei crearono l'umanità le assegnarono la morte, e tennero per sé la vita! Riempi il tuo stomaco, Gilgamesh. Fai festa giorno e notte, i tuoi vestiti siano puliti! Lava il tuo capo, lavati con acqua! Gioisci del bambino che ti tiene per mano, possa tua moglie godere di te. Questo è il destino degli uomini!" (riportati in Sap 2001, pp. 161-162)

Questi sono praticamente gli ultimi versi di quanto ci è rimasto del poema di Gilgamesh. Il protagonista, vagando alla ricerca del segreto per sfuggire alla morte, viene ammonito da Siduri, la taverniera di Shamash (dio della giustizia) per aver trascurato l'esercizio del potere cercando una chimera. Non sappiamo se il poema contenesse la narrazione del diluvio ma è certo che conteneva almeno l'incontro di Gilgamesh col lontano antenato che sopravvisse al Diluvio.

Fase 3: le saghe medio-babilonesi e il mito di Atramkhasis

Al poema di Gilgamesh si ispireranno le posteriori saghe redatte in lingue extra-babilonese (ittita, elamico, khurrico) e trovate in Anatolia, Siria, Israele a testimonianza dell'enorme fortuna del poema in antichità. Queste risalgono al periodo mediobabilonese (XIV-XII sec. a.C.) e contengono un "dettaglio" in più rispetto al poema: l'intera narrazione del Diluvio universale. Questa versione è incredibilmente simile a quella che troviamo nella Genesi.

Le saghe mediobabilonesi più o meno si equivalgono nel contenuto ma sono assai diverse nella forma. Abbiamo per esempio, saghe in lingua diversa, saghe in prosa, altre in versi, oppure con estensione variabile da una all'altra.

Più o meno nello stesso periodo circolava un'edizione autonoma del diluvio, l'Atramkhasis (il Grande Saggio). Anche questa sarà utilizzata a modello dagli scribi assiri.

Fase 4: il canone

Riepilogando, le fasi letterarie che porteranno all'epopea di Gilgamesh sono le seguenti:

Intorno al XII secolo a.C. il materiale letterario (epico e mitologico) è pronto per una nuova risistemazione. Forse proprio in quest'epoca, al più tardi un secolo dopo, avvenne la compilazione in versi delle avventure di Gilgamesh secondo una struttura unitaria, giunta a noi nella tarda redazione assira (VIII sec. a.C.).

Se i testi delle origini erano caratterizzati da un forte contenuto mitico, il canone assiro è invece di contenuto mitico più rarefatto. Il canone è un opera arricchita nei contenuti, di imponente bellezza lirica e riflessione filosofica.

La qualità letteraria dell'opera fu tale che venne ricopiata, studiata a scuola, commentata e tradotta incessantemente fino al VII secolo. Qualcosa di molto simile avvenne anche per i poemi omerici, base culturale degli antichi greci. Proprio le copie più tarde dell'epopea, redatte nella capitale dell'impero assiro, grazie al loro migliore stato di conservazione consentirono agli studiosi una lettura completa della storia di Gilgamesh.

separatore

torna all'inizio L'autore dell'opera

Gli scribi assiri nel loro lavoro di ricopiatura furono molto zelanti. Infatti ogni biblioteca aveva i suoi cataloghi dove erano elencate tutte le opere presenti negli scaffali e il rispettivo numero di copie. Bisogna precisare che all'epoca non c'era il costume di dare un titolo alle opere. Ciò che veniva riportato nei cataloghi, ad indicazione di un'opera presente, era semplicemente la prima riga della composizione.

Ipotizziamo per un momento di poter consultare una biblioteca del primo millennio a.C. e di saper leggere l'accadico. Se questa biblioteca conserva qualche copia del Gilgamesh non dobbiamo cercarla sul catalogo come "Epopea di Gilgamesh" bensì come

"Di colui che vide ogni cosa"

che è appunto il primo verso della versione canonica. Supponiamo ora di entrare in una biblioteca del secondo millennio a.C. Il Gilgamesh andrà stavolta cercato sotto la voce

"Egli è superiore agli altri re"

che è il primo verso del poema paleobabilonese.

La cosa strabiliante è che, a differenza di molte opere dell'antichità, grazie ai cataloghi ritrovati nella biblioteca di Assurbanipal possiamo conoscere anche il nome dell'autore dell'epopea classica.

"Di colui che vide ogni cosa" è da attribuirsi a Sin-leqi-unnini, il prete esorcista

Il nome gotico di questo fantomatico autore significa "O Sin (=dio luna) accogli la mia supplica". Dato che la redazione ninivita è copia di una compilazione di epoca babilonese, Sinleqiunnini, ammesso che sia esistito, doveva essere uno scriba di Babilonia. Purtroppo siamo sicuri dell'esistenza di Sinleqiunnini così come siamo sicuri di quella di Omero.

Infatti da una delle tanti liste reali pervenuteci leggiamo

Durante il regno di Enmerkar era consigliere Nungalpiriggal
Durante il regno di Gilgamesh era consigliere Sinleqiunnini
(citato in Dag 1997 p.77)

Quindi la tradizione attribuisce il resoconto delle avventure di Gilgamesh allo stesso consigliere del re di Uruk! che sarebbe vissuto attorno al 2700 a.C., millenni prima di Babilonia. L'autorità di Sinleqiunnini come nume tutelare degli scribi era comunque indiscutibile al punto che spesso gli scribi si dichiaravano suoi discendenti firmando i documenti.

Oltre ai cataloghi gli scribi avevano l'abitudine di porre delle annotazioni in fondo alle tavolette. Tali annotazioni, chiamate colofoni riportavano:

Grazie quindi allo zelo dei bibliotecari babilonesi i primi scopritori e traduttori moderni della saga poterono stabilire il titolo originale ("Di colui che vide ogni cosa"), il numero di tavole che ne facevano parte (12) e quindi la lunghezza approssimativa dell'opera (ca. 3000 versi).

separatore

torna all'inizio Significato del poema

La ricerca dell'immortalità di Gilgamesh può apparire come un avventuroso mito, come quello, per esempio, degli Argonauti a caccia del vello d'oro. Ma se l'epos di Giasone ha richiesto secoli di reinterpretazioni per emergere in tutto il suo senso tragico (come nella Medea di Euripide), l'epos di Gilgamesh è  contenuto all'ennesima potenza già nei primi poemetti sumerici. Questo epos sviluppato con estrema sensibilità nel canone, si articola su quattro temi principali: il viaggio, la tradizione culturale, il tema della coppia, il tema della morte.

Il tema del viaggio

Molti critici vedono nell'opera un percorso educativo del protagonista attraverso i luoghi del poema. La parabola di Gilgamesh evidentemente doveva essere d'insegnamento per i destinatari dell'opera. Leggiamo nel bellissimo prologo:

Gilgamesh vide ogni cosa, ebbe esperienza di ogni cosa, in ogni cosa raggiunse la completa saggezza... (tav. I)

È inteso che questo è un giudizio a posteriori del narratore dato che, inizialmente, Gilgamesh è

...uno scalpitante toro selvaggio, le sue armi sono sempre sollevate e al suono del suo pukku debbono accorrere i suoi camerati. Giorno e notte il suo comportamento è oppressivo (tav. I)

La società di Uruk si lamenta invocando addirittura l'intervento di An, dio del firmamento, affinché Gilgamesh la lasci in pace. L'ego prevaricatore del sovrano impedisce il corretto svolgersi delle attività commerciali (perché i sudditi sono impegnati nella guerra o nel consolidamento della mura della città) e sociali (perché al sovrano spetta lo ius primae noctis).

Gilgamesh è assetato d'azione e d'avventure ma a metà del poema perde la sua spavalderia. Uruk non è più un ovile accogliente (appellativo frequente della città sumerica) perché non ha saputo proteggere l'amico Enkidu dal "destino dell'umanità". L'eroe deve abbandonare Uruk perseguitato da profonde inquietudini. È uno strappo antropologico denso di significati. A Uruk tutto era agio e sicurezza; fuori da Uruk c'é solo fame, freddo e solitudine.

Gilgamesh deve viaggiare a lungo, perché lontana è la dimora di chi può dargli delle risposte. L'oracolo è un antenato, Utnapishtim, reso immortale dagli dei per meriti eccezionali. La necessità del viaggio è enunciata persino con ridondanza, come suggerisce l'appellativo di Utnapishtim, "il lontano".

La metafora del viaggio educativo si dispiega anche attraverso la scansione del tempo. Prima smisurata e mitica (vedi la rapidità con cui Gilgamesh ed Enkidu procedono verso la Foresta dei Cedri), poi umanizzata e resa con enorme precisione (vedi le "doppie ore" che scandiscono il faticoso cammino attraverso l'oscurità per giungere alla luce di Shamash, tav. IX). Nella prima parte del poema Gilgamesh vive quindi in una dimensione irreale e appartata dal resto della società che non lo comprende.

Per contrasto, la seconda parte del poema ci presenta un Gilgamesh in una dimensione reale e soprattutto sociale. Rivelatore è il discorso di Gilgamesh al battelliere Urshanabi durante il viaggio di ritorno a Uruk. Un discorso fatto di inedite buone intenzioni verso i sudditi:

« Urshanabi, questa è la pianta dell'irrequietezza;
grazie ad essa l'uomo ottiene la vita.
Voglio portarla ad Uruk e voglio darla da mangiare
agli anziani e sperimentare la pianta.
Il suo nome sarà "l'uomo anziano ringiovanirà" » (tav. XI)

Il viaggio dell'eroe culmina con la conquista (o la consapevolezza) della dignità del sovrano. Il re sumerico non deve mai prescindere dai propri doveri, da cui dipende l'esistenza stessa della comunità.

Il tema culturale

Il buon governo è solo uno dei due effetti dell'eredità di Utnapishtim. Infatti il prologo anticipa come la saggezza acquisita da Gilgamesh al termine dell'epopea si manifesterà in un puro gesto culturale:

egli fece incidere tutte le sue fatiche su una stele di pietra (tav. I)

Nell'atto della scrittura, la cui invenzione è attribuita secondo un mito a Enmerkar, nonno di Gilgamesh, si condensa tutta la sapienza sumerica. Con la scrittura nasce la storia, non solo quella di Gilgamesh, ma di tutto il genere umano:

solleva la tavoletta di lapislazzuli e leggila:
vi è la storia di quell'uomo, di Gilgamesh che
sperimentò ogni possibile sofferenza (tav. I)

Il senso della storia traspare non solo nella registrazione scritta degli eventi ma anche nel recupero dei templi distrutti dal Diluvio (di cui Utnapishtim fu testimone oculare):

dopo aver raggiunto Utnapishtim, che abita in un lontanissimo luogo,
Gilgamesh restaurò i centri di culto distrutti dal diluvio (tav. I)

In conclusione l'epopea è un viaggio di formazione durante il quale un eroe mitico diventa eroe culturale. L'esperienza di Gilgamesh condensa conquiste storico-culturali dei sumeri. Egli sa scavare pozzi nel deserto

dopo trenta leghe di marcia si fermarono per la notte
essi scavarono un pozzo davanti a Shamash
e riempirono d'acqua i loro otri (tav. IV)

taglia i cedri dei Monti Libano per usarli come materiale da costruzione a Sumer

Gilgamesh abbattè gli alberi ed Enkidu raccolse i ciocchi
«Amico mio è stato abbattuto un meraviglioso cedro,
io voglio fare con esso una porta...» (tav. V)

inventa la corrida

Enkidu affrontò il Toro Celeste
e lo prese per la sua spessa coda
e Gilgamesh colpì il Toro con mano ferma e sicura
egli immerse la spada tra le corna e i tendini della nuca (tav. VI)

si improvvisa speleologo

Gilgamesh entrò nella porta della montagna
egli ha percorso una doppia ora
densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce
e non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé (tav. IX)

escogita la navigazione a vela

Gilgamesh e Urshanabi fecero salpare la nave e si misero in viaggio.
«Stai indietro Gilgamesh! Prendi un palo,
le acque della morte non devono sfiorare la tua mano [...]».
Quando Gilgamesh esaurì tutti i pali
lui e Urshanabi si spogliarono dei loro vestiti
e li legarono con la cintura attorno all'albero della nave (tav. X)

e la pesca sottomarina

Gilgamesh aprì un foro e si legò ai piedi grandi pietre,
si immerse nell'abisso e prese la pianta che punse le sue mani,
slegò quindi le grandi pietre che aveva ai piedi
e così il mare lo fece risalire fino alla sponda (tav. XI)

Ma l'epopea è ricchissima di dettagli che ne fanno un'enciclopedia di Sumer. Il testo spiega (o suggerisce) come i templi accoglievano gli orfani, perché sul calendario c'erano due feste di Anno Nuovo, perché i pastori vivevano in tende. Si affrontano la prostituzione e i costumi sessuali, la pratica oracolare dell'incubazione (tav. IV) e non mancano dimostrazioni eziologiche (perché i serpenti fanno la muta, ecc.).

Il senso della vita

Abbiamo accennato al passo dove Siduri redarguisce Gilgamesh su come dovrebbe comportarsi piuttosto che dar la caccia a segreti divini senza risposta. Il destino dell'uomo è segnato dalla mortalità (come racconta il finale dell'Atramkhasis, poema babilonese del diluvio) e Utnapishtim lo ricorda nei seguenti versi:

tutto assomiglia alle libellule che sorvolano il fiume
il loro sguardo si rivolge al sole,
e subito non c'è più nulla
(tav. X, vv. 315-317)

anche se Gilgamesh medesimo ne ha sentore all'inizio del poema

L'umanità conta i suoi giorni
e qualunque cosa faccia è vento
(tav II, lacuna al v. 200 circa integrata in Sap 2001 p. 55)

Nessuno può oltrepassare i limiti della vita, e si sa dall'etimologia che limite è in corrispondenza biunivoca con necessità . La necessità (ananke) non è una divinità vera e propria, quanto piuttosto il riconoscimento di una forza cosmica superiore alle cose, superiore allo stesso destino di uomini e dei (fato = Namtar in Mesopotamia, la Moira in Grecia, poi personificata in tre entità: Atropo che fila, Cloto che avvolge e Lachesi che recide il filo della vita umana).

Tuttavia Gilgamesh non accetta questa situazione, forse ingannato dalla somiglianza fisica con l'antenato. Ma Utnapishtim vuole convincere Gilgamesh con la parabola del diluvio, al termine della quale si svolse l'emblematica adunanza divina che promuove Utnapishtim tra gli dei.

(Enlil) ci benedisse:
"Prima Utnapishtim era uomo,
ora Utnapishtim e sua moglie siano simili a noi dei.
(tav. XI, vv. 191-196)

Ma nessuna sessione di Anunnaki si può tenere per Gilgamesh, negandogli d'ufficio l'immortalità! Rimprovera infatti l'eroe del diluvio a Gilgamesh:

...ed ora chi potrà far radunare per te gli dei
in modo che tu trovi la vita che tu cerchi?
(tav. XI, vv. 198-199)

La volontà di sopravvivenza di Gilgamesh è rivelatrice di uno stato d'animo che vive la precarietà quotidiana con ansia di sopravvivenza. Questo stato d'animo è comune in Mesopotamia come in Grecia. Ricordo l'esempio di Admeto che inseguito da Thanatos chiede al padre di rinunciare alla vita in vece sua ma il rifiuto del vecchio padre Ferete non ammette repliche:

"la vita è breve ma è così dolce"
(v. 695 Alcesti)

O nelle parole di Eracle:

Tutti gli uomini devono soggiacere alla morte, e non c’è uno tra i mortali che sappia se domani sarà ancora vivo: perché l’oscuro cammino della sorte non è cosa che si possa insegnare, ne si coglie grazie a un’arte. Dunque ora che hai ascoltato e appreso da me tutto questo, cerca di divertirti, bevi, pensa alla tua vita giorno per giorno e affidati alla sorte. (v. 785-...Alcesti)

Di stesso tenore è l’ammonimento dei cittadini ateniesi a Ioalo, vecchio compagno di avventure di Eracle:

Il tempo non ha ancora spento il tuo ardore: esso è giovane, ma il corpo è sfinito. Perché ti afatichi inutilmente in imprese che ti nuoceranno e ben poco potranno giovare alla nostra città? All’età che hai, devi riconoscere l’errore e rinunciare all’impossibile: la giovinezza non troverai modo di riacquistarla (702-708 Eraclidi)

Sono ammonimenti che ricordano da vicino le parole di Siduri nel poema paleobabilonese. L'adunanza divina che Gilgamesh auspica è tuttavia di cattivo auspicio. Gilgamesh dovrebbe ricordarsi di Enkidu che, prima di cadere in agonia, chiese di spiegargli l'incubo presagio di morte:

Amico mio, perché i grandi dei erano a consulto?
(tav. VI, v. 188)

Nei miti sumeri la riunione degli dei a consiglio è generalmente fonte di sventure! La cronaca del consiglio è interpolata nella tav. VII dal canto ittita di Gilgamesh:

An, Enlil, Ea e Shamash erano radunati a consiglio e An disse a Enlil: "Poiché hanno ucciso Humbaba, che custodiva la foresta dei Cedri, uno dei due dovrà morire". Allora Shamash rispose a Enlil, all'eroe: "Fu per tuo ordine che uccisero il Toro Celeste e Humbaba: dovrà dunque Enkidu morire benché sia innocente?". Enlil si rivolse furibondo a Shamash: "Proprio tu osi dire questo, che te ne andavi con loro tutti i giorni come uno di loro?".
(da San 1994, p. 115)

Come sottilmente ha osservato Jan Kott il porre in questione l'equità di un verdetto emanato degli dei riuniti in consiglio - come Shamash - è molto umano e umanamente toccante.

separatore

torna all'inizio La scoperta archeologica di Gilgamesh

Nel tempo che mi rimane vorrei accennarvi alla scoperta in epoca moderna della saga di Gilgamesh. Questa avvenne intorno al 1870 grazie al lavoro dell'assiriologo inglese George Smith che ne diede notizia nel corso di una concitata assemblea della Società londinese di Archeologica Biblica. La storia del ritrovamento è talmente ricca di colpi di scena che ho voluto proporla in una sezione dedicata.

Vorrei qui ricordare alcuni punti fondamentali. Questo documento non solo rivelò al mondo l'esistenza di una letteratura precedente a quella greca e biblica, ma addirittura confermò narrazioni contenute nell'Antico Testamento (qualche esempio è fornito nella monografia sui regni di Giuda e Israele).  La sua scoperta pertanto diede un fortissimo impulso agli studi biblici, alla nascente assiriologia, all'epigrafia ed ovviamente all'archeologia mediorientale.

Il rapporto con la Bibbia e l'interesse che ne scaturì segnò la fase iniziale dello studio della cultura mesopotamica. Col tempo, tuttavia, si cominciò a considerare le creazioni letterarie degli antichi popoli della Mesopotamia per il loro valore intrinseco. La più alta opera poetica di queste culture scomparse fu, fin dal principio, considerata l'epopea di Gilgamesh, dove la materia mitologica si era piegata per esprimere le più segrete e perenni inquietudini dell'uomo...

Thomas Porzano
liberamente basato sulla mia lezione introduttiva al mondo di Gilgamesh, 19 maggio 1997, Associazione culturale Kairos, Milano (2cliccare per leggere la nota).

separatore

torna all'inizio Lens Note

  1. L'immortalità e i temi connessi sono frequenti nella letteratura mesopotamica come spiega il signore degli Dei nel celebre mito di Adapa: «Non sognano forse tutti gli uomini di diventare immortali?»

In epoca moderna l'argomento è stato affrontato, per esempio, nel racconto di Jorge Luis Borges, L’immortale (da L’Aleph, 1949, Tutte le Opere di J.L.Borges, pp. 773-788 vol. I, Mondadori ed. 1985) che cito volentieri in quanto fa da filo di collegamento tra questa e la mia lezione su Odisseo.

Altre splendide pagine dedicate all'immortalità si trovano nel viaggio di Gulliver a Luggnagg (capitolo X, parte III del noto romanzo di Jonathan Swift). Qui Gulliver aspira a diventare uno struldbrugg (= immortale in balnibarnese), in modo da avere tutto il tempo per arricchirsi o per studiare tutte le arti e le scienze diventando "oracolo" d'Inghilterra. Ahimè Gulliver cambierà presto idea apprendendo quale triste destino tocca agli struldbrugg sopra i 30 anni. Quale? Non ditemi che avete mai letto oltre il viaggio a Brobdingnag...

Nel capolavoro di Michail Bulgakov, il Maestro e Margherita, l'immortalità turba Ponzio Pilato subito dopo avere condannato al supplizio il Nazareno: «L'immortalità... è venuta l'immortalità. L'immortalità di chi? Non riusciva a capirlo, ma il pensiero  di questa misteriosa immortalità gli mise freddo sotto quel gran sole» (dall'ediz. Rizzoli 1977, p. 68).

A teatro, il tema dell'immortalità è stato recentemente affrontato nello spettacolo-installazione Infinities diretto da Luca Ronconi (scritto dal mediocre autore, John D. Barrow) in scena alla Bovisa di Milano in via Baldinucci 85 tra l'8 e il 28 marzo 2002. La rappresentazione ripartita tra cinque stanze toccava con ironia e intelligenza alcune tipologie di infinito. La seconda stanza, dal titolo Vivere in eterno, era tra le più suggestive.
     Il pubblico, guidato da uno dottore e due assistenti, imperscrutabili sotto pallide maschere, attraversa una claustrofobica scenografia: la clinica dell'immortalità . Un invito poco rassicurante accoglie gli spettatori: "Aaah! vivere in eterno! L'argomento è affrontato rappresentando una serie di reazioni umane paradossali all'idea di vivere per sempre. Prego, accomodaaatevi!".
    Nella clinica, l'immortalità è descritta nei suoi risvolti più complicati: immaginate di poter vivere in eterno senza ahimè evitare l'invecchiamento (gli struldbrugg ne sanno qualcosa). Risvolto che già suggestionò gli antichi nel mito di Aurora e Titone (citato da Dante nella Commedia).
     Al termine della quinta stanza, agli spettatori si offrono due opzioni: infinito lineare (tornare a casa) o circolare (ricominciare dalla prima stanza). Ghermito dalla seconda categoria, ricordo che uscii dal teatro a notte inoltrata! Thomas 2002 cliccare per tornare al testo

  1. Nota personale del 15 novembre 1999: Il titolo originale della lezione era: "La saga moderna di Gilgames". Quindi con un palese errore di battitura nel nome del re di Uruk. Come inizio non c'è male. Ma l'esposizione è piaciuta molto. Molti gli applausi e la cosa mi ha stupito perché in genere non si applaudisce. Ho impiegato poco meno di due ore per la lezione. Vi sono state anche domande. Tra i presenti Andrea P., Gisella, Monica N., il suo ragazzo Mario (col naso rotto causa incidente della settimana precedente), Cinzia, un'altra ragazza il cui nome non so, Greta la bellona, Ferruccio (che mi aveva fornito le fotocopie da Eros e Thanatos) e una sua amica, oltre ad altri due ragazzi i cui nomi non ricordo. La cena che è seguita era a base di fusilli al pesto e uova con contorno di insalata. In realtà per questa lezione non preparai un testo unico ma improvvisai molto leggendo il testo del poema. Questa è quindi solo la ricostruzione eseguita pochi giorni dopo ma è fedelissima, come dimostra il fatto che ricordo ancora il menu della serata. Thomas Porzanocliccare per tornare al testo

© 1997-2003 Thomas Porzano Articolo completo su: www.porzy.it (non pił on-line) Porzy's Web
eBook a cura di Emanuele Cassani www.steppa.net

Associazione Culturale