PierLuigi Albini

Paul Klee
una ricognizione
- seconda parte -

2. Teorie estetiche di Klee

Apriamo ora una prima parentesi sull'estetica di Klee utilizzando i suoi scritti.
Non c'è purtroppo lo spazio per dare uno sguardo, come pure sarebbe necessario, al contesto culturale e sociale del tempo in cui visse.

* Il primo scritto è La confessione creatrice del 1919, in cui Klee "separa in modo netto la sfera dell'arte dalla natura" [Bucarelli, 1970]: una distinzione già fatta da Kandinskij, suo grande amico e collega di Bauhaus, ma quest'ultimo la fa in nome di uno spiritualismo che Klee non accetta. Ovviamente, qui per natura si intende la sua fedele riproduzione, più o meno fotografica.

* Il secondo è Teoria della forma e della figurazione (1921-1931). Si tratta del risultato delle lezioni tenute al Bauhaus, con un impianto che si appoggia molto a proposizioni di carattere scientifico ma non facendone discendere l'arte, piuttosto delineando una specie di cosmologia parallela che rivendica l'autonomia dell'arte. "Anche l'arte è pensiero e non vi può essere pensiero che non sia pensiero del mondo", scrive. Il mondo di Klee non è un mondo trascendente, perché se "l'arte non è razionale, non è nemmeno irrazionale". "Se l'arte è un modo di pensare, è un modo di pensare facendo, se è così non può dipendere da un precedente stato della mente" [Bucarelli, 1970]; e qui c'è una grande differenza dai surrealisti.

Della maggior parte dei suoi quadri si può dire che evocano un mondo incantato, ma non onirico: ironia e rigore compositivo geometrizzante non gli fanno superare questa soglia.
Nel periodo di Monaco Klee sembra molto più interessato alle teorie della fisica più avanzata che al dibattito estetico del tempo.

Palma Bucarelli sosteneva che bisogna superare la leggenda di un Klee visionario. La sola differenza della sua arte rispetto al pensiero razionale è che il suo metodo "non si deduce ma si elabora con l'operare".
Per me, infatti, il suo orientamento sembra molto vicino all'empirismo critico del tempo.
"Su un impianto di forme astratte, ma che lievitano, si associa questo o quel ricordo della realtà, un'evocazione accennata e casuale" [Schmalenbach, 1970] Forse, un accostamento possibile è a quell'universo autonomo di segni che proprio in quegli anni la linguistica veniva sviluppando con Saussurre, che era attivo a Ginevra. [Pirani, 1990].
Voglio però segnalare che esiste una straordinaria equivalenza tra l'arte di Klee e quella di Italo Calvino e che proprio la scrittura di quest'ultimo ci può aiutare a comprendere meglio la pittura del primo. Vale infatti per Klee quello che è stato detto da Giorgio Manganelli per Calvino: profondo in superficie. Se si rilegge lo straordinario saggio di Calvino di Lezioni americane, si dovrà convenire che tutti e cinque i principi estetici che lo scrittore italiano proponeva di far transitare nel XXI secolo, trovano un quasi perfetto riscontro nell'arte di Klee. Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, esprimono compiutamente sia la scrittura di Calvino che la pittura di Klee. E non si tratta solo di termini suggestivi, perché gli stessi processi creativi descritti da Calvino, che ne costituiscono la struttura di riferimento, potrebbero comodamente essere adattati a Klee.

Forse, per quest'ultimo, si potrebbe aggiungere in modo esplicito un principio che nella scrittura di Calvino è implicito, ossia la musicalità.

"Come Klee – osserva Tullio Pericoli nel suo dialogo con Calvino – anche tu sei alla ricerca delle forme possibili e disegnabili, che non ci sono nella realtà ma esistono in quanto possibili (pensando a Borges si potrebbe ammettere una rivendicazione dell'esistenza delle forme non disegnate e dei racconti non raccontati)."

3. Il Bauhaus e i quattro azzurri

Durante la Grande guerra, anche Klee venne chiamato sotto le armi, ma non fu inviato al fronte, mentre provò il dolore della morte di suoi grandi amici artisti. Tuttavia, Klee continuò a dipingere e ad esporre, scrivendo anche il saggio di estetica che ho già citato.
Nel 1920 entrò al Bauhaus, svolgendo le sue lezioni in parallelo con Kandinskij, e dove rimarrà fino al 1931.
Il Bauhaus era stato fondato da Gropius nel 1910 (la sua sede fu dapprima a Weimar e poi a Dessau) e il suo obbiettivo, detto in sintesi, consisteva nell'annullare la separazione esistente tra belle arti e artigianato e di collegare l'attività artistica con le nuove tecnologie della produzione industriale. [Pirani, 1990] Non è qui l'occasione per parlare dell'importanza centrale del Bauhaus nell'estetica del Novecento. Nella scuola Klee svolse un'azione equilibratrice e Gropius lo considerava "l'estrema istanza morale del Bauhaus". I suoi allievi lo soprannominarono il Budda, per il suo atteggiamento distaccato dalla vita sociale della scuola, ma anche perché lo consideravano una specie di oracolo. [Fiedler, Feierabend, 2000]

Faccio solo qualche accenno ad un'esperienza pure fondamentale nella biografia artistica di Klee. Non solo in questo periodo la ricerca visiva di Klee assunse caratteristiche particolari, dovendo misurarsi con il funzionalismo imperante nella scuola e con le necessità pratiche di un insegnamento artistico fortemente orientato alla produzione, ma fu anche l'occasione per tradurre più compiutamente la sua estetica in teorie e in didattica.
Forse il periodo del Bauhaus coincise con il raggiungimento del massimo fascino delle sue opere. Arte nel suo farsi e spiegazione del farsi nell'arte si intrecciarono strettamente, come testimonia un suo allievo, Christof Hertel: "Assistevamo alla genesi delle forme, una genesi che era al tempo stesso reale e fantastica in misura mai sperimentata prima. […]

Viaggiavamo con lui attraverso i millenni. Klee ci rese di nuovo partecipi di esperienze primigenie di cui non avevamo più che una conoscenza meccanica. […] Egli ci indicò la grande sintesi che tutto comprende, l'organico come l'inorganico. Tutto: zoologia, biologia, chimica, fisica, astronomia, letteratura, tipografia, contribuiva a chiarirci come noi, col nostro essere e col nostro agire, siamo legati all'umanità e al ritmo cosmico.
Klee ci parlava di valori espressivi, ci diceva che le cose devono avere forma e senso, che la funzione dell'immagine consiste nell'esprimere qualcosa."

In effetti, la sua influenza nel Bauhaus fu molto forte. L'autorevole testimonianza di C.G. Argan ci dice, ad esempio, che il più lucido designer uscito dal Bauhaus, Marcel Breuer, deve almeno in parte a Klee l'idea di una "costruzione rarefatta, filiforme, di lineare tensione, che percorre lo spazio invece di occuparlo, anima l'ambiente con l'agilità del suo ritmo grafico, sostituisce alla consistenza massiccia dell'oggetto la quasiimmaterialità del segno". Argan si riferisce alla famosa poltrona Wassily, ma le stesse parole potrebbero applicarsi alla pittura di Klee.
Tuttavia, i rapporti di Klee con il Bauhaus non furono in generale sereni. Il conflitto delle idee si accese spesso. Klee non era una meccanocentrico, il suo mondo non era quello della fusione tra macchine e arte; caso mai, era quello della trasfigurazione delle prime nella seconda.
Ma era proprio il tema delle macchine che non lo appassionava.
Nel 1924, con Kandinskij, Feininger, Jawlensky formò il gruppo I Quattro Azzurri, che tenne molte mostre.
Il mutamento del clima artistico nel Bauhaus introdusse sempre maggiori tensioni verso il 1925, quando prese il sopravvento l'analisi tecnica dei materiali ed una messa in secondo piano dell'importanza della pittura. Il cambiamento della didattica sgomentò Klee che cominciò a pensare di abbandonare la scuola nel 1929. "Il Bauhaus non mi emoziona più; si pretendono da me cose che danno pochi risultati. […] Nessuno ne ha colpa tranne me che non trovo il coraggio di andarmene", scrisse in una lettera. Nel 1931 si trasferì ad insegnare a Düsseldorf.
Il Bauhaus si sciolse nel 1933, a seguito delle pressioni naziste che consideravano la scuola un "focolaio di bolscevismo intellettuale".

4. Temi

4.1. Klee e la musica

Si tratta di una delle chiavi principali di lettura della sua arte, non solo perché Klee fu un buon violinista e figlio di un musicista, a lungo incerto tra musica e pittura, e non solo perché moltissime opere hanno come tema la musica, le maschere o il teatro. Ma per ragioni intrinseche alla sua poetica.
Klee fu molto circospetto nel pensare ad un'analogia tra le varie arti, come andava allora di moda nei circoli intellettuali, e non teorizzò in alcun modo la possibilità della sinestesia, come fecero i futuristi o i dadaisti, ossia l'associazione di stimoli sensoriali diversi contenuti in una stessa opera, servendosi di mezzi tecnici ibridi.

Ora, seguendo in gran parte l'interessante analisi compiuta da Daniela Gamba, c'è un primo livello di lettura dell'opera di Klee che rappresenta l'omaggio continuo che egli fa alla sua passione musicale. Qui il titolo e il tema delle opere sono espliciti, come ne Il tessuto vocale della cantante Rosa Silber del 1922, oppure Bianco polifonicamente incorniciato (1930).
Un secondo livello riguarda l'uso dei segni musicali, dei suoi grafemi, inseriti nel quadro o allusi nel loro formarsi, quasi a rinforzare quell'universo autonomo dei segni che nasce dalle proposte linguistiche che Saussurre veniva facendo.

Un terzo livello risale alle teorie di Goethe e interpreta la forma come l'interruzione di qualcosa che stava crescendo, che era in corso di espansione, una specie di fotogramma di una pellicola (che tuttavia non significa congelare il movimento, anche per mezzo dell'inserzione di frecce, che rappresentano dei simboli complessi).
Qui le immagini ritmiche servono a sottolineare questo fatto, richiamandone la componente temporale.
Un quarto livello – a mio avviso il più significativo - riguarda la cosiddetta polifonia pittorica evidente in Klee, come esplicita e unica possibilità di rappresentazione del mondo. Lo vedremo meglio tra poco.
Come i rapporti numerici, fin da Pitagora, coincidono con gli intervalli musicali, così in Klee il rapporto tra le diverse parti del dipinto, anche il più fantastico, si basano sull'astratto rigore dei numeri. E i numeri, come si sa, sono il più potente strumento disponibile per descrivere l'universo.
In Klee bisogna fare attenzione alla matematica non meno che alla poesia. Will Grohmann, amico dell'artista e uno dei suoi massimi critici, racconta: "Tra le carte di Klee ho trovato lo schema per uno di questi quadri.
Numeri sono scritti nei vari quadrati a formare diverse serie aritmetiche, forse per dare all'artista una più chiara e complessiva dinamica dei rapporti formali. Se si sommano questi numeri lungo le orizzontali e le verticali i risultati coincidono come nel noto quadrato magico."

In Klee torna continuamente la questione della musica, oltre tutto ne fanno fede i suoi stretti rapporti con Schönberg, alle cui polifonie sembrano riferirsi alcuni titoli della serie delle Armonie.
La polifonia di Klee allude alla simultaneità delle sensazioni (quelle stesse che in altro contesto e con diversi mezzi cercarono di rappresentare i futuristi). Si tratta quindi di una sinestesia impropria perché non cambia mezzo di espressione: essa è tutta e solo contenuta nell'opera pittorica. Ma, si badi bene, Klee considerava la polifonia pittorica superiore a quella musicale, al contrario di quanto sostenevano le correnti artistiche principali del tempo. [Gamba, 1999] E qui essa, a somiglianza di quanto avviene nella musica, che è rappresentazione contemporanea di suono e di silenzio in una durata temporale, indica quella quarta dimensione – il tempo - che Klee cercava di rappresentare, come vedremo tra poco.
Ma, infine, anche per la musica, come per la pittura, in fondo si tratta di un mondo parallelo e autonomo che ha misteriosamente a che fare con la realtà e con i nostri sensi. Come se la pittura di Klee riuscisse a stabilire con il nostro sentire un rapporto omologo a quello che la musica stabilisce con la nostra percezione acustica, attraverso consonanze immediate che seguono itinerari propri, esplicitamente dedicati, nella nostra organizzazione neuronale. Come se la visione di un quadro di Klee tentasse di chiamare obliquamente in causa, attraverso le allusioni cromatiche e le suggestioni grafiche, e senza che ne rendiamo conto, aree del nostro cervello deputate all'interpretazione dei suoni.

4.2. Klee e la natura

La pittura di Klee guarda sempre alla natura ma non nel modo tradizionale, rappresentandola, imitandola. Piuttosto, c'è in lui "la voce della natura come concerto di voci, ma appena sussurrate, misteriose, quasi impercettibili" (ancora una metafora musicale). [Schmalenbach, 1970]

Scrive Klee nel 1916: "Contemplo il creato da un punto di vista remoto, primigenio". È certamente qui un'altra chiave fondamentale della sua estetica. All'artista, sosterrà Klee, interessano però più le forze creative della natura che non i suoi fenomeni generali.
Da questo punto di vista, la funzione dell'artista non è quella del demiurgo, quanto quella del medium - sosterrà in una sua celebre conferenza – che si fa portatore della linfa che dalle radici, attraverso il tronco dell'albero (l'artista sarebbe il tronco) si trasforma nel mondo diverso delle fronde. Egli deve cogliere, capire queste funzioni elementari della natura e rappresentarle. L'artista – aggiunge Klee – si può anche permettere "di pensare che la creazione non può essere oggi interamente terminata ed estende così questa azione creativa del mondo dal passato al futuro. In tal modo conferisce alla genesi una durata". Klee si mette sempre dal punto di vista della genesi del mondo. E, aggiunge, che l'artista "è forse un filosofo senza volerlo". Il mondo com'è, come ci appare, sostiene ancora, è troppo chiuso nel tempo e nello spazio e forse su altri pianeti "si può essere giunti a forme completamente differenti".

Questa visione è, nello stesso tempo, uno dei motivi centrali di quello che Renato Barilli chiama il principio femminile, ossia della durata e della permanenza (anche qui c'è un'allusione musicale). Niente più della suggestione geologica di certi suoi dipinti può darne il senso. Qui le profondità della prospettiva sono escluse, al massimo ci sono dei carotaggi,
ma sempre svolti su un piano bidimensionale, così come si riporta un rilievo su una carta geografica. Klee è un grande cartografo dell'immaginario. Ma il suo geometrismo non è rigido, il mondo che rappresenta è pur sempre un mondo in movimento, che si è evoluto e che si evolverà. Non è il principio primo alla Mondrian, ma è l'impulso primario, e perciò le sue piastrelle, le sue tessere, sono rotte dai cromatismi e la materia pittorica non viene occultata per giungere alla rappresentazione del colore puro, ma serve a sostituire il senso del movimento. [Barilli, 2000] D'altra parte, l'evasione fantastica di Klee avviene sempre in un ambito naturale, in una dimensione immaginaria "in cui regno vegetale, regno animale, gli spazi cosmici e gli universi stellari si incontrano". (M. De Micheli)

Strada maestra e strade secondarie del 1929 rappresenta il vertice di questa concezione: uno studio attento di come la delicatezza e l'eleganza della forma trascolora negli accostamenti cromatici e nelle loro variazioni appena percettibili: la moltiplicazione del sempre uguale non produce stasi, ma varietà, come se il principio primo si ibridasse e si deformasse a contatto con il suo realizzarsi, con il suo esserci, in un mondo terreno, in questo mondo.

Un mondo che si fa tessuto: ecco, si tratta del tessuto originario con cui poi la natura farà il mondo, così come a partire da un qualsiasi tessuto, con le sue trame, con la qualità dei suoi fili, con l'intrecciarsi dei colori si cuciono poi gli abiti.
Natura, ovviamente, è la totalità del mondo, anche quello artificiale, quello costruito dall'uomo. Secondo me, uno dei segni più alti, commoventi, di questa capacità di Klee di evocare assieme tempo, e quindi storia, spazio e quindi cartografie essenziali, memoria e quindi emozioni, è dato dal suo Piccola stanza veneziana.

Con pochi colori e con un'economia delle linee Klee evoca e risolve la sensazione che può dare Venezia. C'è qui la memoria di un Settecento prezioso e in maschera, assieme alle acque dei canali e al loro tortuoso percorso, con un blu che allude anche alla notte, che può essere quella della decadenza ma anche della profondità temporale della storia della Serenissima. Un blu primordiale e intenso, come primordiali sono le acque ospitanti la vita, le acque della laguna che sono ragion d'essere della città.
La cifra complessiva è l'estrema eleganza, come elegante è il merletto urbano di Venezia, riassunto in poche linee, come eleganti sono i protagonisti del suo immaginario (magari si tratta delle scorribande notturne di Giacomo Casanova, di cui – se si sta un po' in ascolto – è forse possibile sentire l'eco dei passi sulle pietre delle calli). Venezia è lì e ti guarda, con il segno dell'infinito – che è anche un'allusione alle maschere - quasi al centro del quadro e con il sintetico rosso dei suoi palazzi illuminati di vita notturna. Con quell'aria di eterno mistero che tenta di raggiungere il mare orientale.
Tutto questo si può vedere da una piccola stanza veneziana, ma anche dall'emozione della propria memoria che il dipinto attiva.

Il metro di misura di Klee, spesso alternato ad altri grafismi, comporta una scelta rigorosa, e per essa "nutre una predilezione particolare per l'interregno, quello dell'acqua e quello dell'aria, reale e nel contempo irreale". [Schmalenbach, 1970] Ma ciò avviene proprio perché si tratta di una metafora di quel mondo parallelo e tuttavia compresente a quello reale (come lo sono le diverse dimensioni immaginabili), poeticamente rappresentato. Questo dell'acqua e dell'aria è, peraltro, il regno in cui le metamorfosi sono più probabili, e proprio in questo passaggio metamorfico, quando una forma si sta dissolvendo per trasformarsi in un'altra, è possibile sorprendere l'essenza delle cose. Fino al punto, come in questo Paesaggio con uccelli del 1923, in cui aria e acqua si confondono, con gli uccelli che sembrerebbero piuttosto collocati in un paesaggio sottomarino o specchiarsi in esso. Di lì è possibile sorprendere l'intima natura del creato.
C'è qui il motivo della iconicità, della raffigurazione, che Renato Barilli definisce principio maschile, come in Luna piena del 1919: la toppa di base, la mattonella riquadrata, qui si trasforma e allude ad una figura concreta, come se si sforzasse di metamorfizzarsi nel mondo nostro. Non è facile uscire dai giardini di Klee, scrive M. Micheli. Lo cito per esteso perché è un passo molto bello di questo storico dell'arte. "Ci si aggira tra arborescenze lunari, tra cespugli di corallo, su laghi di amianto.

Si guardano tra i rami i verdi uccelli di fosforo, le stelle che si confondo con la brina. Si vive ora un paesaggio di quarzo, ora in una landa sottomarina, nel cuore di una luce preziosa di alga e di diamante. Talvolta si cammina invece sopra un mosaico vibrante oppure tra una selva di simboli domestici o esoterici che emanano un leggero tossico cromatico come per un'invisibile disintegrazione. Ma talvolta la sua visione si fa anche più immediata e diretta." Una poesia della natura che è la sua ispirazione essenziale, e non è un caso che Klee fosse molto amato dai poeti del tempo, in particolare dai surrealisti.

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