1. Labirinti dell’arte contemporanea:
Un percorso in sei letture

Capita a molti, visitando una galleria o una mostra d'arte contemporanea, di rimanere perplessi davanti alle opere esposte e di interrogarsi sul senso di ciò che vedono e se, per caso, l'artista (o il critico d'arte) non li stia prendendo in giro. Talvolta è proprio quasi tutta l'arte del Novecento che viene guardata con sospetto, perché si allontana dai canoni estetici e figurativi a cui la grande tradizione italiana ci ha abituato. Eppure dovremmo ormai considerare tradizione anche il Novecento. In alcuni casi, si considerano gli impressionisti come l'ultima frontiera comprensibile dell'arte, in altri si apprezzano le avanguardie storiche (cubismo, futurismo, surrealismo e così via), dopo di che si pensa a un caos espressivo e a un'inaccettabile soggettività degli artisti.

Critica della modernità Il sistema dell'arte contemporanea Le avanguardie artistiche Storia della critica

Dico subito che, soltanto l'accostarsi al problema presenta qualche difficoltà; richiede una certa passione e una discreta fatica. Però, alla fine del percorso suggerito, se molti saranno gli interrogativi che rimarranno in testa al lettore (magari potranno essere anche altri interrogativi, che proprio la lettura avrà fatto maturare), potremo avere la presunzione di non aggirarci più in una terra aliena, di poter riconoscere visi e paesaggi, usanze e storie che, certo, non ci avranno reso proprio esperti dei luoghi, ma che ci permetteranno almeno di non perderci per viottoli secondari, inseguendo domande sbagliate o mal poste. Alcune osservazioni preliminari e qualche indicazione bibliografica potranno forse aiutare a saggiare le prime risposte ai nostri interrogativi.

I. La prima considerazione può dare un certo conforto a chi si sente sperduto di fronte all'enormità e alla diversità dell'attuale offerta d'arte. Siamo spettatori di una produzione imponente e variegata, che attraverso i canali più diversi (gran parte dei quali nel passato non esisteva, come non esisteva l'attuale abbondanza di immagini) si presenta contemporaneamente alla nostra attenzione. Insomma, ci arriva di tutto: dalla crosta al capolavoro, dall'artista furbetto al serio sperimentatore, dall'innovatore al ripetitore. In questo mare di stimoli artistici, i mediatori-promotori (galleristi, critici e così via) dovrebbero funzionare da filtro della qualità. Abbiamo anche l'impressione, in quanto fruitori d'arte, che dal passato ci arrivino invece (e vengano esposti) solo capolavori, più o meno grandi. Per cui si ha il sospetto, sbagliato, che i livelli artistici fossero un tempo molto più alti di quelli attuali. In realtà, per ogni opera salvata quante sono quelle andate perdute (brutte e belle) o che giacciono, invisibili, nei depositi? In sostanza: croste e capolavori, artisti furbetti e artisti seri, innovatori e ripetitori sono sempre esistiti, ma il tempo ha operato una selezione, mentre nel nostro caso, il tempo è ora. Per questo il rumore di fondo è molto forte, rendendo difficile isolare i suoni buoni dalle stecche. Certo, come vedremo tra poco, tutto ciò non esclude il fatto che ci troviamo anche davanti a fenomeni del tutto nuovi.

II. Intanto, il sistema dell'arte contemporanea, con l'affermarsi della civiltà industriale e postindustriale, è profondamente diverso da quello del passato. Gli stessi ruoli degli attori (acquirenti, mediatori critici, spettatori e, ovviamente, artisti) hanno una nuova configurazione. La domanda d'arte è enormemente cresciuta rispetto al passato, per non parlare dei sistemi di riproduzione che permettono l'acquisizione privata di ottime copie di un'opera, il cui originale spesso non esiste proprio o è solo un suggerimento decorativo.

III. C'è una correlazione precisa tra le innovazioni sociali e tecniche e lo sviluppo dell'arte, nel senso che di frequente la seconda anticipa nella sensibilità le prime. Ma sono proprio le innovazioni esterne a rendere possibile e a determinare il mutamento degli stili. Come l'adozione del colore ad olio nel Rinascimento ha permesso la simulazione delle tre dimensioni su una superficie a due dimensioni (il quadro), così l'introduzione dei colori "artificiali", a partire dall'Ottocento, ad esempio, ha permesso lo sviluppo di tecniche di pittura assolutamente nuove e la combinazione di tonalità e timbri coloristici in precedenza sconosciuti. Ma non si tratta solo di colori: in un certo qual modo, il colore guida anche la forma e il cosa rappresentare. È la chimica industriale una delle madri della pittura contemporanea. Se qualcuno pensa che ciò non possa cambiare l'arte, è del tutto fuori strada.

IV. In relazione al punto precedente, va anche detto che se esiste, come esiste, un rapporto più o meno stretto (che non è il caso di approfondire qui) tra l'innovazione tecnologica - nel senso più ampio del termine - e lo sviluppo della sensibilità e dell'esperienza artistica, allora il tumultuoso moltiplicarsi di stili, tendenze e sperimentazioni, non è il frutto di una decadenza artistica rispetto al passato o di una gigantesca cospirazione dei mercanti d'arte per fare soldi, ma l'effetto di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti, a partire dal Novecento. Parlo della compenetrazione tra una società di massa e il succedersi sempre più incalzante delle innovazioni tecnologiche, che obbliga gli artisti a misurarsi con nuovi punti di vista, con nuovi materiali, con nuovi processi mentali, con il senso di una società in cui la velocità del cambiamento non permette ritmi più lenti di riflessione sulla realtà. In breve, condivido in pieno l'affermazione di Mario Costa, autore di acuti studi in materia, che tutta l'arte dall'Ottocento fino alla seconda metà avanzata del Novecento "si spiega solamente come un complesso di reazioni agli avventi progressivi delle tecnologie". [Estetica dei media. Avanguardia e tecnologia, Roma, Castelvecchi, 1999, pp. 302]. Aggiungerei solo che il fenomeno continua ancora oggi.

V. Per misurarsi con questo ambiente e con questi mezzi del tutto nuovi nella storia umana, l'artista deve perciò ricorrere alla sperimentazione, la quale è diventata l'asse principale della rivolta contro quella che una volta si chiamava l'Accademia. L'arte del Novecento è in gran parte sperimentale. Ma, mentre i risultati di una sperimentazione di laboratorio si possono accettare o scartare pressoché immediatamente o possono essere ripetuti e confermati o invalidati da altri aventi più o meno lo stesso livello di competenza, nel caso dell'arte i soggetti dell'accettazione-rifiuto operano in un sistema di per sé caotico, le cui regole sono piuttosto incerte e discontinue, se non evanescenti e, spesso, manipolate.

Tutto questo scenario, però, non rappresenta ancora una spiegazione esauriente.

Esistono noti critici, come Jean Clair [Critica della modernità. Considerazioni sullo stato delle belle arti, Torino, Umberto Allemandi & C., 1994, pp. 164], che hanno attaccato frontalmente il sistema dell'arte contemporanea. Clair è il direttore del Museo Nazionale Picasso di Parigi , e sostiene che l'arte è ormai condannata "a oscillare senza sosta fra le ombre del passato e le chimere del futuro". Accusa in sostanza i conservatori dei musei di "mettere in scena" cose che di per sé non valgono nulla (come le tele monocrome e le sculture minimaliste). Nei suoi giudizi, però, l'autore incespica in affermazioni quantomeno discutibili, se non stravaganti, come quella per cui "ciò che è un guadagno per la specie è una perdita dell'io". La sua analisi, insomma, è attraversata da una non velata vena romantica e antimoderna, oltre che dal sentimento dell'indignazione, per la verità non sempre ingiustificato.

Nell'apparente caos che è l'arte contemporanea, scrive Anne Cauquelin [L'arte contemporanea (con nota aggiunta di Mario Costa), Napoli, Editore Tempo Lungo, 2000, pp. 122], c'è spazio per tutto e per il suo contrario. In breve, "la libertà che l'arte moderna [contemporanea] intende ottenere rispetto al sistema d'arte accademico è legata al liberismo economico, segno di un regime di produzione e consumo". Per cui, in una società di massa, con una produzione e un consumo di massa, l'etichetta, la riconoscibilità diventano fondamentali. Insomma, insieme al quadro, l'acquirente compra una biografia, quella dell'artista o del suo gruppo. Naturalmente, nel nuovo sistema è entrato anche l'impressionante sviluppo della comunicazione, con le sue leggi e le sue tecniche applicative, per cui diventa necessario rinnovare incessantemente "la massa circolante [delle opere d'arte] e procedere a nuove individuazioni [...], a moltiplicare le nuove entrate. Da qui, la corsa al cambiamento, alla ricerca di nomi nuovi, di nuovi artisti, di nuovi ‘movimenti'; versione contemporanea del vecchio sistema delle avanguardie che caratterizzava l'arte moderna". Se vogliamo, è l'attuale paradigma della rete, con il suo proliferare, la sua ubiquità, la sua ridondanza a dettare le nuove regole del gioco artistico. Perciò, aggiunge l'autrice, assistiamo al divorzio tra la sfera estetica, che continua ad attenersi ai valori essenziali dell'arte, e la sfera artistica, che comprende qualsiasi attività assegnabile al dominio dell'arte. Nel libro della Cauquelin c'è anche uno schema grafico che chiarisce molto bene le differenze intervenute tra il sistema dell'arte antica-moderna e quello dell'arte contemporanea, pur dovendo osservare che l'autrice, non introducendo nella valutazione la questione delle tecnologie (se non sotto il troppo sociologico termine di "società della comunicazione"), lascia il nostro giudizio un po' appeso ad un chiodo instabile.

Dal canto suo, Francesco Poli [Il sistema dell'arte contemporanea. Produzione artistica, mercato musei, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 204], descrive con competenza il fatto che il mercato non è più qualcosa di periferico per lo sviluppo delle forme d'arte. Anche per lui, il punto fondamentale è che esiste ormai un divorzio tra valore estetico e valore economico dell'opera. Poli non mette al centro della sua analisi l'interazione tra le tecnologie e il mercato, bensì il ruolo degli attori che agiscono nel mercato (galleristi, critici, collezionisti, conservatori dei musei, editori e così via), il quale è diventato assolutamente centrale nell'orientare la produzione artistica. Se pensiamo all'antica funzione dei committenti di una volta (il mercante, la Chiesa, la corte del principe), ci potremo rendere conto delle somiglianze e delle differenze intervenute nel campo dei soggetti che condizionano il cosa rappresentare e persino le espressioni artistiche.

Ma, una volta esaminato da vari punti di vista il sistema contemporaneo dell'arte, riuscendo a guardare in prospettiva la sua convulsa vitalità, che cosa rimane della possibilità di comprensione di un'opera? A quali criteri ci possiamo attenere? Come facciamo a distinguere un'espressione artistica valida da quella che non lo è? Certo, l'emozione, la consonanza tra ciò vediamo e ciò che sentiamo, può essere ed è un criterio accettabile. Ma l'intensità dell'emozione - starei per dire, la sua fondatezza – non nasce spontanea. Dietro un "mi piace" o un "non mi piace" c'è, ci deve essere, un'educazione, un addestramento. La tempesta neuronica che si scatena dentro di noi di fronte a qualcosa che richiama in modo perentorio il nostro consenso, non è separabile dall'accumulo di esperienze, dalla capacità di fare dei confronti, dalla conoscenza di ciò che quel quadro può significare rispetto a un prima e a un dopo della storia dell'arte. Anche il capolavoro più grande non è mai un'isola solitaria. In buona sostanza, occorre, almeno approssimativamente, saper collocare anche la crosta più volgare in un contesto. E il contesto non può che essere la storia dell'arte, nel suo farsi interno, oltre che nei suoi rapporti con l'esterno. È necessario avere in testa una specie di catalogo generale, sia pure approssimativo. Da questo punto di vista, la lettura del libro di Mario De Micheli [Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 434] fornisce le coordinate interne all'arte, utili a capire il suo sviluppo, nonché le correlazioni e i cosiddetti "superamenti" che hanno accompagnato un secolo di intensa ricerca artistica, assieme alle filiazioni, alle nuove strade che sono state aperte e a quelle che sono finite nel nulla, non generando un poi. Anche se, su quest'ultima affermazione (che non è di De Micheli) ci sarebbe molto da discutere. Poi, naturalmente, ci sono anche gli aspetti, diciamo così "tecnici". Per citarne solo alcuni: la qualità della pittura, l'organizzazione dello spazio pittorico, le relazioni tra i colori, il ritmo compositivo. Ma sono tutte cose che si possono imparare.

Del resto, addentrasi nell'arte contemporanea serve anche a capire meglio tutta l'arte precedente e finanche quella antica. Lionello Venturi in un testo ancora fondamentale, che il grande critico pubblicò nel 1936, scriveva: "È l'esperienza dell'arte attuale che insegna a vedere l'arte del passato, e non viceversa, che riassume in sé e giustifica l'esperienza dell'arte passata". [Storia della critica d'arte, Torino, Einaudi, 2000, pp. 388] Perché, aggiungeva, lo studio dell'arte contemporanea è lo studio dell'arte nel suo farsi, ossia della creatività in atto, i cui schemi non riguardano un effimero studio del gusto, ossia qualcosa di appartenente ad un'epoca circoscritta. Venturi appartiene a quella non grande schiera di studiosi che ha trattato i problemi dell'arte non confinandosi all'interno di più o meno ristretti cicli cronologici o stilistici. La sua critica ha cercato di cogliere, attraverso tutte le epoche, i motivi e le cause costanti di un'attività – quella artistica - che tuttora sfugge ad una definizione precisa.
Qui si potrebbe aprire un'altra discussione interessante. Forse sarà opportuno riparlarne in seguito. Del resto, non possiamo considerare esaurito con le letture suggerite il percorso del nostro labirinto. Come in tutti i labirinti, spesso è necessario ricominciare da capo.

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