19. Labirinti di lettura
III. In/out: sul lìmine della civiltà

Settimo percorso - Una prospettiva

Attali

Certo che un libro a così vasto raggio di previsioni sul futuro della civiltà umana, il cui fulcro ruota attorno a un ipotetico punto di approdo nel 2050, può lasciare perplessi. Ma la Breve storia del futuro di Jacques Attali [Roma, Fazi editore, 2007, pp. 232] alla fine si lascia apprezzare e fornisce diversi spunti di riflessione sulle tendenze attuali della storia umana. Anzi, il pregio di questo tipo di opere è proprio quello di attirare l'attenzione su fenomeni e fattori su cui nella vita corrente ci soffermiamo raramente a riflettere, ormai abituati a un futuro che ci viene incontro sempre più rapidamente. Da questo punto di vista, la credibilità delle previsioni appare secondaria rispetto all'avviso dichiarato nella Prefazione, per cui "a seconda di come ci comporteremo, i nostri figli e i nostri nipoti abiteranno in un mondo vivibile o passeranno un inferno, odiandoci a morte. Per lasciare loro un pianeta abitabile, dobbiamo prenderci la briga di pensare al futuro, di capire da dove viene e come agire su di esso." Un invito alla riflessione che non si sa come rendere obbligatorio visto che gli apparati finanziari prendono in considerazione solo il breve termine e i rappresentanti politici li seguono a ruota perché il medio-lungo termine è poco visibile dal punto di vista elettorale. E, spesso, le necessarie decisioni connesse risultano impopolari.
Si può essere scettici su questa come sulle tante previsioni sul futuro che circolano ampiamente, ma dall'epoca del fondamentale testo del teorico dei sistemi, Eric Jantsch (che ha prodotto anche contributi importanti sullo studio dei sistemi complessi), La previsione tecnologica [Ocse, poi Roma, Edizioni Bizzarri, 1967], è stata fatta molta strada nell'affinamento delle tecniche di proiezione/previsione degli sviluppi futuri. Come sottolineava Paolo Bisogno nella Prefazione al libro "il lavoro di costruttore di scenari e futuri alternativi è un lavoro per molti versi simile a quello del regista-scrittore: soggetto, scenografia, ambientazione e movimento sono i suoi problemi, solo la plausibilità dell'insieme è per lui un canone rigido, almeno quanto alla sostanza".
Attali, come è noto, non solo ha preparazione e esperienza nella gestione di strutture sovranazionali, ma ha anche presieduto la Commissione Attali istituita dal Presidente francese Sarkozy, che ha prodotto il Rapporto "per liberare la crescita francese". Il Rapporto, non è "né una relazione né uno studio, ma un manuale d'uso per riforme urgenti e radicali", dove il concetto di crescita non si limita a prendere in considerazione il solo PIL, perché essa "presuppone di coniugare diversi fattori: una popolazione attiva numerosa e dinamica, un sapere e un'innovazione tecnologica continuamente rinnovati, una concorrenza efficace, un sistema finanziario capace di attirare i capitali, l'apertura verso l'estero. Essa passa altresì per un democrazia florida, una stabilità di regole, una giustizia sociale. Essa esige la tolleranza, il gusto del rischio, il successo e il rispetto per le sconfitte, la lungimiranza verso la nazione e le generazioni future, la fiducia in se stessi e negli altri". Le proposte concrete iniziano da una grande riqualificazione e potenziamento della formazione. Non sappiamo cosa ne farà la presidenza francese di questi suggerimenti, magari è anch'essa troppo occupata a ristabilire la dipendenza della giustizia dal governo, ma è certo che, applicate in Italia, le misure suggerite dalla Commissione Attali rappresenterebbero una rivoluzione, tanto più che le riforme "debbono riguardare tutti, tutte le categorie sociali e professionali".
Tornando al libro di cui stiamo parlando, l'autore procede, per così dire, in verticale sviluppando in modo lineare alcuni scenari alternativi e assumendo di volta in volta variabili diverse come assi portanti della storia futura. Il procedimento solleverebbe parecchie obiezioni (per esempio, perché certe variabili e non altre?), sennonché l'autore non è così ingenuo da avere una visione schematica delle dinamiche storiche. Perciò, alla fine, le diverse ondate di futuro descritte in realtà si sovrappongono, talune elidendosi a vicenda mentre altre risulterebbero alla fine poco più che increspature, ma ce n'è una che sarebbe micidiale per l'umanità .
Sotto la metafora marina, che lo storico può in modo distaccato assumere per quanto riguarda il passato, il futuro più o meno immediato non riesce invece a nascondere le sofferenze, le tragedie che ognuno di quegli scenari delineati comporta. Un conto è il dolore del passato, un conto quello del futuro: quest'ultimo sarà quello dei nostri figli e nipoti, sarà ciò che avremo inflitto loro. C'è un'accesa discussione etica, come abbiamo accennato parlando del filosofo John Broome nel precedente percorso, sull'includere o meno i discendenti nell'orizzonte delle scelte politico-economiche. E qui scuole economiche di opposta ispirazione trovano tuttavia un terreno comune nell'escludere il futuro non immediato dal novero delle cose di cui bisogna preoccuparsi. È stato John M. Keynes, che non era certo un neoliberista, a pronunciare il noto aforisma che "nel lungo termine saremo tutti morti": è vero che si riferiva agli affari correnti, ma sono appunto questi quelli che producono gli effetti più consistenti e vischiosi su ciò che verrà.
Comunque, questo tipo di discussione, vitale per noi come per il futuro dell'umanità, appare bloccato e circoscritto a circuiti troppo ristretti di opinione. E forse non riesce a diventare terreno aperto di confronto proprio perché troppa gente limita le proprie preoccupazioni al breve periodo. Intanto chi vi è costretto dalla povertà e dalla scarsità di speranze nel futuro, ossia una parte grande dell'umanità; ma soprattutto riguarda chi sul breve periodo prospera, applicando rigorosamente l'idea che ognuno deve pensare a se stesso e circa il resto del mondo... beh, si vedrà poi. Riprenderemo in seguito il rapporto che questa situazione crea con la crisi di sistema in corso (quella del turbocapitalismo), ora torniamo ad Attali.
La filosofia della storia che l'autore pensa di aver individuato è quella "dell'emergere della persona come soggetto di diritto, autorizzato a pensare e gestire il proprio destino, libero da ogni obbligo che non sia il rispetto del diritto dell'altro alla medesima libertà". In altre parole, il carattere evolutivo della storia si identificherebbe con le tendenze emerse, tra molti contrasti e contraddizioni, negli ultimi secoli. Come statuto provvisorio potrebbe anche andare bene, con l'avviso che qualsiasi secolo e epoca futuri sarebbero con ciò autorizzati a vedere in se stessi il culmine della storia: il che, francamente, sembra piuttosto una tautologia. A questa interpretazione, Attali aggiunge l'individuazione di tre forme di potere permanenti, la cui coesistenza, i cui conflitti e la cui altalenante predominanza formano l'armatura e la condizione dei processi storici: il potere religioso, quello militare e quello mercantile. Si tratta della curiosa riesumazione della teoria medievale dei tre ordini, che l'autore – sospettiamo – utilizza come metafora per evitare una complessa analisi della storia delle strutture economico-sociali e culturali dell'umanità. Con il rischio, come sempre accade nelle sintesi storiche che coprono i millenni, di formulare interpretazioni che costringono a ficcare gli avvenimenti a martellate dentro un troppo rigido e semplificato schema. A suo modo, Attali è un materialista storico, che non si rifà però alle più articolate fonti marxiste di questo filone di pensiero. Francamente, la ricostruzione di Giorgio Ruffolo, di cui abbiamo parlato nel precedente secondo percorso appare meglio motivata.
Dalla rapida rassegna delle linee essenziali della storia degli ultimi due-tre millenni e dal succedersi di nove forme di civiltà dell'Ordine mercantile (tutte emblematicamente rappresentate da una città/cuore del sistema), l'autore trae degli ammaestramenti permanenti, uno dei quali è che "l'apertura alle élite straniere è una delle condizioni del successo [di una società]". Però, sul limitare della contemporaneità, sottovaluta il ruolo svolto dal colonialismo nel permettere il decollo economico e militare europeo, mentre coglie bene le radici dell'esplosione della potenza americana, allorché, tra il 1880 e il 1914, un quinto della popolazione europea e un terzo dei risparmi mondiali emigrarono negli Stati Uniti. Ora, la nona forma, quella che Attali individua attorno alla città-cuore di Los Angeles e che si identifica, dopo quella di Boston e di New York, con la potenza americana, potrebbe declinare e una decima forma dovrebbe comparire attraverso nuovi sconvolgimenti geopolitici, economici, tecnologici e culturali, con un nuovo "cuore" e dei nuovi "vinti".
Una serie di domande su alcuni dei punti critici della geopolitica introducono al problema del passaggio a quella ipotetica decima forma mercantile, con l'avvertenza che l'autore non vede credibili crisi di egemonia dell'attuale nona forma almeno fino al 2025, mentre almeno altre undici potenze economiche cominceranno a contendere seriamente l'egemonia americana (Giappone, Cina, India, Russia, Indonesia, Corea, Australia, Canada, Sudafrica, Brasile, Messico). Sarà l'Asia a diventare dominante, come del resto prevedono altri numerosi analisti: i due terzi degli scambi commerciali mondiali avverranno attraverso il Pacifico. L'autore completa gli scenari passando in rassegna le proiezioni di sviluppo di una serie di paesi, assumendo un andamento lineare che, certo, non sconta le crisi incombenti come quella attuale. Perciò prevede una crescita mondiale persistente della ricchezza, "la più elevata e la più lunga dell'umanità", che si accompagnerà a un'accentuata globalizzazione e a un'accelerazione costante nella "mercificazione del tempo". Ma nonostante ciò non saranno sostanzialmente mutate le condizioni di vita delle popolazioni più povere, mentre gli stili di vita saranno cambiati radicalmente. In modo un po' sorprendente, l'autore pensa che la necessità di difendere questi stili di vita e di proteggersi dai rischi sempre più ampi del mercato determinerà un enorme sviluppo delle compagnie di assicurazione, le quali assumeranno anzi un ruolo predominante nel panorama economico, diventando le prime industrie del pianeta, fino al punto di dettare le regole dei rapporti interstatali e di condizionare le politiche economiche. Un'altra delle caratteristiche di questa evoluzione, saranno l'accelerazione e il completamento di una tendenza già in atto, quella della interconnessione virtuale ma anche fisica, attraverso lo sviluppo della mobilità. Naturalmente, le emigrazioni verso le zone più ricche o di più rada popolazione si intensificheranno.
Le aree urbane conosceranno una crescita esponenziale, ma la impossibile triplicazione o quadruplicazione delle infrastrutture necessarie per una gestione accettabile degli enormi agglomerati umani creeranno ulteriori e più vaste aree di degrado, permettendo alle varie mafie di controllare aree territoriali ben più vaste delle attuali, sottraendole ad ogni controllo delle autorità.
Ma se fino ad oggi il cosiddetto Ordine mercantile teorizzato dall'autore è sempre riuscito "a far spuntare in tempo il necessario per rimpiazzare le materie prime diventate scarse, anche a costo di operazioni militari e del trasferimento del cuore", verso il 2035 il cappio delle materie prime disponibili si stringerebbe attorno al modello di sviluppo e al pianeta. Effetti dell'inquinamento (i ghiacci dei poli, tra accelerazioni e rallentamenti, si scioglieranno, investendo quel terzo della popolazione mondiale che abita su un litorale) e elevati costi di estrazione delle materie prime essenziali, dovuti alla rarefazione di talune di esse, sono già previsti, stando alle proiezioni grosso modo condivise dalla maggior parte degli analisti. Attali non trascura di esaminare la funzione della tecnologia e la sua capacità di intensificare le capacità di sviluppo e di spostare in avanti i limiti prevedibili, ma sospetta che la sempre più accentuata stretta degli organismi privati sui risultati della ricerca scientifica, per tutelarne lo sfruttamento esclusivo, potrebbe rallentarne la corsa, sottraendo alla collettività strumenti fondamentali di intervento.
Comunque, fino al 2025 il rapporto tra l'Europa e gli Stati Uniti non dovrebbe cambiare, cosicché il Vecchio continente continuerà "a sottoscrivere i suoi debiti e a condividere i costi della sua difesa"; insomma, finché il dollaro rimarrà la moneta mondiale di riserva prevalente. Ma in America il declino del ceto medio, già iniziato, come abbiamo visto nei precedenti percorsi, si accentuerà, assieme a altri fenomeni socio-culturali già in atto, rimettendo in questione la "legittimità del sogno americano". Cosicché "la democrazia di mercato non sarà più sinonimo esclusivo di successo economico o di efficacia ecologica". Le esigenze strutturali degli altri paesi non permetteranno più di finanziare il deficit americano attraverso l'acquisto dei dollari (in moneta o in buoni del Tesoro) ed esploderà una nuova e ancora più devastante crisi finanziaria che, questa volta, segnerà l'eclisse definitiva della nona forma mercantile predominante.
Ma, si chiede Attali, sarà possibile e come una decima forma mercantile? Ebbene, l'autore ritiene che essa potrà avere ancora una volta come epicentro gli Stati Uniti, forte del suo costante predominio militare e che il nuovo cuore capitalista si potrebbe collocare da qualche parte a sud del Paese. Ma anche altre aree del mondo potranno aspirare alla successione; anzi, la decima forma assunta dal capitalismo potrebbe avere più centri contemporaneamente, sicché "il capitalismo sarà più vitale, più dinamico, più promettente, più dominatore. Quelli che ne avranno annunciato i funerali ne faranno, ancora una volta, le spese".
È a questo punto che l'autore inizia a delineare i diversi scenari possibili, definiti ondate del futuro. La prima sarebbe quella dell'iperimpero, un mondo policentrico in cui le leggi del mercato avranno avuto la meglio sulla democrazia e le imprese saranno diventate nomadi. Si assisterebbe a un'ulteriore frammentazione degli Stati su scala planetaria (in Africa, in Asia e, in Europa, Italia, Belgio, Spagna, Gran Bretagna). L'insicurezza crescente e l'esplosione delle nanotecnologie "modificheranno in modo radicale il modo in cui gli oggetti vengono attualmente prodotti", nonché lo stile di vita dei paesi più avanzati. Uno scenario futuribile, in cui servizi segreti e polizie privati, agenti su mandato delle assicurazioni, determineranno una condizione che Attali definisce dell'ipersorveglianza. Per essere redditizie, le compagnie di assicurazioni riusciranno ad imporre l'idea che ognuno – privati e imprese – accetti "la propria conformità alle norme". Tutto e tutti saranno localizzabili; la discrezione avrà cessato di avere un significato, fino al punto che si affermeranno tecnologie di autosorveglianza (medica, economica, culturale). "Ciascuno sarà diventato il proprio carceriere", perché sarà, oltre tutto, dotato di strumenti e processi che permetteranno la riparazione automatica degli "errori". I governi perderanno di senso ma si affermeranno quelli basati sulle identità razziali, populisti e dittatoriali; praticamente tutte le attività sarebbero privatizzate, ivi compresi gli eserciti, che diventerebbero totalmente mercenari. Il mercato, del tutto scollegato dalle nazioni, porterà a una mercificazione totale del tempo, tanto che le due industrie dominanti saranno le assicurazioni e quella del divertimento. Chi comanderà in questo ipotetico iperimpero? Gli ipernomadi, ossia "le vedettes dei "circhi" delle "compagnie teatrali": detentori del capitale e delle "imprese-circo" e dell'attivo nomade, strateghi finanziari o di impresa, a capo delle compagnie di assicurazione e del tempo libero, architetti di software, creativi, giuristi, operatori di finanza, autori, designer, artisti, forgiatori di oggetti nomadi", ma anche gli esponenti delle econonomie-pirata, i quali vivranno in tutti i molteplici "cuori" in cui il mondo si sarà organizzato, ma anche nelle aree marginali. Insomma, lo scenario ipotizzato dall'autore somiglia molto a uno dei tanti incubi dei romanzi cyberpunk, nei quali droghe nuove sono onnipresenti, essendo diventate "prodotti di consumo di massa di un mondo senza leggi né polizia, le cui principali vittime saranno gli infranomadi". I quali saranno rappresentati dai poveri e dagli emarginati, ormai arrivati a più della metà della popolazione mondiale. D'altra parte gli Stati, anzi i simulacri di ciò che una volta erano gli Stati, non saranno più in grado di perseguire l'eguaglianza tra i cittadini, giuridicamente e economicamente, né di assicurare l'imparzialità delle elezioni: insomma, prenderà corpo "un mercato senza Stato". Ma una tale forma politico-economica non potrà reggere perché produrrebbe immediatamente cartelli e monopoli che eliminerebbero la concorrenza, sottoutilizzando e sprecando le risorse, favorendo la disoccupazione e l'espansione delle economie criminali, già in forte crescita, come abbiamo visto in un precedente percorso a proposito dell'economia canaglia. I precedenti storici, limitati ai singoli paesi, non mancano. Poiché al mercato servono comunque delle autorità regolatrici, si formerebbero allora delle gilde planetarie (bancarie e finanziarie, di settore e professionali) dotate di strumenti coercitivi, a loro volta controllate dalle grandi compagnie di assicurazione. Ma questo iperimpero, che fagocita se stesso, non potrà reggere a lungo, per cui "dopo la violenza del denaro, arriverà – è già arrivata – quella delle armi".
La seconda ondata del futuro sarebbe perciò quella dell'iperconflitto. L'evoluzione della geopolitica, già in atto, e l'eclisse del sogno conservatore e integralista americano di riuscire a controllare da soli il mondo, porterà all'emersione delle ambizioni regionali in tutti i continenti. L'epicentro dei sommovimenti sarà in Asia (Cina, Corea, Giappone, Indonesia, India/Pakistan, Iran), ma anche in Africa si scateneranno conflitti per il predominio regionale, così come nell'America del sud e centrale. Le alleanze militari tradizionali si sfalderanno dando luogo a collisioni che dal terreno diplomatico e economico potranno facilmente sfociare in quello della guerra aperta. Ma non si tratterà solo dell'evoluzione politica e militare degli Stati, la decadenza della nona forma mercantile darà forza all'economia criminale e alle attività di pirateria, che in alcuni casi potranno dominare interi Stati, e alle quali si cercherà di opporsi attraverso eserciti mercenari. Eserciti pirata contro eserciti mercenari. Attali vede nell'attuale arruolamento di stranieri nell'esercito americano come mezzo per ottenere la cittadinanza, un parallelo con le misure adottate dall'imperatore Adriano nel 138 di concedere la cittadinanza romana ai soldati provenienti dalle province extraitaliane. Immaginiamo che abbia anche presente il fenomeno delle milizie private largamente impiegate dai comandi americani nella guerra irachena. Gli eserciti mercenari potranno essere assoldati da ciò che resta degli Stati e delle Organizzazioni sovranazionali, ma rimarrebbero di proprietà di grandi imprese multinazionali private.
Già oggi il fenomeno è in grande espansione, con la crescita delle cosiddette Pmf (private military firms), come è stato documentato da Peter W. Singer, nel suo libro Corporate Warriors: Rise of the Privatized Military Firms [New York, Cornell University, 2003], che è stata definita "probabilmente la ricerca più completa sull'argomento" e di cui è possibile leggere una specie di sintesi in un articolo dell'autore scritto nel 2004. Dall'epoca, la situazione si è ulteriormente evoluta, anche con l'uso sempre più esteso dei bambini, come lo stesso Singer ha descritto in un libro tradotto in italiano, I signori delle mosche. L'uso militare dei bambini nei conflitti contemporanei [Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 257]. Del resto, la letteratura su questi argomenti è ormai piuttosto vasta (tra gli altri, i libri di Robert Young Pelton, Gerry Schumacher e Deborah D. Avant).
Ma, scrive Attali, un situazione come quella descritta non sarebbe a lungo sostenibile, per cui "monterà ovunque la collera dei popoli contro l'Ordine mercantile, dapprima contro gli Stati Uniti, che lo dirigeranno ancora per almeno vent'anni". L'autore la definisce una collera laica perché "fondata razionalmente": il sistema sarà accusato di essere la causa di disordini, miserie, oppressione e dissipazioni. Le città "diventeranno i principali luoghi di rivolta"; ma il rivoltosi non saranno portatori di alcun progetto sociale e politico alternativo. Il fallimento dell'esperimento sovietico peserà ancora, secondo l'autore, come una indisponibilità all'utopia. Sicché quel che verrebbe avanti sarebbe un ribellismo nutrito delle ispirazioni più diverse. Prima tra tutte la religione, che sarebbe ancora di più utilizzata come strumento ideologico di mobilitazione, con i due grandi monoteismi, il cristianesimo e l'islamismo, "al centro di questa battaglia". Il cristianesimo nella sua componente cattolica, definita dall'autore il "primo impero nomade", si ispirerà a critiche contrastanti del sistema, tornando al pauperismo, da un lato, e. dall'altro, battendosi contro il liberalismo, ma anche coltivando l'amore per la giustizia e la non-violenza. Il ruolo del Vaticano sarà centrale nel sistema delle alleanze e dei conflitti interreligiosi. Più pericolose saranno alcune delle chiese protestanti, in particolare quelle di ispirazione evangelica, che hanno già prodotto danni profondi con l'appoggio e il condizionamento degli ultimi governi conservatori degli USA. Anzi, attorno al 2040, secondo Attali potrebbero far cadere il Paese nella "tentazione teocratica", in cui "la democrazia non sarebbe più che mera apparenza". Nell'Islam il rischio di un divorzio totale con l'Occidente si farà concreto, anche grazie a una crescita demografica impetuosa che lo porterà nel 2020 a 1,8 miliardi di persone, superando probabilmente i cristiani. Le guerre intestine e quelle contro l'Occidente decadente e immorale saranno più facilmente scatenate. Infine, il ruolo delle sette, esoteriche o meno, sarebbe destinato a crescere.
Sarà la diffusione dell'energia nucleare, ma anche delle armi chimiche, biologiche e batteriologiche a fornire gli strumenti da utilizzare nei conflitti, armi che potranno entrare in possesso anche delle organizzazioni criminali più potenti e di quelle mercenarie. Le spese per gli armamenti cresceranno ancora, soprattutto per dotarsi delle infrastrutture digitali necessarie a rendere pressoché nulli i tempi di intervallo tra individuazione di un obbiettivo e intervento operativo. La spesa, diventata insostenibile per i singoli paesi, favorirà raggruppamenti militari di stati e di corporations private, mentre si faranno asfissianti i controlli interni per tenere sotto sorveglianza minoranze e intere fasce della popolazione. L'Alleanza atlantica, secondo questo scenario, cambierebbe missione e natura (cosa che è già iniziata) e si allargherebbe ad altri paesi, ma non riuscirebbe a tenere sotto controllo, nonostante le ipertecnologie usate, un mondo diventato ingovernabile, sicché non avrebbe altra scelta che chiudersi in se stessa, come un fortilizio e come accadde all'impero romano, adottando il protezionismo, tentando di ridurre la dipendenza dal resto del mondo, insomma imboccando la strada di una globalizzazione ristretta. "Ma non per questo – scrive Attali – il successo sarà assicurato: non è possibile mettere sotto una campana di vetro né i mercati, né le democrazie, né i pirati". A questo punto alcuni dei raggruppamenti statali, tra cui gli europei, cercherebbero di cambiare strategia adottando il negoziato e gli aiuti come assi portanti della politica estera, non seguiti, in questa strategia, dagli Stati Uniti. Attali, nel mettere in guardia contro i cedimenti ai ricatti e alle minacce, consiglia di conservare la capacità di intimidire e minacciare i paesi aggressivi e dittatoriali.
Si prevedono almeno quattro tipi di guerre locali, prima di un possibile conflitto mondiale: guerre di penuria un po' dovunque (acqua, petrolio e materie prime scarse); guerre di frontiera, soprattutto localizzate dal Medio oriente all'Africa, accompagnate da ripetute guerre civili; guerre di influenza per il controllo di regioni e continenti, che non escluderebbero nessuno dei continenti; guerre tra pirati ("religiosi, nichilisti o semplicemente criminali") e sedentari, che nel conflitto prenderanno tra due fuochi le popolazioni civili, oltre a fornire l'innesco per guerre tra Stati (come potrebbe accadere tra India e Pakistan, due potenze atomiche, dopo gli ultimi attentati). Si potrebbero aggiungere alla lista le guerre ecologiche dovute all'innalzamento delle temperature che, se non adeguatamente fronteggiato, secondo il IV rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), porterà a migrazioni e guerre in tutto il mondo.
Guerre calde e fredde, conflitti tra diverse configurazioni economiche, statali e criminali potrebbero unificarsi in un'unica grande guerra, in un iperconflitto, insomma nella III Guerra mondiale: allora tutte le armi verrebbero usate e "l'umanità, che dagli anni Sessanta dispone di mezzi nucleari tali da suicidarsi, li utilizzerà. Non ci sarà più nessuno per scrivere la Storia. Ma Attali esprime fiducia nelle democrazie (o in ciò che ne sarà rimasto), sperando o augurandosi che esse riusciranno alla fine a sconfiggere i pirati e a tenere sotto controllo le proprie pulsioni di morte; dopo di che, "rinascerà... una formidabile voglia di vivere, di gioiosi incroci e di gratificanti trasgressioni". La democrazia diventerebbe planetaria e i poteri del mercato verrebbero limitati. La terza ondata del futuro potrebbe essere quella della iperdemocrazia.
Attali riprende le previsioni contenute nel Capitale di Karl Marx, che "hanno percorso gran parte del cammino previsto dall'autore", e "mentre il socialismo si è smarrito in ben numerosi vicoli ciechi, previsti e denunciati da Marx, la sopravvivenza duratura di un'umanità libera, felice, diversa, equanime, ansiosa di dignità e rispetto, sembra impossibile. Sembra anche vano riflettervi su". In ogni caso, questa terza ondata dovrà riversarsi prima che le altre due abbiano compiuto il loro cammino, altrimenti l'umanità non sarà salva. Qui siamo nella sfera dei pronostici, dichiara l'autore, più che in quella della elaborazione di scenari. Le sue speranze si appuntano in quella che lui definisce la transumanità, incoraggiata nella sua affermazione dalla pedagogia delle catastrofi (economiche e ecologiche) che nel frattempo avranno colpito il globo. Come già Giorgio Ruffolo nel libro di cui abbiamo in precedenza parlato, Attali punta allo sviluppo di un'economia di relazione e su quei tanti attori che ne sono già gli animatori e per i quali "il profitto non è nient'altro che un obbligo, e non una finalità". Si tratta dell'economia del dono, in buona sostanza innescata dalle ONG, dalle associazioni senza fine di lucro e dai sindacati, che già rappresenterebbe circa il 10% del PIL mondiale, oggi quasi marginale, ma che in seguito trionferebbe. Anche nel caso di Attali il passaggio a questa nuova forma di economia non è chiaro. Forse sarà bene approfondire in seguito la questione.
Comunque l'affermazione della iperdemocrazia non sarebbe ovviamente né semplice né lineare: da un lato le nuove istituzioni mondiali per governare il pianeta sarebbero formate da "un accatastamento di organismi locali nazionali. Nel loro seno, ogni essere umano varrà e influirà quanto gli altri". Se c'è da sperare che un governo mondiale, sotto qualsiasi forma realistica, finalmente si formi, c'è però da dubitare sulla effettiva realizzazione di quanto auspicato nell'ultima frase, almeno in tempi così brevi. Il problema del potere e delle relazioni che lo accompagnano sembra sfuggire alle considerazioni dell'autore. Dall'altro lato, ci sarebbero tentativi di carattere dittatoriale di formare l'uomo nuovo, magari proprio per preparare la iperdemocrazia, alla quale l'umanità non sarebbe ancora preparata, passando attraverso un periodo più o meno lungo di pedagogia amministrata dall'alto: uno scenario già sperimentato nel Novecento e che potrebbe ripetersi, specialmente in presenza di disastri su scala planetaria, ivi compresi quelli ecologici.
Le conclusioni di Attali si appellano alla speranza e al desiderio di credere che la singolare storia dell'homo sapiens finirebbe con il pieno sviluppo dell'intelligenza collettiva; "non con l'annientamento, come nelle prime due ondate del futuro", ma proprio con il superamento di quella storia singolare. Le sue visioni non sono però confortanti: da un lato c'è la quasi certezza che tutta o parte delle terribili ondate di futuro descritte si abbatterà sull'umanità, dall'altro c'è la fiducia nell'umanità di riuscire a cavarsela, ma a proposito dell'iperconflitto nucleare scrive che "la tragedia dell'uomo è che, quando può fare qualcosa, finisce sempre per farla". C'è una specie di test per capire quanto l'autore sia attendibile per le sue capacità previsionali ed è la crisi mondiale in atto. Nel commentare sul Corriere della sera del 5 aprile 2008 le prime e occultate (dai neoliberisti) avvisaglie del disastro, Attali, dopo aver descritto con una buona approssimazione alla realtà l'andamento della crisi nei mesi successivi, concludeva: "In novembre, dopo le elezioni presidenziali americane, il nuovo Presidente annuncia un programma per uscire dalla crisi, programma che egli chiama New Deal planetario: propone ai Paesi più potenti del mondo — Cina, Russia e i Paesi petroliferi — di finanziare importanti infrastrutture nelle regioni del Sud, affidandone la realizzazione a imprese americane. Su queste basi, in meno di due anni la crescita mondiale riparte. Il sistema finanziario mondiale diventa cinese. L'industria torna ad essere americana. L'Europa, invece, viene dimenticata." Per ora, sembra che il preannunciato New Deal proposto al mondo non esista e che gli Stati Uniti, anche con la nuova presidenza, non stiano pensando a un nuovo ordine mondiale né a un programma su scala planetaria. Di che cosa ci sarebbe invece bisogno cercheremo di capirlo con il prossimo autore.

continua con l'ottavo percorso

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