Il teatro di Mario Luzi
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Mario Luzi è stato uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, le sue raccolte poetiche dal primo libriccino La Barca del 1935 all'ultimo Dottrina dell'estremo principiante del 2004 (Lasciami non trattenermi è una raccolta postuma curata da Stefano Verdino ed edita nel 2008) hanno attraversato e definito il secolo che lui chiama della 'controversia'; settanta anni di lavoro poetico non si rintracciano facilmente in altri nomi che siano italiani o europei.
Oltre alle opere liriche, Luzi, scrive anche testi per il teatro a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. La prima opera che tenta una drammatizzazione della parola è Pietra oscura del 1946, l'ultimo testo composto per la scena è Il fiore del dolore pubblicato nel 2003, due anni prima della morte avvenuta nel 2005.
Contemporaneamente lavora sia alla poesia che ai drammi, una classifica di preferenza tra queste modalità di espressione appartiene più al cronista e allo storico che al poeta, per lui non vi è alcuna differenza; in diverse occasioni, convegni e libri di interviste, non ha lesinato di sottolineare questa verità. Dopo una prima giovanile stagione poetica, iniziata nel 1935, Luzi sente di esprimersi nella forma drammaturgia che porta le voci di una disputa intorno alla morte (suicido?) di un sacerdote che non intende curarsi, siamo nel 1946 e l'opera è Pietra oscura. È un testo essenzialmente prosastico dove solo in poche parti emerge la versificazione, Stefano Verdino (a lui si deve la cura dell'edizione del 2004 del testo e il merito di aver ritrovato il dattiloscritto) ha giustamente parlato di cartone preparatorio per i testi teatrali, che rappresenteranno la maturità del poeta.
Per trovare però la compiutezza di un'esperienza teatrale legata allo scritto dobbiamo attendere gli anni sessanta, in quel momento il poeta attendeva alla traduzione di Racine e Shakespeare, da qui si ripresenta la naturalezza dell'esprimersi con una versificazione legata alla recitazione. Ipazia, il primo compiuto testo teatrale luziano, nasce proprio da questa immersione nella drammaturgia di questi autori, lo spunto venne dal maestro Verretti che nel 1969 chiese a Luzi un testo per musica.
Dopo l'approccio del '46 con Pietra oscura non è improprio considerare Ipazia il primo testo composto per la drammatizzazione della parola, questo atto naturale che la poesia possiede e che la scena rende ancora un evento. Un intreccio di fanatismo e fede, un gioco di potere che si palesa nell'Alessandria del V secolo d.C., è lo sfondo ideale del 'martirio laico' di quella donna filosofo. È proprio il 'gioco del potere' e la sua rappresentazione ad essere uno dei temi che attraversa quasi l'intero corpus teatrale luziano (quattordici testi per il teatro se contiamo Amleto voce sola scritto a quattro mani con l'attore regista Ugo De Vita). La disputa dei religiosi che debbono attestare quella morte sospetta del religioso in Pietra oscura, si ritrova pienamente sviluppata nel testo Corale della città di Palermo per Santa Rosalia (1989); qui bisogna decidere se le ossa ritrovate in una cava siano o meno le ossa della Santa e poter divenire, al fine, oggetto di venerazione per il popolo.
Luzi in diverse occasioni (vedi i vari testi di colloqui e interviste con Specchio o Fasoli) ha dato una definizione del potere, il governo degli uomini che sia attuato attraverso la democrazia o attraverso la dittatura, è un soggetto che possiede in se aspetti tipicamente drammaturgici, con il suo essere un gioco delle parti, recita e finzione, è quasi naturale quindi che queste parabole di vita 'spettacolarizzanti' approdino al testo teatrale.
Questo gioco dei poetenti diviene 'materia poetante' dei diversi drammi che negli anni vengono ad imporsi alla penna del poeta, completando e arricchendo il lavoro più tipicamente lirico che segue itinerari non dissimili.
È in testi come Hystrio (1987) che il gioco tra recita e potere si fa paradigmatico, le macchinazione del 'palazzo' tentano di rovesciare il potere dell'anziano Berek, per arrivare a questo si tenta di usare l'attore Hystrio; il tutto è giocato proprio sulla teatralità che il potere mette costantemente in scena per auto determinarsi. Anche in Rosales (1983) si palesa la stessa dinamica, la medesima problematica che ruota intorno a questo gioco dei potenti, imperniato sul mito di Don Giovanni emerge la domanda sulla legittimità di un omicidio commesso per il mantenimento del potere, la differenza tra un martirio, un sacrificio e un omicidio (la domanda in realtà può essere ampliata e rivolta alla differenza tra il bene e il male, in che modalità distinguiamo queste categorie). Non è assulatemente arbitriaro leggere questi testi, Ipazia, Rosales, Hystrio, come una trilogia sul potere e la sua drammatizzazione, per alcuni versi anche Ceneri e Ardori (1997) testo sugli ultimi giorni di Benjamin Constant, può essere ricondotto a tale tematica.
Luzi non ha mai nascosto la sua grande passione per l'arte pittorica, evidenziata negli amici pittori (Carrà, Rosai, Venturini, Francesconi, Macchi) in saggi critici e in raccolte liriche (vedi la bellissima Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini).
Cresiuto sulle vestigia e i fasti dell'Umanesimo fiorentino, tra Siena e Firenze, non ha mai lesinato interesse per quei grandissimi artisti della pittura (Raffaello, Pontormo, Simone Martini, Giotto, Beato Angelico) quell'arte che tenta un superamento dell'umano avvicinandosi a un'ideale, lontano quindi dal crudo realismo caravaggesco. Tracce di Umanesimo fiorentino, di quella unica stagione del pensiero umano che nel '400 trova il suo apice, tracimano in diversi testi del poeta. Un saggio su Raffaello segna il suo esordio come 'critico', una continua attenzione alle opere degli Uffizi emerge in diverse interviste.
In Felicità turbate (1995) è protagonista proprio il Pontormo, quel pittore schivo e umbratile che ha lasciato incompiuti gli affreschi di San Lorenzo a Firenze; ambientato nel 1512 si sente l'aria di crepuscolo nella Firenze orfana di Leonardo, Pico, Michelangelo, Botticelli e Alberti, il presente non riesce a nascondere la nostalgia di una grandezza trascorsa. In Opus florentinum (1999) protagonista è Santa Maria del Fiore, la cupola a otto vele eretta dall'ingegno di Filippo Brunelleschi e simbolo di Firenze; una 'parlata' di operai intenti alla costruzione ci restituisce il secolo di Toscanelli, Ficino, Poliziano e Lorenzo. La Chiesa di Santa Maria si fa emblema della cristianità, si assume la responsabilità di coloro che hanno abusato del suo nome e si prepara a un nuovo inizio (quel ritorno alle origini che caratterizza Umanesimo e Rinascimento) in prossimità dell'anno giubilare. Anche la raccolta poetica Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini doveva essere, nelle prime intenzione del poeta, un testo drammatico, in seguito ha assunto la definitiva forma lirica che conosciamo. Questo viaggio di ritorno del pittore, da Avignone a Siena terra natale, è un ritorno alle origini, una nostalgia del vissuto con il desiderio del nuovo. Nostalgia e desiderio, oltre a dare il titolo a un bellissimo saggio in Discorso naturale, sono i sentimenti che compaiono nel cantica del Purgatorio dantesco e che Luzi riprende in Il Purgatorio La notte lava la mente, riduzione teatrale della stessa cantica (1990). Nel 1999 per la pasqua l'allora pontefice Giovanni Paolo II commissiona a Luzi un testo poematico sulla passione di Cristo ( e basterebbe questa committenza per consegnare al poeta un ruolo tra i grandissimi), nasce così La passione, Via crucis al Colosseo, un testo che affianca le liriche luziane a passi tratti dai vangeli, quasi come le chiose dei commentatori medievali, e che scandiscono proprio le ultime ore di Cristo. Emerge la figura monologante e umanamente e dubitante di Gesù. Luzi non è un uomo di teatro come Dario Fo, ma un poeta, è naturale quindi che il suo lavoro drammaturgico sia un teatro della parola, un tentativo riuscito di portare la poesia in scena, come per D'Annunzio e Lorca, i nomi che Paola Borboni, una delle maggiori interpreti insieme a Giorgio Albertazzi del teatro luziano, avvicinava al poeta fiorentino. Un evento manifestatosi in un dato contesto storico, non cessa la sua portata nell'attimo in cui accade, ma continua a manifestarsi; "niente è come se non fosse mai stato", "la contemporaneità di tutti i tempi", sono versi che ci consegnano questa attualità degli eventi. Ecco che in questo modo il suo poetare è un 'poetizzare' il mondo e la storia, in presenza del poeta la poesia erompe. L'ultimo testo scritto per il teatro è Il fiore del dolore pubblicato nel 2003 ma di cui si vociferava già nel 2001, è il bellissimo racconto della morte di don Puglisi, assassinato nel quartiere Brancaccio di Palermo perché inviso con la sua opera a cosanostra. È probabilmente il testo più 'civile' ed etico, in quanto denuncia del male e del suo mutamento antropologico, ma sopratutto si interroga sul bene e sul male; "nostro mestiere è l'interpretazione" è un verso che come una sorta di refrain ricorre più volte, attesta proprio questo bisogno di comprendere il perché del male, echeggia l'unde malum di Sant'Agostino. Ancora una volta la giovanile 'tentazione' filosofica di Luzi emerge nella sua poesia che è spesso interrogazione (evidente anche dal ricorrente punto di domanda). Il percorso che si apriva negli anni quaranta con Pietra oscura e la morte (suicido) di un sacerdote, si chiude perfettamente con Il fiore del dolore con l'omicidio di un altro sacerdote, foce e sorgente, stilemi della poesia luziana, han finito per convergere e al centro rimangono più di cinquanta anni di drammaturgia.
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Scheda editoriale del libro Mario Luzi, la poesia a teatro (PDF 305kb)