4. Meccanica della fantasia:
Macchine epiche

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In tema di macchine di fantasia il mondo antico non delude, se solo sia avrà la pazienza di seguire il racconto di Ulisse nell'ottavo canto dell'Odissea, la narrazione di Virgilio nel secondo canto dell'Eneide e ancora, spingendoci più addentro nel mondo lussureggiante della mitografia, quel che Apollodoro elenca nell'Epitome della Biblioteca, inesauribile enciclopedia di miti, e quel che Igino, redattore di una vasta collezione di racconti mitologici, narra nella Fabula numero 108.
È la vicenda di quella struttura elementare che va sotto il nome di cavallo di Troia.
Poderoso e isolato, esso si erge davanti alle mura dell'antica città assediata dall'esercito greco di Agamennone. Da molto tempo ormai i Greci hanno tentato inutilmente di espugnare Troia: non resta che uno stratagemma. Agamennone fa bruciare le tende e si ritira coi suoi sulle navi, al largo del mare, lasciandosi alle spalle solo il cavallo. E il trucco funziona.
Non è una macchina, non ci sono motori, soltanto un meccanismo di chiusura del portellone il cui funzionamento conosce solo Epeo, il costruttore. Grazie a una scala a corda gli armati vi si introducono e l'ultimo – Epeo appunto – arrotola la corda e chiude la porta. Il cavallo è una premonizione del carro armato, come Virgilio ci dà l'alibi di considerarlo: «Sale la fatale macchina i muri, gravida d'armi». Dunque una macchina, e per di più gravida d'armi.

Cavallo
da Squad

Atena, divinità dell'intelletto sagace e produttivo, istilla a Epeo, greco delle Cicladi, l'idea di costruire un enorme cavallo di legno. Di quale legno si tratti circola una ridda di ipotesi: c'è chi dice faggio, chi abete, chi rovere. Ma se non riusciamo a sapere quali alberi erano stati tagliati, sappiamo per certo che era cavo all'interno, con un portellone mascherato su un fianco e con una truffaldina scritta a lettere cubitali: «I Greci consacrano questo cavallo alla dea Atena come segno di gratitudine per un felice ritorno in patria».
Quanto fosse grande è ugualmente impossibile sapere. «Come un monte» - dice Virgilio - ma poi i cronisti sono in disaccordo sulla sua capacità: chi dice che poteva contenere 15 soldati, chi 23, chi 30, chi 50 e chi infine – colto da megalomania – esagera e dice 3.000. Per far stare tremila soldati corazzati e armati dentro la pancia di un cavallo di legno dovremmo pensarlo grande come un grattacielo di trenta piani.
Ma a caval donato non si guarda in bocca e i Troiani, ingenuamente, senza avere sentore di cosa c'è dentro, se lo mettono in casa, proprio nel centro della città. All'alba le sentinelle vedono l'accampamento greco ridotto in cenere e il bel dono, con tanto di dedica, sotto le mura. Lo legano al collo con grosse funi e lo fanno scorrere su rulli di legno. Con uno sforzo immane lo tirano fin sull'acropoli e lì, a mezzanotte, nel silenzio della città dormiente, Epeo fa scattare la serratura segreta. I Greci ne escono armati e solo uno, tal Echione, inciampa e si sfracella al suolo.
Al cospetto dell'orrore del sacco di Troia, con i Greci che sgozzano i Troiani assopiti, che fanno razzìa e bruciano la città, che radono al suolo le mura e sacrificano vittime agli dèi, l'immagine di Echione che inciampa e si rompe l'osso del collo solleva un moto di malcelata soddisfazione. Almeno uno ci ha lasciato le penne.
Anche perché la distruzione di Troia è un po' l'atto primitivo che apre le ostilità tra Occidente e Oriente. Dunque, un cavallo di legno fatale, ben più pericoloso e infido di quel modesto cavalluccio di legno sul quale, in assenza del destriero Ronzinante, Don Chisciotte della Mancia trotterella nell'immortale romanzo di Cervantes: il candido Don Chisciotte, e il suo cavalluccio di legno, non fanno male a nessuno.

Disadorna macchina della storia letteraria, il cavallo di Troia è uno stabile acquisto della mitologia tecnologica, degno di stare al fianco di un'invenzione simile ma di significato molto meno bellicoso: la vacca di legno di Dedalo, talmente celebre nell'antichità da farne parlare Apollodoro e Diodoro Siculo nelle loro Biblioteche, Pausania nella sua Guida della Grecia, Virgilio nelle Bucoliche e Ovidio nell'Arte di amare, per citarne solo alcuni.
eggendario artefice del mondo mitologico, l'ateniese Dedalo è all'origine di tutta una serie di geniali invenzioni. Essendo stato esiliato a Creta per aver ucciso il nipote Talo (anch'egli inventore di cose straordinarie: il compasso, la sega, la ruota da vasaio) costruì per Pasifae, moglie di Minosse, una giovenca di legno. Il fatto è che girava per Creta un toro bianco del quale la donna (vai a capire perché) s'era invaghita.

Minotauro
da ArsCreatio

Come soddisfare la dissennata attrazione? Chiese consiglio all'ingegnoso Dedalo che presto ne venne a capo: costruì una vacca di legno, la rivestì di una pelle di vacca vera, la montò su quattro rotelle nascoste negli zoccoli e la spinse in un prato di Gortina dove il bel toro bianco stava pascolando e dove poteva suscitarne la foia. La vacca era cava: ci si poteva introdurre attraverso uno sportello scorrevole e sistemare le gambe nelle zampe posteriori. Così fece, acquattandosi carponi, l'assatanata Pasifae, «e il toro venne e si congiunse a lei come se fosse realmente una vacca», conclude laconicamente Apollodoro. Anche in questo caso, come anche per il cavallo di Troia, il trucco vivo è contenuto nelle viscere del legno, ma dal di fuori non lo si capisce.
Dalla mostruosa unione nacque il Minotauro – corpo di uomo e testa di toro – per il quale Dedalo progettò una dimora speciale: un intricato palazzo detto Labirinto. Come non bastasse, fornì ad Arianna il famoso filo che le permise di far uscire Teseo dal Labirinto. Se si aggiunge la storiella delle ali di cera e di penne con le quali Dedalo fuggì assieme ad Icaro da Creta, il cerchio è compiuto. Non del tutto: quando ancora non era caduto in disgrazia, Dedalo deliziava Minosse e famiglia con bambole di legno animate.
E qui davvero la storia finisce, visto che Dedalo diventa in questo modo una sorta di precursore mitologico di Erone e dei suoi automi. E tutto a partire da quella sua ingegnosa trovata, la giovenca di legno.

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