10. Cronache di politica economica:
Mercati finanziari ed economia realeTornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggistica"Da tempo sono convinto
che la sovrastruttura finanziario-borsistica,
con le caratteristiche che presenta
nei paesi capitalisticamente avanzati,
favorisca non già il vigore competitivo,
ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio
che opera sistematicamente a danno
di categorie innumerevoli e sprovvedute
di risparmiatori, in un quadro istituzionale
che, di fatto, consente e legittima la ricorrente
decurtazione o il pratico spossessamento dei loro peculi".(1)
Federico CaffèIn questa nota si vuole sottolineare che la finanza speculativa e i relativi mercati e strumenti così come attualmente caratterizzati non sempre giovano allo sviluppo e all’ordinato funzionamento dell’economia reale, ma anzi, in determinate situazioni, hanno effetti senz’altro distorsivi.
Considerazioni non certo originali né nuove; un’articolata e convincente esposizione su questo argomento è stata svolta dal professor Caffè in un famoso articolo del 1971 (!) da cui è tratta la citazione in epigrafe. Le argomentazioni esposte in quella sede, in estrema sintesi, possono così riassumersi: il mercato finanziario, lungi dallo svolgere una funzione di allocazione ottimale del capitale, "né porta a una formazione dei prezzi che possa dirsi socialmente ottimale, né esercita una significativa influenza stabilizzatrice"(2).
Ciò per una serie di motivi tra i quali il fatto che "esiste una evidente incoerenza tra i condizionamenti di ogni genere – legislativi, sindacali, sociali – che vincolano l’attività produttiva ‘reale’ nei vari settori agricolo, industriale, di intermediazione commerciale, e la concreta ‘licenza di espropriare l’altrui risparmio che esiste sui mercati finanziari".(3) A ciò deve aggiungersi che nei mercati finanziari l’incontro tra domanda e offerta di capitali non avviene direttamente, ma è intermediata da operatori specializzati la cui attività è ispirata essenzialmente all’acquisizione di provvigioni e, in maggior misura, di profitti. Ne consegue che le quotazioni su tali mercati rifletterebbero soprattutto fenomeni di speculazione e di aspettative piuttosto che le prospettive di redditività dell’impresa quotata.
Il professor Caffè concludeva le proprie considerazioni con il seguente, profetico appello: "Ma è tempo che gli economisti, per esigua che possa essere la loro voce, non si limitino ad analizzare a posteriori il susseguirsi di ‘crolli sconvolgenti’, ma dissocino a priori la loro responsabilità, con il documentare i costi sociali del mercato di borsa".(4)
Una riprova della drammatica pregnanza degli argomenti svolti in quella sede (ma non sono mancati analoghi contributi da parte di altri illustri studiosi) si è avuta da ultimo con la crisi esplosa nell’autunno del 2008, laddove, rispetto all’epoca dell’articolo citato, lo strumentario, le tecniche e gli operatori dell’intermediazione finanziaria si sono incredibilmente evoluti, mentre rimane assai scarso il ricorso delle imprese al mercato dei capitali per le loro esigenze finanziarie. Ne consegue che, così come è venuta a configurarsi, la finanza internazionale rappresenta un problema piuttosto che una risorsa. In tal senso, per esempio, si sono espressi i partecipanti ai più recenti summit economici internazionali, nonché i responsabili dei massimi organismi finanziari internazionali: Fondo Monetario Internazionale, OCSE, Banca Mondiale e soprattutto, il Financial Stability Forum, di recente istituito e presieduto dal Governatore Draghi. Quest’ultimo, in un recente intervento circa le sfide poste dalla stabilità finanziaria(5) ha sottolineato la gravità dei problemi posti agli organismi internazionali e alle autorità statali da parte degli intermediari troppo grandi per poter fallire (TBTF), dalla difficoltà di introdurre a livello internazionale regole macroprudenziali o controlli sistemici sull’attività degli operatori finanziari, i quali, passato il peggio, tentano di contrastare il varo di sostanziali riforme.
In effetti, il consistente volume di denaro erogato a bassissimo costo dalle banche centrali per evitare il collasso dell’intero sistema, seppure ha evitato il fallimento di quegli intermediari, la cui crisi avrebbe avuto impatti devastanti, non ha contribuito ad allentare la stretta creditizia nei confronti delle attività produttive. Ma, anzi, il denaro a basso costo e l’indebolimento delle quotazioni del dollaro hanno dato carburante all’attività di trading sui mercati finanziari e su quelli dell’oro e delle materie prime, riportando, per esempio, gli indici di borsa a valori prossimi a quelli ante-crisi e quelli del petrolio, dell’oro, del rame, della gomma e altri a livelli record. Questo certo non aiuta la ripresa economica ma anzi costituisce una pericolosa premessa di altre possibili "bolle". Nel frattempo, le grandi finanziarie, salvate dal disastro con i soldi dei contribuenti, hanno ripreso a realizzare utili e a distribuire bonus milionari ai loro dirigenti.
Il problema però questa volta è stato avvertito e sembra sia ben presente ai responsabili delle politiche economiche. Da ultimo, in occasione del G 20 dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali tenutosi a St. Andrews lo scorso 7 novembre (la questione è stata posta con chiarezza: dopo il denaro a basso costo, occorrono le regole.(6) Sulla definizione di queste ultime, però, il dibattito è aperto. Il primo ministro inglese ha proposto l’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziare per responsabilizzare gli operatori e ridurre la profittabilità delle operazioni stesse, ma la proposta, condivisa dalla Francia, è stata bocciata dagli Stati Uniti. Il Fondo Monetario Internazionale starebbe studiando una tassa da applicare alle banche in proporzione al rischio assunto. Il Financial Stability Board propone strumenti di vigilanza sui mercati e limiti alle retribuzioni dei manager bancari.
In effetti, il problema è di difficile soluzione data la difficoltà di imbrigliare con norme stabilite dalle legislazioni dei diversi stati l’attività svolta da operatori di dimensioni internazionali che agiscono su una molteplicità di mercati con strumenti sempre più sofisticati, offerti anche dalle attuali tecnologie della comunicazione. Il Comitato di Basilea e il FSB sono impegnati ad elaborare principi comuni e condivisi ai quali si dovrebbero informare le normative statali.
La questione è stata rimessa al prossimo G 20 dei capi dei governi del 2010; nel frattempo, dovranno essere valutate le modalità e le possibili conseguenze di un indispensabile rientro dalle politiche di denaro a basso costo e, per gli USA, di discesa del dollaro, che, prima o poi, dovrà pure arrestarsi.
17 novembre 2009
(1) F. Caffè, Economia di mercato e socializzazione delle sovrastrutture finanziarie, in Giornale degli Economisti e Annali di Economia 1971 fasc. 9/10. Ripubblicato in Federico Caffè, Un’economia in ritardo, Torino, Boringhieri, 1976; pag.17.
(2) F. Caffè 1976, cit. pag 34.
(3) F. Caffè, 1976 cit. pag. 18.
(4) F. Caffè 1976 cit. pag. 47.
(5) M. Draghi: Challenger to Financial Stability and the Proposal of the Financial Stability Board. Intervento svolto il 12 novembre 2009 in Roma, presso l’Istituto Einaudi.
(6) Communiqué del G20 del 7 novembre 2009.Torna in biblioteca