13. Cronache di politica economica:
La Grecia, l'euro e i maghi della finanzaTornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggisticaI problemi che affliggono le pubbliche finanze della Grecia pongono all'eurosistema una sfida ardua, importante e soprattutto nuova: è ipotizzabile una crisi di insolvenza e la conseguente uscita di un paese dalla moneta unica? Possono avere successo, in una situazione del genere, gli attacchi speculativi della finanza internazionale (non paga di aver scatenato la crisi del 2008) contro l'euro? Perdere questa sfida significherebbe mettere in discussione l'intera costruzione dell'unione monetaria.
A seguito della riunione dei massimi esponenti della Comunità e della BCE tenutasi lo scorso 11 febbraio a Bruxelles , sono state rilasciate perentorie dichiarazioni volte ad assicurare che l'Unione europea e le sue istituzioni sono determinate a difendere la stabilità finanziaria. È stato manifestato pieno sostegno alla Grecia, la quale non avrebbe richiesto aiuti concreti né all'Europa né, tanto meno, al Fondo Monetario ma si è invece impegnata ad attuare rigorose misure di risanamento. Su tale percorso virtuoso vigileranno la Commissione e la BCE. Francia e Germania "mano nella mano" hanno comunque assicurato che, all'occorrenza, i paesi dell'eurozona sono pronti ad assumere concrete misure di sostegno in favore della Grecia; misure che peraltro non sono state neanche genericamente indicate perché, come ha precisato il presidente Sarkozy, "il nostro ruolo non è quello di favorire la speculazione".
Il compito assegnato alla Grecia è arduo, tuttavia la scelta delle autorità dell'Unione di non ipotizzare, almeno per ora, concreti interventi di sostegno è assai opportuna sotto diversi aspetti: ha evitato, anzitutto – come ha osservato il presidente francese – che la speculazione possa valutare e tempestivamente contrastare le misure decise; ha anche ottenuto l'effetto di impegnare l'autonoma responsabilità del governo greco a "correggere quello che è stato fatto in passato e che era incompatibile" con le regole dell'euro: la politica fiscale greca del passato "non era tollerabile e non avrebbe dovuto essere tollerata". La decisione assunta, inoltre, deve servire anche come monito agli altri paesi in difficoltà – gli altri del gruppo denominato PIGS oppure PIIGS includendovi anche l'Italia – i quali non debbono illudersi di poter contare sull'automatico aiuto della Comunità per fronteggiare le rispettive difficoltà se non in casi estremi e comunque dopo aver messo in campo ogni possibile autonoma iniziativa per rimettere in ordine i conti pubblici.
Sarà quindi di cruciale interesse valutare la concreta efficacia di questa linea di intervento per assicurare la tenuta dell'euro e per scongiurare il cosiddetto "effetto domino" nel caso in cui un paese dell'eurozona versi in gravi difficoltà economiche, tali da poter coinvolgere anche altre economie del sistema.
Sta di fatto, comunque, che per porre rimedio a situazioni di crisi quali quella che travaglia la Grecia, la via autorevolmente indicata, quella che può dare risultati più immediati, consiste nell'intervenire con robusti tagli alla spesa pubblica, e quindi necessariamente a stipendi dei pubblici dipendenti e pensioni; ne risulterà un'ulteriore flessione della domanda interna in un contesto di crisi economica mondiale che non si può ancora considerare superata. Una rimodulazione del carico fiscale, per operare dal lato delle entrate, produrrebbe effetti più incerti e meno tempestivi. È quindi prevedibile, per la popolazione greca, un difficile periodo di ristrettezze.
La manualistica economica, peraltro, suggerisce che per invertire la fase negativa del ciclo è opportuna una redistribuzione del reddito fra consumi e risparmio a favore dei primi. Il che si ottiene mettendo le categorie a più basso reddito in condizione di mantenere inalterati i propri consumi mentre coloro che hanno redditi più elevati possono vedere ridotte le loro entrate senza che il livello di spesa per consumi ne risenta apprezzabilmente. Purtroppo il compito di elaborare in concreto le specifiche misure anticrisi ben di rado è attribuito ad esponenti della prima categoria.
Per fronteggiare la crisi finanziaria mondiale, e in particolare per evitare il default di quelle banche d'affari troppo grandi per fallire (TBTF) – a parte, chissà perché, Lehman Brothers –, si è fatto ampio ricorso nei paesi più esposti, Stati Uniti in testa, a cospicui finanziamenti con soldi pubblici, cioè dei contribuenti. Il fatto di aver in tal modo sottratto risorse all'economia reale ha provocato gravi conseguenze sulla produzione industriale e, di riflesso, sull'occupazione. Anche altri paesi meno direttamente coinvolti nella tempesta finanziaria, quale il nostro, hanno risentito pesantemente del crollo della domanda mondiale con conseguente deterioramento della situazione interna, attestato dalla discesa di tutti gli indicatori economici.
Per l'Italia, in particolare, il 2009 ha fatto registrare una flessione del PIL del 4,9%, della produzione industriale del 17,4%, delle esportazioni del 20,7% e via dicendo. Il tasso di disoccupazione nell'eurozona supera il 10%.
Quanto sopra dimostra che l'impatto negativo delle crisi e l'onere delle manovre per superarle si scarica in ogni caso sulle categorie più deboli. Un criterio fondamentale – considerato, a parole, quasi un'ovvietà – di ogni sistema tributario è quello della progressività: "tutti debbono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" . Analogo criterio non sembra però valere per la ripartizione dei costi delle crisi: di quanto dovrebbe ridursi il reddito di un top manager pubblico o privato per comportare un sacrificio corrispondente a quello di un cassintegrato che vede ridursi il suo salario da 1.200 a 800 euro mensili, quando va bene? Si ha invece notizia di alti dirigenti bancari i quali hanno ripreso a introitare cospicui bonus per aver bene operato.
Ma per tornare al caso della Grecia, c'è un'ulteriore osservazione da fare: da notizie di stampa si apprende che i maghi della finanza - così solerti nel sollecitare misure in loro favore per evitare che le loro insolvenze possano aggravare la crisi da loro stessi provocata - sembra che abbiano dato anche un significativo contributo all'insorgere delle difficoltà di quel paese; il New York Times ipotizza infatti che due grandi banche d'affari americane, con strumenti finanziari particolarmente sofisticati, abbiano aiutato la Grecia a nascondere la reale entità del suo debito pubblico, spingendo così quel paese nella condizione di crisi in cui ora si trova.
Ci auguriamo di tutto cuore che la strategia scelta dai responsabili in difesa della solidità dell'eurosistema abbia successo; ma con l'occasione, a costo di apparire del tutto fuori moda, ci si consenta di rammentare un passo di un vecchio testo dell'800: "La moderna società borghese... non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione... in luogo di quelle antiche".
15 febbraio 2010
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