16. Cronache di politica economica:
Una difficile primavera per l'euro

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L'aspetto più rilevante della crisi finanziaria in corso è rappresentato dall'acquisita consapevolezza, da parte della speculazione, della vulnerabilità dell'eurozona. Fino al manifestarsi della crisi greca, essa era considerata un "unicum" compatto: l'eventualità dell'insolvenza di uno degli stati membri ha aperto ai mercati la possibilità di prendere di mira i singoli paesi in ragione delle loro specifiche debolezze. Lo dimostra il progressivo divaricarsi dei tassi ai quali i singoli stati riescono a collocare i propri prestiti, ancorché tutti denominati in euro.

A differenza di quanto era avvenuto a partire dall'autunno del 2008 con il crack della Lehman Brothers, allorché erano stati presi di mira i titoli rappresentativi dei mutui subprime e le banche che li detenevano (gli stati erano dovuti intervenire per il loro salvataggio emettendo titoli), ora gli attacchi si sono diretti contro i singoli stati, ponendo così in discussione la stessa sussistenza della moneta unica.

Di qui le laboriose riunioni dei capi di governo e dei ministri finanziari conclusesi nelle prime ore di lunedì 10 maggio con la messa a punto delle ormai note misure di sostegno alla Grecia (110 miliardi) e di salvaguardia dell'euro (750 miliardi) (1), con in più la possibilità per la BCE e per le Banche centrali nazionali di acquistare sul mercato titoli dei singoli stati.

Le misure predisposte rappresentano, in estrema sintesi, una riaffermazione dell'unità e della solidarietà della zona euro, dato che la sostanza dei provvedimenti consiste nel trasformare il debito di uno stato in difficoltà nel debito di altri stati più solidi o della stessa BCE; infatti le riserve e le resistenze della Germania, insieme con l'Austria e l'Olanda, vertono sul timore dell'istituzione di "un bancomat illimitato a disposizione degli stati cicala". Questo in parte spiega l'atteggiamento ondivago della Cancelliera Merkel la quale, dopo aver dichiarato lo scorso 11 febbraio, insieme al Presidente Sarkozy, che i paesi dell'eurozona erano pronti ad assumere concrete misure in favore della Grecia, ha manifestato tutta una serie di perplessità e veti che hanno ritardato fino alla notte del 9 maggio il varo dei suddetti provvedimenti. Per rimuovere tali perplessità è stato necessario il diretto intervento del Presidente degli Stati Uniti e il coinvolgimento del Fondo Monetario; interessamento e coinvolgimento non si sa se auspicati (per ridimensionare il ruolo della Francia) o tollerati, ma che denunciano comunque il grado di interdipendenza/subordinazione di questa sponda dell'Atlantico rispetto all'altra dove, rammentiamo, ha avuto origine la crisi e da dove si è diffuso il contagio. Si è comunque perso del tempo e, in periodi di crisi, il fattore tempo è cruciale per affrontare i problemi, se non altro per quanto riguarda i costi dell'intervento.

L'atteggiamento della Cancelliera si spiega con il fatto che la stessa si è trovata a dover dirimere un arduo dilemma: da un lato, l'insolvenza della Grecia avrebbe causato gravi problemi alle banche tedesche che detengono titoli greci per un ammontare considerevole (circa 40 miliardi); d'altro canto, anche in vista delle elezioni del Nord Reno-Westfalia – che comunque non l'hanno premiata, anzi – sarebbe stato assai impopolare mostrare sollecitudine nei confronti di una nazione il cui precedente governo (sia pure di destra) aveva contraffatto i conti per essere ammesso nell'eurozona.

Per dirimere la questione, la Germania ha richiesto – e ottenuto – l'impegno ad un rafforzamento dei parametri previsti dal patto di stabilità e ha posto la pregiudiziale secondo cui i paesi che faranno ricorso al fondo europeo dovranno accettare le condizioni che verranno imposte alle loro politiche di bilancio.

Accogliendo tali istanze, lo scorso 12 maggio, la Commissione europea ha proposto una serie di misure volte a realizzare un efficace coordinamento delle politiche fiscali dei paesi dell'Unione. Tale "Patto di Consolidamento" prevede un più stringente rispetto del patto di stabilità e di crescita, ormai largamente disatteso per effetto della crisi, il coordinamento delle politiche fiscali dei paesi membri da effettuarsi prima che i relativi piani di finanza pubblica siano sottoposti ai parlamenti nazionali e il monitoraggio degli indicatori macroeconomici dei paesi stessi. I paesi che non saranno in grado di rispettare i vincoli e gli obiettivi stabiliti saranno privati temporaneamente dei "fondi strutturali"; nei casi più gravi tale esclusione diventerà definitiva e i paesi inadempienti perderanno anche il diritto di voto nel Consiglio Europeo. Nel corso della conferenza stampa indetta per illustrare tali misure, il Presidente Barroso ha efficacemente sintetizzato la situazione affermando che "gli stati membri debbono avere il coraggio di decidere se vogliono o no un'unione economica. Se non la vogliono è meglio dimenticare anche l'unione monetaria... la politica economica degli stati non è più una materia solo nazionale, nella zona euro è un fatto di interesse comunitario".

In questo modo la Germania, confidando nella propria solidità, aspirerebbe ad assumere un ruolo di leadership nell'ambito dell'Unione; ma la Francia, principale artefice della parte finanziaria dell'accordo, non starà certo alla finestra. Secondo alcuni commentatori tedeschi(2) anzi, sarebbe proprio Sarkozy il vero vincitore del confronto con la Merkel: egli avrebbe imposto il piano di salvataggio che la Cancelliera ha dovuto accettare nonostante le sue esitazioni, il suo richiamarsi ai criteri del patto di stabilità e al principio della neutralità della BCE rispetto ai debiti dei singoli stati.

Indipendentemente dalle salvaguardie poste in essere, cui nessuno si augura di dover ricorrere, in considerazione delle connotazioni che sta assumendo la crisi, con l'euro ai minimi storici e i persistenti attacchi speculativi, pressoché tutti gli stati dell'eurozona, oltre alla Grecia, stanno mettendo a punto misure di austerità che valgano a riequilibrare i conti pubblici. Lacrime e sangue, come si usa dire, anche se a versarle non saranno certo i responsabili delle attuali difficoltà.

È evidente che misure del genere, oltre a compromettere l'equilibrio sociale, non aiutano la ripresa, dato che indurranno una flessione dei consumi interni. Tuttavia l'alternativa è fra l'inseguimento di evanescenti segnali di ripresa o il più concreto rischio di precipitare in una situazione analoga a quella greca. Va peraltro tenuto presente che la debolezza dell'euro può risultare una manna per le esportazioni. Sta ai singoli paesi dell'eurozona saper cogliere le connesse opportunità; a questo riguardo sono determinanti i livelli di dinamismo, solidità strutturale e competitività delle industrie nazionali (la Mercedes, ad esempio, negli ultimi mesi ha aumentato del 20% le vendite sul mercato americano).

In questo contesto l'Italia, le cui prospettive di crescita sono fra le più basse dell'eurozona(3) è anche afflitta dall'abnorme volume del debito pubblico, da gravi carenze infrastrutturali, dalla scarsa produttività, dall'elevato costo del lavoro per unità di prodotto a causa dell'incidenza delle imposte e dei contributi, dalla conseguente scarsa competitività che negli ultimi tempi ha fatto perdere quote sui mercati internazionali; per non parlare della ormai strutturale corruzione del tessuto pubblico.

La partita è ora in mano ai nostri governanti, i quali fino a ieri negavano la persistenza e la gravità della crisi e che non sembrano concordare sulla strada da percorrere. Mentre il Capo del Governo, che la scorsa settimana si era attribuito il merito del raggiunto accordo in sede europea (oltre, a suo tempo, quello del patto USA-Russia sul disarmo) tace sull'argomento, alcuni ministri avanzano proposte che altri ridicolizzano e altri ancora sventolano il vessillo del federalismo (a suo tempo fiscale, per il momento solo demaniale) quale panacea universale e toccasana miracoloso per tutti i nostri guai.

Il Ministro dell'economia assicura che i 25 miliardi necessari per il consolidamento dei nostri conti pubblici saranno reperiti dando la caccia agli evasori – in precedenza beneficiati dallo "scudo fiscale" –, ai falsi invalidi e procrastinando per alcuni l'uscita dal mondo del lavoro.

In un'analoga occorrenza, anni addietro, il compianto professor Caffè osservava: " di certo, l'intelligenza operosa del popolo italiano meriterebbe miglior destino!"(4)

20 maggio 2010

(1) 440 miliardi da parte degli stati dell'eurozona; 60 miliardi dai fondi della Commissione europea e il resto a cura del FMI.
(2) Presseurop
(3) Le previsioni di crescita del PIL formulate dalla Commissione Europea per i prossimi due anni sono le seguenti: Germania +1,2 e + 1,6; Francia +1,3 e +1,5; Italia +0,8 e +1,4; Portogallo +0,5 e 0,7; Spagna -0,4 e +0,8; Grecia -0,3 e -0,5.
(4) Federico Caffè, Scritti quotidiani, Roma, Ed. Il Manifesto 2007, pag. 43.

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