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Per fronteggiare la crisi finanziaria internazionale, i paesi coinvolti sono stati costretti a dirottare risorse (dei contribuenti) a favore di istituzioni finanziarie, risorse che quindi non hanno potuto essere destinate a investimenti pubblici, infrastrutture, ricerca e, in definitiva, a sostegno alla domanda interna. Ne è conseguito il ristagno dell'economia reale, difficoltà per le imprese, calo dell'occupazione, ulteriore flessione della produzione e dei consumi.
Le istituzioni finanziarie beneficiate – spesso le stesse responsabili della crisi - dal canto loro si sono ben guardate dall'impiegare la liquidità a loro disposizione a favore delle attività produttive, preferendo utilizzare la maggior parte delle disponibilità loro generosamente attribuite in nuove speculazioni finanziarie, creando le premesse, in mancanza di efficaci misure di regolamentazione, per nuove "bolle" speculative.
Ai responsabili della politica economica dei diversi paesi non è restato che confidare in una ripresa dell'economia originata dalla domanda estera, visto che quella interna non ha ancora robuste gambe per camminare. Ma essendo tutte le maggiori economie nella stessa situazione, risulta quanto mai arduo uscire dall'impasse: i paesi che meno hanno risentito della crisi del 2008 quali Cina, India o Brasile sono infatti ben modesti importatori di prodotti finiti dall'"Occidente".
In questo contesto che si caratterizza per una difficoltosa e stentata ripresa e per un'accanita ricerca di sbocchi commerciali, si è appreso che la Germania ha realizzato, nel secondo trimestre 2010, la più alta crescita del prodotto interno lordo non solo dell'Europa ma degli stessi Stati Uniti (+2,2% rispetto al trimestre precedente e 3,7% su base annua) raggiungendo il massimo dal 1987.
Quali le cause di questa inusitata performance da parte di un paese la cui economia, oltre alle difficoltà di tutte le altre dell'eurozona, ha dovuto sostenere lo sforzo connesso con l'unificazione?
In una precedente nota è stato sottolineato come grazie a una politica di moderazione salariale, concordata con le organizzazioni sindacali, e di crescita della produttività, in virtù di significativi investimenti nella ricerca da parte sia delle pubbliche istituzioni sia delle stesse imprese, l'industria tedesca ha ottenuto una razionalizzazione dei costi di produzione e un conseguente buon successo sui mercati esteri, favorito anche dalla debolezza dell'euro; una rigorosa politica di controllo dei conti pubblici, senza compromettere il welfare, ha inoltre mantenuto bassa la domanda interna; ne è risultato un robusto avanzo della bilancia commerciale (da gennaio a maggio l'attivo commerciale è stato pari a 60 miliardi di euro). (1)
Per avere un'idea dell'andamento dell'industria tedesca rispetto ad altre realtà europee basta confrontare i dati relativi alle industrie automobilistiche: Volkswagen, BMW e Mercedes hanno conseguito nel primo semestre di quest'anno risultati soddisfacenti (per la VW con 4 milioni di vetture vendute da gennaio a giugno, il miglior risultato di sempre) mentre, per esempio, la Fiat registra flessioni nelle immatricolazioni e, in mancanza dei ricorrenti, generosi aiuti pubblici, minaccia chiusure di stabilimenti, delocalizzazioni, deroghe agli accordi sindacali e così via.
Tutto ciò la dice lunga sull'importanza di un governo capace di progettare e realizzare una coerente politica economica.
Ma tornando alla straordinaria crescita della Germania, ci si chiede quale ruolo essa potrà svolgere nel contesto dell'Unione Europea. La locomotiva tedesca trascinerà con sé le economie degli altri paesi? Non sembra al momento che questo sia il caso; proiettata alla conquista di quote di mercato all'estero e mantenendo sotto controllo la domanda interna, la Germania sembra piuttosto un ingombrante concorrente per gli altri partner europei. Si vedano, ad esempio, le considerazioni fortemente critiche espresse al riguardo dal Ministro francese delle Finanze Christine Lagarde riportate dal Financial Times. (2)
Acquistano allora fondamento i timori di coloro che ipotizzano la fine dell'euro e un ritorno alle monete nazionali con il marco a farla da leader?
Anche questa sembra un'ipotesi irrealistica per motivi sia "ideologici" - la Germania ha svolto un decisivo ruolo propulsivo nella costruzione dell'Unione Europea - ma anche sostanziali: come si è detto le esportazioni tedesche hanno tratto importanti benefici dalla debolezza dell'euro, benefici che non si sarebbero manifestati in presenza di una forte moneta nazionale.
Tuttavia la coesistenza nell'ambito dell'Unione con altri paesi in gravi difficoltà, soprattutto sotto il profilo delle pubbliche finanze, è visto, giustamente, dai tedeschi come un incombente pericolo, un grave rischio di instabilità, una minaccia di ripresa dell'inflazione. Di qui i sempre più pressanti inviti della Germania a un rafforzamento del patto di stabilità, a incisive misure per la riduzione dei deficit, a effettive sanzioni nei confronti dei paesi inadempienti.
L'assenso della Germania alle misure di sostegno alla Grecia fu appunto subordinato all'impegno ad adottare siffatte misure sebbene per i paesi che non possono ancora contare su significativi segnali di ripresa, queste misure finiscono col deprimere ulteriormente le rispettive economie. (3)
Con il rafforzarsi dell'economia tedesca nell'ambito dell'Unione, è quindi prevedibile che la Germania tenda a svolgere (e pretenda) piuttosto che un ruolo di locomotiva quello di controllore degli indisciplinati partner europei. Gli imminenti rinnovi di importanti cariche della Comunità e della BCE, alcune delle quali ora ricoperte da francesi, consentiranno una prima verifica di questa previsione.
Roma 17 agosto 2010
(1) cfr. Cronache di politica economica – 14. L'Unione monetaria affronta la crisi.
(2) Financial Times del 14 marzo 2010.
(3) Accogliendo le condizionanti richieste tedesche, lo scorso 12 maggio, la Commissione europea ha proposto l'istituzione di un "Patto di Consolidamento" che prevede un più stringente rispetto del patto di stabilità e di crescita - ormai largamente disatteso per effetto della crisi -, il coordinamento delle politiche fiscali dei paesi membri, da effettuarsi prima che i relativi piani di finanza pubblica siano sottoposti ai parlamenti nazionali, e il monitoraggio degli indicatori macroeconomici dei paesi stessi. I paesi che non saranno in grado di rispettare i vincoli e gli obiettivi stabiliti saranno privati temporaneamente dei "fondi strutturali"; nei casi più gravi tale esclusione diventerà definitiva e i paesi inadempienti perderanno anche il diritto di voto nel Consiglio Europeo.
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