9. Cronache di politica economica:
I dilemmi della crisi

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L'annuncio del Presidente del Consiglio di ridurre gradualmente l'IRAP fino ad abolirla del tutto ha scatenato in seno al Governo stesso un vivace dibattito sull'alternativa "meno tasse o più rigore". Il problema si pone in ragione della situazione delle pubbliche finanze, situazione determinatasi anche perché in passato alternative del genere furono risolte, salvo rari casi, non certo nel senso del rigore; cosa che, comunque, produce consenso. Gli effetti della crisi e la politica economica basata sulla sottovalutazione della recessione e sull'attendismo motivato con un ostentato ottimismo di facciata ha ora portato i conti pubblici in una situazione che, ben lungi dall'essere "sotto controllo" o "in sicurezza", è tale da non lasciare più margini di manovra. Secondo la stessa Relazione previsionale e programmatica(1) elaborata dal Ministero dell'Economia, alla fine dell'anno corrente il deficit e il debito pubblico si collocheranno, rispetto al PIL, rispettivamente al 5,3 e al 115,1 per cento ( a fine 2008 i valori erano, rispettivamente, del 2,7 e del 105,8 per cento) e ciò in una prospettiva tutt'altro che rosea: per il 2010 si prevede una crescita del prodotto interno inferiore all'1 per cento (0,7%); la situazione potrebbe stabilizzarsi solo nel 2013. È indispensabile adottare concrete misure volte a stimolare una ripresa della crescita che è presupposto fondamentale per modificare in senso positivo il quadro di riferimento.

Il dilemma non è circoscritto ai responsabili della politica economica, esso si ripropone con drammatica urgenza in seno alle istanze più concretamente attive nel sistema. Valgano per tutti le posizioni di recente espresse dalla Confindustria e dalla Banca d'Italia.

Quanto alla prima, partendo dalla considerazione che è preferibile assicurare il lavoro piuttosto che sopperire alla sua mancanza, sono stati rappresentati con grande efficacia i problemi delle imprese, specie di quelle di minori dimensioni (un milione delle quali verserebbero in gravi difficoltà o sarebbero addirittura a rischio di chiusura). Queste richiedono sostanzialmente minore pressione fiscale e più credito per fronteggiare le difficoltà derivanti dal ristagno della domanda. La presidente di Confindustria, in occasione del Forum della Piccola e media industria tenutosi a Mantova il 23 e 24 ottobre scorsi, ha concluso il proprio intervento affermando: "Dagli annunci bisogna passare ai fatti: ridurre gradualmente le tasse sulle imprese e sui lavoratori tartassati. In Germania lo stanno facendo e se noi resteremo fermi i tedeschi ci faranno neri". Successivamente, il 26 ottobre, a Biella ha anche rivolto un appello alle banche affinché "lo strumento della moratoria venga applicato e le banche valutino gli imprenditori non solo dai bilanci 2008 e 2009, che saranno tragici, ma dalle persone e dalle loro potenzialità".(2)

A questo riguardo è interessante rilevare che i dati relativi all'evoluzione della composizione degli attivi delle nostre banche mostra invece, con tutta evidenza, lo spostamento delle disponibilità dal credito all'acquisto di prodotti finanziari, il che ha contribuito alla ripresa degli utili degli intermediari e degli indici di borsa ma non certo a quella dell'economia reale. Dall'agosto 2008 all'agosto 2009, a fronte di una crescita delle attività di 150 miliardi di euro (+4,28%) i prestiti a privati e imprese sono aumentati di 12 miliardi (+0,48%) mentre gli investimenti in titoli e azioni sono aumentati di 98 miliardi (+ 15,29%). Le banche, dunque, non hanno vincoli paragonabili a quelli che incombono sulla politica di bilancio, ma solo quelli derivanti dalla redditività e dalla valutazione del merito di credito.

Il Direttore Generale della Banca d'Italia nel corso della sua recente audizione al Senato,(3) dopo aver osservato che occorre prendere atto della gravità della recessione e delle difficoltà in cui versa un crescente numero di famiglie e imprese, ha affermato che occorre intervenire anzitutto ponendo mano a una seria razionalizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali, infatti: "dal sovrapporsi dei vari strumenti emerge una configurazione intricata che rende estremamente eterogenea la copertura assicurativa dei lavoratori, a seconda del settore, della dimensione di impresa e del contratto lavorativo. Molti lavoratori restano ancora esclusi dalla tutela pubblica".

Quanto alle misure di politica economica, queste debbono, invece, accompagnarsi a interventi strutturali che consentano di conciliarne gli effetti con le esigenze di equilibrio dei conti pubblici. A questo proposito, nel citato intervento il Direttore Generale formula alcune indicazioni per il contenimento e la riqualificazione della spesa corrente, che dovrebbe fondarsi, anzitutto, su una riforma delle procedure e delle regole di bilancio, nonché su "la razionalizzazione delle Province, la riorganizzazione degli uffici periferici dei Dicasteri, lo snellimento delle giunte e dei consigli dei Comuni e delle Province, nonché la riscrittura del patto di stabilità interno". Sempre nell'ottica dell'equilibrio dei conti pubblici, egli concorda sull'opportunità di un significativo aumento dell'età media effettiva di pensionamento, mentre manifesta incertezze circa la capacità del federalismo fiscale di contribuire al contenimento della spesa. È inoltre imprescindibile una sostanziale riduzione dell'evasione fiscale.

Ma da un punto di vista più generale, gli interventi degli industriali e della banca centrale sopra riportati convergono su un'indicazione che è anche un'esigenza: è necessario abbandonare la politica degli annunci che restano tali, delle promesse alle categorie alle quali di volta in volta ci si rivolge, cui fanno seguito successivi ripensamenti, dei grandi progetti che restano sulla carta. I dati, purtroppo, non sono in questo senso confortanti: anzitutto va detto che l'Italia ha impegnato solo lo 0,2% del PIL in intervanti anticrisi a fronte di percentuali ben più consistenti degli altri Paesi europei.(4) In compenso, si è assistito a tutto un susseguirsi di iniziative e progetti più o meno impegnativi, di molti dei quali non si è più sentito parlare se non per sottolinearne il flop: social card, Tremonti bond, piano Marshall per il sud, Banca del sud e, ancora una volta, il ponte sullo stretto. E poi lo scudo fiscale che, secondo il Direttore Generale della Banca d'Italia "può avere effetti negativi sugli incentivi dei contribuenti a pagare le imposte in futuro" e il cui gettito una tantum, prima ancora di realizzarsi, è già stato fagocitato dalla voragine della spesa corrente.

La situazione impone di fare i conti con la realtà e di elaborare un piano di priorità e di interventi organici, oltre che realistici, per evitare che dalla crisi consegua l'indebolimento della struttura e del capitale umano del nostro sistema economico. Non si tratta di scegliere fra l'uovo oggi o la gallina domani: qui si rischia di rompere l'uovo e contemporaneamente tirare il collo alla gallina.

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