Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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Heelas   

Paul Heelas - La New Age. Celebrazione del sé e sacralizzazione della modernità

Editori Riuniti
pagine 302
anno 1999

Anche questo è un libro che ha più di dieci anni, ma siccome è tuttora in commercio e si tratta di un testo denso di informazioni e dalla chiara esposizione circa un fenomeno che, se non è più sulla prima pagina dei giornali e nelle inchieste dei media, non per questo ha cessato di esercitare un'influenza diffusa, è bene parlarne. La New Age ha molti antecedenti ma ha raggiunto la massima espansione con la cosiddetta crisi della modernità. Ossia con la disintegrazione dell'identità personale e quindi con il senso di insicurezza che ne sopraggiunge.
Per essere molto sintetici, la prima impressione è che si tratti di "un eclettico calderone di credenze, pratiche e modi di vita" che rubacchiano qua è là suggestioni, attività e terapie di salvazione. Insomma, una specie di ricerca della felicità, ora e dopo, confezionata su misura per l'utente. Niente di male e di proibito, ovviamente, se non per chi intende amministrare la felicità (e l'infelicità) altrui, oltre che le sue scelte morali, magari intrufolandosi di continuo sotto le lenzuola della gente. Si tratta di una legittima scelta personale alla ricerca di un'autenticità perduta (dove, ovviamente non si sa bene cosa voglia dire il concetto di autentico) e di una nuova spiritualità personale e dell'ordine cosmico (dove non si capisce a cosa si riferisca in concreto il termine spirito). Peccato che la rivista che nel 1907 popolarizzò l'espressione di New Age, riprendendola da suggestioni di fine Ottocento, avesse un'ispirazione vagamente razzista e occultista, come andava di moda a quel tempo. Ma nell'epoca dell'ingresso nella postmodernità, l'affermazione, tra l'altro, di un individualismo sovrano ha trovato modo di esprimersi nell'idea che tutte le opinioni sono legittime e quindi lo è anche l'interpretazione dei fatti. Idea piuttosto balzana che mette ad esempio sullo stesso piano il creazionismo nelle sue varie versioni (compresa quella del Disegno Intelligente) e la teoria dell'evoluzione. Per non parlare di più tragici casi estremi. Per altri versi, la New Age si presenta invece come "una spiritualità della modernità nel senso che essa fornisce (in vari modi) una sacralizzazione di valori ampiamente diffusi" e, in quanto guarda verso il futuro, sarebbe progressista. In effetti, miete molte vittime a sinistra. Insomma, per essere ancora un volta troppo brevi: una specie di Illuminismo senza razionalità. Il che, secondo me, è una contraddizione in termini.
Sono stati numerosi i tentativi di classificare il fenomeno, di cui l'autore ripercorre puntualmente le manifestazioni, tutte in maggioranza associate al tentativo di ribellarsi a autorità e dottrine religiose di vario tipo che hanno fallito il loro scopo. Tale fallimento – come vediamo - produrrebbe due fenomeni speculari. Da un lato una maggiore richiesta di autorità e la tranquillità di essere eterodiretti (magari dalla personificazione di una figura paterna). Dall'altro l'avvio di un itinerario personale di ricerca interiore, "di affidarsi a ciò che sentiamo che funziona", in una specie di rivoluzione dolce. In tutti e due i casi, è l'evanescenza della spiritualità, per cui la verità (con la V maiuscola o minuscola, a libera scelta) è affidata alle decisioni di quello che con un termine ambiguo e dallo scarso significato, se non per una cultura umanistica (e relative volgarizzazioni) attardata in un vetero freudismo, viene definito come il sé. Dove, per dirla con lo psichiatra e psicanalista Giovanni Jervis, "il sé non esiste e l'espressione il sé non ha senso".

Boncinelli   

Edoardo Boncinelli - Il posto della scienza. Realtà, miti, fantasmi

Mondadori
pagine 177
anno 2005

L'andamento di una reazione chimica non dipende dalla musica trasmessa da una radiolina accanto al ricercatore: "Come si fa a esserne sicuri? Non esiste alcuna maniera di esserne sicuri, lo si assume e basta. Il fenomeno non viene incluso tra quelli che occorre descrivere e solo il futuro dirà se tale assunzione era sensata o no. So bene che questo semplice trucco della scienza è difficile da digerire per molta gente, ma l'alternativa è una contemplazione mistica di un tutto che ha le caratteristiche del niente". In queste poche righe potremmo riassumere il senso di un libro straordinario per chiarezza e incisività, capace di mettere a tacere tante sciocchezze sul fatto che le recenti scoperte scientifiche avrebbero superato la stessa pretesa di oggettività e di certezza della scienza. I quali arzigogoli si fanno forti delle sempre nuove acquisizioni scientifiche per immaginare che, dunque, ciò che si diceva prima non era vero. Perciò, la scienza non sarebbe credibile. Ma la scienza procede per accumulazione di conoscenze e quella che precede quella attuale, per esempio la fisica, "era incompleta, ma non sbagliata". Tanto è vero che continuiamo ad usarla nella nostra vita quotidiana e nella stessa ricerca scientifica. Naturalmente, tale incompletezza non può essere colmata da credenze metafisiche o da uno straparlare filosofeggiando, ma solo da altre acquisizioni scientifiche. Non ricordo chi è che ha detto che la filosofia è quella cosa che si fa quando non sappiamo porre le domande giuste.
Inoltre, il carattere precipuo della scienza occidentale è che essa associa la speculazione razionale alla ricerca di un'applicazione pratica. "Nella sua versione migliore è un osservare per fare e un fare osservando". Ridotta a uno solo di questi due termini la scienza non esiste. Può diventare pura speculazione da parte di orecchianti tardo umanisti che travisano concetti e metodi scientifici oppure arenarsi nel pantano delle credenze tradizionali. Né possiamo pensare di non fidarci delle nostre percezioni fondamentali (possiamo noi conoscere il mondo?): se così fosse, se il nostro organismo non fosse finalizzato a valutare il mondo circostante saremmo estinti da molto tempo, assieme a tutta l'altra vita organica.
Ovviamente c'è ben poco da fare se una credenza rifiuta di mettersi continuamente alla prova perché ritiene "di essere valida sulla base della convinzione dei suoi adepti, anche numerosissimi". Nella scienza, invece, non c'è posto per nessun principio di autorità o per Enti superiori a cui rendere conto dei risultati. È qui che nasce la sua incompatibilità con la religione. E il fatto che la scienza si metta essa stessa continuamente alla prova viene preso non come esempio di integrità, di affidabilità e di progressivo ampliamento delle conoscenze, ma come generatore di incertezza.
Troppo ampi e davvero esaurienti sono gli argomenti esposti nel libro, che fanno giustizia di tante approssimative convinzioni largamente circolanti, per tentare di riassumerli qui. Per citarne solo una: la questione del riduzionismo di cui viene accusata la scienza. Ora, il riduzionismo è esattamente la procedura attraverso cui può esistere la scienza. Intanto dal punto di vista metodologico, cercando di spiegare un fenomeno sulla base di meccanismi e principi già noti. Che è la cosa – nota l'autore – "che ognuno di noi fa dalla mattina alla sera nella vita di tutti i giorni". E poi anche dal punto di vista ontologico, cercando di scomporre un fenomeno nei suoi costituenti elementari, di cui si conoscono già i comportamenti. "Il fatto è – aggiunge Boncinelli – che "non c'è nulla di concreto nel mondo che non abbia una struttura costituita da parti, costituite a loro volta da parti più piccole". Insomma, a proposito della complessità che viene spesso invocata contro il riduzionismo, un conto è cercare di spiegarla usando anche metodi riduzionistici, "sperando di arrivare e per accumulazione di conoscenze e per ampliamento delle leggi scientifiche alla spiegazione del funzionamento delle parti e del tutto", e un conto è quella che l'autore chiama "la mistica della complessità", che tende a negare che la realtà si articoli "su un certo numero di piani diversi".
Ma una recensione forzosamente così stringata non rende l'onore dovuto a un bel libro che si colloca sulla scia della benvenuta decisione da parte di molti scienziati di cercare di spiegare che cosa veramente fanno e che cosa si può dedurre dalla loro attività. Cercando cioè di affermare una cultura pubblica della scienza e contrastando le approssimazioni e le vere e proprie deformazioni che circolano spesso e volentieri a cura di chi vorrebbe che la scienza fosse ridotta a semplice tecnica. Più o meno come la riteneva Benedetto Croce.

DiNola   

Alfonso M. Di Nola - Lo specchio e l'olio. Le superstizioni degli italiani

Laterza
pagine 147
anno 2000

Un testo scritto più di dieci anni fa e più volte edito. Già, perché non è affatto invecchiato. Sembra, anzi, che nel frattempo la superstizione degli italiani si sia allargata. Colpa del declino nazionale per cui i santi non bastano più, nonostante la raffica di santificazioni del penultimo papa? Da diverse indagini pubblicate risulta che più di nove-dieci milioni di cittadini hanno rapporti con astrologia, magia ed occultismo. Si tratta del 17% della popolazione. Ma il fenomeno della superstizione è ben più ampio di chi decide in qualche modo di farsene parte attiva, o meglio, vittima per le più svariate ragioni personali. Quanti di noi non hanno mai fatto un gesto di scongiuro? E quanti hanno detto in modo colloquiale: non ci credo, ma...? Dove la particella dubitativa negava – o, almeno, metteva tra parentesi - quel che la precedeva.
L'affiancamento tra comportamento religioso e credenze superstiziose non deve suonare come un'offesa, perché "ogni comportamento religioso può assumere degli aspetti tipici di quello magico" – osserva l'autore. E fa l'esempio della differenza tra una preghiera che "coinvolga tutta la tensione emotiva e cognitiva dell'orante" e quella "recitata automaticamente, senza comprenderne i significati, come avveniva, nel culto cattolico recitato in latino". Forma ora rientrata in onore con il papa regnante. Naturalmente, c'è una differenza tra religione e magia. Per la prima il mondo soprannaturale può essere evocato ma non è dipendente dall'uomo, se non per effetto della fede, ma comunque grazie a una decisione che non è in suo potere. Per la seconda, parola, gesti e procedure stabiliscono un potere dell'uomo sul soprannaturale. In ogni caso, però, "la parola [o segni equivalenti, come i riti] ha il potere di creare o evocare la cosa denominata, come avviene nella Bibbia". Un'altra linea di confine inesistente tra le due sfere è quella dell'esorcismo, nonostante la Chiesa rivendichi "una netta distinzione tra i propri esorcismi e quelli delle altre culture". Non si sa bene a quale titolo, aggiungerei. Né il mondo islamico, con i suoi divieti e i suoi tabù (come quello relativo alla donna mestruata) può aspirare ad un abito razionale. Più o meno come molti aspetti della voga della New Age, sulla quale l'autore non si sofferma.
La rassegna delle pratiche superstiziose di un autore che è stato antropologo culturale e docente di storia delle religioni, è un contributo utilissimo per chi vuole esplorare taluni degli aspetti più diffusi e meno criticati del costume degli italiani. Astrologia, apparizioni, miracoli, allucinazioni, erbe magiche, pratiche iettatorie, sortilegi e malefici, numerologia, satanismo, invasamento, interpretazione dei fenomeni naturali e altre credenze popolari sono altrettanti capitoli di una scia che comincia da molto lontano, da quando l'unica, ancorché impotente, spiegazione del mondo sembrava trovare nell'animismo una risposta. Fino ad oggi, quando comportamenti razionali e spiegazioni scientifiche non sembrano essere sufficienti a quietare la nostra richiesta di senso e l'angoscia di dover cessare di vivere. Dove, sia chiaro, la razionalità, quella critica, non propone affatto una scintillante e repulsiva freddezza emotiva. Di qui l'armamentario messo in piedi per tranquillizzare la nostra impazienza e anche gli eventi.

Burri   

Collezione Burri - Catalogo delle opere dal 1948 al 1985

Fondazione Palazzo Albizzini
anno 1986

Ho già parlato in una precedente recensione di Alberto Burri e qui l'occasione per tornare sull'argomento è data meno dal catalogo delle sue opere e più dalle suggestioni e dalle impressioni di una nuova visita compiuta alla Fondazione Palazzo Albizzini di Città di Castello. Il catalogo è infatti piuttosto vecchio, però riproduce praticamente tutto ciò che è esposto nella Collezione, ed è reperibile solo in loco, ma ne esiste un'edizione del 2000 a cura della Skira.
Il punto è però che per Burri, molto più degli altri artisti, esiste una distanza siderale tra la riproduzione cartacea delle sue opere e l'emozione e la comprensione che ci restituiscono una visita diretta alla collezione permanente. Tale scarto emozionale ed estetico riguarda anche le mostre antologiche e critiche, come quella citata nella precedente recensione. Il senso di una ricerca che scavi fin nei più reconditi meandri della materia per restituircela come atto artistico e lo spiazzamento psicologico dato dalla visione ordinata dell'itinerario artistico di Burri sono comprensibili ed esperibili solo attraverso una ricognizione diretta di quella che appare come una delle più ardite e anche drammatiche sfide alle domande sul senso di un mondo in sé compiuto, quello dell'arte. La vecchia e superata diatriba tra arte figurativa e arte astratta qui cessa completamente di avere qualsiasi significato, aprendosi a quella grande stagione artistica denominata Informale. Delle tante definizioni che sono state date di questa tendenza, sviluppatasi tra gli anni Cinquanta e Sessanta, a me piace quella di Michel Tapié di Art Autre. Mi sembra che si attagli perfettamente all'opera di Burri.
Si tratta di un'esplorazione progressiva dei materiali che da mezzi espressivi diventano espressione di se stessi, nel tentativo di scatenare quella tempesta neuronale che effettivamente coglie lo spettatore nella rassegna delle sue opere.
La visita deve naturalmente partire da Palazzo Albizzini, dove si ripercorrono in modo cronologico le serie stupende dei vari passaggi sperimentali compiuti, il cui biglietto da visita è rappresentato dall'acrilico Pannello FIAT del 1950. Poi si susseguono i sacchi, i legni, i ferri, le combustioni plastiche, i cellotex, i cretti e, infine le serigrafie, in cui il dettaglio morfologico e il contesto visivo sospendono lo spettatore tra l'impulso irrazionale e la logica di una restituzione artistica della materia e dei suoi alterati colori. Poi ci vuole una pausa, per prepararsi, credendo di aver visto tutto o almeno l'essenziale, alla visita ai neri ex Siccatoi del Tabacco, dove senza troppa retorica si gioca a sorpresa l'apoteosi dell'arte.
Questo luogo è una cattedrale del sogno umano di ricostruire il mondo a partire dai suoi dati più semplici, dalle sue cifre primarie. Le opere esposte non sono apprezzabili prese singolarmente, ma rappresentano delle serie che si susseguono secondo un ordine dapprima misterioso, scandito dai giganteschi ambienti in cui sono esposte. Nel proseguire assorti la visita, ad un certo punto, si capisce che qui si tratta di un'opera sinfonica contemporanea. Penso che se venisse riprodotta in sottofondo certa musica di Philip Glass o di Giovanni Allevi, l'esperienza del visitatore sarebbe ancora più sconvolgente, sconfinando nell'arte totale. Sarebbe una splendida sfida il cercare di far coincidere le diverse partizioni musicali con il timbro diversificato di ognuna delle immense sale. Ma già così, arredando questo mondo con i segni di una realtà primigenia e compatta, spesso geometrica, Burri ci ha restituito un mondo altro, che non è soprannaturale, ma che nasce dal nostro sentire, dalla nostra ricerca totalmente umana, in una grandiosa, avvolgente e coinvolgente religiosità che anima assieme l'ambiente e le opere esposte.

Benelli   

Enrico Benelli - Iscrizioni etrusche leggerle e capirle

SACI edizioni
301 pagine
Anno 2007

Tra qualche giorno sarà in libreria Iscrizioni etrusche di Enrico Benelli (del 1993: Le iscrizioni bilingui etrusco-latine). Lo recensisco non solo perché, leggendolo, mi è venuta un po' di nostalgia del tempo in cui mi interessavo più assiduamente di questioni etrusche (e maremmane), ma perché si tratta di un libro scritto in linguaggio chiaro e rigoroso, con un'alta leggibilità anche per chi non è specialista della materia. Ciò che è un pregio non da poco, considerato che in Europa (ma poco in Italia) si sta ormai discutendo di una "terza missione delle Università" (dopo quella didattica e della ricerca) che consiste nell'aprire un dialogo costruttivo e organizzato tra i saperi che nascono al suo interno e il complesso della società, la quale dovrebbe oramai diventare una società della conoscenza. Mi pare che Benelli, ricercatore e docente, assolva in modo brillante a questo compito, con un libro contemporaneamente diretto agli studiosi e a un più vasto pubblico interessato all'archeologia, e all'etruscologia in particolare. Il che rappresenta, appunto, un merito non da poco e una sfida a mio parere riuscita.
Con un linguaggio asciutto e non privo qua e là di qualche sfumatura ironica, l'autore introduce il lettore ai fondamenti della linguistica fornendogli nella prima parte del libro un esauriente vademecum dei problemi e dei metodi con cui deve misurarsi il linguista, specialmente delle lingue morte, o meglio, delle "lingue di attestazione frammentaria" (Restsprachen). Ossia di quelle per le quali "non possediamo né testimonianze letterarie né culture linguistiche ancora viventi che ne siano dirette eredi". L'etrusco è naturalmente tra queste ma, nel panorama della linguistica antica, "non rappresenta un'eccezione, ma piuttosto la regola". Con buona pace delle tante vulgate popolari che ancora circolano circa la misteriosità degli etruschi e della loro lingua.
Del resto, il carattere isolato dell'etrusco, con lontane e incerte parentele con due sole altre lingue (retico e lemnio), deve anche mettere in guardia, osserva l'autore, da "tanta bibliografia divulgativa (purtroppo prodotta in parte anche da studiosi altrimenti validi) che sforna traduzioni complete dell'etrusco (da trattare con estremo sospetto non diversamente dalle cure per tutti i mali)". Insomma, attenti anche a certi siti Internet, aggiungo.
Superata l'introduzione metodologica e i problemi generali legati all'interpretazione della scrittura, il libro offre 107 schede relative ad iscrizioni etrusche, scelte secondo varie tipologie, delle quali fornisce la trascrizione, il contesto e le considerazioni linguistiche di base che possono interessare lo studioso ma anche l'appassionato. È stata notata, nella presentazione del libro, l'apprezzabile concretezza di Benelli.
Un libro consigliato, in conclusione, agli studenti, agli appassionati di cose etrusche ma anche a chi desidera leggere un testo esaustivo sulla lingua etrusca. Un tema, quello dell'etruscologia, da non considerare materia per soli specialisti. In un'epoca i cui si parla spesso di radici in modo un po' troppo ideologico, vale la pena di non dimenticare una delle tante nostre radici (biologiche e culturali).

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