Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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Pallottino   

Paola Pallottino (a cura di) - Il giornalino della Domenica

Bononia University Press
pagine 174
anno 2008

Il catalogo è disponibile sul sito della casa editrice, la mostra è stata inaugurata a Bologna l'1 ottobre 2008 (Palazzo Saraceni) e continuerà fino al 2 novembre. Vale la pena di leggere e vedere l'uno e l'altra. Anche chi, ma credo che siano pochi, nella sua infanzia non ha frequentato giornalini e fumetti, rimarrà colpito dalla ricchezza delle immagini e dalla puntualità della ricostruzione inconografica e documentaria. Perché la mostra non è solo la rivisitazione di un tempo ormai lontano (Il giornalino della Domenica cominciò a uscire nel 1906 e terminò le pubblicazioni nel 1927), ma è anche un osservatorio in qualche modo privilegiato per cogliere gli umori, le idiosincrasie, gli innamoramenti e i miti di un'epoca nel cui mezzo (la Grande Guerra) il Novecento salutò definitivamente l'Ottocento e si avviò verso la tragedia del fascismo.
Con la sua ispirazione pedagogica, nutrita inizialmente di repubblicanesimo mazziniano e di nazionalismo, il fondatore Luigi Bertelli (Vamba) è stato un po' lo specchio della traiettoria culturale e politica compiuta da una generazione di democratici e di laici, piegatisi a un generico antiparlamentarismo venato di qualunquismo e di delusione sociale. Una traiettoria che lui non completò per la morte sopravvenuta nel 1920. Del resto, come si mette in evidenza in uno dei saggi del catalogo, il pubblico privilegiato a cui si rivolgeva la pubblicazione era quello della borghesia colta e non priva di mezzi. La storia successiva de Il giornalino dovette fare i conti con traversie editoriali, con la concorrenza, con il cambiamento dei gusti e degli orientamenti culturali, con un nazionalismo che si era trasformato in fascismo. Ma quelli che erano stati i lettori del periodico ebbero piena rappresentanza anche tra le file degli antifascisti, soprattutto, penso, dopo la promulgazione delle leggi razziali.
Nel suo saggio introduttivo, Paola Pallottino richiama gli aspetti principali della nuova esperienza editoriale de Il giornalino che il visitatore riuscirà a bene riconnettere guardando le immagini e i documenti esposti nella mostra. In primo luogo, va sottolineato il progetto pedagogico che sorreggeva l'iniziativa, ovvero che esso "poggiava su un inedito atteggiamento di rispetto nei confronti dei diritti dei bambini e di sentita partecipazione alle loro esigenza". Un approccio che comprendeva le bambine, allora ancora discriminate nell'educazione. Luigi Bertelli era l'autore del Il Giornalino di Gian Burrasca che, apparso a puntate sul settimanale, aveva attirato "gli strali dei benpensanti dell'epoca". Appassionatamente patriottico e irredentista, Vamba fece filtrare ampiamente queste ispirazioni fin nella deflagrazione della Grande Guerra.
Ciò che però colpisce è "l'inedita qualità grafica destinata all'editoria per l'infanzia", come anche la qualità degli scrittori coinvolti nell'impresa dal fascino irripetibile di Vamba. Insomma, adottando dapprima uno stile liberty e in seguito decò, le suggestioni e le proposte dell'arte contemporanea (certo non tutta) entrarono nell'educazione infantile con tavole talvolta geniali e sempre di fattura raffinata, promuovendo anche per questa via una formazione iconografica moderna. Gli autori delle copertine venivano reperiti anche attraverso concorsi, così come venivano banditi concorsi letterari, fotografici e enigmistici tra gli abbonati, delineando così una vera e propria comunità che riuscì persino a darsi un'organizzazione territoriale.

Napoleoni   

Loretta Napoleoni e Bee J. Ronald - I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere paura

il Saggiatore
pagine 143
anno 2008

Continuazione e approfondimento tematico dell'altro libro dell'autrice sull'economia canaglia e anche di quello intitolato Terrorismo SpA, il testo esamina il fenomeno del terrorismo servendosi delle statistiche ufficiali, che nella comunicazione mediatica ispirata dai governi scompaiono per fare posto a una politica della paura che serve a ben altri scopi. Quello che sta chiaramente emergendo, anche a seguito della crisi finanziaria in corso, è che la "politica della paura" adottata, per esempio, dalla Presidenza degli Stati Uniti è stato uno degli strumenti principali per forzare e convogliare processi economici e politici tentando di attuare un governo unilaterale del mondo. L'autrice non lo cita perché questo aspetto non appartiene al tema del libro, ma per convincersene è anche utile rileggersi il Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC) di uno dei massimi circoli conservatori americani, i cui membri influenzano ancora notevolmente il governo. La guerra al terrorismo, così come è stata concepita e praticata, non ha fatto altro che alimentarlo e la follia economica che ne è stata il corollario (impennata dei prezzi del petrolio, indebolimento economico, deficit spending, Patriot Act), affermano gli autori, non ha prodotto altro che una destabilizzazione mondiale e un pauroso scenario politico-economico: "le radici del cambiamento vanno ricercate nella risposta americana all'11 settembre: la politica della paura".
È interessante, tra l'altro, notare che il terrorismo è una delle eredità del Novecento, figlio dell'epoca della Guerra fredda che, non potendo essere combattuta direttamente, ha alimentato guerre per procura con scarse differenze tra le tecniche utilizzate dalle due superpotenze. Quella che gli autori definiscono come la privatizzazione del terrorismo, cioè la nascita di organizzazioni armate indipendenti, ha poi visto la luce "tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta" e ha subito un'accelerazione organizzativa e finanziaria a seguito della deregolamentazione selvaggia dei mercati finanziari internazionali, che ha facilitato "la fusione della nuova economia del terrorismo nell'economia internazionale della criminalità e dell'illegalità". È stato stimato che fino all'11 settembre il giro finanziario internazionale del terrorismo ascendeva a circa 500 miliardi di dollari, il cui riciclaggio, per inciso, a seguito del Patriot Act americano, si è spostato dagli USA all'Europa.
Ma il pregio del libro è anche nell'analisi della infondatezza statistica e pratica dei vari allarmi che sono stati alimentati in Occidente per sostenere un politica della paura. Come la ridicola storia delle bombe nucleari portatili (una bufala inventata da un generale russo ai tempi del primo conflitto ceceno) o il terrore per le cosiddette bombe sporche che non hanno un raggio distruttivo superiore a quello dell'esplosivo convenzionale necessario per farle deflagrare, ma che impressionano l'opinione pubblica a causa del termine radiazioni. Il terrorismo, a parte l'11 settembre, ha colpito soprattutto nei paesi arabi e in via di sviluppo, non in Occidente, dove la distrazione di forze e di risorse ingenti per combatterlo non ha fatto altro che ridurre, secondo fonti dell'Europol, la capacità di contrastare la criminalità organizzata, avvitando l'opinione pubblica in un loop della paura. Il fatto è, osservano gli autori che "le statistiche sulla criminalità indicano che 8 dei 10 paesi più pericolosi al mondo si trovano in Occidente, con gli Stati Uniti al primo posto, Il Regno Unito al secondo, la Germania al terzo, la Francia al quarto e l'Italia al nono". E che Londra è stata definita nel 2007 dall'Unione Europea "capitale europea del crimine". Dove, con la scusa della lotta al terrorismo il governo ha varato in questi giorni un enorme progetto per mettere sotto controllo "le sessioni di navigazione, gli indirizzi IP, i dettagli delle conversazioni VoIP, il flusso delle email che vengono scambiate", aggiungendoli al controllo delle telefonate, dei messaggini e MMS.

Bauman   

Zygmunt Bauman - La solitudine del cittadino globale

Feltrinelli
pagine 227
anno 2008

Bene ha fatto Feltrinelli a ristampare questo libro di Bauman, un autore di cui è possibile leggere molti importanti saggi in circolazione. Le metafore sociologiche dell'autore, come modernità liquida o vita liquida, che designano la postmodernità, sono ormai citazioni correnti.
Il tema centrale del libro è quello dell'autonomia, dell'individuo e della società, lo stesso che sottostà al titolo del libro, come necessità storica ma anche come difficoltà esistenziale. Perché, riprendendo Cornelius Castoriadis, l'autonomia accompagna l'incertezza, la problematicità. Cominciò con la Grecia, in cui l'Aeropago ateniese decise di far precedere la promulgazione delle leggi dal laico preambolo "sembra giusto al Consiglio e al popolo", scandendo così la fisionomia di una società umana autodiretta, non figlia di un dio o di leggi extrastoriche, di matrice umana o soprannaturale, che è granitica nelle sue certezze in quanto è eterodiretta. Che è poi il sogno di tutte le dittature, da quelle feroci a quelle più morbide. Autonomia della società e autonomia dell'individuo si specchiano e si alimentano reciprocamente e siccome comportano non la campitura di una "identità che rimane sempre identica a se stessa", ma la prospettiva "di uno sforzo di identificazione che non ha mai fine", ciò porta al centro del problema il principio di responsabilità, in cui la persona non è la maschera della propria rappresentazione, con tutto quel che di fasullo questo porta con sé, ma ciò che riesce a fare davvero di se stessa. Naturalmente, l'incertezza per essere sopportata e gestita richiede però strumenti culturali non banali.
Vi è strettamente connesso il rapporto "tra libertà dell'individuo dall'interferenza e il diritto del cittadino ad interferire", ovvero la questione del bene comune, di cosa è e in cosa si identifica. Qui dice l'autore, il treno del repubblicanesimo (inteso come res publica) e quello del liberalismo divergono: "mentre il liberalismo è intenzionato a scendere dal treno repubblicano alla stazione nota come laissez faire", quello del repubblicanesimo "prosegue puntando a rimodellare la libertà degli individui in una comunità capace di autodeterminarsi"; in buona sostanza, "mettendo così la libertà individuale al servizio della ricerca collettiva del bene comune". Ora, osservo, nella crisi mondiale in corso stiamo assistendo al tentativo del liberalismo/liberismo di salire sul treno del repubblicanesimo rimanendo fermi alla stazione del laissez faire. Quanto e se riuscirà questa acrobazia ferroviaria che paga i propri debiti con i soldi collettivi e mantiene nel portafoglio i profitti non è dato prevedere, ma quel che è certo e che è stata anche la cosiddetta crisi delle ideologie o delle narrazioni, spesso falsificata da farisei e dintorni, a preparare il terreno per l'attuale impotenza teorica del cittadino.
Qui Bauman analizza in modo magistrale le varie nozioni di ideologia succedutesi nel tempo, dove nella fase finale del secolo appena trascorso quella che ha teso prevalere è un'idea di società priva di critica, in cui non c'è più posto per le "critiche del modo in cui sono fatte le cose; niente più giudizi o censure del mondo mediante il confronto del suo stato attuale con un tipo migliore di società. L'intera teoria e pratica critica sarà d'ora in poi frammentata, deregolamentata, autoreferenziale, straordinaria ed episodica, come la stessa vita postmoderna". Ma la ragion d'essere di questa modalità di pensiero è stato il fenomeno della mercatizzazione universale, autodefinitosi non ideologico in quanto naturale.

Napoleoni   

Loretta Napoleoni - Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale

il Saggiatore
pagine 310
anno 2008

Potremmo iniziare a parlare di questo importante libro da dove è terminata la recensione precedente, dicendo che la seconda marina mercantile del mondo, quella cinese appunto, pressata da una domanda interna in crescita esponenziale, trasgredisce alle regole di pesca internazionali – come la maggior parte delle altre – compiendo veri e propri atti di pirateria e di assoggettamento degli equipaggi a un regime di schiavitù. Tra non molto tempo, ai ritmi di prelievo attuali, i mari saranno deserti di pesce commestibile. Si tratta di veri e propri racket (tra Mediterraneo, Baltico, Atlantico e Pacifico) che coinvolgono la Triade cinese, la mafia russa e quelle siciliana e marsigliese. Per il Mediterraneo si tratta di un quadrilatero (Spagna, Francia, Italia, Libia) che ha il suo epicentro di smercio nelle Isole Canarie.
Il caso della pesca non è nemmeno il più scioccante in un libro che mostra in modo documentato come l'altra faccia oscura della globalizzazione, quella illegale, delle truffe, del contrabbando, della tratta e della riduzione in schiavitù degli esseri umani, dei traffici illeciti, delle speculazioni criminali, del riciclaggio di denaro sporco e persino della moderna pirateria sono legati per mille fili all'economia ufficiale. Anzi, ne rappresentano non solo l'altra faccia ma un elemento costituente e ormai perfettamente integrato nel sistema. Mentre parliamo di diritti della persona e di democrazia il mondo intorno a noi (anzi, con noi), sotto una coltre di belle parole, di concetti astratti e di complicità mediatica sembra essere in preda a un delirio criminale. Indifferenza, distrazione colpevole, disinformazione, quieto vivere, mondi immaginari appositamente costruiti e anche tacite convenienze di consumatori e spesso convenienti connivenze, formano come una barriera nebbiosa che impedisce una drammatica presa di coscienza sui prezzi che l'umanità (e i nostri posteri) sta pagando a causa di un modello di globalizzazione iniquo e criminogeno. Un mondo di colletti bianchi e di manovali dell'esecuzione (spesso prigionieri di meccanismi infernali) in cui sembra di essere tornati, sotto il trionfo di una pseudo-modernità e di un consumismo patinato, al peggiore immaginario medievale. Anche dal punto di vista di un'accresciuta e a questo punto intollerabile disparità dei redditi.
L'autrice sa bene di cosa parla. Consulente di governi sulle strategie e sui meccanismi del terrorismo, esperta di economia internazionale, collaboratrice di numerose forze dell'ordine, Napoleoni individua nel passaggio dallo Stato-nazione allo Stato-mercato il varco attraverso il quale l'anarchia dell'economia ha assoggettato la politica, spalancando anche le porte a vecchie e nuove criminalità. I politici, afferma l'autrice, sono perciò diventati inetti e ridotti a deviare l'attenzione dai veri problemi verso cause e iniziative immaginarie, in cui peraltro fanno più danni che altro, come nel caso del regime degli aiuti ai paesi poveri. Sembra così che l'equazione + mercato = + democrazia, che ha forse funzionato un po' per un certo periodo dell'ultimo dopoguerra, stia andando in frantumi. Un nuovo ordine mondiale è di là da venire e, probabilmente, abbiamo di fronte un lungo periodo di instabilità e di turbolenze internazionali, finché la mercatizzazione universale non sarà governata e regolata da un controllo internazionale. Purché non sia troppo tardi. Ma nel frattempo, miliardi di persone saranno passate attraverso il tritatutto di un'economia oscura e anarchica.

Pisu   

Renata Pisu - Cina. Il drago rampante. Tra modernità e tradizione un paese alla ricerca di una nuova identità

Sperling&Kupfer
pagine 289
anno 2007

"In Occidente le campane suonano a martello. Nessuno le ascolta. In Cina ululano le sirene d'allarme. Nessuno pare farvi caso". Ma il punto, secondo l'autrice è che "la Cina ci coinvolgerà tutti, più dell'Islam". Alla fine di un libro che è una riuscita corsa ad ostacoli rappresentati dalla difficoltà di comprendere una storia e una civiltà così diversa da quella occidentale e che l'autrice riesce a compiere grazie alla sua lunga frequentazione del paese e alla conoscenza della lingua, il quadro che il lettore si fa di questo vero e proprio continente è, a dire poco, problematico. Se nessuno in Occidente sa per davvero dove stiamo andando, la velocità con cui la Cina sta cambiando, senza anch'essa sapere se ci sarà qualche fermata o un capolinea, lascia aperte tutte le possibilità. Quella di una dissoluzione statale, quella di un'esplosione selvaggia della profonda Cina contadina, quella di una destabilizzazione internazionale, quella di un disastro ambientale e economico senza precedenti, oppure, come accade da millenni, quella di un riassorbimento delle sconvolgenti novità degli ultimi decenni nella Cina eterna e sempre uguale a se stessa. Credo poco a quest'ultima possibilità perché l'esauriente rassegna culturale, sociale, storica, politica e di costume di Renata Pisu, ci suggerisce che l'introduzione selvaggia del mercato e la crescita esponenziale dei consumi stanno già producendo effetti prima impensabili in tutto il mondo (si pensi al costo delle materie prime schizzate alle stelle, alle destabilizzazione dei mercati del lavoro occidentali, all'accumulo spaventoso del debito americano nelle riserve monetarie cinesi e così via). Ma stanno anche moltiplicando un fenomeno nuovo e pericoloso per la stessa democrazia: quello della scissione tra consumatore e cittadino, dove la qualità del secondo è sempre più depressa, svuotata di contenuti, e quella del primo sempre più esaltata e manipolata.
Il deragliamento della situazione cinese e internazionale potrebbe essere questione di poco. Quando pensiamo alla Cina siamo impressionati dalla sua improvvisa prosperità accompagnata da un'illusoria stabilità (anche per colpa dei taciturni e tacitati media) e, in effetti – come ci ricorda l'autrice – non c'è dubbio che tre o quattrocento milioni di cinesi o stanno bene o hanno reali speranze di migliorare la loro condizione. Già, ma sono solo circa un quarto della popolazione: gli altri tre quarti sono tagliati fuori, campano a stento e nelle campagne le condizioni sono tornate ad essere quelle di una condizione diseredata e spesso al limite della sopravvivenza. L'autrice definisce questa situazione come la prigione delle campagne. Per non parlare del fatto che negli anelli esterni delle stesse città in tumultuoso ammodernamento e crescita si accampano milioni di miserabili le cui condizioni economiche e sociali ricordano quelle della prima feroce industrializzazione occidentale. Dove porta questo sviluppo disuguale? E se il regime riuscisse a portare la maggior parte dei cinesi al livello di consumi medi occidentali, seguendo il suo modello di viluppo, le risorse della Terra non basterebbero. Questo per dire che forse siamo già arrivati al capolinea, in Occidente come in Oriente. Per dirne una, chi potrà fornire alla Cina i due o trecento milioni di tonnellate di cereali di cui avrà presumibilmente bisogno nel 2020? Nessuno, ci ricorda l'autrice, citando il rapporto dell'attendibile Worldwatch Institute. Ma il libro non va letto solo in questa chiave: esso rappresenta soprattutto un riuscito sforzo per introdurre gli occidentali nei meandri della diversa mentalità cinese e per tentare di superare gli stereotipi di cui siamo prigionieri. A cominciare dal fatto che negli appellativi cinesi il cognome viene prima del nome proprio e che, quindi, gli stessi giornalisti dovrebbero cominciare a capire che non possono citare personaggi cinesi chiamandoli familiarmente con l'equivalente di John o di Mario.
Questo, oltre ad essere scritto in una lingua veloce e precisa, è un libro da cui si può imparare molto.

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