Un romanzo ben scritto, ma "tecnicamente" sbagliato

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La bellezza è un malinteso
Sandrone Dazieri
Mondadori, 2010

Che Sandrone Dazieri sappia come si scrive – nel senso dello "stile" - una detective story d'azione, è lapalissiano: un genere, questo, che appare come l'ntersezione fra la detective story classica e la hard-boil crime/thriller fiction; un settore misto, insomma, tutto sommato sparuto in Italia.
Conosce il mestiere, nel senso predetto, il Nostro.
Ha già all'attivo più di un poker di romanzi, tutti costruiti su quest'io narrante suo omonimo, detto "il Gorilla", in ragione della sua possanza fisica indistruttibile. È un ex ufficiale di polizia giudiziaria il quale, dopo avere salvato la pellaccia per il rotto della cuffia, ha dismesso la divisa per fare, in proprio, l'investigatore privato autorizzato.
E d'altronde il nostro Autore ha anche ricoperto, per alcuni anni, un prestigioso ruolo "di settore". Presso il suo editore dirigeva, infatti, la collana dei gialli eponimi.

Lo stile in parola è secco e micidiale, come un disinfettante puro.
Tende a una perfezione d'inseità come Rock 'n' roll suicide di David Bowie - nella celebre esecuzione fatta dal Duca Bianco a chiudere il concerto di Santa Monica del '72.
Somiglia, la pagina di Dazieri, a Leave me alone, tratta dall'album Bad, anch'essa eseguita live dal Peter Pan del pop-rock mondiale.
E, che si siano scelti, in senso vagamente paradigmatico, due grandi autori musicali di lingua inglese – qui e ora -, non è un caso, proprio perché, con un certo italiano strascicato e verboso, Sandrone Dazieri non ha nulla, per sua fortuna, a che vedere.
Insomma, tutto si può dire meno che Dazieri debba stare, per dirla con Fabrizio De Andrè, "attento al gorilla". Il rischio, cioè, che Egli prenda dei granchi stilistici, narrando le gesta del suo personaggio omonimo, risulta praticamente inesistente.

Così non stupisce che, anche in quest'ultimo suo lavoro, il Nostro si mostri acuto, attento all'action, capace di tenere inchiodato il lettore per duecentottanta pagine fitte come una giungla, stimolanti come l'aglio masticato puro, movimentate come un luna park d'antan o come un ambaradan circense, nel quale vi è sì "disarmonia" disastrata, ma, per dirla con Gian Carlo Roscioni, ben "prestabilita".

La storia, tutta ambientata in una Milano livida di freddo e lattiginosa, nasce da una verifica assicurativa per piccoli furti su mezzi di trasporto pesante.
Il conducente, sentito dal Gorilla che è incaricato dalla società di assicurazioni, dopo pochi giorni si getta sotto la metropolitana, sicché l'io narrante è convocato dal magistrato che indaga sulla morte e, in quella occasione, incontra il personaggio che mette in moto tutta l'avventura mostrandogli, nella confusione mattutina del celebre bar che sta all'angolo tra via Freguglia e corso di Porta Vittoria (il bar degli avvocati), un video che ritrae il suicida negli ultimi istanti della sua vita, prima del folle tuffo sotto il convoglio underground.
Il Gorilla non sarebbe tale se, ben al di là dei suoi stretti obblighi consulenziali con l'assicurazione, non si mettesse a indagare per conto proprio, seguendo un filo d'indizi e di fatti sopravvenuti, che l'Autore mette in piedi e dipana, uno dopo l'altro, con sapiente ed efficace maestria.
La suspance è garantita, al pari del brivido cercato dal protagonista come se fosse dell'assenzio per Baudelaire.

Bene ci sta davvero, lungo tutto il romanzo, quella fisicità autocosciente del Gorilla, alle volte straziata dai delinquenti eppure mai spezzata.
Bene ci sta tale fisicità, perfettamente evocativa della durezza dei rapporti interpersonali nel capoluogo lombardo, specie quando ci si mette, a isolare cose e persone, anche un "inverno bestia", come si dice sotto la Madonnina.
Bene ci stanno, altresì, i colpi di scena, e i folli inseguimenti, e i duri pestaggi; si aggiunga la moglie russa del Gorilla, ben disegnata, nonché i suoi vecchi amici, i quali sempre lo supportano quando c'è uscire dai vicoli cieci.
Bene ci sta, ancora, il retroscena e la sua soluzione progressiva, al suono di pestaggi subiti e di altri rischi tosti.
Bene ci sta tutto ciò, perché Dazieri - lo si capisce già dal nickname del suo protagonista - fa parte del clan dei duri della Milano anti-delinquenziale.
E infatti egli, se anche di Scerbanenco condivide l'ambientazione (di "notti e nebbie", per dirla con Cassola), è più vicino a un Pinketts per quella fisicità metropolitana lombarda, un po' troppo da "feldmaresciallo" a dire il vero, ma tuttavia efficace nella pagina e nell'immaginazione del lettore.
Rispetto allo stesso Pinketts, però, Dazieri è anche molto diverso, perché più realista; e poi meno "drink a Brera" (oppure à Le trottoir, nuova sede "fluviale" di piazza XXIV maggio) e meno donnine in televisione; semmai più "crime news" - di quella cronaca che, tra il '72 e il '79, stava a Milano nel quotidiano di settore per antonomasia: La notte.
Sandrone, del resto, appare più seguace del Martin Riggs/Mel Gibson di Leathal weapon, piuttosto che del Chandler/Marlowe reso dal glaciale Robert Mitchum.
Siamo, in tutt'altro contesto di collegamenti, più sul filone cantautorale meneghino di un (seppure marchigiano di nascita) Gianfranco Manfredi (non a caso autore di un romanzo come Cromatica), piuttosto che di un Enzo Jannacci, antiborghese trasognato quant'altri mai, eppure – fisicamente esile - cardiochirurgo d'urgenza.

Va bene tutto, insomma.
Ma non – purtroppo per il Nostro - nel rigore tecnico dei contenuti.
Ché, invero, vi è un appunto piuttosto greve da muovere a questo romanzo, nel suo essere asseritamente tutto meno che fantasy – e dunque "realista di genere".
Dazieri, cioè, è tutto meno che realista e preciso in punto di diritto, per ciò che concerne i fatti narrati.
Anzitutto, appare alquanto "improbabile" (a voler essere generosi), che un magistrato, al termine di un'udienza, si rivolga a chi è appena comparso al suo cospetto (il Gorilla), dicendogli che fuori della porta "c'è qualcuno che lo aspetta" – come se, chiuso il verbale, un magistrato possa realisticamente trasformarsi in una sorta di portiere d'albergo, il quale peraltro non fa nemmeno il nome di colui che annuncia al ospite.
Inoltre, gli è che, se si seguono tutte le condotte del Gorilla, ci si avvede tosto del fatto che, se pure a fine di bene - e con un ottimo esito conclusivo contro "i cattivi" (taluni poliziotti "marci" inclusi) -, quest'io narrante inanella una tale serie di violazioni di legge e abusi anche informatici - di rilevanza civile e penale -, che non si possono cancellare con la bacchetta magica,o fare finta che non rilevino in chiave critica (viste le premesse . e promesse - autorali).
Né d'altronde, per tali illeciti di varia natura - se pure commessi da un investigatore privato "autorizzato" -, si possono fondatamente invocare (come forse invece, erroneamente, si fa tra le righe del racconto) talune scriminanti (o scusanti, o cause di giustificazione, o cause di non punibilità stricto sensu intese, che dir si voglia).
Mi riferisco a circostanze che, per legge, escludono l'antigiuridicità delle condotte; quali l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere, lo stato di necessità, e via dicendo.
Infatti, è fuor di dubbio che, in capo al Gorilla nel momento in cui egli pone in essere tutta una catena di condotte per se illecite, non sussiste alcun diritto, né adempimento di dovere di sorta, da fare valere/esercitare in concreto; e ciò neppure quale investigatore privato autorizzato, a quest'ultimo siccome tale essendo semmai consentiti, dai nostri codici penale e di procedura penale, ben altre condotte (al versante strettamente penale, dipoi, si collega l'illecito aquiliano civile insito, pure esso insito in più di un'agere del Gorilla, giusta quanto disposto, in materia di danno extracontrattuale, dal nostro codice civile).
Sembrerebbe ictu oculi fare eccezione solamente – e dunque essere applicabile in taluni comportamenti, peraltro isolati, del Gorilla stesso - l'esimente della legittima difesa. Ma, anche qui, va detto che, secondo quanto precisato dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 11 maggio 1980, in Riv. pen., 1980, 987), viene meno il requisito della necessità della difesa, o della ingiustizia dell'offesa, ogniqualvolta la situazione di pericolo è volontariamente cagionata dal soggetto che reagisce: e ciò, purtoppo, accade quasi sempre nelle "scorribande" invasive del nostro investigatore "fisicato" e intraprendente.
Piuttosto, alle volte il Gorilla potrebbe tentare d'invocare, ex post, lo stato di necessità quale ulteriore causa di giustificazione. Ma – si badi bene – questa esimente vale soltanto quando l'agente è spinto dalla necessità di salvare non già se stesso, bensi altri, dal pericolo attuale di un grave danno alla persona - viceversa venendo in considerazione la legittima difesa di cui si è detto. Epperò questa scusante in senso tecnico, per il Gorilla, risulta essere applicabile soltanto in parte delle sue condotte aggressive (isolate e finali, per lo più), le quali di per sé sono illecite eppure non antigiuridiche; ma ciò non vale affatto con riferimento a tutti gli atti illeciti posti in essere dal protagonista nel fitto racconto d'azione.

Che se poi, per avventura, si volesse opinare che il Gorilla non è imputabile per incapacità d'intendere e di volere, a sua volta cagionata da quella sorta di doppione interiore che lo spinge alle predette azioni – "il Socio", come lo chiama il Nostro -, beh, allora bisogna però pensare che assai difficilmente, e legittimamente, il Gorilla stesso potrebbe svolgere, in siffatte condizioni psichiche, la professione e l'attività d'investigatore privato autorizz.ato.

In conclusione dunque, nonostante le ottime apparenze – le quali però si esauriscono sul piano strettamente stilistico –, il romanzo in parola, ad avviso di chi scrive, va cassato senza rinvio per disinformazione, mancanza di doveroso approfondimento tecnico, e gravi carenze settoriali.
La prossima volta – viene per ciò da dire - Sandrone Dazieri, se vuole sensatamente e a rigore, fare compiere al suo Gorilla tutto ciò che crede – quasi fosse legibus solutus soltanto perché questi è un detective privato -, allora scriva di un milieu e di un'atmosfera corruscamente immaginari (per esempio à la Pinketts), ed eviti accuratamente uno pseudo-realismo, il quale, nel libro in esame, rischia di risultare stridente nonché, sul piano rigorosamente tecnico, finanche diseducativo per i (giovani) lettori.
Che si munisca insomma, il Nostro prima di scrivere, in futuro delle opportune consulenze legali e giudiziarie (anche sui magistrati, fra l'altro); visto che ne ha certamente il tempo e la possibilità, oltre che il dovere - e visto, in particolare, il settore letterario nel quale ha liberamente deciso di arrampicarsi e muoversi.

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