Campo de fiori

 

Passeggio per campo dè fiori, è notte fonda e Roma è carica di odori, il Tevere è vicino, ne sento il respiro.
Al centro della piazza c'è il monumento eretto a un filosofo; anni fa lo eressero per attaccare la chiesa e onorare il libero pensiero.
Il luogo esatto dell'esecuzione non è il centro della piazza ma un angolo, credo lì in fondo a destra. Torno indietro con la memoria...

È l'alba fredda di febbraio, Roma festeggia il Giubileo e trasuda pellegrini; una folla stracciona attende in piazza. Qualche bottegaio di via dei giubbonari si appresta ad aprire bottega. Qualche frate del monte dei pegni e di San Salvatore in campo arriva ciabattando coi sandali.

Qualcuno ha ancora negli occhi la bellezza e la morte della figlia di Cenci: il movimento del corpo dopo il taglio della testa, quel cadere e scalciare all'indietro; le tette coperte di sangue fuori dal vestito, la bellezza tragica e grottesca della morte... Che gran spettacolo a Castel Sant'Angelo. Una volta era il mausoleo di Adriano.

Adriano, il mio imperatore che si lasciò crescere la barba come i filosofi greci e impose la pace ai confini dell'impero; che a Tivoli ha costruito una villa meravigliosa e ha pianto sul cadavere di Antinoo.
Povero Adriano, povero mausoleo, con quelle mura circolari trasformate in prigione. L'uomo che amava la filosofia non ha visto la sua ultima dimora divenire prigione di filosofi e uomini comuni.

Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Benvenuto Cellini sono stati torturati tra quelle mura. Alcuni sono scappati, alcuni si sono finti pazzi: "dieci cavalli bianchi", urla Tommaso. Bravo, li hai fregati quei coglioni.

Riposa in pace Adriano, vecchio amico. "Animula vagula blandula".

Da via dei pettinari, dall'isola nel Tevere, qualche curioso arriva a campo dè fiori. La platea agonis ha ceduto il passo alla piazza vicino al teatro di Pompeo, ora le esecuzioni si eseguono qui. "Navona", il vecchio stadio di Diocleziano, è cosi ricca di fontane che un rogo potrebbe essere spento subito.

Ecco il carro con i boia: arriva da torre di nona, passa davanti al palazzo dei Farnese e i religiosi intonano "Ave Maria" per il povero ex confratello. Eccoli i Domenicani e Francescani, adoratori del morto giudeo: è una litania lugubre e inutile.

Zoccoli di cavalli, gli ordini della milizia papale, il popolo rumoreggia "brucia ‘nfame", "ateo bestemmiatore", "eretico eretico"...

Il "piccolo omo scuro, con un poco di barba" ha la mordacchia come i cavalli e gli asini. Ha scritto un libro sul cavallo pegaseo e l'asino cillenico, lo tengo in tasca sotto il mantello, ne accarezzo la copertina. Ora sei come l'animale, ma non ti crea danno: l'anima lo sai non è solo dell'uomo.

Lo sai fin troppo bene che "la morte non è la fine, lo ha possuto intendere Pitagora che non teme la morte ma aspetta la mutazione". Se potessi alzare gli occhi oltre le nuvole e l'atmosfera, oltre la galassia e più lontano ancora, vedresti la polvere cosmica dell'esplosione di una stella. Da quella nasceranno altri pianeti, altre terre e soli, uomini, piante, animali.

Gli atomi sono sempre in movimento. Dopo l'esplosione viene la quiete; quando quest'ultima raggiunge il massimo della tensione, tutto torna ad esplodere di nuovo.

Tutto è momentaneo e anche Roma passerà, anche i Papi e i preti. Ma tu questo la sai benissimo: è per questo che ti uccidono, per non farti parlare ancora. Puoi sentire il rumore della polvere che si adagia su un pianeta lontanissimo.

Ti ho visto chiudere gli occhi di fronte al Cristo che ti mostrano. Ho sentito un urlo sordo, un grido taciuto che rotola nel mio stomaco; ho sentito le contrazioni degli sfinteri quando la fiamma si è accesa.

Ti ho visto lì nudo pisciare sulle cascine di legno; ho visto il corpo eliminare merda liquida tra le gambe nell'incedere delle fiamme. La gente non parla più, c'è silenzio intorno. Gli spasimi del tuo corpo che non riesce a respirare hanno ammutolito anche i preti.

Strano destino quello dei filosofi criminalizzati per la loro opera, per la condotta, per aver cercato la verità. Duemila anni prima Socrate è stato condannato a morte, la sua città lo ha punito. Alcuni anni dopo Aristotele lasciò la stessa città per impedirle di commettere due volte lo stesso errore. Oggi tocca a te, Bruno: paga il tuo debito con la filosofia e la verità, accademico di nulla accademia, nato virtualmente rovinato. Lo sai che si muore solo perché non si riesce ad unire la fine al principio. Tu conosci quell'unione e oggi non muori.

Sono passati quattrocento anni, è ancora un giubileo. Roma trasuda ancora di pellegrini, tante persone dimenticano le chiese e vengono a portare un fiore qui a campo dè fiori.

Ci sono anch'io con lo stesso libro in tasca, incredibile accoglienza di un libro; ho visto troppe esecuzioni, compresa la mia.

Di Emiliano Ventura, potete leggere anche:

Nella sala saggi:
La filosofia a teatro Il Candelaio di Bruno
Giordano Bruno in Inghilterra Interpretazione e riforme

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Mario Luzi: i versi in teatro (148k)


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