Sibille    

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SIBILLA – 2000

Intravedo, da questo mio nido sospeso che mi tiene ancora insieme, giacché sono troppo vecchia, le molte lame di luce che tagliano, di giorno, il cammino al mio antro.

Odo i rumori del vento che dalle fenditure accompagna la luce e che, fuori, ha piegato i lauri e i mirti a coprire questa grotta in cui, con pena, gli eroi sono venuti ad interpellare me invasata, perché vaticinassi sulle sorti che loro si fabbricano.

Ed io, masticando le foglie di lauro, ho detto ciò che avrebbero dovuto già sapere, dalle loro coscienze; oppure ho mentito, assecondando i folli desideri, le insensate aspirazioni; e tutto ho consegnato a quel vento, a quei bagliori, in forma di foglie disperse.

Allora dal vano, sconvolto responso la gente si parte delusa, coll'odio nel cuore per la Sibilla.

Ho vissuto mille anni e poi mille, perché le mie parole hanno sempre generato inganni:

fui io, infatti, a chiedere ad Apollo di poter vivere quanti erano i grani di polvere che tenevo in mano. Non chiesi, però, che fossero anni di giovinezza.

Ed ora, eccomi qui a dire e ridire, dondolando sospesa, di notte alla luce di torce fumose, lo stesso vaticinio di apocalissi e redenzioni, vecchia decrepita, rimasta ormai quasi solo voce.

In questo millennio ho cantato destini di popoli, ho affidato alle foglie parole di libertà e uguaglianza, ma mai il vento le ha raccolte insieme: un piccolo soffio provvedeva sempre a separarle, a portarle lontane, smarrite... perse.

Eppure sento che molti pensieri tengono insieme libertà ed uguaglianza, per affidarle al futuro con linguaggi a me sconosciuti, più mutevoli delle mie foglie masticate, per percorsi non più tagliati nel tufo, ma di invisibile materia.

Sento che nuovi destini si disegnano per queste parole, che io con le mie apocalissi e redenzioni,

non so vaticinare. Nei miei vaticini, sulle mie foglie, con le mie voci non c'è mai stata la parola speranza, perché ho da sempre dimenticato la giovinezza.

Da troppo tempo sono vecchia, e questi luoghi non sono propizi: l'Averno, la Solfatara, il Vesuvio

Parlano di morte e di inferi.

Sento che il tempo è altrove, il luogo è altrove, loro (le Donne e gli Uomini sono altrove). A parole di aria non si può consegnare un futuro di pace, finalmente senza apocalissi e redenzioni.

Chiedetemi, per favore, ora che siamo nel Duemila: Sibilla che vuoi?
Perché io, ora, voglio davvero morire.


    

SIBILLA – GENOMA

In questo canestro sospesa, il furore mi piglia per insani progetti.

Il moto di sdegno disegna vortici nell'aere: il canestro percorre spirali.

Spirali scorgo nel sacro fuoco.

Spirali odo in linguaggi ignoti e futuri.

Fruscii, battiti, bagliori, movimenti degli elementi della natura che delineano eliche di atomi e molecole.

Per gli umani un codice sarà identità, anima,vita.

Avverto saperi, poteri, commerci.

Riconosco arroganza, delirio, menzogna.

Dal fondo di questo antro sento che il destino non è nelle foglie che il vento scompiglia e, tali, consegna agli eroi.

Il destino è il genoma, messaggio definitivo dell'essere, struttura-prigione di speranze, sogni, ideali.

Essere, consegnato a sé, in forma di pura materia.

Fruscii, battiti, bagliori, movimenti di macchine che scandiscono parole fatte di molecole. Gli umani si leggeranno in esse per i cammini aspri, tortuosi, inevitabili della conoscenza.

Davvero felice chi delle cose può conoscere la causa?


    

SIBILLA – EPISTEME

L'aria è cristallina, avverto il freddo in piccole lame:

penetrano nel tepore delle braci, e mi raggiungono.

Veglio, in questa alba bianca ed immobile, che disegna fenditure traverse

nell'antro che a me conduce: è premonitrice di un futuro che va al di là del suo giorno e della sua notte.

È il futuro della conoscenza.

Su questo, io, che della conoscenza del futuro sono depositaria,
non ho parole da dire a sacerdoti e sapienti,

se pure verranno all'oracolo.

Sacerdoti e sapienti sanno già tutto di dei e molecole, di destini e salvezze,

di libertà e schiavitù: i loro saperi li assistono, i loro poteri li proteggono.

Dogmi metafisici e scientifici saldano la loro autorità alle altrui vite.

In questo algido chiarore, in questo immoto silenzio, scorgo forme irrisolte.

Un labirinto si fa consapevolezza. I miei sensi sentono esseri ambigui,
innestati gli uni negli altri: minotauri nascosti al fondo dei dedali della ricerca.

Deliri di desiderio, paure mostruose consegnano, confusa,
un'immagine di essere difforme, dal destino infausto.

Morirà per mano di un eroe, guidato dalla saggezza di una donna.

Contro un futuro di menti sconvolte dai saperi, di coscienze turbate da artifici,

voi, umili di un mondo che vi viene sottratto, fabbricate libertà per pensieri altri dalla ragione,

per simboli, immagini, emozioni, che vi aiuteranno a convivere con i minotauri futuri.

Io vedo l'invisibile armonia, e quel pensiero che vi aiuterà a scorgerla, e che depositerà pace nei vostri cuori. Quella pace che i soli concetti, elaborati dalle menti di sacerdoti e sapienti, non vi consegneranno più.


    

SIBILLA – POLEMOS

Suoni e bagliori di tempesta mi raggiungono nel mio antro.

Le fronde dei lauri sono scosse da violenti moti dell'aere, che sibila nelle mie grotte,

e tutto solleva e rimuove a stabilire ordini precari ed imprevisti.

Io osservo e so di quell'ira degli uomini che quasi eguaglia quella degli dei,
per vite sradicate e territori sconvolti.

Fin da ora gemo per gli orrori negati, gli esiti infausti, le incaute previsioni nelle domande a me rivolte dai superstiti: avrò quel giorno la forza di urlare il mio orrore e di additare le colpe?

Il mio fiato è sibilo anch'esso e vuole farsi esplosione come arma definitiva,

che annienti le coscienze di questi uomini ingiusti.

Io, donna, dico che non vi è innocenza possibile
per chi arma la sua mano,
per chi perpetua genealogie di stupratori,
per chi è vittima compiacente.

Dico anche che non vi è innocenza possibile
per chi rinuncia a responsabilità,
per chi formula solo pensieri di memoria,
per chi non consegna speranze.

Uomini, voi vi riconoscete nei vostri nemici: per questo ne volete la morte!


Sibilla Polis    

SIBILLA - POLIS

Sola, perché la moltitudine sia la mia mente

Al buio, perché la mia vista sia la luce
Nascosta, perché la verità sia palese

Sospesa, perché l'equilibrio non sia compromesso

Nel fondo di questo antro, leggo le braci di un fuoco che si è consumato,
interrogo tizzoni che ardono di passioni vissute

e vedo coscienze lambite da pensieri negati,
destini segnati da irresponsabili scelte,
storie destinate a perdite e lutti senza rimedio.

Piccoli passi indistinti, per cammini ingannevoli, vi porteranno in quell'altrove che non vi appartiene.

E quando sarete là vi chiederete, e chiederete a me, come è stato possibile.

Vi dico, da ora, che l'oblio della tirannide vi avrà guidato in territori nemici. Che il vero nemico non è stato in voi conosciuto.

Nelle vostre menti, dimentiche della vita vissuta, le parole si sono confuse tra loro, quasi mescolate dal vento, come le foglie dei miei vaticini.

Saranno quelle parole a dire la fine della speranza per coloro che non ne hanno, e, quando ve ne accorgerete, non vi resterà che la colpa.


Sibilla Embryo    

SIBILLA – EMBRYO

Nuclei di materia pesate su questa mia anima, che troppo a lungo insiste in un corpo disfatto ed inabile.

Vivo di morte e mi si chiede di dare speranza.

Orgoglio di donna, sacra per le sue funzioni, mi esorta a dire ancora pensieri, nascosti e rimossi da coscienze altre, pavide ed asservite.

Il timore di follie attanaglia povere coscienze di maschi, che non osano rivolgere mente a futuri scenari, ma non esitano a fabbricare tecniche che questi disegnano.

Deliri di onnipotenza e timori di identità perdute.

Invece di arretrare e riflettere, seguono la più facile via di punire chi anticipa maternità e paternità inedite, per aiutarsi in vite sofferte.


Sibilla Kronos    

SIBILLA – KRONOS

Io qui, interrogata su quel che sarà.

Un presente liquido mi sommuove, confusa dai suoi movimenti

La sponda cercata, si nega continuamente, sottratta dai flutti di un pensiero

Che, come il mare qui accanto, muta colori, direzioni, forme.

È l'umanità che prende corpo nei suoi artifici, che fatica a lasciare la materia delle sue origini

Per quei territori del futuro, che si sottraggono ai sensi delle specie animali.

In passato, luce, odori, suoni, contatti guidavano l'essere nel suo cammino.

Ora pensiero e conoscenza guidano il mondo virtuale, in cui si costruisce l'io immateriale.

Posso dire parole che riconoscano l'artificio dell'uomo, naturalissimo come l'uomo stesso.

Posso dire parole che questa natura estesa condannino, come eccessiva e foriera del nulla definitivo.

Posso dire parole, che in forma di metafore, dicano l'indicibile destino futuro dell'uomo:
esse non aiuteranno a trovare le sponde del futuro, ma a cercare quelle abbandonate,
ormai per sempre.

Un'ombra, infatti, si addensa quando interrogo il destino.

Esso si sta facendo, qui ed ora, ad opera di un'umanità ignara.

Sibilla


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