La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
La prenotazione di Aldo Nocchiero

 

Salvo lesse e rilesse la prenotazione: il suo nome non figurava.
-Sono davvero spiacente, signore, ma, come le ripeto, la sua carrozza è stata soppressa.
La voce dell'impiegato gli sembrò artefatta, innaturale, distorta dal sibilo gracchiante di un piccolo altoparlante, e quelle parole meccanicamente collegate ai movimenti della bocca in un viso di un uomo di mezza età, destinato a non lasciare traccia nella memoria di migliaia di viaggiatori.
Salvo non accennava a muoversi.
-La ragione di questo disguido non la troverà nella sua prenotazione. Non c'è alcun errore, sa, in quel biglietto, anche se insiste nel guardarlo. È tutta colpa dello sciopero. È stato sfortunato, mio caro signore, hanno soppresso poche carrozze di questo treno e tra queste c'è la sua. Io cosa ci posso fare? Sì, solamente le carrozze per Siracusa non partiranno, ma il resto del treno diretto a Palermo partirà regolarmente; se vuole, può provare a sentire se, all'ultimo momento, si libererà un posto in una delle carrozze per Palermo. Io non le posso dire di più.
Salvo fissò ancora la prenotazione: il suo nome non era indicato.
Notò dietro di sè la fila di viaggiatori impazienti, che nel frattempo si era formata, accennò un fugace saluto rivolto al viso inebetito dietro il vetro, poi si allontanò lentamente, seguito dallo sguardo di alcune persone che avevano assistito alla conversazione.
Si fermò davanti al tabellone elettronico, confrontò il numero del treno con quello indicato sulla prenotazione, trovò il binario. Il treno sembrava lunghissimo e non era in grado di scorgerne la testa al di là della leggera curva. La banchina era pullulante di viaggiatori che si affrettavano a consegnare la prenotazione agli addetti alle carrozze, per occupare poi il posto loro assegnato. Cercò con attenzione di individuare delle persone dirette a Siracusa ma senza carrozza, come lui; si spostò di vagone in vagone, ma sembrava che tutti i passeggeri non fossero toccati da quel problema; si fermò con discrezione ad ascoltare alcuni frammenti di conversazione, ma non gli parve che alcuno parlasse di sciopero o di soppressione di carrozze.
Un anziano magrebino si fece avanti verso di lui, lo guardò in viso, poi continuò oltre e si rivolse ad un ferroviere. Salvo aspettò che i due avessero finito di parlare per chiedere anche lui delle informazioni, ma l'uomo in divisa si allontanò rapidamente, prima che avesse il tempo di fargli un cenno.
Guardò l'orologio: il treno sarebbe partito dopo pochi minuti.
Ormai la maggior parte dei passeggeri aveva preso posto.
Salì sul predellino di un vagone letto, fece capolino all'interno e con titubanza si avviò lungo il corridoio alla ricerca di uno degli addetti; l'uomo in divisa era dalla parte opposta. Chiese permesso, ma non riuscì a passare agevolmente tra i bagagli temporaneamente appoggiati per terra e le persone che si accingevano ad entrare nei loro scompartimenti o che stavano affacciate al finestrino. Dopo pochi secondi decise di tornare indietro. Nessuno si era accorto di lui o gli aveva rivolto uno sguardo. Scese i gradini della carrozza e si ritrovò sulla banchina. Estrasse dalla tasca la prenotazione e la lesse con attenzione.
Gli sportelli dei vagoni venivano chiusi quasi simultaneamente.
L'anziano magrebino passò davanti a lui; lo guardò ancora, sembrò per un attimo fermarsi, poi si diresse verso l'uscita dal binario. Salvo lo seguì, mentre il treno iniziava a muoversi impercettibilmente. C'era qualcosa di strano nelle movenze dell'arabo, qualcosa che gli ricordava qualcuno, ma non riusciva a realizzare chi. Aveva i capelli e la barba bianca su un abbigliamento del tutto dimesso, il portamento incerto, come se fosse sul punto di perdere l'equilibrio. Salvo era a pochi passi da lui. Entrarono nella sala d'attesa della stazione e si sedettero a breve distanza l'uno dall'altro.
L'uomo riprese a fissarlo.
Salvo distolse lo sguardo, prese dalla sua borsa un foglio, un telegramma, che rilesse. Sua madre era morta, all'improvviso; si era trattato di un infarto e l'indomani ci sarebbero state le esequie. Era stata sua sorella ad inviargli il telegramma, magari imprecando contro la sua fissazione di non rispondere al telefono e di tenere sempre il cellulare spento. Da molti anni mancava dalla Sicilia e le sue sortite nel paese natale si erano fatte sempre più sporadiche e brevi.
"Ormai Salvo è diventato piemontese, un continentale." Era solita ripetergli sua mamma, con una punta di malcelata aggressività. "Un laureato che conosce cinque lingue, guarda che lavoro umiliante si è ridotto a fare. Avere a che fare tutto il giorno con una masnada di straccioni, lui che qui in Sicilia potrebbe fare il signore. E chi pratica con lo zoppo finisce poi per zoppicare; anche lui si veste da straccione come i suoi amici barboni, spacciatori, delinquenti."
L'uomo non smetteva di fissarlo, poi si rivolse a lui in arabo.
-Brutta giornata, oggi, non è vero?-
Anche Salvo gli rispose in arabo. Non era la prima volta. Non era la prima volta che lo scambiavano per un marocchino, per un tunisino o per un egiziano. I suoi lineamenti, la sua carnagione erano più propri di un nordafricano che di un europeo.
-Hai ragione, amico. Adesso sono senza treno e non so come andare in Sicilia.-
-Io mi chiamo Ahmad e tu?-
Salvo esitò, qualche istante. Gli passarono in mente alcune immagini della sua vita, la prenotazione per quel treno ormai partito, il suo vero nome sulla carta d'identità.
-È un vero piacere Ahmad, il mio nome è Haamid.-
Un impercettibile sorriso si dipinse sul viso di Ahmad, che restò in silenzio per alcuni minuti.
Salvo aveva quasi cinquant'anni e non sapeva da cosa avesse cercato di sfuggire per tutta la sua vita; o verso quale meta fosse diretto. Era vissuto senza un chiaro obiettivo, come un navigatore senza bussola in una perenne nebbia. Un giorno era come il precedente e come il seguente. Il futuro si tingeva del passato e il presente era una instabile e traballante piattaforma pronta a cedere di schianto. Nessuno dei passi fondamentali della sua vita si erano determinati per sua volontà. Era sempre stato come un viandante sospinto in varie direzioni da una folla, incapace di seguire il proprio senso di marcia e preoccupato solamente di evitare di essere schiacciato.
Ogni cosa avesse ottenuto nella vita sembrava frutto del caso, come anche il lavoro di mediatore culturale che svolgeva ormai da diversi anni.
Non aveva una sua famiglia; aveva avuto tante donne, perché da giovane era stato molto bello e corteggiato, ma non era stato capace di mantenere mai una relazione che fosse stabile.
Ahmad gli si rivolse nuovamente.
-Anch'io devo raggiungere i miei parenti in Sicilia, ma ho il tuo stesso problema perché hanno soppresso le carrozze per Siracusa. A Santa Croce Camerina vi è una folta colonia di Marocchini che lavorano nelle serre; la mia famiglia vive in quel luogo, di fronte alle coste africane, da quasi quindici anni. Domani lo sciopero sarà terminato e potrò prendere il treno. Adesso sto aspettando mio nipote che mi riporti a casa. Domani sarà un altro giorno. E tu cosa stai aspettando?-
-Non lo so. È morta mia madre in Sicilia. Non so proprio cosa fare.-
-Se vuoi puoi venire a casa mia, domani proveremo a partire insieme.-
-No, ti ringrazio Ahmad, ma troverò un altro modo.
Si alzò, si inchinò e sorrise all'anziano marocchino, che gli ricambiò il saluto.
Uscì dalla stazione ferroviaria. Percorse a piedi viali alberati, vie, strade; gli sembrò di aver perso l'orientamento. Dopo alcune ore era arrivato in una delle periferie della città.
Sua madre era morta. Un altro pezzo che lo legava al passato se ne stava andando. Gli restava una sorella, ma gli era sempre stata ostile, quasi volesse rimproverargli di esistere. Ripensò al colloquio con Ahmad e alla menzogna di fingersi un suo connazionale. Si chiese il perché di quella trovata. Perché il bisogno di presentarsi come Haamid, quando da sempre era stato Salvatore Tribastone?
Perché?
Potevano arrivare a tanto la sua simpatia per la cultura araba, i suoi studi linguistici, le vacanze estive trascorse, quando era ragazzo, tutti gli anni in Tunisia con la famiglia?
Il semaforo pedonale si fece verde e fu la sua volta di attraversare le strisce. Lo sguardo gli cadde sull'alta cabina rossa del tir, sulla targa, sul finestrino abbassato e sul viso a luna piena dell'autista.
Si schiarì la voce; presto il semaforo sarebbe diventato rosso.
-Mi scusi, signore, mi darebbe un passaggio, se va in Sicilia?-
Una mano dall'alto gli fece cenno di salire.
In vita sua non era mai stato così intraprendente, non era mai stato capace di simili iniziative. E se in tante passate occasioni non si fosse tirato indietro e avesse avuto il coraggio di chiedere? Sarebbe bastato chiedere.
Forse la sua vita avrebbe avuto un altro corso.
Un viaggio e tante ore per pensare, solo con se stesso e con un compagno di poche e discrete parole; il sonno per riposare e per non pensare.
Salvo uscì dalla toelette della stazione di servizio autostradale. Ormai era in Sicilia. Aveva salutato cordialmente l'autotrasportatore, che aveva continuato il suo viaggio. Era a poche decine di chilometri dalla meta che si era prefissa. Estrasse dal portafogli il suo documento d'identità, lo guardò per l'ultima volta, lo strappò e lo gettò in un cestino. Chi mai lo avrebbe cercato? Non sarebbe di certo stato l'ospite virtuale di un tanto gettonato programma televisivo.
La piazza di Santa Croce Camerina si stava affollando sempre più di nordafricani, che aspettavano di essere ingaggiati per una giornata di lavoro nei campi o nelle serre. Salvo si mescolò tra loro, si sedette su uno dei gradini della chiesa e aspettò.
L'uomo anziano che si dirigeva verso lui aveva qualcosa di noto nelle movenze, qualcosa che gli ricordava qualcuno. Si sedette accanto a lui.
-Buongiorno Haamid. Sapevo che saresti arrivato. So anche che questo non è il tuo vero nome, anche se parli la mia lingua in maniera perfetta. Forse non si può sfuggire alla storia. Molti anni fa venimmo in Sicilia da conquistatori; seminammo tanto sangue, ma portammo anche la nostra civiltà. Ci fondemmo con voi ed anche noi diventammo siciliani, tanto da prestare talvolta le nostre sembianze ai vostri visi, alla vostra pelle. Adesso veniamo da straccioni, portati attraverso il mare da barconi della fortuna, alla ricerca di una terra di speranza presso un popolo, che un tempo fu il nostro popolo. È come la goccia che ambisce a raggiungere il mare, anche se proviene dai fiumi. Bentornato tra noi, Haamid, qualsiasi sia il tuo nome.-
Salvo provò una inconsueta commozione, come mai gli era capitato. Si sentì stranamente vivo. Per la prima volta. Avrebbe voluto rispondere qualcosa ad Ahmad, ma non ne ebbe il tempo.
-Chi di voi due vuole darmi una mano a riparare le mie serre? Pago bene io.-
L'uomo di mezza età si era rivolto loro in dialetto siciliano.
-È un lavoro che durerà alcune settimane.-
Anche Ahmad rispose in siciliano, indicando il suo compagno.
-Mio nipote è ancora giovane e forte, verrà lui.-
E rivolto a Salvo:
-Vai fratello, oggi è la tua giornata.-

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