La biblioteca "Lupo della steppa" presenta:
L'abisso nei numeri di FB

 

Immobili... congelate in una posa irrigidita e stupefatta. Fino ad un attimo prima, le dita si muovevano veloci sulla tastiera. Ora, alla fine di una lunga scala discendente di Si minore, si era come staccata la spina.
Eppure, non era cambiato nulla. Il cono luminoso della lampada sul pianoforte continuava ad illuminare solo la tastiera e le mani mentre il nero laccato del mobile sembrava quasi inghiottirla, lasciando il resto della stanza in penombra. La micia, come sempre quando lui suonava, era distesa sul divanetto vicino al piano, appiccicata al termosifone, e sonnecchiava placida. Il suo mantello, nero e lucido, la faceva passare quasi inosservata. Fuori, i fiocchi di neve volteggiavano già da un paio d'ore e velavano le case in lontananza che già erano carezzate dal precoce imbrunire invernale. Più ovattato e quieto di così il mondo non poteva essere.
Invece... una sorda angoscia si era improvvisamente insinuata tra le note che stava suonando. Un incubo lontano ed indistinto era stato innescato da quella scala. La tonalità minore, intensa ma non triste, non recava con sé i germi della paura. Che poteva essere, allora? Non si capacitava che le sue mani si fossero così istantaneamente bloccate. Abbassò lo sguardo per osservarle ma erano sempre le stesse. Non si erano tramutate come Gregor, per fortuna. Erano sempre lì, identiche, illuminate dalla lampada.
Mosse gli occhi intorno e gli si parò dinnanzi la visione della tastiera. Una lunga successione di tasti bianchi e neri che agli estremi sparivano nella penombra fuori dalla portata della lampada. Ecco... un minimo fremito di intuizione. Forse era lì la chiave. I tasti come gradini, la scala discendente che stava suonando, un fugace lampo di una memoria da lungo tempo rimossa...
I gradini bianchi e neri, tutti eguali, estesi quasi a perdita d'occhio, gli avevano ricordato una formula matematica famosissima, una fuga all'infinito del semplice numero "1". Un abisso infinito che partendo dall'apparente banalità del più immediato dei numeri, l' "1", generava uno dei numeri irrazionali più noti. Una frazione continua di 1 sopra una frazione continua di 1 sopra una frazione di 1, e così all'infinito. Un imbuto senza fondo dal quale si era sentito irrimediabilmente ed irresistibilmente attratto:

Una notte aveva fatto uno strano sogno da cui sembrava non riuscire più ad emergere. Aveva sognato quella successione di frazioni che lo lusingava. Lo irretiva come il canto di una sirena, lo invitava a scendere lungo la scala giù, giù, sempre più in basso.
Sapeva che si stava avventurando nel campo dell'irrazionale, e non solo perché irrazionale è il numero che quella successione genera. Nel sogno, dove il reale e l'irreale si mescolano e si rimescolano in un gioco d'incastro che la mente scevra di vincoli compone e ricompone a suo piacimento in un modo che sfugge al nostro controllo, lui sapeva che l' "1" rappresentava il suo mondo di luce, razionale, semplice, adamantino. Il mondo della logica e della chiarezza. Ma era anche conscio, per quanto lo si possa essere nel sonno, che la sua razionalità lo stava conducendo in mondo estraneo, da cui rifuggiva temendone l'ingovernabilità. Un mondo che sapeva albergare dentro di sé, ma che sperava non emergesse con la prepotenza che sembrava animare quel sogno.
L'angoscia continuava a turbare il suo sonno. Anzi, cresceva sempre più d'intensità. Man mano che lui, nel sogno, scendeva lungo la scala dei numeri, o meglio, man mano che la sua caduta nell'imbuto degli "1" accelerava, i numeri sembravano assumere significati simbolici che mai prima aveva notato.
Tutti uguali tra loro, ma ora alcuni sogghignavano apertamente, altri assumevano sembianza muliebri, sinuose ed allettanti, altri ancora apparivano come vecchi saggi ed austeri. Erano diventati una metafora della sua vita, una rappresentazione distorta dei suoi incontri, dei suoi studi, dei suoi maestri.
E la discesa, anzi, la caduta continua cosa poteva significare se non la depressione, la paura della solitudine e della sconfitta? Cosa, se non la visualizzazione simbolica della piega che pensava avesse preso la sua vita?
Come si vedono transitare dall'oblò di un ascensore le persone in attesa ai piani e se ne colgono appena i tratti del volto e le espressioni, così riusciva a cogliere al volo le apparenze degli infiniti e sempre diversi "1" che sfrecciavano di fronte ai suoi occhi per sparire inghiottiti nel buio sovrastante prima che ne apparissero di nuovi dall'oscurità sottostante.
Avrebbe voluto frenare la discesa anche per poter esaminare più attentamente quelle forme, carpirne il significato recondito, ma l'imbuto era liscio come ghiaccio e la caduta irrefrenabile. Così, le sembianze dei numeri personificati emergevano dal buio come illuminate da un flash per sparire subito dopo senza dare il tempo di prenderne coscienza. Una pennellata e via. Così, poteva discernere solo un aspetto di un volto, di una situazione, di un panorama.
Sì, riconosceva alcuni "1": chi una persona amata, chi una persona subdola, chi aveva danneggiato, chi beneficato. Una casa, un paesaggio amato. Un laboratorio, Un rimpianto. Perlopiù, però, ed intensi, rimpianti per ciò sul quale non aveva potuto intervenire di persona. Per non essere riuscito ad indirizzare gli eventi ma averli dovuti subire. Per non essere stato capace di tenere a bada il suo lato dionisiaco. Per mille altri motivi.
Già. Di nuovo il suo lato irrazionale. La caduta nell'irrazionale irriso da quei semplici ed apollinei "1". Che contrappasso! Avrebbe voluto urlare, frenare la sua caduta, non voleva sparire in quel gorgo. Invece, ancora "1", facce, oggetti che scorrevano a velocità indicibile, ormai...
Gli occhi si posarono di nuovo sulle dita. Non potevano stare a lungo ferme su quel Si. Doveva fare qualcosa. Escogitare una modulazione per uscire da quell'impasse. Forse... Ecco, sì, un Fa# occhieggiava discreto. Sembrava invitasse a lasciare il relitto del Si. Fidati! Non affonderai se vieni verso di me. Fidati! Sono un tasto nero ma posso essere anch'io un tasto di luce. Pa - sce... Si-Fa# Pasce Sì, sono proprio il Pasce di Machaut.
Suonò il Si e poi il Fa# e questa magnifica quarta della musica medievale ne rinfrancò lo spirito. Le dita sembravano avere ritrovato un po' di vita. Il cono di luce sulla tastiera sembrava tremolare tentando di espandersi ad illuminare gli anfratti nascosti. Ma la micia restava sempre nascosta nell'ombra e la finestra rimandava ora solo un'immagine di una tenebra. L'angoscia non era ancora passata.
Nella caduta aveva visto transitare gli "1" di grandi matematici del passato. Doveva avere qualche significato continuare a vedere Pitagora, Fibonacci, Euclide. "Pensa, ragiona... qualcosa devi fare per frenare questa caduta. - si diceva. - Ne va della tua vita. Non puoi lasciarti andare. Il Fa# è un'estraneo alla gradinata dei tasti bianchi eppure la sua esistenza può infondere ordine al caos, il peggior caos del mondo: quello dell'infinita successione di "1" tutti uguali fra loro, quello dello sconfinato candore dei ghiacci artici. L'indistinto, l'informe: questo è ciò che genera l'angoscia. L'irrazionale può forse dare senso alla vita".
Un "1" balenò per un istante, rovesciato. Una fitta di terrore lo colpì nel sogno. Ormai, l'indistinta successione di "1", tutti uguali, tutti severi, tutti inquietanti, aveva indotto assuefazione. Cadeva, era inghiottito nel nulla, ma ormai li conosceva. Ed eccone uno che si permetteva di essere rovescio. Di uscire dal coro, un ribelle, una pecora nera...
Dal fondo della mente turbinò un pensiero, riemerse un algoritmo che chissà come qualche neurone impazzito aveva deciso di gettare nella mischia turbinosa del sogno. Un rovesciamento di prospettiva.
Gli "1" che passavano nella folle corsa ora erano sempre gli stessi ma cominciava a vederli con occhio diverso. Si contorcevano ancora assumendo sembianze di persone, ora soprattutto delle persone che lo avevano ferito. Ancora riaprivano vecchie ferite da cui si irradiava dolore e sofferenza, ma nuova era la prospettiva da cui li guardava, diverso l'atteggiamento nei loro confronti. Sembrava pensare che gli "1" possono anche essere rovesciati ed usati per riemergere dal vortice. Certo, usa il Fa#!
"Che cosa fa paura nell'irrazionale?" si chiedeva cercando di frenare ancora la caduta. "Mi spaventa non poterlo controllare" si rispondeva. "Controllare o accettare?" insisteva a chiedersi. Una successione di volti di "1" cercava di distrarlo dalla risposta che era sicuro di sapere. "Accettare, accettare..." finalmente ebbe il coraggio di ammettere. Improvvisamente, il fondo del vortice cominciò a rischiararsi, come si fosse aperto un opercolo verso un mondo illuminato, il cerchio luminoso nel quadro di Bosch. La prospettiva cominciò radicalmente a cambiare. Il basso mutato nell'alto, la caduta tramutata in ascensione. "Ma certo! Sottrai 1 e ribalta la frazione! Gli infiniti si possono addomesticare!" Il pensiero immediatamente acquietò l'angoscia. "L'irrazionale esiste. Se lo ammetti, lo controlli". Nel sogno, piroettò in aria nell'imbuto vorticoso come un tuffatore che si appresta ad immergersi senza neppure sollevare uno spruzzo d'acqua. La corsa degli "1" si arrestò, si disposero in bella fila, comparve l'eguale e, illuminata da un sole radioso apparve la Sezione Aurea. Il simbolo quintessenziale della bellezza dell'equilibrio, della proporzione perfetta. Il numero più irrazionale che si possa pensare costruito a partire dal più semplice dei numeri interi, l' "1"! L'irrazionale che emerge dal razionale. La conciliazione di due mondi apparentemente discordanti. L'ordine e l'equilibrio, infine. La luce ora aveva conquistato anche i tasti più lontani del pianoforte. Le dita, dopo l'esplorazione di quella quarta... Pasce... avevano ripreso vita. Le note della Ouverture Francese avevano ripreso a scorrere veloci e leggiadre. Emozionanti. Le note musicali, espressione sonora della matematica razionale, avevano ripreso a suscitare le emozioni, irrazionali, viscerali. Ragione e sentimento riconciliati.
La micia ora era venuta in piena luce, i contorni della stanza, come per incanto, erano tornati distinti. La luce pervadeva ogni anfratto. L'angoscia era dispersa...

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