Seconda parte
Nell'ombra di un ricordo

Il giorno dopo Daniele trascorse tutto il tempo al lavoro, immerso in pensieri costantemente rivolti a Davide, si chiese che cosa avesse mai fatto Davide di speciale quell'uomo, come mai Sara a due anni dalla sua morte lo rimpiangeva ancora, ma soprattutto, com'era morto?
La curiosità lo invadeva da capo a piedi, voleva sapere il motivo. Sapeva che Davide era morto a Trieste, dove abitava prima con la moglie, sapeva che in qualche modo Emanuele centrava con la morte del padre, ma non sapeva altro.
Voleva conoscere la realtà dei fatti, così chiamò il dipartimento di polizia della città e gli chiese di mandargli dei fax con i verbali compilati due anni prima, riguardanti la morte di Davide.
Così dopo mezz'ora Daniele era a conoscenza del fatto, finalmente dopo tanto tempo; ma dopo averli letti ne rimase talmente sconvolto che pochi minuti dopo si sentì male. Rientrò dopo cinque minuti e lì vide Marco.
«Dove li hai presi?» Chiese all'amico imponendosi di stare calmo.
«Cosa?» Rispose lui confuso, ma consapevole che i fogli che teneva in mano erano i verbali dell'incidente.
«Daniele, dove hai preso questa roba?» Continuò Marco sentendo crescere dentro di sé un'ira profonda.
«Stai calmo, volevo solo informarmi su suo marito.» Disse sulla difensiva.
«Chi ti ha concesso il permesso di conoscere la sua vita passata, te l' ha forse chiesto lei ?»
«No, veramente no.»
«Allora non hai il diritto di sapere di Davide, non lo hai!» Rispose Marco ora veramente incollerito.
«Adesso cerca di calmarti per favore, non ho alcuna intenzione di litigare con te per causa sua, e poi ho intenzione, anche se lei non lo vuole di sostituirmi a Davide.»
«Cosa vuoi fare, tu un don Giovanni, che si è innamorato, non è possibile; e comunque ricordati che non ti permetterò di sedurla e poi abbandonarla come hai fatto con Alice e Marta. Non ti permetterò di farle del male, l'ho promesso a Davide.»
«Tu lo conosci, ma perché non me lo hai detto?»
«Davide era il mio migliore amico e non permetterò a nessuno di farle del male.» Detto questo Marco uscì dall'ufficio senza aspettare che Daniele replicasse.
«Ma sei matto, sei sicuro di quello che fai?»
«Sì, voglio farlo.»
«Ma scusa, e gli incubi? Non sottovalutarli, potrebbero corrispondere al vero.»
«Paolo sono pronto a rischiare, voglio renderla felice se lo merita, ha perso suo padre quando era piccola, e io voglio renderla felice.»
«Ma se quei sogni si avvereranno lei purtroppo rivivrà quei brutti momenti.»
Erano in due che cercavano di dissuadere Davide a non sposare Sara, ma più loro trovavano delle ragioni convincenti, più lui era intenzionato a non ascoltarli.
«Lo so Marco, ci ho pensato e ripensato, per arrivar sempre alla stessa conclusione: voglio sposarla.»
«Ma non pensi che lei punti solo ai tuoi soldi?»
«No, se fosse per lei li butterebbe tutti fuori della finestra in quest'istante stesso e voglio crederle.»
«Ma...» tentò di replicare Marco, ma Davide non lo fece parlare.
«Niente ma, voglio provare a fidarmi di lei.»
«Ma come puoi fidarti di una donna nella situazione n cui ti trovi?»
«Paolo, ne sono innamorato.»

Fu Sara a chiamarlo il giorno dopo per chiedergli se potevano uscire insieme, anche se avrebbe portato i gemelli, poiché non aveva trovato nessuno che potesse tenerli.
Lui avrebbe voluto avere ancora un po' di tempo per riflettere ma alla fine acconsentì; li avrebbe portati a cena in un ristorante elegante.
Francesca vide Sara in piedi davanti all'armadio aperto, mentre sceglieva il vestito.
«Non so cosa mettermi.»
«Metti quel vestito nero avvolto nel cellofan.»
«Non posso, quel vestito...»
«Che cosa ha a me sembra perfetto.»
«È piccolo.»
«Siamo pronti?» Chiese guardando prima i gemelli e poi Daniele.
«Noi si, e la mamma?» Rispose stringendo Emanuele tra le braccia.
«Allora andiamo.» Disse raccogliendo la borsa e uscendo di casa.
Salirono in macchina tutti e quattro e si diressero verso un ristorante chiamato «La Locanda»appena entrati il padrone del locale, un omino basso e largo salutò Daniele guardandolo con occhio strano.
«Chi è, una nuova?» Domandò l'uomo incuriosito.
«Vince!» Esclamò Daniele imbarazzato.
«Allora hai intenzioni serie con lei, pensi che sia quella giusta?»
«Non lo so, io vorrei, ma dipende tutto da lei.» Rispose finendo il suo drink.
«è bello qui, mi sembra un posto molto accogliente.»
«Ti piace?» Disse lui porgendole la bottiglia d'acqua.
«Sì molto.»
«Mamma, quando torna papà?» Chiese Renato con una voglia incredibile di rivedere il padre; erano a metà della cena quando il bimbo fece la domanda tra lo stupore di Daniele e l'incredulità di Sara.
Gli rispose che il suo papà non sarebbe più tornato, ma che lui avrebbe potuto vederlo ogni volta che avrebbe voluto guardando nel profondo del suo cuore.
Renato si zittì un attimo. «Papà è morto vero?» Domandò rattristandosi.
«Sì» Confermò consapevole del fatto che ormai i suoi figli erano grandi per sapere la verità.
Renato era sempre stato molto attaccato al proprio padre, lo amava molto anche se a volte lo faceva arrabbiare.
Sara sapeva cosa significa aspettare giorno dopo giorno un padre che non arriverà mai.
Anche suo padre era stato investito mentre stava andando a fare la spesa per fare un favore alla madre, e non era più tornato.
«Che cosa hai?» Le chiese Daniele.
«Nulla, stavo pensando a mio padre.»
Poco dopo arrivò la cena, e tutti e quattro mangiarono in silenzio, Renato ancora turbato profondamente dalla conferma della morte del padre, Emanuele era incerto se dire al fratello come il padre era morto, mentre su Sara e Daniele incombeva l'ombra di Davide.

La sera Daniele li riportò a casa, ma non si fermò poiché il giorno dopo doveva partire per andare a Udine.
«Smettila e pensa guidare se no va a finire che andiamo a sbattere contro un palo.» L' aveva esortato Sara rimettendo le mani del marito sul volante.
«Lo sai che non so resisterti, sei bellissima amore.» Affermò guardando la moglie negli occhi, ma d' un tratto egli sembrò essersi bloccato; per Sara quel comportamento era strano,in fondo avevano trascorso una bella giornata, erano andati a fare un pic-nic sulle sponde di un lago e si erano divertiti molto.
«Davide, cosa hai?» Chiese interrompendo i suoi pensieri; erano fermi di fronte ad un semaforo quando lui cambiò direzione andando verso la banca di sua proprietà.
«Ma dove stiamo andando?» Domandò Sara confusa.
«Mi hanno chiamato prima mentre dormivi, e mi hanno chiesto di passare perché hanno avuto un problema.» Mentì lui già sapendo cosa gli sarebbe accaduto.
Fermò la macchina di fronte alla banca, e mentre scendeva, guardò i suoi figli addormentati sul sedile posteriore, poi tornò a guardare sua moglie.
La baciò più a lungo del solito. «Ti amo, e ti amerò, ricordalo per sempre.»
Detto ciò Davide era sceso dalla macchina.
Quella fu l'ultima immagine che Sara vide prima di svegliarsi di colpo per non voler rivivere il dopo.
Sentì Emanuele che piangeva nella sua stanza, fece appena in tempo ad aprire la porta della stanza dei suoi bambini che si ritrovò fra le braccia il bambino per consolarlo.
«Mamma, ho sognato papà. Disse il bambino singhiozzando. Stavo giocando a calcio con lui, non so cosa è successo, ma d'improvviso l'ho visto cadere a terra e poi tu che lo tenevi fra le braccia. Voglio il mio papà!» Esclamò il bambino prima di ricominciare a piangere per poi addormentarsi cullato dalla madre.
Non era possibile, nonostante lei avesse fatto di tutto per scacciare quei pensieri dalle loro vite erano tornati ad infestare i sogni del suo bambino.

Nelle tre settimane seguenti Daniele non si fece sentire per niente, ma pochi giorni dopo il suo rientro la chiamò chiedendole di vederla, ma se era possibile di non portare i bambini.
Così la sera stessa Sara si presentò a casa di Daniele, lui la fece entrare notando con piacere che i suoi figli non c' erano.
Cenarono a lume di candela guardandosi negli occhi e parlarono di mille cose, Sara scoprì che in quelle tre settimane che Daniele era stato via, aveva conosciuto una donna che gli aveva fatto una corte spietata.
«E perché non ti sei fatto avanti con lei, se era davvero carina come dici, perché l'hai rifiutata?» Chiese Sara stupita dal suo comportamento.
Finito di cenare Sara aspettò Daniele in salotto, lui stava preparando la sua "famosa cioccolata."
Nel bere quell'intruglio fatto di rum e cioccolata, Sara si sporcò le labbra, appena lui lo notò, si avvicinò con ancora più intenzione di baciarla, lei stava prendendo un tovagliolo per pulirsi, ma lui le prese la mano e la baciò.
Il risultato ottenuto fu solo quello di essere rifiutato per l'ennesima volta, ma lui sentì crescere in sé una forte passione.
L'uomo le accarezzò i capelli, e mentre la sua mano scendeva dai lineamenti del viso al collo, Sara era combattuta fra il desiderio di lasciarsi andare, e la paura del tradimento che alla fine prevalse sul desiderio, ma Daniele non sembrava intenzionato a fermarsi.
«No ti prego Daniele, no.»
Fu salvata dallo squillo del telefono, e anche se controvoglia egli andò a rispondere su insistenza di Sara che voleva prendere un po' di tempo.
Facendo per alzarsi, Sara andò a sbattere contro un mobiletto da dove caddero dei fogli, li raccolse, ma appena vide di cosa si trattava sbiancò di colpo.
Dipartimento di polizia di Trieste.
Incredula lesse il contenuto del fascicolo, non poteva crederci, Davide, era tutto il materiale che riguardava la sua morte, c'erano articoli di giornale, testimonianze, e il verbale. Vide che solo quello era stato toccato.
Improvvisamente capì tutto: l'aveva trattata in quel modo perché sapeva dell'incidente. Che stupida era stata, le aveva offerto una cena squisita, il miglior vino che aveva in casa, solo perché pensava di conoscere ciò che era accaduto a suo marito.
Il senso di colpa crebbe forte nei confronti di Davide, era stata una stupida, lo aveva tradito.
Continuava a ripeterselo anche dopo essere salita in macchina; aveva preso i suoi fascicoli, passò da casa di Francesca a prendere i bambini e tornò alla villetta.
Nelle tre settimane seguenti, Sara cercò di evitarlo: non rispondeva ai suoi messaggi, alle lettere, non voleva leggerle, era arrabbiata con lui, lo odiava per quello che le aveva fatto; la confusione cominciava a farsi viva nella sua mente, e non sapeva come comportarsi.

«Davide, ma dove mi porti?» Domandò lei portando le mani avanti, non rendendosi conto dello spazio che la circondava poiché era bendata.
«Seguimi attenta che ci sono dei gradini.»
«Quanti sono?»
«Una decina, contiamoli: uno due, tre... fermati qui che ti sciolgo la benda.»
Appena lui gliela tolse Sara fu accecata dalla luce, solo dopo pochi minuti
dopo che la vista si stabilizzò il suo sguardo fu rapito dalla bellezza del
paesaggio, che riconobbe immediatamente come familiare.
«Davide, ma come hai fatto?» Chiese sbalordita.
«A fare cosa?» rispose lui sorridendole.
«Oh Davide.» Continuò abbandonandosi contro il suo torace.
«Guarda là Sara, disse indicandole una baita, ti piace?»
«Perché?» Continuò lei stupita.
«Perché è nostra per un intero mese se accetti di sposarmi.»
«Che cosa?»
«Ti amo e non posso più pensare di poter vivere senza te, ti prego sposami.»
«Sì.»

Il loro matrimonio non era stato sfarzoso, nonostante lui fosse molto ricco, una semplice cerimonia in una chiesa di montagna in Trentino, il ricevimento tenutosi in un piccolo ristorante e infine si erano recati in questa baita presa in affitto e lontana da fotografi e giornalisti.
Avevano trascorso un mese bellissimo insieme loro due, ma tutto era cambiato quando erano tornati a Trieste e avevano ripreso la loro vita normale; lui molto spesso era via per lavoro e lei si trovava sempre di più a casa da sola, incapace di governare una grande casa con tanti servitori, così un giorno stufa della situazione aveva accusato Davide di non curarsi di lei, si sentiva talmente sola, se almeno avesse avuto qualcosa da fare, odiava passare ogni momento della giornata a non fare nulla.
«Sara, Sara, ma dove stai andando?»Lei era uscita da casa di corsa, avevano appena litigato era infuriata, non ragionando più aveva preso la borsa ed era uscita da casa.
«Dove credi di andare?» Continuò lui seguendola.
«Via, non voglio più stare qui, sposando te, ho sposato un mito, e io non voglio vivere così, sto male.»
«Sara, ma cosa dici, cosa è successo?»
«Sposandoti mi sono assunta dei gravi rischi, Maria ora è falsa, mi frequenta solo perché Paolo è il tuo migliore amico; mia madre non è nemmeno venuta al nostro matrimonio tanto era in imbarazzo nell'avere come genero un impresario di banca, mentre lei è solo una modesta casalinga, io non voglio continuare a vivere così, io sto male, non ce la faccio più.»
«Ma amore, hai provato a parlare con Maria o con tua madre, magari se spiegassi loro come stanno le cose.»
«No, ci ho già provato e sai cosa mi hanno risposto, Maria mi ha detto che non affatto vero che lei si comporta in modo diverso, mentre mia madre mi ha detto che lei non è degna di avere una figlia che pur essendo una ragazza semplice è riuscita ad accalappiare un giovane così facoltoso. Non capisci, entrambe pensano che io abbia accettato la tua proposta solo perché sei ricco, mentre io ti amo per quello che sei con o senza il tuo denaro.»
«Sara, io questo lo so già, vieni qua; Disse lui afferrandola e stringendola fra le braccia; amore non ti preoccupare, parlerò io sia con Maddalena che con Maria, e se no mi ascolteranno vorrà dire che non sono degne della fiducia che tu hai riposto in loro. Forza entriamo, guarda come siamo bagnati.»

Una mattina qualcuno bussò alla porta, lei aprì e si trovò di fronte il fioraio con un mazzo di rose bianche, le sue preferite, solo una persona sapeva come le piacevano, ma quella persona non c'era più.
D'improvviso le venne un lapsus, aprì il biglietto, se non era Davide, allora poteva essere solo lui: Pietro Martinez, il padre di Davide.
Era un breve messaggio in cui le comunicava un appuntamento per discutere con lei su un fatto molto importante che riguardava Davide.
L'appuntamento era fissato per il giorno dopo verso le cinque del pomeriggio, poiché quella era l'ora in cui la banca chiudeva.
Sara posteggiò la macchina presso il cinema, e si diresse verso il bar con i figli.
Appena Renato ed Emanuele riconobbero il nonno, gli corsero incontro e gli saltarono in braccio per la gioia.
«Allora, come stai Sara?» Le chiese Pietro felice di rivederla.
«Sto meglio, anche se.» Non fu in grado di finire la frase poiché le si strinse la gola e suo suocero comprese il perché.
«Sara, dobbiamo parlare seriamente.» Affermò egli cambiando espressione.
«Di cosa?» Rispose ella prendendo Emanuele in braccio.
Questo è il testamento di Davide, so che dopo la sua morte ti sei rifiutata di leggerlo, però bisogna rispettare la sua volontà.»
«No, non voglio.» Sentenziò ella rifiutandosi completamente di leggerla.
«Leggilo te lo chiedo per Davide e anche per i tuoi figli .»Chiese Pietro guardandola tenere in mano quel foglio che per troppo tempo si era rifiutata di leggere. Finalmente Sara trovò quel coraggio venuto a mancare dopo la morte di Davide. Tralasciò la parte in cui Davide parlava della banca e cominciò a leggere:

Io sottoscritto, Davide Martinez, nelle mie piene facoltà mentali redico questo testamento in cui affido la mia casa alla mia consorte Sara Martinez, che sarà in grado di amministrarla al meglio Affido tutto quanto possiedo in denaro, qualora io dovessi mancare, a mio padre Pietro Martinez, in modo che egli lo amministri saggiamente e che questo serva a rendere confortevole la vita dei miei figli: Emanuele e Renato Martinez. Infine affido a mio padre, Pietro Martinez, il compito di amministrare la banca di mia proprietà, finché uno dei miei figli o ancora, meglio, entrambi, saranno in età per prenderne le redini, succedendo così a me e a mio padre.
In fede, sperando che la mia volontà sia rispettata.
Davide Martinez.

Sara aveva concluso di leggere il testamento del marito con un groppo in gola e trattenendo le lacrime a stento.
«Sara, oltre al testamento Davide ha voluto scriverti una lettera che ti si sarebbe dovuta consegnare subito dopo la sua morte. Sapeva da molto tempo ciò che gli sarebbe dovuto accadere, ma l' ha voluta vivere lo stesso questa vita maledetta .» Concluse Pietro con gli occhi lucidi e il volto provato dal dolore per aver perso un figlio tanto amato e voluto così presto.
«Se lui ha vissuto, lo ha fatto solo con l'intenzione di renderti felice, perché ti ha amato più della sua stessa vita.

L'incontro con suo suocero l'aveva sconvolta, non sapeva cosa fare, era appena tornata nella casa in cui lei e Davide avevano vissuto per i dieci anni più belli della loro vita; la casa era rimasta come l'aveva lasciata.
Era entrata nello studio in cui Davide era solito lavorare e seguire le quote della borsa; nella sua mente s'insinuò il ricordo del marito seduto alla scrivania, che le sorrideva teneramente, lì non aveva più retto ed era scoppiata a piangere, non ce la faceva più era troppo tempo che si teneva dentro quel dolore che l'aveva consumata fino a non permetterle di vivere una vita felice senza suo marito.
Non aveva ancora aperto la lettera che Davide le aveva scritto prima di morire, non aveva il coraggio di farlo, aveva paura che facendolo, il ricordo del marito sarebbe scomparso per l'eternità.
Suo suocero le aveva chiesto di tornare a vivere a Trieste nella sua vecchia casa, in modo da rispettare la volontà di Davide, e far crescere Renato ed Emanuele nel modo in cui essi si meritavano.
Non sapeva cosa fare, i suoi figli ora erano con il nonno e lei si stava dirigendo verso il cimitero, si trovava di fronte alla tomba in cui erano posti il marito e sua suocera.
«Amore, cosa devo fare, io non ce la faccio più, mi manchi tanto sai, ti amo ancora come se fosse il primo giorno, i tuoi figli crescono a vista d'occhio e tu non puoi vederli, non è giusto, non è giusto! Esclamò fra le lacrime, se solo fossi stata io, avrei dato qualunque cosa pur di averti ancora, avrei dato la vita per te. Amore perché ti hanno portato via da me, perché?! Sai Pietro mi ha dato la lettera che mi hai scritto prima di morire, ma non ho avuto ancora il coraggio di aprirla, non voglio ammettere che tu mi abbia lasciata, sto male, ho bisogno di te amore, più di quanto tu creda.
Affermò sistemando i fiori freschi e seguendo il contorno delle lettere che formavano il suo nome e quello della suocera Lisa.
«Sara, l'interruppe una voce alle sue spalle, hai già letto la lettera?» Chiese guardando la foto della moglie e poi quella del figlio.
«No, non ne ho avuto il coraggio, ma so che devo farlo.»
«Leggila qui davanti a lui, e anche se Davide non può sentirti, parlagli e sfogati, ti sentirai molto meglio.» Concluse lasciandola e andandosene.

Mia adorata, per me ormai si stanno compiendo i giorni in cui la mia anima tramonterà, un angelo me lo ha rivelato, sto per partire per un lungo viaggio da cui non farò mai più ritorno; nella vita non ho rimpianti, tesoro, ti amo più di quanto tu creda, e amo i nostri figli.
Ti ringrazio per avermi donato la tua anima, ma è ora che ti lasci andare.
Ricordo il giorno del nostro matrimonio, eri bellissima, e quando sei entrata in chiesa, mi hai mozzato il fiato, sei bellissima anche ora, ti amo più della mia vita, ma non posso accettare il fatto che dopo la mia morte tu rimanga attaccata al mio ricordo, sarai libera, libera di sceglierti un altro uomo da amare, non chiuderti nel tuo dolore, hai tanto amore da donare, non versare lacrime quando io non ci sarò, i tuoi bellissimi occhi non dovranno subire alcun mutamento, dovranno essere come li ho visti io per la prima volta.
Non ho paura di affrontare la morte poiché tu mi hai dato tutto quello che un uomo può desiderare dalla vita, vorrei, vorrei poter invecchiare con te, vederti diventare nonna, ma so che questo non accadrà perché Dio ha deciso di richiamarmi lassù, dove ti aspetterò vegliandoti.
Ricorda sempre che non ti lascerò mai, rifatti una vita amore, perché nonostante io non ci sarò più, di me ti rimarranno Emanuele e Renato. Voglio credere che anche senza di me sarai felice. Per sempre tuo, oltre la morte.
Davide.

«Amore, ma perché, perché vuoi che io sia libera, di fronte all'altare non ci siamo forse scambiati delle promesse, e io intendo rispettarle fino alla fine.»
Detto questo Sara tornò da suo suocero che era preoccupato; di fianco a lui c'erano i suoi bambini che guardavano la tomba del padre con gli occhi inondati di lacrime.
Tornò al paese il pomeriggio seguente e lì trovò un biglietto:

Perché mi eviti? Ogni volta che ti penso tu mi compari davanti a me, sei come un'ossessione, potremmo mai chiarirci?
Daniele.

Sara ci pensò su due notti e alla fine decise di incontrarlo il giorno dopo a casa sua; Chiese nuovamente a Francesca di tenerle i bambini poiché doveva sistemare una faccenda con Daniele, e lei acconsentì con piacere.

Daniele arrivò verso le tre del pomeriggio; aveva chiesto un permesso speciale e glielo avevano concesso; Sara andò ad aprire la porta, e lo vide, con un sorriso mesto, scoraggiato più che mai per gli inutili tentativi di persuaderla a confessargli ciò che era accaduto al marito.
Ella andò in cucina a prendere un tè freddo, e Daniele invece di sedersi sul divano, come gli aveva chiesto di fare Sara, la seguì nella stanza dove notò le rose.
«Di chi sono?»Chiese lui incuriosito.
«Me le ha mandate mio suocero, mi ha chiesto di tornare a vivere a Trieste, e io ho accettato.»
«Devo parlarti Sara.»
«Di cosa?» Domandò insospettita dal tono serio che Daniele stava usando.
«Dobbiamo parlare.» Esitò un momento egli prima di iniziare il discorso serio che voleva farle.
«Parliamo allora, ma di cosa?»
«L'argomento è sempre lo stesso.»
«Ovvero?» domandò Sara, ma vedendo subito a chi si stava riferendo.»No, Davide no.»
«E invece è ora che tu me ne parli, sono passati dei mesi ormai da quando mi hai detto che me ne avresti parlato.»
«Daniele, no, non me la sento, non sono ancora pronta a parlarti di lui; e poi i fatti che accaddero quel giorno li conosci da prima che m'invitassi a cena.»
«In che senso?» Chiese per la risposta che gli aveva dato.
«Guarda questi fogli, sono del dipartimento di polizia di Trieste; sono i verbali dell'incidente in cui morì Davide, come li spieghi, e perché non hai aspettato che fossi io a raccontarti tutto; la metà delle cose scritte qui non corrisponde al vero!»
«Allora dimmela tu la verità.»
«No Daniele, non sono ancora pronta per...»
«Sara non puoi continuare a vivere nel passato, io non ci sarò per sempre; ora devi fare una scelta, o me e il nostro futuro insieme, o Davide e il vostro passato.»
«No, non puoi pormela così, è ingiusto!»
«D'accordo, allora vieni in camera tua un attimo.»
«Ma cosa fai?» Domandò confusa Sara seguendo Daniele.
Per tutta risposta spalancò l'anta dell'armadio in cui Sara teneva il vestito regalatole dal marito, lui lo prese e glielo gettò in grembo.
«Allora mettiamola in questo modo, mettiti quel vestito e sceglierai me e il nostro futuro insieme, non metterlo e mi perderai per sempre, io non resterò oltre e me ne andrò da te.»
«Ma non l'hai ancora capito che non voglio un fidanzato, voglio un amico! Non ti ho chiesto di innamorarti di me, anzi se ti ricordi bene, ti ho detto fin dall'inizio che non potevo innamorarmi di te dato che amo mio marito.»
«Allora è finita, io ti amo, non posso esserti amico, starei troppo male.»
Detto questo Daniele si alzò, uscì dalla porta e sentì che metteva in moto la macchina e se ne andava via da lei e da i suoi figli.
Appena Daniele fu uscito Emanuele entrò in casa seguito dal fratello, salutò la madre con indifferenza e andò nella sua cameretta a giocare, mentre Renato abbracciava la madre.
Sara guardò Emanuele, non aveva mai visto un bambino di nove anni maturo come lui. Lo amava tantissimo, era uguale a suo padre, ma lui sembrava non aver interesse per i sentimenti degli altri.
Mai una dichiarazione d'affetto, da quando era morto suo padre non le aveva più detto ti voglio bene mamma. Eppure... i suoi pensieri furono interrotti dall'entrata nella stanza di Renato che le chiese una cosa.

Un giorno Sara era rimasta a casa dal lavoro perché i gemelli si erano buscati una brutta influenza. Dopo aver somministrato loro la medicina si era stesa sul divano, stanca di quella vita, le mancava immensamente Davide, sapeva che era ancora innamorata follemente di lui, ma nonostante quest'ella voleva un futuro sereno per lei e per i bambini. Sapeva che Davide non l'avrebbe mai lasciata, ma voleva recuperare il rapporto che aveva interrotto poco prima con Daniele; erano passate quattro settimane da quando la loro amicizia si era interrotta bruscamente e lei non l' aveva cercato.
Non riuscendo a prendere sonno, si mise seduta alla scrivania, scrisse due righe e firmò, lo mise in una busta scrivendo il nome di Daniele sul davanti.

C'era stato un incidente quella mattina, Daniele era stato uno dei primi a giungere sul posto, si trattava di un caso non grave, poiché due macchine si erano tamponate.
Non era rimasto ferito nessuno, ma nonostante questo gli tornò in mente il giorno che trovò Emanuele che piangeva fra le braccia della madre.
Mentre pensava a ciò sentì una morsa allo stomaco, e capì di essere stato un emerito cretino a trattarla in quel modo, l'aveva fatta soffrire, le aveva promesso di esserle amico, ma si era innamorato di lei, nonostante lei l'avesse avvertito, voleva farle dimenticare il marito, ma era l'ultima cosa cui pensava Sara.
Le aveva fatto una proposta indegna dato che aveva perso il marito da poco più di due anni.
Sapeva che era confusa, ma lui l'aveva spinta lo stesso a scegliere tra uno dei due, e lei, naturalmente aveva scelto lui: Davide.
Verso il tramonto Daniele tornò a casa più stanco che mai, e la trovò.
Era stata messa sul suo comodino probabilmente da sua madre, lesse il suo nome sul davanti della busta, la girò e vide che il mittente non era esplicato.
La aprì e lesse il breve messaggio rimanendo colpito dalla semplicità della richiesta, ma anche dall'emozione che quella donna suscitava in lui; era indeciso se andare da lei o no, ma alla fine cedette alla tentazione di vederla e in un batter d'occhio si ritrovò in macchina, diretto verso casa di Sara, e forse diretto verso casa di una persona che amava più di sé stesso e della sua vita. Lei aveva appena finito di pulire la cucina quando lo vide arrivare.
Appese l'asciugamano e andò fuori ad aspettare; lui chiuse la macchina a chiave e si diresse verso casa di Sara, poi d'improvviso lo vide: era un cartello, in vendita, era così bella, portava i vestiti che indossava la prima volta che si erano visti dopo l'incidente.

Era strano, si ricordava tutto di quella donna, ricordava il suo profumo, la maniera strana di raccogliersi i capelli, ma soprattutto sapeva che nonostante lei avesse scelto il marito ed il suo passato felice con lui, forse era la speranza di una possibilità con lei, forse non lo era.
Avvicinandosi a quella porta, un turbine di emozioni lo travolse quasi da fargli perdere i sensi, ma riuscì a controllarsi e salì i gradini della veranda.
«Ciao.» Disse ancora indecisa se fare o no quello che aveva in mente.
«Come stanno Emanuele e Renato?» Chiese lui sapendo che avevano avuto la febbre.
«Meglio, la febbre si è abbassata, vieni entra, voglio parlarti.»
Entrati in casa, Daniele si sedette sul divano, mentre Sara andò in cucina, prese una bottiglia di succo d'arancia in frigo, conscia di quello che avrebbe dovuto dirgli sul suo passato, e rivelargli il segreto più orribile che una donna avrebbe mai potuto tenere nascosto nel cuore.
Dopo due minuti Sara si sedette sul divano e cominciò a parlare:
«Senti, non so perché lo sto facendo, il giorno del litigio ero molto confusa, e lo sono tuttora, so che non sono ancora pronta per rivelarti la verità, ma se non lo faccio ora, sono certa che non lo dirò a nessun altro; il rapporto che tu hai chiesto alla polizia di Trieste è falso, ho chiesto di sostituirlo nel
caso qualche giornalista ad anni di distanza avesse ritirato fuori questa storia.» Daniele non l'interruppe e la fece continuare.
«Davide è... per un momento le mancò la voce, lui la guardò e la vide trattenere le lacrime con uno sforzo enorme, poi si riprese e continuò, Davide è morto fra le mie braccia.» Detto questo Daniele vide che quasi non ce la faceva più a trattenersi, e che se ci riusciva, lo faceva solo grazie alla forza di volontà.
«Quel giorno eravamo andati a fare un pic-nic sulle sponde di un lago, lui era un importante impresario bancario.»
Stavamo tornando da questa gita, i bambini si erano addormentati, e noi giocavamo a fare i fidanzatini, lo amavo tantissimo, forse più della mia vita; lui volle andare a prelevare dei soldi perché voleva portarmi a cena per festeggiare il nostro anniversario di nozze, quando ad un certo punto vidi uscire di corsa dalla banca dei ladri, uno di loro aveva una pistola in mano, presumo sia stato il capo della banda; poi uscì un altro uomo che teneva in ostaggio mio marito e una donna.
Era buono come il pane, non avrebbe mai fatto male ad una mosca; un gruppo di poliziotti cercò di interagire con loro, non so cosa si dissero in quei due minuti che si parlarono, ma so solo che ... lei s'interrupe nuovamente, ma questa volta riuscì a proseguire con quei ricordi che le faceva tanto male rivivere.
Due minuti dopo partirono tre colpi di pistola, due uccisero la donna, e un altro colpì Davide in pieno petto.
I ladri furono presi, e il capo banda, quello che aveva sparato, fu accusato di rapina amano armata e omicidio plurimo, gli hanno dato l'ergastolo.» A questo punto la voce di Sara si fece più tremante.
«Scesi dalla macchina appena in tempo per vedere mio marito cadere a terra; gli corsi incontro cercando di farlo rinvenire, lui aprì gli occhi ancor un momento: «Perdonalo». Fece in tempo a dirmi solo questo, poi morì. Appena Lisa ebbe saputo che il figlio era morto mi accusò di avergli portato via il suo bambino, mi disse che ero una strega, faceva discorsi assurdi, non me la sentii di raccontarle quello che era accaduto. Per giorni e giorni sua madre girò per casa tentando di sentire la sua voce, cercò anche di portarmi via Emanuele, poiché diceva che quel bambino era suo figlio.
Impazzì per il dolore e la rinchiusero in un centro per il recupero mentale.

Voleva il suo Davide lo desiderava più di qualsiasi cosa al mondo; era una donna egoista, ma voleva molto bene a suo figlio, purtroppo degenerò in poche settimane e morì per il dolore.
Ora quella brava donna giace nella tomba accanto al figlio, a quel ragazzo che lei amava troppo.
La cosa peggiore di questa storia, è che io non fui l'unica ad assistere alla morte di mio marito, poiché pochi minuti prima che Davide fosse ucciso, Emanuele si destò dal sonno, e come me vide quella scena terribile.
Da quel giorno in poi non si è mai più ripreso dallo shock, non ho mai sentito un sì, mi piace, non ho mai sentito uscire dalla sua bocca un «ti voglio bene mamma» da quando è morto suo padre.
Eppure è mio figlio, oh Davide, perché ci hai lasciato?» Quella fu l'ultima frase che Sara pronunciò prima di scoppiare in un pianto dirotto.
Solo in quel momento Daniele si rese conto di che cosa orribile le aveva fatto; l'aveva fatta scegliere fra l'amicizia per lui, e l'amore che provava per il marito; così senza poter fare nulla, la prese fra le braccia e lasciò che si sfogasse, che tirasse fuori tutto quel dolore nascosto per due anni.
Poco dopo Sara si addormentò fra le sue braccia; fra quelle braccia che in quel momento sapevano renderla sicura.
Verso mezzanotte Daniele si alzò dal divano, la coprì con una coperta di lana e uscì in veranda; tutta la famiglia dormiva serena nel ricordo di un padre, e di un marito perso.
Pochi minuti dopo era in macchina diretto verso casa; le rivelazioni che Sara gli aveva fatto erano state orribili; ora capiva l'inaspettata freddezza di Emanuele nei confronti della madre, e la nostalgia di Renato. Capì che la morte del padre per Emanuele era stata una dura prova, l'aveva fatto crescere di colpo, e nonostante avesse solo nove anni aveva la saggezza di un bambino di tredici.
Il mattino dopo Sara si svegliò sola, era conscia di quello che aveva fatto e detto, sapeva che Daniele non poteva competere con l'angelo di suo marito, ma non voleva perderlo come amico sincero, era stato l'unico a sapere la verità e sperava che fosse stato leale con lei.
Poi d'improvviso lo vide: un semplice biglietto, era posato sul tavolo; lo aprì e lo lesse: « Sono stato un verme. Non voglio perderti. Ti amo. Daniele.»
Sara era conscia dei sentimenti che Daniele provava per lei, ma sapeva di non poter dimenticare suo marito perché sentiva di amarlo ancora di più.
Così si ritrovò a fissare i suoi figli e ad accarezzare loro il capo, con l'intenzione di dare loro un futuro felice e sereno in memoria di suo marito e il loro padre: Davide.
Ora lei era sicura, non aveva rimpianti, aveva fatto la sua scelta.

Mio amato e mio sposo, dove sei, ti cerco in continuazione, anelo a vederti, a stare con te; sei negli occhi dei nostri bambini, sei nell'aria che respiro, eppure, non ci sei.
Sento il vento soffiare e so che mi sei vicino; ti amo, ti amo ogni volta che ti penso, sento un vuoto dentro che non riesco a colmare perché tu sei lontano da me. Vorrei che tu fossi ancora qui, ma purtroppo ti ho perso mentre l'alito del vento mi sfiorava il viso e i dolci raggi del sole tramontavano nel nostro cielo. Amore mi manchi tantissimo, ti amo più di quanto tu creda; vedendo i tuoi figli crescere giorno dopo giorno, mi accorgo di diventare sempre più vecchia e sola.
Non riesco a perdonare, non posso perdonare chi ti ha strappato alla vita e ai tuoi figli, nonostante tu mi abbia chiesto di farlo.
Mi sono sempre sentita in colpa poiché avrei dovuto esserci io tra le grinfie di quell'uomo, e invece mio adorato, mi ritrovo ancora qui, senza di te.
Il tuo volto piano piano si sta sfuocando, tratti di quel viso che tanto amo stanno scomparendo, non voglio, non voglio che tu te ne vada dalla mia vita, sei troppo importante.
Dio ti prego, aiutami, aiutami a non dimenticare quella voce che sembra un sussurro nel vento.
Non voglio perdere il ricordo di colui che mi ha cambiato la vita.
Nella lettera che mi hai scritto prima di lasciarmi mi hai ridato la libertà, hai voluto che fossi libera, libera di scegliere un altro uomo da amare.
Ho fatto la mia scelta Davide, ho scelto di essere tua per sempre amore mio, non sento il bisogno di avere un altro uomo, soprattutto perché ho finalmente capito che non ci sarà mai un giorno in cui sarò capace di lasciarti andare.
Per sempre tua nella vita e nella morte.
Sara.

Spero che questa storia vi sia piaciuta tanto quanto è rimasta nel cuore a chi l'ha vissuta.
So per certo che non dimenticherò mai l'ultima volta che vidi mia madre ballare con mio padre, e so che non dimenticherò mai l'ultima volta che vidi Daniele.
Mia madre ci educò nel massimo rispetto per gli altri, e so per certo che io e Renato siamo diventati come era un tempo nostro padre.
Nonostante lui sia morto quando avevamo otto anni, nostra madre l' ha fatto rivivere in noi, e nonostante lui non esistesse più, il suo ricordo era talmente forte e vivo che ogni sera lo vedevamo tornare a casa con il sorriso e la gioia che un tempo splendeva nei suoi occhi.
Dal giorno in cui Daniele chiuse dietro di sé la porta non l'ho più rivisto, ma so per certo che amasse fin troppo la mamma, ma con il passare del tempo sapemmo che si sposò ed ebbe una bambina che chiamò come mia madre: Sara.
Capii subito che quell'uomo odiava mio padre per non avergli permesso di poter vivere il resto della sua vita con mia madre, ma in fondo era stata lei a scegliere il suo destino, scegliendo di rimanere fedele alla promessa fatta a mio padre il giorno del loro matrimonio: «Tua per sempre, nella vita e nella morte.»
Ho occupato il posto di mio padre nella banca che lui dirigeva insieme a suo padre.
Non sono mai riuscito a dire a mia madre un «Ti voglio bene», non so perché, ma non gliel'ho mai detto neanche quando è morta.
Ora ho un bambino, mia madre mi manca immensamente, anche se ora so che lei è lassù, con la persona che ha amato di più in tutta la sua vita.
Mio figlio mi chiede spesso di raccontargli la storia che vi ho appena narrato.
È un bambino così dolce; l'ho chiamato Davide, in ricordo di mio padre, cui voglio molto bene; e quando lui mi chiede di suo nonno, posso solo rispondergli che lui è un angelo, mandato appositamente da Dio, il cui unico compito è stato quello di rendere felice mia madre, nonostante sia stato per così poco tempo.
Mia madre visse il resto della sua vita all'ombra di un ricordo, un tenero ricordo di quegli unici anni concessi da Dio a mio padre: Davide.

Fine

Padre mio, non so perché ti sto scrivendo, forse perché mamma se n'è appena andata, ti ha raggiunto, e ora siete insieme.
È appena nato il mio bambino, l' ho chiamato come te papà, amo mia moglie, è bellissima, proprio come lo era la mamma per te.
Quel giorno, solo quel maledetto giorno ho capito quanto l' amassi, ma non hai potuto dimostrarglielo, perché c' eravamo Renato ed io; ti sei accontento di quel bacio, che mamma non sapeva sarebbe stato il tuo ultimo bacio; non capisco perché tu ti sia tenuto dentro il fatto che sapessi già da anni di dover morire così presto.
In quei nove anni vissuti insieme ci hai insegnato cosa vuol dire vita; ma la nostra vita l'hai segnata tu, abbiamo diviso la stessa strada, ma tu l'hai fatto con la forza di non far trasparire quei sogni maledetti che ogni giorno si facevano più insistenti, e ti rubavano l'anima, fino a impedirti di rivelarlo a mamma.
Cosa non farei per ridarti il tempo della vita, quella vita che l'uomo che ti ha ucciso ti ha rubato per sempre.
Crescendo mi sono accorta di somigliare sempre di più a te nei tuoi sorrisi e nella paura di non rivedere più la persona amata.
Ho imparato a credere che tu non abbia vissuto invano papà, sei vissuto per rendere felice mamma, l'ho capito quando mi hai guardato con quegli occhi innamorati per l'ultima volta, mentre ti allontanavi andando incontro al tuo destino.
Ora posso dirlo papà, mi manchi, mi manca la tua follia nell'essere unico al mondo.
Come mamma non riesco, posso perdonare chi ti ha strappato alla vita.
Mamma ha vissuto i suoi ultimi anni aspettando di rivederti con ansia, lei ci ha cresciuti, ma solo quando io e mio fratello siamo diventati grandi, abbiamo capito che era malata, per tutta la vita non aveva fatto altro che pensare a noi, senza mai pensare a sé stessa, ma quando non l'ha più fatta a vivere senza te, ha deciso di raggiungerti, poiché ti desiderava immensamente.
Ma ora so che è felice, perché si trova fra le tue braccia che la sorreggono cullandola.
Emanuele

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