Il mondo per sempre - Seconda parte

«Che bel francese, come mi viene spontaneo, fluente, pure parigino! Io sapevo bene solo l'inglese, solo quello», pensò. Giunse al bistrot, entrò, salutò, sedette a un tavolo. Venne la cameriera, giovane, sì o no venti o ventun anni, molto carina, finalmente donna e ancora bambina. Niente male. Anzi, proprio bella. Capello corto ma non troppo, nero, volutamente arruffato qua e là, grandi occhi neri, ciglia nere lunghissime, sopracciglia sottili e brevi, pelle bianchissima, un seno a dir poco prosperoso, bel corpo, ovale ideale del volto, naso piccolo e ben fatto, bocca che hai subito voglia di baciare...
«Buongiorno, cosa posso servirle?»
Francesco si tolse il berretto e non fece in tempo a restituire il saluto...
«Ma lei è François Ivaldi, la rockstar italiana!»
«Io... ehm... Mi chiamo Francesco Ivaldi a dirla giusta».
«Sì, ma qui in Francia la chiamiamo François... L'ho vista l'anno scorso all'Olympia. Sono una sua fan».
«Di chi, di me?»
«Siiii... Mi piacciono anche molto i Noir Desir, Michel Fugain e Skin. Ma lei, di più. Vero che mi fa un autografo?»

Francesco mise da parte il problema della rockstar, non si interrogò subito a fondo in proposito, ma sentì altra urgenza: la guardò intensamente, la desiderò sopra ogni cosa, passione, amore a prima vista. Con bella, intensa voce impostata e bassa cominciò a recitarle versi di Pedro Salinas. «Adesso t'amo / come il mare ama l'acqua:/ dal di fuori, e dall'alto / in essa senza tregua / facendosi tempeste, fughe,/ ristagni, anfratti, bonacce./ Che frenesia è l'amarti! / Che entusiasmo d'alte onde, / quanti struggimenti di spuma / che vanno e vengono! / Una calca di forme fatte, disfatte, / che galoppano scomposte...». Si interruppe perché i versi qui prendevano un'altra piega, fuori luogo, di un amore più quieto, affidato, dove più oltre dell'onda e della spuma cerca l'amore il suo fondo, laddove il mare fa pace con l'acqua, quello sicuro di non finire quando finiscono i baci, sicuro di non morire com'è sicuro il grande amore dei morti. E quando mai sarebbero finiti i baci con simile creatura? «Galoppano...scomposte» soggiunse quindi per concludere come un'eco.
«È una sua nuova canzone? Non la conosco. È bella, sa.» rispose lei amabilmente.
«È una poesia; non è mia, ma gliela dedico. Lei è bellissima e, chiedo scusa, ma sento di essermi preso una fulminea sbandata, una di quelle che non si può, non si deve aspettare a confessare. Anzi, ti prego, diamoci del tu o mi farai sentire ancora più vecchio di così. Come ti chiami?»
«Ah, ah, lei, cioè tu mi vuoi creare dei problemi con le amiche. Non mi crederanno più quando dirò loro che François Ivaldi non solo è venuto nel mio bistrot... e fin qui può passare... ma mi ha in due minuti dedicato una poesia, mi ha chiesto di dargli del tu e che mi ha pure fatto una dichiarazione su due piedi, senza ancora nemmeno sapere il mio nome, che comunque è Martina».
«Su due piedi forse, ma non più per terra, e tremando dolcemente col cuore in gola, in una ondata di calore che tende ogni nervo come corda di un arco verso il cuore selvaggio del mondo».
«François...»
lo richiamò all'ordine con un dolce imbarazzo.
«Martina, non posso chiederti il sacrilegio di portarmi qualcosa e servirmi. Ti chiedo invece di venir via con me, adesso, o più tardi, quando vuoi. Vorrei offrirti il pranzo, parlare e parlare con te, non smettere mai di guardarti negli occhi e conoscerti. Sai, . Sai, ho una barca ormeggiata qui vicino. Se ti va, domattina, potremmo andare alla Belle Ile. Non dirmi di no! Ah... No, guarda, non è come potresti pensare. È solo che ti ho visto e ti ho amata. Scusa, magari hai un fidanzato o comunque di me non te ne potrebbe giustamente importare nulla».
Martina sorrise. «Invece sarebbe stupido da parte mia non approfittare della situazione, Ivaldi! Non sono mai stata indifferente alla tua voce, alle tue canzoni, al tuo aspetto... Sai com'è, da fan... certi pensieri si fanno. Vieni alle due. Ho il cambio a quell'ora. Per intanto va bene un pranzo. Poi, per domani, si vedrà...»
Lui si congedò con un elegante saluto arabo portando la mano destra alla mente, bocca, cuore e svolazzo. Pur sapendo che pochi lo conoscevano in Occidente, l'aver toccato i tre punti del corpo e non uno o due soltanto fu un modo per dirle che lui era già completamente sua.
Francesco, a due ore ancora dall'appuntamento, vagolò per Vannes pensando alla somiglianza straordinaria di Martina con una ragazza conosciuta anni prima, l'unica di cui si fosse mai veramente innamorato. Solo che se ne accorse troppo tardi, non essendo stato in grado, per eccesso di saggezza, di lasciare per lei la sua fidanzata. Che poi, questione di tempo, finì soltanto che perse entrambe. Aveva davanti a sé una occasione incredibile di recupero, finalmente un antidoto a quel tossico ricordo che nell'altra vita lo aveva ormai ridotto sull'orlo dell'alcolismo. E cominciò anche a riflettere sulla questione della rockstar. Lui aveva per molto tempo da ragazzo cantato e suonato diversi strumenti, chitarra e basso, tastiere e sax tenore, e aveva effettivamente desiderato di diventare una star della musica rock. Dopo aver composto centinaia di canzoni, quasi tutte in lingua inglese, suonato dal vivo nelle solite birrerie con gruppi diversi, e inciso qualcosa in alcune raccolte underground su vinile, aveva infine mollato a ventisei anni. Era stato bravo, cantava bene, aveva avuto una bella voce, un po' alla David Sylvian, ma in Italia certa musica "alternativa" non incontrava, specialmente se cantata, anche se benissimo, in inglese ma da un italiano in Italia. Ricordò un discografico a cui aveva sputato in faccia quando questi gli disse: «No, no... Ci vuole un buon vecchio gruppo all'italiana, come I Nuovi Angeli, quelli sì». Anche i demo spediti all'estero a etichette indipendenti inglesi, francesi, belghe e olandesi non avevano però portato a niente. «Quindi, com'è possibile che io sia ora la rockstar che avrei voluto essere, ma non fui? Ho escluso la morte e il paradiso, il patto col diavolo... Forse è vera la teoria dei mondi paralleli. Qualcosa come Sliding doors, un po' più complessa però. Ma dove si sarebbe sdoppiata la mia vita? Non certo salendo o perdendo un metrò. Forse nel sonno, in qualche sogno».
Dieci minuti prima delle due Francesco era fuori dal bistrot. Aspettò fino alle due e un quarto. Martina uscì.
Francesco le aprì lo sportello della Aston Martin.
«Martina, scusa, ma mi devi dire tu cosa preferisci mangiare e dove. Io non sono di qui se non che da poco».
«Sono vegetariana».
«Vegana?»
«No, solo vegetariana».
«Se ti piacciono i formaggi avrei un'idea... Ho visto un posto girando stamattina»
«Fai tu allora, per me va bene»

Fu uno spuntino in un bar à fromage. Boulette d'Avesne a pasta molle, Gaperon di Auvegne aromatizzato all'aglio, dell'Arsivò, una formaggetta di latte di capra stagionata nelle foglie di noce, ciliegio, gelso e fico, del St. Maure de Touraine e una bottiglia di vino rosso Chateau de Paillet Quancard del '96. Francesco fu galante, affascinante, divertente, coltissimo, praticamente un irresistibile uomo di mondo. Ed era ancora carino. Le parlò anche di viaggi mai fatti. Cioè, era come se avesse due memorie diverse. Il vecchio sé non era mai andato all'estero oltre la Svizzera italiana e la Costa Azzurra, San Marino e San Pietro in Vaticano, mentre il nuovo ricordava di viaggi lungo la Panamericana in camper, poi nel Mali, a Mosca, in Nuova Guinea e Tasmania, Argentina, Amazzonia e Perù, Honduras, Libia, Uzbekistan, Londra, Dublino e Budapest e avanti, come se davvero vi fosse stato. Ne raccontava con garbata cultura, suscitando davvero interesse e divertendo con alcuni aneddoti personali. E quando sei uno che diverte, che ha viaggiato e viaggia, è praticamente fatta!
«E adesso dove mi porti?» chiese Martina dopo che Francesco ebbe pagato il conto.
«Che ne dici della foresta di Brocéliande alla ricerca della tomba di Merlino?»
«Noooo... È tardi per fare quella cosa lì. Portami a casa tua piuttosto. O qui sei in albergo?».
«No no, ho una casetta. Ci andiamo eccome!».

In macchina Francesco ebbe un attimo di esitazione. Non era sicuro di saper ritrovare la strada per tornare alla sua nuova villa che ruota come un girasole. Che figura stava per fare! Poi decise di affidarsi all'altro sé. Girò la chiave e via. In effetti, aveva preso le strade giuste, riconoscendole come da tempo già molte volte praticate. Quando arrivarono, Martina non smetteva di credere ai suoi occhi.
«Ma quanto sei ricco tu?»
«Mah... in effetti...»
farfugliò Francesco.
Entrarono in casa, lui le preparò un parisian cocktail.
«Un terzo di gin, un terzo di bicchiere di vermouth dry, un cucchiaio di crème de cassis, ghiaccio a cubetti, mescolare piuttosto forte, lasciar riposare uno o due secondi, riprendere a mescolare ma lentamente. Servire subito».
«C'è qualcosa che non sai dire o fare? Che bel pianoforte! Mi suoni qualcosa?»

Nel centro del salone un Bosendorfer nero a coda. Francesco aveva sempre desiderato un pianoforte, ma non aveva mai avuto lo spazio adeguato anche solo per noleggiarne uno verticale, così si era sempre accontentato di tastiere da mettere via dopo l'uso. Alla richiesta fu colto quasi dal panico. Non suonava da undici anni. E anche allora era stato capace più che altro di suonarvi qualche suo pezzo per registrare le parti di piano in studio, così, a orecchio. Ma si affidò nuovamente all'altro. Si accomodò sullo sgabello e le sue mani cominciarono a suonare "Le onde" di Ludovico Einaudi, poi, tra movenze ed espressioni ora appassionate ed ora malinconiche, "the heart asks pleasure first" di Michael Nyman. Qualunque cosa avrebbe voluto suonare, Francesco si rese conto che l'avrebbe potuto fare. Smise incredulo, quasi impaurito. Martina fu teneramente attratta da quel suo smarrimento, gli passò una mano sui capelli, poi un'altra carezza e ancora carezze e baci. Senza smettere di baciarsi, toccarsi, si spogliarono. Lui la prese in braccio, l'adagiò sul bordo del letto e le passò la fiamma su e giù lungo l'interno delle cosce, dardeggiò la lingua sul clitoride. La vulva profumava delicatamente di madreperla. Non si fermava in nessun punto. Mordicchiò con leggerezza i capezzoli e le areole, tornò in basso schioccando la lingua con tocco leggero prima del vellutato "no". Martina si mise alla francese, massaggiò il suo perineo, poi tra un tocco di farfalla e un vortice di seta, baciò a lungo l'asta di giada. Lei venne. Ricominciarono. Lui sopra, dietro, à la parasseuse, seduti uniti abbracciati, yab yum, piacere trattenuto a lungo nella gioia travolgente, incontenibile sorriso di mille onde tantriche, con il petto premuto uno contro l'altra e all'universo intero. Con lei sopra, il controllo dell'angolo e della profondità della penetrazione, la velocità crescente della spinta, occhi negli occhi, i seni nelle mani di lui, giunse lenta a invaderli l'estasi, amore, amore, amore, un raro, simultaneo orgasmo. Energia che esplode più facile se ne vende la maggior parte, ma solo questo è l'Immutabile che unisca due vite così. Fecero ancora l'amore, a lungo. Passarono tre ore come un attimo.
«Devo tornare a casa. Mi accompagni? Però possiamo vederci più tardi. Ti va di andare al cinema?»
Francesco la riaccompagnò. Si sarebbero rivisti più tardi. Tornò quindi a casa. Pensando a Martina, si sedette di nuovo al pianoforte e cantò una canzone di Ivano Fossati. «Bella, che ci importa del mondo? Verremo perdonati, te lo dico io, da una bacio sulla bocca un giorno o l'altro. Ti sembra tutto visto, tutto già fatto, tutto quell'avvenire già avvenuto scritto corretto e interpretato da altri meglio che da te. Bella non ho mica vent'anni, ne ho molti di meno e questo vuol dire, capirai, responsabilità, perciò... volami addosso se questo è un valzer, volami addosso qualunque cosa sia, abbraccia la mia giacca sotto il glicine e fammi correre, inciampa piuttosto che tacere e domanda piuttosto che aspettare, stancami e parlami, abbracciami, guarda dietro le mie spalle e poi racconta e spiegami tutto questo tempo nuovo che arriva con te. Mi vedi pulito, pettinato, ho proprio l'aria di un campo rifiorito e tu sei il genio scaltro della bellezza che il tempo non sfiora. Ah, eccolo il quadro dei due vecchi pazzi sul ciglio del prato di cicale, con l'orchestra che suona fili d'erba e fisarmoniche. Ti dico bella che ci importa del mondo... stancami e parlami abbracciami, fruga dentro le mie tasche e poi perdonami, sorridi, guarda questo tempo che arriva con te...guarda quanto tempo arriva con te...». Dunque, era di nuovo, finalmente innamorato. Che bel giorno, che benessere, che felicità!
Francesco ricordò la faccenda della rockstar. Andò a vedere tra le migliaia di dischi e cd. Cercò a lungo, spesso distratto dalla scoperta di avere questo o quel titolo, anche rarità, vere e proprie chicche per un appassionato di musica, roba di valore per i collezionisti. I microsolchi originali dei Magma! Infine trovò i suoi dischi. Francesco Ivaldi: L.P.me!, Daimon, Underset, Useless for business... «Non ci posso credere». Guardò i titoli. Erano proprio le sue canzoni. On razor's edge, Wheels within wheels, Inwards outwards, Love is between, It's a way to move... C'erano tutte. Ma ancora più stupefacente fu leggere i credits. Aveva inciso quei dischi per etichette come la Virgin, con alcuni dei suoi vecchi musicisti, altri session men italiani e inglesi decisamente quotati. Qua e là ospiti coi quali da sempre aveva vagheggiato di suonare una volta almeno nella vita: le chitarre di Robert Fripp o Adrian Belew, la regia del suono di Brian Eno, le percussioni di Talvin Singh o di Evelyn Glennie, la batteria di Bill Bruford, il basso fretless di Mick Karn, le tastiere di Mike Garson, un duetto con Battiato, il backing vocal di Alyson Goldfrapp, perfino il trautonium di Oskar Sala prima che morisse, e il theremin di Lydia Kavina, pronipote e allieva di Leon Theremin. «Mio Dio!» esclamò Francesco, «questo l'ho registrato negli studi di Peter Gabriel!». Mise nello stereo i suoi dischi e i suoi cd, saltando sempre più entusiasta da uno all'altro, da un brano all'altro... Erano proprio le sue canzoni, suonate, arrangiate mostruosamente bene. Ed erano belle davvero, proprio come sapeva che sarebbero state se suonate dalla gente giusta, in studi di registrazione e non per lo più lo-fi con il quattro piste a cassette. Fuori imbruniva. Si sentì stanco, quello stato di esaltazione e di euforia cominciò a infastidirlo e smise di ascoltarsi. Quel giorno aveva fatto il pieno di gioie e sentiva che non avrebbe retto oltre senza prendersi un attimo di tregua e riflessione. Prese una bottiglia di Scotch, andò nel giardino Zen, sedette per terra vicino a un'isola di pietre. Cominciò a ricomporle. «Tutto questo è stupendo, ma ho bisogno di potermelo spiegare! Non è ragionevolmente possibile: sonno e sogno, morte e paradiso, rapimento e premio di alieni, multiverso... Qual è la verità? Quando stasera sarà ora di chiudere gli occhi e dormire, riuscirò? Domattina dove potrei svegliarmi di nuovo? Qui, nella vita di un solo giorno? O non piuttosto nell'altra vita, quella sì, reale e garantita quanto i 37 anni che vi ho vissuto e i quattordicimila sonni e risvegli senza prodigi come questo. Oppure devo già temere le glabre teste a pera rovesciata, i grandi occhi a mandorla, neri, gli esili corpi di pelle grigia dei reticuliani chini su di me stanotte prima del rapimento col raggio traente sul disco volante... o come si dice in gergo, abduction...».
Un passo, un'ombra, due belle scarpe. Francesco alzò spaurito lo sguardo. «Un signore sui cinquanta, di aspetto molto distinto, ben vestito, abito e gilet di Ermenegildo Zegna, pochette, cravatta con motivi macclesfield...
«Buonasera signor Ivaldi»
Francesco indugiò, si sentì per un attimo impacciato «Buonasera... È lei dunque, dunque è lei il proprietario di questa casa e, insomma, tutto il resto... Magari mi sa anche dire come mai io sia finito qui! Forse uno scherzo, è un programma televisivo, ci sono state telecamere nascoste?». A quest'ultima ipotesi Francesco non aveva effettivamente pensato prima. Sì, ma come ce l'avevano portato lì? Gli tornò in mente Patrick MacGoohan, "Il Prigioniero" e il Villaggio. Spruzzando quindi del gas soporifero dalla serratura di casa sua, forzando la porta, entrando e sequestrandolo? Sapeva di fantascienza e spionaggio. E lui non si era dimesso da nessuna "Organizzazione " segreta. Eppoi, ricostruire i suoi dischi, come avrebbero potuto farlo?
«No. Questa è casa sua. Le automobili sono le sue. Anche la barca e l'appartamento a Parigi sono suoi. Ed altro ancora che lei non sa ancora di avere. Cioè in breve qualunque cosa lei desideri. Se domattina vorrà una Bentley o una Ferrari, perfino una Bugatti, non ha che da desiderarlo. Vuole un aereo? Lo ha già. Donne? Quante ne vuole, chi vuole. O come le vuole. Voglio dire, ha presente Webbie Tookay... la modella-mosaico virtuale con le gambe della Schiffer, il seno di Naomi Campbell, lo sguardo di Isabelle Adjani... Ma vere, non fatte di bit! Orge? Che c'è di male? Non fanno mica danno a qualcuno? Anzi, è pur sempre amore. Vuole andare in crociera di inaugurazione sulla Queen Mary? Il biglietto, quello più caro da 30.000 euro, è già nel primo cassetto del suo comodino, quello a sinistra. Parte tra due mesi da Southhampton. O preferisce un soggiorno nella Zvezda che ospita gli astronauti della Stazione Spaziale? Tenga però conto che là dentro c'è un gran tanfo. Vede, al polso ha un bellissimo Jaeger-Le Coultre che prima non aveva. Stamattina ne ha visto uno in quella gioielleria, le è piaciuto ma non ha pensato di comprarselo. Non importa. Vede, ne ha comunque avuto uno. Vuole parlare norvegese, o l'isizulu dello Swaziland... Quando sarà il momento, scoprirà di saper parlare in qualunque lingua... ».
«E Martina?»
«Martina è vera, ed è vero amore, no? Anche lei è vero. Io sono vero. Siamo tutti veri, tutto è reale qui. Più reale del reale e... a tempo illimitato! Può anche sposarla, se crede».
«Mi dica per favore che storia è questa?»
«Non le piace?»
«Mi piace fin troppo. Vorrei soltanto capire».
«Ebbene, questo è, come d'altronde lei ha già pensato, il Paradiso. Sissignore. Si stupisce, pensa che non possa essere così dal momento che anche qui c'è gente subalterna che lavora, che mendica, che vive in piccoli appartamenti, che porta a spasso i cani tre volte al giorno o guida una 106 invece che le auto da sogno come le sue... Ma quelli, attualmente, sono infatti all'Inferno, o al Purgatorio. Sennò, che gustoi ci sarebbe ad essere ricchi come te! Quanto al resto, beh, diciamo che tutto è basato su una copia perfetta del Mondo».
«Ma... Non capisco. E chi sta nella condizione di Inferno o Purgatorio non può più cambiare, deve restarsene così senza possibilità di riscatto? Sarebbe peggio che in vita».
«Eccolo il vecchio Francesco di sinistra! A parte che l'Inferno dovrebbe essere effettivamente peggio che in vita... Ma la risposta è no. Tutto può cambiare. Per chi è in questo Paradiso, si può accedere a livelli superiori di Paradiso, oppure, per gli altri, tornare sulla Terra, riprovarci. Anche chi è in questo Paradiso può comunque tornare sulla Terra, se proprio gli manca, o pensa di avere qualche buona missione da compiere».
«E io, com'è che ho guadagnato il Paradiso?»
«Beh, lei era dopo tutto una bella persona. Ha avuto una famiglia drammaticamente impoveritasi, negativa, lavorava per i disabili, pianse a vedere le fosse comuni di Srebrenica o quando l'Uomo Elefante recitò il Salmo ventitreesimo nel film di Lynch. E non smise mai di leggere e farsi una gran cultura. Nonostante gli sforzi profusi, non le è però mai riuscito di riscattarsi a causa di un mondo spietato, ottuso, disattento; lei non era, non fu mai abbastanza egocentrico. Secondo noi ha sofferto il giusto per meritarsi questo».
«Secondo noi chi?»
«Questo non posso dirlo».
«E lei chi è, un angelo?»
«Una specie. Diciamo un messaggero».
«E quanto durerà tutto questo?»
«Tutto il tempo che lei vorrà. Anche per sempre».
«Vuol dire per l'eternità?»
«Già».
«Un'ultima cosa: come sono morto? Nel sonno?»
«Non proprio. Ieri notte, permettimi di darti del tu, qui la faccenda si fa delicata e ci vuole un po' di amicizia, hai avuto un brutto, bruttissimo risveglio alle tre. Dispnea. Un forte, forte attacco d'asma. Non respiravi, ancora mezzo addormentato, spaventato, dovevi scendere al più presto dal letto per prendere la bomboletta del broncodilatatore. Ti sei agitato, rigirato, hai perso l'orientamento, non ti sei accorto... Purtroppo hai scavalcato dalla parte sbagliata il letto a soppalco, dove non c'era la scaletta. Sei volato solo quei due metri, ma hai battuto malamente il capo contro il bordo della scrivania dabbasso».
«E sono deceduto così, sul colpo? Ma è una cosa a dir poco grottesca... Non è giusto morire così! Un ictus sarebbe stato più dignitoso.»
«Eh sì. Strana fine. Nella nostra decisione anche questo ha contribuito, sai... Beh, ora sei qui. Magari, infine, ne può essere valsa la pena».
«Uhm... Effettivamente... sì. Direi di sì. Ma chi mi ha scoperto, dal momento che vivevo da solo e sfidanzato?»
«In verità non sei morto subito. Ti sei rialzato, hai barcollato, sei uscito sul pianerottolo, poi sei ulteriormente rotolato giù dalle scale».
«Il colpo di grazia?!»
«Eh!»
«Ah! Che scalogna...»
«Ora sei più tranquillo? Posso andarmene?»
«Sì, certo. Ma ti posso rivedere? Non si sa mai. Avessi bisogno di chiedere qualche altra delucidazione...».
«Se lo desideri, pensalo e aspetta».

Il Messaggero si voltò, camminò, se ne andò.
«È sera! Devo andare da Martina. Che splendida serata, fresca, tagliente, stellata. Mette voglia di cose nuove, lontane e segrete».
Francesco andò a prendere la macchina. Si sorprese. L'Aston Martin non c'era più. Al suo posto però una Porsche Carrera GT-2001, 2 posti secchi, tettuccio abbassato a scomparsa. Proprio quel che ci voleva in una simile serata. Le chiavi erano al volante. Salì a bordo, strinse il volante con una mano, con l'altra la cloche rivestita di alluminio del cambio. In un attimo sentì crescere la piena consapevolezza della situazione, e fu oltremodo felice. Per sempre una vita così! Una gioia, una levità, una pace immensa, una scarica di endorfine benedette percorsero il suo essere fino a farlo sentire immateriale. Si librò dolcemente in alto, sul soffitto di una stanza d'ospedale. Il suo corpo era laggiù, sul lettino, con degli elettrodi sul capo e sul torace. Un'esperienza extracorporea, di pre-morte? Ma non era già morto? Un medico accorse chiamato da un infermiere. L'elettroencefalogramma si fece improvvisamente piatto. Il quarto livello di coma divenne morte cerebrale. Il medico disse che non c'era più niente da fare. «Spenga tutto. È andato». Con smisurata angoscia Francesco, in quel corpo astrale che ancora gli rimaneva, capì di aver vissuto soltanto un sogno così vivido e reale o realistico a causa del coma profondo. Che amarezza! E intanto anche lui svaniva... svaniva. Sentì ancora una voce... «Morire cadendo dalle scale, forse addirittura da un letto a soppalco... poveraccio!». E Martina? Martina, almeno Martina! Nero... Sempre più nero, completamente nero, soltanto nero che avvolge, intrauterino, caldo, e silenzio, profondo senso di pace... Chissà? Chissà?

(Segue pagina completamente nera, quasi un calligramma. Cosa c'è dopo resta dunque un mistero insondabile ai vivi. Oppure, il nulla. Chissà?).

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

P.S. Ho scoperto poi che un certo Francesco Ivaldi esiste ed è un noto velista italiano. Si tratta ovviamente di una coincidenza, avendo io tratto il nome come quasi tutti gli scrittori fanno: puntando cioè a caso il dito sull'elenco telefonico, prima per il nome, poi per il cognome. Ad ogni modo, qualunque riferimento a persone o fatti dovesse risultare dalla lettura, sarebbe puramente casuale.

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