Pallottino  

Dopo Il signore della porta accanto, ecco il secondo racconto di Paola Pallottino. Dalla presentazione apparsa su Galassia del 1o settembre 1966:

"Paola Pallottino è senza dubbio la vera rivelazione italiana del 1966: e Galassia, naturalmente, è felice di avere avuto fiducia fin dall'inizio nelle doti di questa giovane e interessante autrice, il cui precedente racconto, L'uomo della porta accanto, ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica. Il racconto che compare in questo numero ha in comune col precedente l'impostazione: si tratta cioè di un argomento vecchio come la science fiction, che Paola Pallottino affronta con umiltà e abilità davvero poco comuni, traendone un risultato assolutamente nuovo e sconcertante: un racconto che, ne siamo sicuri, porterà Paola Pallottino ancora più in alto nella considerazione dei lettori di Galassia"

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Tutta la fila ondeggiò per un attimo, come incerta sulla direzione da prendere, poi avanzò di un posto prima di fermarsi nuovamente in un'altra interminabile sosta.
Gomito a gomito: stanchi, sudati, con i fiati resi pesanti dall'alimentazione scarsa e disordinata e le bocche aperte in un vociare assordante sui pochi denti rimasti; la folla aveva un'allucinante somiglianza con le masse che avevano sovrappopolato le zone depresse del pianeta fino al ventunesimo secolo.
Un Guardiano passò rasente la fila, con una frusta in mano, ricacciando indietro quelli che tentavano di aggirarla per sorpassare abusivamente i loro vicini.
«Indietro! Indietro! Serrati! Mantenete i vostri posti.»
Una mano completamente priva di unghie si allungò ad afferrare un bambino che stava cercando di sgattaiolare tra le gambe della gente.
Più avanti, l'improvviso rumore di vetri infranti, fu seguito da un urlo e da pianti disperati. Il brusio si levò di tono.
«La mia bottiglia, la mia bottiglia di vetro!» gemeva una donna cercando disperatamente di raccoglierne i frammenti.
« Era una bella bottiglia,» assentì il suo vicino.
«Una bottiglia ante-guerra,» continuò la donna singhiozzando, «e adesso non ho più niente per prendere l'acqua e dovrò rifare la fila.»
Un Guardiano si stava già avvicinando per informarsi sull'accaduto. A capo chino, con le spalle che sussultavano, la donna fu accompagnata fuori della fila.
Per tutta orazione funebre, una vecchietta dal cranio completamente calvo e dalle spalle piegate sotto il peso di un grosso bidone legato con due cinghie, si fregò le mani e avanzò di un passo dicendo:
«Un altro posto guadagnato!»
Il sole scendeva all'orizzonte, ma sulla folla era da tempo calata la notte, mai completamente buia da quando le nubi di scorie isolavano con la loro opaca foschia la luce del sole. Per tutto il giorno la visibilità si manteneva scarsa a causa della cortina che assorbiva buona parte della luce e le notti, per contro, erano perennemente illividite da una vaga fosforescenza.
Tre squilli di corno si alzarono all'improvviso sopra al brusio.
Un urlo di delusione si levò dalla folla in attesa, ma già i Guardiani correndo su e giù lungo la fila provvedevano a disperdere la folla roteando le loro fruste.
«Allontanarsi! Allontanarsi! La distribuzione e finita. Per oggi non ci sono altre distribuzioni d'acqua. Tornare a casa! Disperdersi!»
Il clamore e i commenti si intrecciavano in disperata e vana protesta. Molti di quelli che avevano aspettato per ore il loro turno si allontanarono subito per recuperare con il sonno le forze da spendere il giorno dopo in un'altra sfibrante attesa o per correre ad offrire il loro lavoro in cambio di un sorso d'acqua.
Tra i fortunati che erano riusciti ad approvvigionarsi in tempo, molti esercitavano il mestiere di raccoglitori a scopo di lucro e si erano già sistemati lungo il bordo della strada per vendere la loro riserva d'acqua.
All raccolse i due secchi vuoti e prese Neda per il gomito guidandola attraverso la folla. Senza parlare si avviarono verso un sentiero sulla destra che sboccava in un largo intorno al quale si agglomeravano delle abitazioni.
Prima di abbandonare la strada, Neda si voltò per un attimo. Dietro di lei il brulichio della gente, le grida e le risse che scoppiavano ad ogni passo, testimoniavano della disorganizzazione.
Il terreno circostante, ormai sgombro, si rivelava accidentato, la strada non era che una traccia appena segnata di terra battuta che si snodava disordinatamente fino al distributore attraverso le asperità del suolo. Intorno erano ancora visibili i segni di una giornata di bivacco: le nere zolle bruciacchiate dei falò, le scorie di ogni genere, ma, soprattutto, le sagome appena riconoscibili nel buio di due corpi in attesa di essere rimossi dai Guardiani: quello di un vecchio morto prima di poter percorrere i pochi metri che lo separavano dal distributore, e in fondo alla strada, il cadavere di una ragazza giovane, dalla pelle chiazzata e le braccia aperte in croce intrise di sangue. Si era tagliata le vene dei polsi, senza coltello, mordendole, per non affrontare un'altra giornata di attesa.
Neda rabbrividì, aveva indovinato più che vedere.
Ma lo spettacolo non era nuovo; ogni giorno la distribuzione aveva le sue vittime. I primi a soccombere erano, contrariamente a quello che si sarebbe potuto pensare, i più giovani, avendo gli anziani avuto tempo di immagaz-zinare maggiori energie.
L'indice di mortalità infantile era elevatissimo e ne risultava, pertanto, che il numero di persone adulte accolte nella comunità, era assolutamente sproporzionato rispetto a quello dei giovani.
All posò i due secchi e frugò in una tasca interna del mantello. Gli occhi del raccoglitore accoccolato ai suoi piedi luccicarono avidamente.
Neda fece un passo avanti come per fermare All.
«Non prenderla» disse, «ne abbiamo ancora.» L'uomo scosse il capo e aprì il palmo della mano su cui brillavano poche monete.
«Sono gli ultimi quattro den» disse stringendo con forza le dita intorno al denaro. «È meglio prendere subito l'acqua. Domani... » si interruppe con un gesto vago. «Tu: riempi questo,» riprese porgendo al raccoglitore il recipiente più grande.
L'altro non si mosse e indicò col mento una cassetta al suo fianco.
«Fa un den, fratello »
Meticolosamente All scelse una moneta e dopo aver riposto le altre al sicuro in fondo alla tasca, la mostrò all'uomo sul palmo aperto, prima da una parte poi dall'altra, quindi, al cenno di assenso del mercante, la fece rotolare dentro alla cassetta.
Una volta pagato, il raccoglitore sembrò riacquistare tutta la sua energia: in un lampo balzò in piedi e senza rovesciare neppure una goccia, versò da un bidone l'acqua nel recipiente indicato per riaccoccolarsi immediatamente in terra.
Neda si chinò sul secchio dove il livello dell'acqua superava appena la metà.
«Fino all'orlo» ringhiò All immobile.
L'altro si strinse nelle spalle scuotendo il capo: «Non potrai trasportarla, fratello mio. Te la perderai tutta per la strada.»
All indico il secondo recipiente.
«Lì.»
Borbottando il raccoglitore aggiunse la differenza nel secondo recipiente, poi si voltò a esaminare due ragazze che si stringevano l'una all'altra facendo dondolare le loro pentole vuote e contemplando la riserva d'acqua del raccoglitore con occhi bramosi.
All e Neda si allontanarono con i loro secchi, mentre, alle spalle, la voce del mercante si alzava ad apostrofare le ragazze.
Nelle abitazioni brillavano poche luci debolissime. Quasi a tentoni raggiunsero il retro di una casa e spinsero la porta. L'odore nauseabondo di rinchiuso li raggiunse con una zaffata. All e Neda si irrigidirono con lo stomaco contratto, poi, lentamente, inspirando una lunga boccata di aria notturna entrarono in punta di piedi badando a non calpestare i corpi di quelli che dormivano nella prima stanza.
Con tutta la cautela suggerita dal prezioso carico d'acqua, traversarono così altre due camere prima di arrivare all'angolo in cui dormivano da soli, separati dal resto degli abitanti della casa da una parete di legno.
Posati i secchi, All con un bastone spinse la botola che si apriva sul basso soffitto e un fiotto d'aria entro dall'alto.
Sempre al buio, Neda comincio a versare il contenuto dei recipienti in un grosso bidone all'angolo, ma anziché scrosciare contro altra acqua, il getto rimandò il rumore metallico delle pareti. Angosciata, Neda affondò il braccio nel bidone per ritirarlo subito con un sospiro strozzato.
«È vuoto, All! Ci hanno rubato tutta l'acqua,» balbettò poi.
L'uomo si avvicinò ma non poté che constatare la tragedia: la riserva d'acqua di almeno tre giorni era sparita. Volatilizzata.
Tutta la ricchezza di cui erano in possesso si riduceva ora ai cinque litri acquistati pochi minuti prima. E non c'era nulla da fare, nulla da dire, nessuno con cui potersela prendere. I furti erano all'ordine del giorno e loro erano già abbastanza fortunati ad essere protetti da una parvenza di abitazione e non essere esposti, come i due quinti della popolazione, alle ruberie e alle violenze delle bande organizzate.
Singhiozzando Neda si abbatté sul suo pagliericcio nascondendo il capo tra le braccia senza poter frenare il tremito che la scuoteva. All si chinò sopra di lei per un attimo. Poi, senza una parola, le scivolò al fianco e la strinse a sé addormentandosi immediatamente.

Il suo compagno aveva una zappa. All aveva soltanto le mani, Neda e una somma di ricordi di tutti i generi che gli rotolavano nel cervello come patate in un sacco; soffocandolo, estenuandolo e ossessionandolo dalla mattina alla sera benché egli tentasse continuamente di ricacciarli via, con la disperata speranza di potersene liberare per sempre.
Era più facile, quando le mani gli si tagliuzzavano nell'estrarre i rep, o quando le braccia spezzate dalla fatica gli dolevano fino ad impedirgli ogni altra riflessione. Quando mangiava, quando la sera, tornando inebetito dal lavoro, il ventre caldo di Neda si apriva ad accoglierlo. Allora era più facile non pensare.
Ma durante le monotone giornate in cui la loro squadra era addetta per ore e ore a spalare, i ricordi tornavano tutti, uno per uno. Sempre gli stessi, sempre vivi, senza aver perso nulla della loro forza; netti nei loro contorni come se il tempo non potesse minimamente alterarli e ogni giorno qualcuno li ridipingesse intatti nella sua memoria.
Prima c'era la casa e l'immagine più chiara non era quella reale dell'interno o del giardino, ma il ricordo di una fotografia a colori, presa da lui, sul portico, durante un'estate. I1 cedro del libano, tutto il loro orgoglio, era stato inquadrato solo a metà sulla destra; e, nella memoria, questa mutilazione appariva ad All più dolorosa del fatto che da tempo, ormai, l'albero non esistesse più.
Poi c'erano le finestre. Il muro caldo e rugoso come la pelle di un animale domestico. Poi, era inutile rimandarlo, c'era il momento in cui la figurina di Katerine si voltava ridendo sulla soglia, sorpresa dall'obiettivo nell'atto di en-trare. Con lo stomaco che gli si contraeva, All poteva riconoscere tutti i particolari del suo viso, i capelli morbidi, la bocca larga e dolce, gli occhi grigi, le lentiggini appena visibili alla base del naso. Katerine cara. Katerine che ri-deva... Kate! Kate, amore mio...
E ogni volta il cuore gli balzava in gola e la bocca gli si asciugava mentre il sudore gli colava lungo la schiena.
Poi, il cuore rallentava i suoi balzi e la disperazione sembrava sciogliersi davanti ad altre immagini. L'università, il viaggio a New York e il laboratorio assurdamente mescolati all'odore delle salsicce abbrustolite sul carbone, al gatto dei vicini che appariva invariabilmente all'ora di cena, a mille particolari che premevano per tornare contemporaneamente alla sua memoria.
Poi un fantasma che aveva i suoi occhi e quelli di Katerine, la sua bocca e quella di Katerine... All, aspetto un bambino...
No! Perdio, no! Questo non poteva permetterlo. Il suo bambino non poteva nascere in quelle condizioni; si guardò intorno smarrito e come a conferma ebbe percezione dell'assurdo colore nero del terreno, dell'opaca nebbia che sembrava nascondere il sole da sempre, dell'atmosfera di desolazione che lo circondava. Disperatamente serrò a pugno le mani che gli tremavano e tornò in sé.
Lentamente ricominciò a mettere a fuoco le schiene curve dei suoi compagni di lavoro e scoprì che anche i suoi gesti avevano la stessa automaticità priva di speranza, che anche il suo viso era bruciacchiato, le sue guance coperte di barba ispida, i suoi denti marci e fu sollevato all'idea che Katerine non potesse vederlo.
Con Neda la cosa era completamente differente. Neda era... All si fermò un attimo a cercare una definizione che indicasse l'estraneità e la precarietà dei loro rapporti. Avevano messo in comune le loro miserie. Ma All era conscio della minore vulnerabilità di lei e della sua inesauribile capacità di adattamento alle situazioni; come se il mondo, per lei, fosse cominciato esattamente nel momento in cui finiva per tutti gli altri. Neda sembrava essere nata dopo il diluvio e tutto sommato, per quello che ne sapeva All, l'unica cosa che le stesse veramente a cuore era la propria sopravvivenza.
Il fischio di un compagno che lavorava a una decina di metri lo fece sobbalzare. Un altro reperto, pensò All vagamente; ma non c'era curiosità in lui. Ormai sapeva per esperienza che tipo di tesori potesse nascondere la terra.
Un sorvegliante cominciò a salire faticosamente la collina mentre gli altri compagni, abbandonato il lavoro, correvano ad affollarsi intorno all'uomo che aveva fischiato per esaminare il reperto.
All li vide fare capannello e chinarsi a guardare mentre lo scopritore spiegava gesticolando.
Rabbiosamente voltò le spalle alla scena e si rimise a scavare. Ma non poteva fare a meno di sentire le voci sempre più eccitate dei suoi compagni di lavoro. Ci fu un momento di silenzio, probabilmente il sorvegliante aveva raggiunto il gruppo, poi i tre fischi di avvertimento ai Guardiani fecero sospettare ad All che il reperto, questa volta, non fosse la solita robaccia inutilizzabile e infine qualcuno lo chiamò.
Con lentezza deliberata All voltò la testa sempre inginocchiato e vide un compagno correre verso di lui agitando le braccia. Le prime parole che udí, furono:
«...ato una cassa!»
«Hanno trovato una cassa!» ripeté urlando il compagno.
«Una cassa come?» si informò All distrattamente, benché non riuscisse ad impedire ai suoi pensieri di correre con curiosità al contenuto.
«Ma perché non ti muovi?» replicò l'altro, «vieni a vedere; è piena di roba anteguerra,» scosse il capo con aria saputa, «doveva essere gente ricca, quella lì! Vedessi che meraviglia! È piena di strumenti di ogni genere. Ci sono perfino dei gioielli...» aggiunse con voce sognante.
«...Particolarmente utili per mangiare o per bere!» terminò acidamente All alzandosi in piedi.
«Tutta roba mai vista da anni a questa parte» riprese il suo compagno senza badare all'interruzione mentre si arrampicavano verso il gruppo.
«Il sorvegliante aveva una fifa matta che qualcuno si fosse già fregato qualche cosa. Adesso non potrai vedere niente» continuò con disappunto, «ha dato ordine di tenerci a due metri di distanza fino all'arrivo dei Guardiani. Per misura di sicurezza, ha detto. Bisogna fare prima i controlli con i contatori e tutto il resto, ma in realtà ha solo paura di vedere troppa gente intorno a roba così bella perché dopo tutto» spalancò ridacchiando la bocca sdentata, «noi siamo in venti e lui e uno solo!»
Sempre trascinato dal compagno, All si fece strada attraverso la siepe di schiene che circondavano il rep. In effetti il sorvegliante non riusciva a nascondere la sua agitazione e incitava gli spalatori correndo da uno all'altro per invitarli a riprendere il lavoro.
«Dico a voi! Non vi avvicinate troppo! Avete visto, no? Adesso tornate a lavorare.»
All cercò di allungare il collo, ma tutto quello che riuscì a distinguere fu una cassa semisepolta nel terreno, piena di oggetti i cui imballi erano stati malamente strappati. Tutti commentavano a voce alta mentre il sorvegliante lanciava occhiate nervose verso il villaggio in attesa di vedere finalmente apparire i Guardiani.
Alcune ore dopo, disteso nel suo pagliericcio con gli occhi aperti nel buio, All cercava di analizzare le sensazioni che aveva provato quando i Guardiani avevano preso in consegna la cassa e ne avevano controllato il contenuto. Lui e un altro compagno erano stati scelti per aiutare a sballare e a trasportare gli oggetti giù dalla collina. All trattenne il respiro cercando di rivivere l'impressione che aveva provato quando i suoi polpastrelli induriti avevano toccato la lucida superficie di una macchina fotografica. Sotto le sue mani erano passati, miracolosamente intatti, una quantità di strumenti che fino a cinque anni prima sarebbero stati di uso comune, ma che All aveva l'impressione di riconoscere a stento. Si era sentito sconvolto nel vedere rozze mani arraffare un microscopio dal lato sbagliato o ghermire avidamente una serie di monete il cui noto disegno pareva oggi, ad All, un miracolo di incisione. Ma non era soltanto questo. All pensava a ciò che poteva implicare una cassa in cui, qualcuno che oggi non avrebbe potuto più reclamarla, aveva accuratamente riposto i suoi tesori (un chirurgo sicuramente - c'era perfino una borsa di ferri) lanciando una disperata sfida al tempo. All non voleva immaginare il momento in cui gli oggetti erano stati radunati, la penosa incertezza di doverne scegliere uno piuttosto che un altro. Non voleva pensare a nulla. Ma sapeva che per un attimo si era abbandonato alla gioia di guardarli, di palparli, di nascosto, da tutte le parti, assurdamente grato per la loro presenza. E poi, improvvisa, la lacerazione di vederseli portare via, strappare dalle mani e dagli occhi come se gli avessero strappato altrettanti lembi di pelle. Li aveva desiderati da restarne spossato e solo ora riusciva a pensare che forse non era stato il solo.
Strinse gli occhi con forza, cercando di vuotare la sua mente da ogni pensiero, si grattò a lungo la gamba coperta di vesciche provocate dal morso di una nuova specie di cimici e si addormentò.

Un alterco scoppio furibondo e rabbioso nella camera accanto. Di colpo All e Neda si svegliarono.
«Sempre litigi!» imprecò All fra i denti. In silenzio Neda rotolo su un fianco ascoltando.
Il pianto di un bambino si fece sentire accorato e irrefrenabile.
Altre voci si levarono e presto nella casa ci fu l'animazione e il chiasso che caratterizzavano le notti all'interno degli agglomerati. Invano All cercò di riprendere sonno, ma l'agitazione e il chiasso gli impedivano di rilassarsi.
«Dormi» disse Neda nel buio, «domani devi lavorare ancora ai reperti. »
«Ma come vuoi che dorma» rispose All rabbiosamente balzando a sedere, «come fai tu a dormire in questo inferno? Ma già, per te va tutto bene, tu non sai nulla di come stavano le cose una volta. Ti sei scordata di come era il sole, l'erba, le case vere, la tranquillità, l'amore?» Ci fu un silenzio in cui All si vergognò di quello che stava dicendo, ma era troppo esasperato per riuscire a frenarsi. Poi Neda replico semplicemente:
«Ma anche noi facciamo l'amore.»
E All sentì confusamente che doveva rispondere qualche cosa, anche se niente, ormai, avrebbe potuto più sciogliergli il groppo che aveva nel petto. Impulsivamente afferrò il braccio di lei.
«Perché non ce ne andiamo? Viviamo qui senza altra alternativa che quella di lavorare come bestie per campare ancora qualche anno o di lasciarci crepare subito. Pensa se potessimo raggiungere qualche posto al sud dove esistano ancora delle trasmittenti!» Sempre più eccitato stringeva il polso della donna fino a farle male. «Ma capisci che ci devono ancora essere dei paesi dove si può dormire tranquilli, dove si può leggere, ascoltare la musica, avere dell'acqua soltanto aprendo un rubinetto! Perché non potremmo raggiungerli? O perlomeno cercare di metterci in contatto?... »
«Altri ci hanno già provato» lo interruppe la donna irrigidendosi.
E All tacque allungandosi nel buio mentre le mani di lei si tendevano possessive a cercarlo. Pazientemente giacque in attesa che il respiro di Neda si facesse regolare e il suo sonno abbastanza profondo da allentare la stretta delle sue braccia intorno al suo corpo permettendogli di scivolare fuori del giaciglio.
Solo allora, lentissimamente, All si alzò in piedi e cominciò a raccogliere a tentoni i suoi panni.
Nella casa era ritornato il silenzio. All si avvicinò al bidone e vi immerse con cautela una borraccia vuota, aspettò che il gorgoglio dell'acqua che entrava dalla stretta apertura cessasse, si immobilizzò tendendo l'orecchio, poi scosse il capo e dopo aver bevuto un lungo sorso, la riimmerse con decisione nel bidone vuotandola accuratamente fino all'ultima goccia. Quindi la sistemò per terra e senza voltarsi apri la porta.
Con precauzione percorse a ritroso il cammino di poche ore prima e uscì all'aperto.
L'aria notturna gli portò un sollievo solo relativo; aveva sempre l'impressione di respirare attraverso un filtro perché anche all'esterno l'aria rimaneva immobile e pesante.
Deve essere la mancanza di vento, pensò All facendo rotolare un ciottolo con un calcio, a rendere tutto così allucinante... Voltò a sinistra allontanandosi in linea retta dal centro abitato; ogni tanto inciampava nel buio bestemmiando, irritato per quell'illusione di visibilità, causata dalla tenuissima fosforescenza notturna, che viceversa non gli risparmiava nessun ostacolo.
Ormai era più di mezz'ora che camminava e di tanto in tanto, aveva l'assurda impressione di un fruscio alle sue spalle. Avrebbe dovuto fermarsi, forse, o cercare dietro di lui; ma il fruscio era l'unico rumore familiare tra i suoni estranei della notte.
Al di là della collina scomparvero anche le ultime case e una larga pianura si aprì davanti a lui. All non poteva vederla, ma sapeva che l'unica traccia di strada l'attraversava di sbieco, piegando a destra fino alla prossima collina.
Un cane uggiolò dietro di lui, All si fermò un attimo respirando di sollievo e all'improvviso due braccia di ferro lo attanagliarono sotto il mento e lo fecero rotolare a terra.
All restò indifferente di fronte alla propria mancanza di reazioni, sentiva, sopra di lui, il fiato pesante dell'assalitore che l'aveva rovesciato sul dorso e gli teneva un braccio piegato sotto la schiena, torcendolo. Immediatamente, come usciti dal nulla, sentì i passi di molte persone che lo circondavano. All restò immobile, senza parlare, cercando solo di pesare il meno possibile sul braccio che lo sconosciuto gli premeva implacabilmente contro lo spigolo di una pietra. Poi una voce autoritaria disse:
«Tiralo su!» La pressione diminuì e All fu alzato brutalmente in piedi.
«Tastalo!» Due mani lo frugarono rapidamente, sottraendogli le poche monete, poi All sentì la voce del suo assalitore che rispondeva.
«Niente.»
Subito un'altra mano gli artigliò una spalla, poi la prima voce parlò ancora rivolgendosi a lui con calma.
«Adesso ci racconti dove hai ficcato i reperti di stamattina »
In un lampo All capì che cosa era successo. Le notizie di qualsiasi natura erano una ghiottoneria per la loro piccola comunità. Quella della scoperta fatta dalla sua squadra sulla collina doveva essere arrivata alle orecchie delle bande esterne arricchita di mille particolari; naturale che ora, la sua partenza dal villaggio venisse presa per una fuga e collegata alla possibilità di un furto di reperti. Finalmente anche All fece sentire la sua voce.
«Se parlate dei reperti vi state sbagliando» rispose con altrettanta calma, «sono gia stati presi tutti in consegna dai Guardiani e io ho fatto appena a tempo a vederli prima che li portassero via.»
Ci fu un altro silenzio in cui All poté sentire i sospiri di rabbia e di delusione dei presenti.
«Potresti avere preso qualche cosa prima» ricominciò l'altro sempre stringendolo.
All tentò di alzare le spalle.
«Ma non siate idioti!» scattò. «Non vedete che non ho niente addosso? O pensate che valga la pena di faticare tanto per rubare una macchina fotografica? C'e qualche cosa da fotografare?» Si scrollò con uno strattone e l'altro lo lasciò andare. «Se proprio ci tenete a saperlo me ne sto andando, ne ho le tasche piene di tutto!» Indicò con un gesto la collina alle sue spalle, poi cominciò ad allontanarsi lentamente massaggiandosi il braccio.
Dietro di lui nessuno si mosse. All sentì che parlottavano a bassa voce imprecando, poi l'uomo che l'aveva interrogato lo richiamò. All si fermò senza voltarsi.
«Il mantello!» urlò l'altro, «porta qui il tuo mantello.»
«Meglio che niente!» sghignazzò qualcuno. «Tanto ci penserebbero quelli di Ronnie a farglielo fuori!»
All tornò indietro, senza parlare si slacciò il mantello e lo gettò ai piedi del capo. Poi si voltò e sempre in silenzio ricominciò a camminare nella notte.
La prima pietra lo raggiunse fischiando dopo una ventina di passi. All si lasciò scivolare a terra senza rumore, appiattendosi il più possibile. La mira delle altre pietre non sembrava risentire del buio. Una lo colpì sul polpaccio e l'altra in mezzo alla schiena mozzandogli il respiro. Dietro di lui sentiva quelli della banda ansimare eccitati, ubriacati dal nuovo divertimento.
Penosamente All cercò di strisciare fuori tiro, ma il lungo tirocinio sembrava avere raffinato i sensi dei suoi cacciatori.
«Si muove!» gridò qualcuno ridendo.
Un'altra gragnuola di pietre si abbatté sopra di lui colpendolo da tutte le parti, alzò le braccia per ripararsi il capo ma un sasso lo centrò sulla tempia paralizzandolo.
Ora non poteva più muoversi ma restava perfettamente lucido. Immagini e immagini gli si affollavano alla mente senza che lui le avesse richiamate. Sentì in bocca uno strano sapore. Gli stimoli esterni gli arrivavano enormemente attutiti, anche le grida che aveva udito fino a un momento prima si stavano affievolendo. All pensò che avrebbe voluto raccogliersi un attimo; lasciar filtrare nella sua mente solo pensieri importanti, definitivi... ma non riusciva a staccarsi dalle immagini più recenti della sua vita... Neda che non avrebbe risposto nulla quando la notizia si sarebbe sparsa... che avrebbe molto ragionevolmente cercato un altro compagno... la verità... lei era una donna del futuro... di dopo il diluvio... avrebbe creduto di capire... scuotendo il capo avrebbe pensato: suicidio... Solo lui sapeva la verità... ma non se ne poteva tirare fuori nessuna morale... stava soltanto morendo con cinque anni di ritardo...
Col viso schiacciato sul terreno All vomitò l'ultima boccata di sangue.


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