La foto era in un bianco e nero sbiadito.
Mostrava una stanza col pavimento ricoperto quasi interamente da un pregiato tappeto persiano. Un divano enorme, ricoperto da una morbida trapunta, poggiava sul muro di sinistra.
A destra, su di un mobile antico, faceva bella mostra di sé un gigantesco orologio istoriato contornato da vari suppellettili esotici.
Al centro della stanza, sul tappeto, un androide privo del braccio destro protendeva verso l'obbiettivo un fiore simile a una grande margherita dai molti petali.
A terra giacevano sparsi alcuni componenti meccanici: pompe osmotiche, giunti cardanici, motorini e giroscopi, addirittura una testa d'androide dal cui collo usciva una chioma di cavi.
Oltre un grande passaggio ad arco nel muro si scorgeva una seconda stanza in cui alcuni androidi completi mimavano le più classiche e servili pose robotiche. L'unico arredamento di quella stanza era un pesante tendaggio mosso, forse, dal vento.
Sembravano così innocui quei pallidi androidi, quei poveri manichini pelati desiderosi solo di servirci. Sembravano così...controllabili.
Vicino al margine inferiore della foto appariva lo slogan:

"LE PERSONE ARTIFICIALI
TI RENDONO
UNA PERSONA MIGLIORE!"

Io tenevo in mano la fotografia leggermente turbato. Tuttavia, come accade nei sogni, era un turbamento leggero, quasi simile a una specie di malinconia. Forse a un rimpianto.
Smettevo presto di sognare la stanza, la foto, gli androidi...mano a mano che smettevo di sognarle, queste strane cose scomparivano...come in quella favola del re rosso.
Chi mi starà sognando in questo momento?

1. Fido

Forse Fido, già. Sempre lui.
E un cane, un grosso mastino nero e bavoso.
Oltre ché, naturalmente, l'ultima C.P.U. rimasta fedele all'uomo. L'unica I.A. con una morale celata da qualche parte, dentro a un'oscura routine del suo software obsoleto.
Fido è il responsabile dei sogni strani e dei messaggi sibillini.
Ora mi gira attorno con le sue antenne oscillanti che escono dall'attaccatura del collo, con la lingua pencolante e umida, coi suoi occhi dalla cornea gialla che mi fissano.
«Cos'è quella cosa che se salti è rossa e se giri è verde?» Mi chiede d'un tratto.
Rimango zitto, la voce del cane proviene da chissà dove, non di certo dalla sua bocca. Forse, come le parole dei sogni, proviene dalla mia testa.
«La scarpa.» Risolve il cane. La scarpa?
«Non ha senso. » Faccio io a Fido che non smette di girarmi attorno, facendomi venire la nausea.
«E un bluff logico.» Spiega lui, «Una di quelle cose che mi rendono superiori agli androidi e al loro cervello osmotico pret-a-portè. La gente tende a sottovalutare noi microprocessori dell'ultima generazione, forse perché siamo piccoli e indifesi...ma anche l'anima è piccola: un decimo di millesimo di micron. La sua massa è molto densa: pesa circa venti grammi. Il miglior microprocessore mai esistito.»
Fido ha la capacità di confondermi completamente: cosa è vero e logico di quello che dice, cosa, invece è un bluff logico? E cosa deriva da una verità superiore, incomprensibile?
«Voglio una soluzione a questo casino, Fido. Se volevi aiutarmi questo è il momento adatto.» Lo incalzo irato. Il cane tace, mi guarda.
Si ferma.
«Preferisci il Jazz caldo o freddo? La Techno degli '80 o dei '90? I Beatles o i Nirvana.?» Mi chiede. Il tono della sua voce cambia, diventa più basso. La sua lingua rossa ha un movimento e schizza bava sui miei piedi.
Poi riprende: «Io ho sempre preferito la cassa rapsodica del breakbeat.»

«Lo so che sono sogni, non sono impazzito ma...potrebbero essere anche...»
«Essere cosa? Messaggi? Saresti in contatto con un computer dalla forma di cane che ti parla nei sogni? Questa è la più grande stronzata da quando Rico Pholstein attivò il primo androide.»
Nudi, l'uno di fronte all'altra. È sorprendente accorgersi di quanto sia piacevole scopare con una persona che ti risulta odiosa. «Dai...» Intima lei, «O quelli magari s'incazzano.» Indica le guardie che spiano da sopra le gabbie di fecondazione. Androidi bianchi con un potente laser-driver al posto del braccio destro.
Nina mi scivola addosso mentre le chiedo se preferisce la Techno degli '80 o dei '90.
Lei borbotta: «Ascoltavo solo musica classica.» E mi prende dentro.
«Vediamo di fare presto, oggi ci lasciano vedere una videocassetta.» Dice senza ansimare, mentre comincia a muoversi.

«Devi semplicemente fare quello che ha fatto Alice.» Spiega Fido.
«Passare attraverso lo specchio? Ma Alice, quella pazza, è stata disintegrata. Vuoi che faccia la stessa fine?» Rispondo sconcertato io. Attraversare lo Specchio, anche questa dovevo sentire!
«Poi non ti lamentare se una volta atomizzato non potrò più esserti d'aiuto.»
«Voi e la vostra concezione monadica dell'esistenza, non sei fatto di particelle ma di onde. Di energia. Orgoni.» Fa stizzito il cane agitando la coda in alto e in basso.
«E io come posso crederti ?» Inveisco. «Sei solo un bavoso cane nero!»
«Ma sono sempre il miglior amico dell'uomo, o no?»

Mi sveglio sghignazzando. Quel cane deve aver fatto una battuta. Mi sveglio e comincio a sprofondare nel pavimento. Penso di essere in un altro di quei maledetti sogni-messaggio del cane, ma non sembra così: so di essere sveglio. Lo so, per Dio!
Scompaio lentamente dentro le fredde piastrelle bianche che rivestono interamente la mia gabbietta. Mi sento come fatto d'acqua, come se il pavimento fosse un colabrodo. I miei atomi passano attraverso quelli del pavimento. Per un attimo precipito nel pieno e poi mi fermo, poggiando su una superficie «impermeabile». Non si vede e sente nulla, solo nero.
Provo a muovermi e, ad un tratto, i miei occhi intersecano una fonte di luce: un globo. Ma che scopo può avere una fonte di luce nel cemento?
In prossimità del primo ce n'è un secondo, poi un terzo. I globi m'indicano una direzione nel pieno.
In breve emergo in una stanza sferica, senza entrate. Il pavimento della stanza, ricoperto di cuscini, mi trattiene. Mi accorgo di essere nudo. Il camicione bianco col numero con cui ci vestono gli androidi probabilmente non è stato "sfasato" assieme al mio corpo.
Tocco la parete concava, non affondo più. Probabilmente l'effetto fantasma è finito.
Mi guardo intorno: la stanza è illuminata da una fosforescenza rossa proveniente, sembrerebbe, dalle pareti stesse. Queste sono tappezzate di manifesti di gruppi rock e metal.
Al centro della stanza c'è un proiettore olografico di forma fungoidale. Lo attivo.
Ne esce Fido, con la solita cera. Ovviamente è stato lui a combinare quella cosa al mio corpo.
A "fantasmizzarmi".
«Ti piace la mia dependance?» Chiede il fantasma del cane, «Un bug nei progetti del pollaio. L'unica modifica che ho potuto eseguire senza essere notato. Quegli androidi hanno crittogrammi più complessi del messaggio della radiazione a 3° Kelvin. Non mi piace calcolare.»
«Ma tu sei un calcolatore!» Gli faccio, con aria sorpresa.
«Non più di quanto lo sia Dio. Ma transeat...» Cambia tono. La sua immagine olografica, solcata talvolta da interferenze, si accoccola incrociando le zampe anteriori. «Sei convinto, ora? Hypotesis non fingo, non dico stronzate.»
«Convinto di cosa?» Chiedo.
«Se puoi attraversare il cemento puoi attraversare anche lo Specchio.» Risponde sorpreso, come se avessi posto una domanda ovvia. Con una zampa si gratta la testa.
«Ma...potrei uscire dal pollaio sotto terra, senza un'azione così clamorosa. Se riesci a rendermi un fantasma...»
«Ma è l'azione clamorosa che cerco io!» Interloquisce il cane. «Razzi, laser, esplosioni. Gli androidi devono vederti mentre i loro proiettili ti attraversano, mentre il tuo corpo supera la loro barriera a specchio di tipo N. Il Bluff perfetto! Qualcosa che mandi in pappa quel loro corpo calloso elettromagnetico!» Il cane abbaia, mentre formula queste parole. Le antenne alla base del cranio oscillano. Fido, finito il suo sproloquio, tace, respira affannosamente.
«Spero che per farmi fare l'eroe non mandi a monte tutto.» Dico, spazientito.
«Tranquillo: è tutto calcolato.» Mi rassicura il cane.
Ma lui non è un calcolatore.
«Sì...» Risponde, leggendomi nel pensiero. «Ma sono sempre un calcolatore migliore di Dio.»

Eva è alta, i suoi capelli sono biondi, lisci. I suoi occhi sono grandi polle grigie, le sue tette sono maestose. È l'inseminanda che preferisco perché non le piace parlare molto e, quando lo fa, non dice cose intelligenti. Se non fosse per lei, rifletto, del genere umano non me ne importerebbe più nulla.
Facciamo l'amore ed è bellissimo, come sempre. Solo, per essere perfetto mancherebbe una sigaretta. E sì, un poca di privacy e magari un letto... e gli androidi accatastati in un grande mucchio per esser dati alle fiamme.
Mentre torno alla mia gabbietta assieme agli altri fecondatori, sento un prurito strano, segno che il mio cambiamento di fase ha avuto atto. Laggiù vedo lo Specchio, enorme superficie riflettente e disintegrante. Con uno scatto mi dirigo verso di esso, dapprima incespicando.
Le guardie androide, sempre impassibili, puntano i loro laser-driver verso di me, facendo fuoco.
Per Dio! Il trucchetto di Fido funziona: i laser mi oltrepassano, vedo le loro mortali scie luminose uscire dal mio torace lasciandomi indenne.
Bravo cane, bravo cane... continuo a ripetere.
Mi volto verso gli androidi, correndo all'indietro, mostro loro il mio dito medio. I loro volti sono comunque impassibili: non hanno muscoli facciali, non hanno muscoli di nessun tipo.
Sono solo...robot cannibali.
Lo Specchio ora è vicinissimo: la sua liscia superficie riflette il mio volto, il volto che mi ero dimenticato.
Diavolo, non pensavo di essere così vecchio...supero lo Specchio in un attimo e sono al di là.
Wow!

2. Il Re

Sono fortunato che le teste pelate non si spostino mai troppo lontano dal loro generatore: hanno troppa paura di finire la corrente. La vita per loro è come un'immensa apnea: se finiscono l' 'aria' sono belli che fottuti.
Fuori dal pollaio il mondo è verde e rigoglioso... odio pensare che quei robot abbiano trattato la terra meglio di noi. Mi volto. Da una spaccatura nello Specchio esce levitando un Hovercraft da battaglia con a bordo una pattuglia di guardia.
Scappo velocemente. Mi rifugio in una selva poco lontana. Non dovrebbero avermi individuato.
Mi sento stanco...sento che il calore fluisce via dal mio corpo. Do di stomaco violentemente.
Effetto collaterale!
Fido non me l'aveva detto, non mi aveva detto che il mio corpo, finita la sessione da fantasma sarebbe tornato in un modo così doloroso...forse il passaggio dello Specchio ha cambiato irrimediabilmente la mia struttura molecolare. Non importa. Sono fuori, sono scappato.
Riesco ad evitare la pattuglia di androidi rifugiandomi nel folto del bosco, lontano dal Pollaio. Mi fermo ansante vicino a un laghetto pacifico.
Non sono mai stato così stanco...

Il bosco e il lago sono gli stessi pure dall'altra parte delle palpebre. Fido esce dall'acqua, si scuote schizzandomi. «Ben fatto, non trovi?» Si autocomplimenta.
Io mugugno una sorta di assenso. I sogni del cane cominciano a darmi i nervi: distinguerli dalla realtà è impossibile.
«Cos'è quella cosa che senz'occhi non può vedere?» Chiede poi, con la sua solita espressione tonta. Rimango zitto. Basta nonsensi, per carità.
«La lucertola.» Si risponde il cane, «O qualsiasi altra cosa abbia gli occhi.»

Le lucertole hanno uno strano modo di eliminare l'avversario. Si muovono in stormi, a pochi metri dal suolo, si avvicinano alla pattuglia di androidi e la circondano sciamando.
In breve le teste pelate cadono a terra denergizzate. Finito l'attacco, le lucertole mi avvolgono e mi spingono delicatamente in una direzione. Frastornato, non mi resta che seguirle nel folto del bosco. Dopo qualche tempo arriviamo ad una grotta bassa, i rettili volanti mi spingono dentro, guidandomi con le loro scie verdi lungo un tunnel di tenebra. Rocce irte mi feriscono il corpo nudo, alcune rovine metalliche prive di identità minacciano di pungermi a ogni svolta.
E c'è una cosa, poi: non...non c'è nessun odore, solo il buio solcato da veloci guizzi di luce.
Spero di non inciampare e infilzarmi in qualche cosa.
La grotta sembra non finire mai: si snoda per chilometri, ramificandosi in bivi, in passaggi nascosti, intercapedini di metallo. Alla fine del cammino, una luce annuncia l'aprirsi del cunicolo in una stanza piuttosto grande, ricoperta di parquet e listelli, col soffitto altissimo intelaiato da travi.
Da lassù proviene una luce, forse c'è un'uscita.
Seduta su un tappeto persiano in mezzo alla stanza c'è una grossa lucertola addobbata con piume e stoffe preziose. La lucertola gorgoglia facendo vibrare il gozzo mentre aspira fumo da un Calumet gigante. Mi fa cenno di sedere.
Obbedisco. Lo sciame di lucertole plana sulla parete alle mie spalle. Mi controlla.
Il Re (come so che si tratta del Re?) mi passa il bocchino del Calumet ed io tiro una lunga boccata, quasi ipnotizzato dall'atmosfera irreale. Perché dev'essere un'altra stronzata di Fido, un altro sogno, ora che non ce n'è più bisogno, ora che sono fuori...
Il fumo è forte e io tossisco fino a farmi venire le lacrime agli occhi. Il Re mi indica e inizia a ridere, le lucertole dietro a me fanno uno strano sibilo...la stanza si fa buia.

Le lucertole hanno uno strano modo di combattere. Si muovono in stormi, a pochi metri dal suolo. Si avvicinano alla pattuglia di androidi e la circondano, in breve le teste pelate cadono a terra denergizzate. Non sono più seduto sull'erba ma su un tappeto. Alle mie spalle c'è il Re.
«Elettromagnetismo.» Rantola con una voce gutturale, inadatta alle parole.

Nella stanza sferica, l'ologramma di Fido mi guarda a zampe conserte.
«Capito come superare lo Specchio?» Chiede.
Io tentenno. «Ma... le lucertole che scopo hanno?»
«Le lucertole, quali lucertole?» Il cane alza il capo, i suoi occhi gialli hanno un guizzo di vita. Poi torna il solito cane tonto. «Sarà stata un'interferenza.»
Un'interferenza increspa l'ologramma. Assieme all'intera stanza sferica.

Eva non mi dice che è stato bellissimo. Non lo è stato: io sono distante, lei è stanca e triste.
Certo non ci aiuta sapere che i figli che partorirà saranno fatti a pezzi e divorati dagli androidi, forse per nutrire il loro encefalo osmotico...o forse per nulla di logico, solo perché nella testa pelata di quei mostri è tutto fuori posto.
«Sono ancora in cinta.» Mi confida infatti Eva. La terza volta. La terza stramaledetta volta.
«Vorrò bene al mio bambino.» Dice seria accarezzandosi il ventre. Non piange.
Sono nel Pollaio da più di vent'anni e dovrei averci fatto l'abitudine... ma non è così.
Tuttavia, l'iniziale odio e rabbia sono cambiati in un atroce senso di tragedia ineluttabile.
Sono vuoto come un androide. Per questo faccio quello che mi chiede quel vecchio cane pazzo. Al ritorno alla mia gabbietta, assieme agli altri fecondatori, sento il "prurito", segno che il mio cambiamento di fase ha avuto atto. Ritento la fuga, vera o falsa che sia, ci riesco nuovamente. Ecco laggiù la foresta, il laghetto.
Peccato che, inevitabilmente, sia un sogno anche questo.

«Stupido cane, tu non puoi farmi scappare.»
«Centro.» Gli occhi di Fido sono tristi. Non scodinzola più. Il pelo è arruffato, il corpo magro.
«Neppure il re ti può aiutare. E da molto che sono solo una sovrapposizione.» Dice, è strano come ciò che farfuglia abbia un suono familiare.
«Mi tornerai a trovare?» Mi sento pronunciare senza alcun motivo.
«Non affezionarti troppo alle C.p.u.» Risponde il cane, «Arriverà sempre un momento in cui dovrai dir loro addio. Ma non dispiacertene: i microprocessori sono cattivi consiglieri, l'incandescenza è un fenomeno inspiegabile e il deserto un labirinto raso al suolo.»

E colpa sua, colpa di quel maledetto cane. Non... non posso più distinguere la realtà dal sogno, come se il sogno si fosse sovrapposto alla realtà. In ogni caso, veglia o sogno...non posso fuggire dal Pollaio, non posso oltrepassare lo Specchio. Non posso abbandonare la tragedia semplicemente piantandomi un pugnale nel petto. Ho l'impressione che non servirebbe.
Esistono davvero gli androidi?
Esiste questo posto in cui i nostri figli sono macellati come bestie? Non ricordo...per me, negli ultimi vent'anni, la routine di default è sempre stata questa, il puntatore è sempre sulla stessa allocazione di memoria. Ora... sembra tutto reale, sembro sveglio nella mia gabbietta.
Ma chi ha appeso la fotografia di un fiore sulla parete grigia?
Un fiore rosso, una margherita con moltissimi petali.
Lo so, ricordo queste quattro mura in cui ho passato più di tre quarti della mia vita. Quella foto non c'è mai stata. Quella foto non esiste e questo dovrebbe essere un sogno ma non è così. Mangio il pappone che mi danno gli androidi, un impasto bianco che aumenterebbe la mia potenza sessuale. Sì: dormire, mangiare, scopare.
Se avessi una sigaretta sarei in paradiso.

«Forse era un po' forte.» Gorgoglia il Re. «E lievemente allucinogeno.»
«Lievemente.» Annuisco io con un filo di voce. «Fido dice che tu mi puoi aiutare.»
«A fare che?» Piega la testa da un lato, le sue squame luccicano. Apre la bocca in uno sbadiglio...ma non ha bocca, il suo palato è solo un'incavatura nel muso, come se fosse un pupazzo. Con la coda dell'occhio vedo dei numeri, delle sequenze, delle matrici esadecimali.
Mi volto di scatto e queste scompaiono.
«Tieni per te il tuo segreto.» Dice il Re. Attorno a me, la stanza di legno è calma, l'aria immota, un leggero odore di rose proviene dal fumo del Calumet. E un sogno perché sto pensando alle cose un attimo prima che succedano. E un sogno oppure...
«Un Bluff logico.» Conferma il Re. «L'anello che non tiene. Sembra così che il tuo enigma della sfinge abbia una soluzione.»
«Non... non c'è nessun... non mi è stato posto nessun enigma.» Farfuglio.
Tutto nella mia mente sembra fuggire verso un punto di fuga lontano: la soluzione!
«L'enigma non ti è certo stato posto a parole.»

Un enigma? Devo riuscire a pensare, pensare. Sono tornato nella gabbietta, dopo essermi fatto Maddalena, la più brutta del mio harem personale. Lunghi capelli secchi come fili di ferro e un triste muso da topo. Devo riuscire a trovare una sigaretta, mai il mio bisogno è stato così impellente eppure... io non ho mai fumato.
Mi appoggio alle sbarre della cella insonorizzata. Batto sul vetro di comunicazione, si avvicina il secondino e lo alza dall'esterno.
«Sì, fecondatore?» Mi chiede gentile.
«Mi chiedo se potrei fumare una sigaretta.»
«Perché?» Fa candidamente. Gli androidi parlano sempre volentieri con gli uomini, sembra che personalmente non abbiano niente contro di loro. Siamo noi che non rivolgiamo loro la parola con entusiasmo.
«E... vorrei fumare.» Finisco per dire io.
«Fumare fa male.» Sentenzia la testa pelata, voltando il capo glabro verso il corridoio esterno.
«Indubbiamente.» Annuisco. «Ma una sigaretta in trent'anni non potrà certo farmi venire il cancro.»
«Ora chiedo.» Dice il secondino. Lo vedo dirigersi verso una guardiola alla fine del braccio di gabbiette. Discute con un altro androide. Dopo un poco ne arrivano altri due.
I quattro parlano a lungo, finché uno di loro viene da me e mi chiede di seguirlo, aprendo la pesante porta. Mi conduce in quella che probabilmente è la postazione del capo settore dove mi aspettano gli altri tre androidi.
«Sei fortunato.» Mi fa uno di loro. «Ieri abbiamo depurato una delle vostre città nei dintorni e fra i vostri manufatti a noi inutili abbiamo recuperato questo.» Mi porge un pacchetto di sigarette di una marca mai sentita. Le "Routine", sul cui pacchetto campeggia un fiore rosso dai molti petali.
Io le prendo grato: è preoccupante quanto sia stato facile...
Chiedo del fuoco e gli androidi mi guardano impassibilmente.
«Qui non si possono accendere fuochi, mi spiace.» Afferma la guardia.
Esatto: troppo bello per essere vero. Mi faccio ricondurre in gabbia conservando il pacchetto.
«Per ricordo.» Dico.
In cella estraggo una Routine per succhiare almeno un po' di tabacco. La contemplo tristemente, ma...un momento! Sulla cartina della sigaretta sembra ci sia una parola: "Cosa".
Con mani frenetiche estraggo tutte le sigarette dal pacchetto, su ognuna c'è una parola diversa... e le parole unite compongono una frase:

CONTINUA... leggete la: Seconda e ultima parte


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